Capitolo 28
Carl si sentiva strano dopo ad aver assistito a quella scena: mai si sarebbe aspettato che Sophia e Sarah potessero stare nella stessa stanza per qualche secondo; e invece sembravano essere diventate quasi amiche, mettendosi d'accordo sul fatto di eliminarlo dalle loro vite. Da quando aveva litigato con Sophia, facendola in questo modo allontanare da sè, non era più la stessa cosa, soprattutto quando lo sguardo gli cadeva su quelle foto; si ricordava ancora quando le avevano scattate: era stato il giorno in cui Sarah lo aveva avvertito che si sarebbe trasferita vicino a lui, nonché uno dei momenti in cui la ragazza era stata veramente felice. Adesso, il cuore gli faceva male ogni volta che la vedeva ridere o anche solo se la guardava, notando come un'aura scura che la avvolgeva. Il problema era che sapeva benissimo di esserne il colpevole, avendole spezzato il cuore già martoriato da anni di bullismo. Il suo unico desiderio era quello di poter rimediare; il ragazzo sognava continuamente di avere una macchina del tempo, per tornare così al momento in cui aveva scelto di scrivere alla sua ex, mettendosi ulteriormente in mente che non era la miglior cosa da fare. Il vuoto che aveva nel petto ogni tanto gli attanagliava il cuore; il buco nero vorticava ad una velocità sorprendente, togliendoli il fiato ogni volta; questo fatto accadeva quando il viso della ragazza gli passava per la mente, provocandogli sia brividi che dolore al medesimo istante. In qualche modo era riuscito ad evitare i genitori, che continuavano a fare domande sul perchè stesse mangiando meno del solito, o perché il suo sorriso fosse così spento e quasi inesistente. L'unica a sapere tutto era Judith, con cui si era sfogato; era troppo piccola per poter comprendere ciò che stava accadendo, ma riusciva lo stesso a capire che c'era qualcosa che non andava. Capitava, infatti, che quando lui si sentiva triste o gli scappava una lacrima, lei lo intuiva o lo vedeva, precipitandosi subito dopo per abbracciarlo e consolarlo, riempiendolo di quella dolcezza e tenerezza che si può provare solo con gli esseri più piccoli; nonostante lei non se ne rendesse conto, quell'effetto lo faceva sentire un po' meglio, dato che riusciva a fargli dimenticare per un attimo la pessima situazione in cui si era cacciato.
Forse, però, era riuscito a trovare una soluzione a tutto, ed essa lo stava aspettando al parco, nonostante fosse riluttante all'idea di incontrarlo.
"Allora, sentiamo che cosa vuoi." Alisia, la migliore amica di Sophia, era seduta sulla panchina a braccia incrociate, con gli occhi ancora rossi per le lacrime versate.
"Stai bene?" Le chiese Carl, indicando con un gesto della mano gli occhi della ragazza.
"No, non sto bene." Gli rispose fredda, la voce dura. "Mio nonno sta morendo, e invece di stare al suo fianco sono qui con un idiota."
"Come mai sei venuta, allora?" Chiese il ragazzo, alzando le braccia al cielo e rilasciandole poi lungo i fianchi.
"Perché mi hai detto che riguarda Sophia," quel nome fece fare una capriola al cuore di Carl, che chiuse gli occhi per qualche secondo. "e io farei di tutto per lei." Gli rispose, asciugandosi le lacrime formatosi negli occhi. "Allora, mi dici il motivo per cui mi hai chiamata, sì o no?!" Alisia stava perdendo la pazienza ormai, si convinceva sempre di più che incontrarlo fosse stato solo un errore.
"Okay, okay, adesso te lo dico." Si sedette vicino a lei sulla panchina, strofinando le mani avanti e indietro sui pantaloni, come forma di anti-stress. "Tu sei la sua migliore amica, sai meglio di chiunque altro come farsi perdonare da Sophia..." Deglutì a fatica, soffrendo allo strano effetto che gli faceva quel nome. "Come posso farle capire che voglio stare con lei? Che Sarah è acqua passata?" Carl non sapeva più come fare: Sophia non voleva mai parlargli, nonostante lui ci abbia continuamente provato; sapeva che la ragazza con cui voleva stare era lei e non Sarah.
Alisia storse la bocca all'inizio, mordendosi poi il labbro inferiore; aveva visto come l'amica stava soffrendo per quella situazione: le lacrime le avevano bagnato i vestiti e il cuore fatto male in un modo atroce. Odiava vederla in quello stato. Eppure, quando si erano messi insieme, Alisia era sempre stata sicura che sarebbe potuta durare come storia, sembravano due pezzi di puzzle che si incastravano tra di loro, creando un paesaggio stupendo. La ragazza sospirò, portando la testa all'indietro e pensando.
"Vuoi davvero ritornare a stare con lei?" Gli chiese alla fine, chiudendo gli occhi.
"Sì, non faccio altro che pensare ad un modo per convincerla che non volevo farla soffrire." Rispose Carl, guardandosi le mani. "È vero, all'inizio mi mancava Sarah, ma poi ho scoperto quanto Sophia fosse fantastica e dolce, e..." Non terminò la frase, considerandola qualcosa di avventato.
"E?" Domandò Alisia, ma ricevette come risposta solo uno scuotimento di testa da parte del ragazzo. "Beh, posso provare a convinverla a parlarti, ma non posso garantirti nulla." Concluse la ragazza, rivolgendogli un piccolo sorriso triste. "Che cosa provi effettivamente per lei?" Gli domandò curiosa.
"Non saprei... È complicato." Cominciò il ragazzo, alzando le spalle. "Mi batteva forte il cuore ogni volta che ci baciavamo; quando ci abbracciavamo o anche solo sfioravamo, invece, era come se il mio cuore mancasse di battere oppure sprofondasse temporaneamente in un baratro, facendomi male, ma in senso buono. Quando la vedo sorridere non posso fare a meno di sorridere anch'io, mentre se è triste o soffre provo le stesse emozioni anch'io, come se fossimo collegati, oppure i suoi sentimenti contagiosi." Guardò finalmente negli occhi Alisia, che aveva di nuovo portato il viso in avanti.
"La ami?" Gli chiese sottovoce la ragazza.
"Io..." Deglutì di nuovo il ragazzo, sentendo come un groppo in gola che si formava, pensando alla risposta che gli frullava in testa, a cui diede voce dopo qualche attimo: "Sì, credo di essermi innamorato di lei, anche se è passato poco tempo da quando ci siamo conosciuti." Un sorriso illuminò i visi dei due ragazzi, mentre si rendevano conto dell'enorme sbaglio che il ragazzo aveva compiuto, e a cui dovevano e avrebbero rimediato.
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