Capitolo 26
Quando la sveglia suonò il lunedì mattina, segnalando l'inizio di una nuova mattinata di scuola, Sophia la spense con un gesto stizzito e frustato, appoggiandosi sui gomiti e passandosi una mano sul viso, per poi prendersi la testa tra le mani, brontolando. Sapeva benissimo che cosa l'avrebbe aspettata quella mattina, motivo in più per non volersi alzare dal torpore e la morbidezza del letto; la sera prima Carl aveva provato a comunicarle attraverso la finestra della sua stanza, ma lei aveva stroncato la sua idea sul nascere chiudendo le tende della sua finestra, bloccando il contatto. Era la seconda volta che ci provava, oltre al fatto che era andata a casa sua il giorno prima per provare di nuovo a parlarle; lei era riuscita a non vederlo, simulando un mal di testa talmente realistico che la madre ci aveva creduto, mandando così via il ragazzo. Anche se con fatica, lasciò il suo letto, dirigendosi verso l'armadio e prendendo le prime cose che aveva sottomano; il suo riflesso allo specchio rivelava una ragazza distrutta, che si stava spezzando sotto la forza del dolore, oltre che stanca di quello che stava accadendo e delle persone. Nonostante sembrasse una senzatetto con quella felpa nera, grande minimo due taglie in più del dovuto, e i pantaloni da ginnastica grigi, non le importava; era da un po' che non dava peso alle opinioni altrui, dato che sapere di avere accanto a sè una persona che ti amava per come eri le era bastato per cominciare a fregarsene. Scelse di non fare colazione quella mattina, ma si limitò a salutare i genitori e ad uscire di casa, dirigendosi verso scuola. Stava per aprire completamente la porta, quando vide sul ciglio del marciapiede Carl, di sicuro intento ad aspettarla per parlarle. Sophia chiuse piano la porta, decidendo di prendere una piccola stradina dietro casa; le staccionate che contornavano il giardino si affacciavano su un piccolo boschetto, che a sua volta finiva con l'ultima casa della strada, così lei poteva aggirare il ragazzo senza incontrarlo. Alle domande dei familiari sul perché facesse quella strada, rispose che voleva semplicemente trascorrere il tragitto casa-scuola immersa nei suoi pensieri; l'unico a non fare domande fu Robin, che conosceva benissimo la situazione. Arrivata nell'edificio scolastico, di fronte al suo armadietto, la ragazza ripose tutti i libri che non le servivano al suo interno, prendendo quelli per la prima ora.
"Ti ho aspettata di fronte a casa tua, te ne sei accorta, vero?" Quella voce fece irrigidire il corpo di lei, che chiuse con un colpo secco l'anta dell'armadietto, chiudendo gli occhi e facendo dei respiri profondi.
Nonostante non volesse ammetterlo nè a se stessa e nè a nessun'altro, la sua voce le faceva ancora uno strano effetto, dolce come il miele e scorrevole come l'acqua cristallina e tiepida di un ruscello. Scelse di non dargli risposta.
"Ti ho vista richiudere la porta, di sicuro per evitarmi." Continuò Carl, avvicinandosi di un passo. "Non è forse così?" Provò ad allungare una mano per toccarle il braccio, ma non appena lei ebbe sentito le sue dita sfiorarla appena, aveva spalancato gli occhi per guardarlo e si era allontanata di qualche passo.
"Se conosci il motivo, perché continui a tormentarmi?" Gli chiese lei cercando di non urlare, sperando di non aver attirato l'attenzione degli altri ragazzi. "Perché ti ostini a volermi parlare, quando sai che io non voglio farlo?"
"Per chiarire." Rispose lui, la voce calma e appena tremolante. "Sono stufo di vederti piangere per colpa mia." Indicò con un veloce gesto della mano il viso della ragazza, che instintivamente si portò una mano sul volto; non si era accorta delle lacrime che le avevano rigato le guance, almeno fino a quando lui non gliel'aveva fatto notare.
"Sei sei così stufo come dici di essere, allora lasciami in pace, non mi cercare mai più." Ribattè Sophia, stringendosi i libri al petto, facendosi male lo sterno; quel gesto le ricordò la prima volta in cui aveva parlato di Carl, quando Alisia le aveva chiesto che cosa non andasse e lei le aveva parlato del misterioso ragazzo appena arrivato in città, vicino a casa sua.
Quel ricordo la ferì ulteriormente, un coltello che non faceva altro che peggiorare la ferita ancora fresca e sanguinante.
"Ma io voglio stare con te, voglio te, non Sarah." Ripetè Carl per la milionesima volta, frase che ormai le ripeteva ogni volta che cercava di mettere in chiaro le cose.
"Beh, non si direbbe." Disse infine la ragazza, prima di voltarsi verso l'aula della prima ora.
Si asciugò con la manica della felpa le lacrime, scuotendo appena la testa per cercare di eliminare dalla mente ciò che era appena successo; sapeva che ci sarebbe voluto tempo per dimenticarlo e farlo desistere dal suo piano, ma un giorno era sicura che ce l'avrebbe fatta.
Forse.
All'improvviso, una voce grottesca interruppe i pensieri della ragazza, facendole alzare lo sguardo abbassato.
"Buongiorno signorina Greese, potrebbe venire con me un secondo?" La professoressa Smith, l'insegnante di storia, aveva appena salvato -senza saperlo- Sophia; Carl non potè in questo modo inseguirla per cercare di convincerla ad ascoltarlo, dato che la ragazza aveva seguito più che volentieri l'insegnante.
"Di che cosa ha bisogno, professoressa?" Chiese la ragazza alla donna, utilizzando il suo solito tono gentile, accompagnato da un piccolo sorriso timido.
"Una nuova ragazza è arrivata qualche giorno fa; visto che già una volta hai fatto da guida ad un nuovo studente," quel riferimento implicito a Carl le strinse il cuore, ricordandole come una doccia fredda ciò che stava accadendo tra loro due. "volevo chiederti se potessi fare lo stesso con questa nuova studente." Le domandò la professoressa, rivolgendole un sorriso gentile e allo stesso tempo supplichevole.
"Certo, lo farò." Rispose Sophia, rallegrando la giornata della donna che aveva di fronte.
"Fantastico! Sei proprio un tesoro cara." La signora Smith si girò, voltandosi poi di nuovo verso la ragazza, aggiungendo: "La nuova arrivata ti raggiungerà in classe all'inizio della prima ora, lì potrete conoscervi." E se ne andò.
Sophia si pentì di aver accettato subito dopo che la professoressa se ne fu andata, dato che le era sorto il dubbio che -con molta probabilità- lei conosceva già la nuova arrivata.
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