Capitolo 24

Sophia entrò in casa, non sbattendo per miracolo la porta per la rabbia e il dolore. Avrebbe voluto rimanere in casa per sempre, ma sapeva benissimo che sarebbe dovuta uscire; da lì ad una mezzo'ora più tardi sarebbe dovuta andare a prendere il fratello a scuola, rischiando di incontrare Carl. Si prese la testa tra le mani e scivolò lungo la porta fino a finire seduta per terra, le ginocchia piegate ed il corpo scosso da forti singhiozzi; stava ricominciando a piangere, nonostante durante il tragitto aeroporto-casa fosse riuscita a smettere. All'improvviso sentì dei colpi alla porta, seguiti da una voce maschile e familiare che chiamava il suo nome; sussultò per lo spavento, riconoscendo all'istante la voce.
"Avanti aprimi, so che sei lì; voglio solo spiegarti, per favore aprimi!" Il ragazzo tentò di convincerla, sentendo il pianto soffocato della ragazza attraverso la porta; sentiva il cuore sanguinare, come se fosse stato pugnalato e la lama si trovasse ancora all'interno della ferita, per essere girata e rigirata al suo interno. Come aveva sospettato dall'inizio, aveva rovinato tutto con quel suo errore, avrebbe dovuto smettere subito, proprio come lo aveva avvertito Michonne; come dice il detto: errare è umano, ma perseverare è diabolico. Dall'altro lato, la ragazza si strinse ulteriormente la testa fra le mani, sentendo le dita comprimerle le tempie e le unghie piantarsi nel cuoio capelluto, ma non fece niente per impedirlo; in qualche modo quel dolore le faceva sia bene che male: percepiva il dolore delle unghie che penetravano nella pelle della testa, ma sembrava alleviare appena il male che la stava lacerando da dentro. Non era molto, ma almeno era qualcosa, sempre meglio di niente. All'improvviso, una lampadina si accese nella mente di Sophia, trovando soluzione ad uno dei problemi: sapeva come portare il fratello a casa da scuola senza la convinzione di incontrare Carl e uscire dalla porta. Prese in mano il cellulare e digitò in fretta un messaggio ad Alisia, le mani che tremavano per il pianto, mentre ogni tanto una lacrima cadeva sullo schermo del telefono; le chiese se fosse disponibile ad andare a prendere anche Robin oltre a suo fratello, per poi andare a casa dell'amica e restare un po' con lei. Non ci volle molto prima che le rispose, dicendo che sarebbe arrivata il prima possibile; succedeva a volte che si facessero quel piccolo favore a vicenda, per vari motivi: o per quando avevano impegni urgenti o per il troppo studio.
"Avanti aprimi! Per favore, ti supplico Sophia!" Insistette il ragazzo, battendo più forte gli ultimi colpi, ma sentendo le braccia e le nocche dolergli abbastanza.
La ragazza si alzò lentamente in piedi, voltandosi in modo da avere il viso rivolto verso la porta, appoggiandoci poi sopra le mani; percepì il vibrare della porta sotto i continui colpi del ragazzo. Quando aprì bocca per parlare, la giovane stava ancora piangendo copiosamente, ma la voce era calma, come se nessun acido la stesse corrodendo da dentro: "Carl, ascoltami:" lo richiamò, sentendo i colpi contro la porta bloccarsi all'improvviso. "Devi andartene. Subito." Scandì perfettamente ogni parola, mentre ogni lettera colpivano il ragazzo come schegge di ghiaccio, lacerandogli la pelle e piantandosi nel profondo.
"No." Ribattè lui, poggiando una mano sulla porta e parlando con un tono più basso di voce; le nocche erano scorticate e rosse ormai. "Non me ne vado finchè non mi fai entrare e chiariamo tutto quanto."
Sophia scosse la testa, facendo un respiro profondo.
"Non abbiamo niente da chiarire; tu non hai mai voluto stare con me, non mi hai mai amato." Il suo tono di voce era freddo, gelido, come una tormenta di neve al Polo Sud; non aveva mai usato con nessuno quel tono di voce prima, ma doveva raggiungere il suo obiettivo.
Dall'altra parte non si sentì nemmeno il più flebile dei respiri, sembrava che se ne fosse andato finalmente; ma le speranze della ragazza si frantumarono pochi attimi dopo, quando un piccolo colpo dall'altra parte della porta aveva scosso appena quest'ultima. Il ragazzo aveva poggiato la testa contro quella barriera che divideva i due ragazzi, chiudendo gli occhi e cercando di ricacciare indietro le lacrime; il respiro cominciava a farsi sempre più affannato, le mani tremavano leggermente, le interiora si stavano attorcigliando e un groppo in gola minacciava di soffocarlo.
"Non è come pensi, davvero; ho scelto te alla fine, avevo anche smesso di scriverle." Tentò un'altra volta Carl, anche se sospettava che avrebbe fruttato lo stesso risultato delle volte precedenti: niente.
Sophia aprì lentamente gli occhi, lasciando alcune lacrime accarezzarle le guance, per poi cadere a terra morbide, come gocce di rugiada; non si era nemmeno resa conto di averli chiusi, almeno fino a quando non li aveva riaperti.
"Non ti credo." Non sapeva neanche lei da dove stesse arrivando quel distacco nei confronti del ragazzo, ma la ferita che le aveva procurato era fin troppo grande per lei, quasi impossibile da ricucire e dimenticare. "Ora vattene, ti prego." Lo implorò per l'ultima volta la ragazza, riuscendo ad ottenere ciò che voleva: il ragazzo, rassegnato, si allontanò lentamente prima dalla porta, poi dal vialetto ed infine dalla casa, ritornando nella propria.
Quasi non riuscì a crederci Sophia; ce l'aveva fatta. Appoggiò la fronte insieme alle mani sulla porta e ricominciò a piangere, questa volta a causa dei ricordi che si aggiungevano al male che la stava ancora affliggendo, mirando specialmente al cuore: era sull'uscio di quella porta che si erano visti per la prima volta, quando lei aveva spiato per guardare che cosa stesse accadendo, attirata dai strani rumori provenienti da fuori. Era stato un semplice scambio di sguardi, neanche si conoscevano, eppure era lì che i loro occhi si erano incatenati per la primissima volta. Poi c'era stato il caso: per pura coincidenza entrambi i genitori lavoravano al servizio della legge, diventando partner in servizio ed amici al di fuori del lavoro; c'erano state altre cene dopo la prima, ma nessuna importante come quella: si erano chiariti, diventando amici. Ma fortuna vuole che avevano cominciato a provare qualcosa di più di semplice amicizia: stava nascendo qualcosa tra loro due, che li aveva portati al mettersi insieme la serata della festa di compleanno di Alisia. Poi c'erano stati i segreti, quel genere di confidenza che Sophia non aveva mai avuto con nessuno, tranne con la sua migliore amica; si era messa a nudo davanti a lui, ed ora l'aveva pugnalata alle spalle. Era crollato tutto, come un castello di carte colpito da un piccolo e leggero soffio.

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