Capitolo 51

Noah

Continuo a guardare il mio telefono, non sapendo se chiamarla o no. La foto del profilo di Anna mi guarda sorridendo, e decido di premere "chiama".

È passata quasi una settimana da quando l'ho vista per l'ultima volta allo skatepark, e anche se ho avuto tempo di riflettere sulle sue parole, sono ancora indeciso. La cena con mio padre è domani, e non ho ancora capito se ci voglio andare oppure no. Will invece, è stato chiaro: ci vuole andare a tutti i costi - non so se sia per uccidere nostro padre o fare pace con lui, ma per me non fa molta differenza. Il problema è che se ci vuole andare dovrò accompagnarlo, e sinceramente, non so se ce la posso fare. Almeno, non senza Anna. Se lei mi accompagna, almeno sarà vicino a me se succederà qualcosa, e forse riuscirà a calmarmi. Ecco perché la sto chiamando.

«Noah? Va tutto bene?»

Appena la sento pronunciare il mio nome, riesco di nuovo a respirare correttamente.

«Sì, sì, va tutto bene volevo solo... sei libera domani sera?»

Detesto disturbarla così, ad un giorno dalla cena. Avrà altre cose da fare...

«Certo... perché?» sta sorridendo, lo posso capire anche solo dalla voce.

Il mio imbarazzo la diverte, birichina! Quando ci vediamo gliela faccio vedere io.

«Ti ricordi la cena con mio padre?»
«Quella a cui non vuoi andare per niente al mondo?»
«Esatto. Be' Will ci vuole andare, e non posso lasciarlo andare da solo» borbotto.
«Quindi?»
«Quindi... puoi accompagnarmi?» sbuffo, sedendomi sul divano.
«Mhm... non lo so...» le piace davvero stuzzicarmi.
«Anna...» mi lamento.
«Stavo scherzando, certo che sì!» esclama ridendo.

Per fortuna ha accettato. Oh, che cosa farei senza di lei?

«Vengo a prenderti domani verso le cinque e mezza, okay?»
«Okay. Puoi farmi solo un favore?»
«Quale favore?»
«Aiutami a scegliere cosa mettere.»
«Be' io...» sto per ribattere, ma lei non mi lascia finire.
«Grazie» dice, e riattacca, per poi chiamarmi di nuovo, ma stavolta in videochiamata.

Appena accetto la chiamata vedo il suo salotto, e dopo qualche secondo la sua faccia fa capolino sullo schermo.

«Salve! Aspetta, non ti ho chiesto se posso trattenerti un po'... sei di fretta?» dice, aggrottando le sopracciglia.

Io non rispondo: sono troppo occupato ad osservare il suo viso. I suoi capelli marroni sono slegati, per una volta, e indossa una maglietta nera... aspetta, ma quella è la mia maglietta?! Ecco perché non la trovavo!

«È la mia maglietta quella?» chiedo, con un sorrisetto.

Lei si guarda la maglietta, confusa, poi arrossisce.

«S-sì, mi ero dimenticata di dartela, ma domani te la porto» dice, grattandosi la fronte: è un gesto che fa quando è in imbarazzo, l'ho notato da un po'.
«Puoi tenerla, sta meglio a te che a me» ammetto.
«Oh... grazie!» sorride, e il solo pensare che sono io la causa del suo sorriso fa sorridere anche me.

Così Anna comincia a farmi vedere dei vestiti, e alcuni di loro mi fanno sfuggire qualche commento che la fa arrossire e distogliere lo sguardo.

Non può nemmeno immaginare che cosa le farei se fosse davvero vicino a me.

«Quindi questo?» mi chiede, interrompendo le mie fantasie.

Indossa un vestito nero a fiori, simile a quello bianco che indossa certe volte in casa, solo un poco più corto. Questo vestito le dà un'aria innocente, anche se le mette in risalto il seno e le curve dei fianchi: non esageratamente, ma abbastanza da farmi venire la voglia di passare le dita sulla stoffa che gli copre la pelle.

«Sì» sospiro, appoggiandomi con la guancia sulla mia mano stretta a pugno.

La osservo mentre si tocca i capelli marroni che sono un po' mossi, probabilmente perché si fa sempre delle crocchie: è bellissima.

Lei sorride leggermente, ma poi mi guarda e si rabbuia.

«Ti sto annoiando, vero?» guarda il pavimento.
«No, sei solo molto bella» ribatto, e lei strabuzza gli occhi, per poi tornare a guardare nell'armadio, nascondendosi dal mio sguardo.

Restiamo ancora un po' a parlare, poi Anna dice che deve andare perché è tornata sua madre, e riattacca.

Quando il suo viso sparisce dal mio schermo, lascio il telefono sul divano e vado a frugare nel frigorifero per capire se posso preparare qualcosa. Non solo per me, ma anche per Ross: sono quasi le otto di sera.

Penso di nuovo al fatto che domani dovrò rivedere mio padre: non lo vedo da quando si è risposato, cioè tre anni fa, quindi non sono sicuro di sapere come comportarmi. Sono arrabbiato con lui, ma non voglio fare una figuraccia davanti alla sua nuova famiglia, passando per quello che ha gli scatti d'ira. Anna mi aiuterà a non fare casini, ne sono sicuro. Speriamo solo Will non rovini tutto.

Nel frigo non c'è un cazzo, quindi decido di ordinare qualcosa, e vado a recuperare il mio telefono per chiamare Ross.

Prima di chiamarlo mi soffermo a guardare la foto che ho come sfondo: è Anna, e quella è una delle rarissime foto che ho di lei. In realtà non si vede benissimo il suo viso: lei ha la mano verso l'obiettivo, perché voleva impedirmi di scattare la foto. Ma alla fine è venuta bene: i suoi occhi marroni si vedono benissimo attraverso le sue dita, e anche il suo sorriso.
Sorrido anche io alla vista di quella foto, e mi decido a chiamare Ross, anche se il mio pensiero è diretto verso Anna.

Non avrei mai pensato di aver bisogno di una persona così tanto.
Mi manca anche se l'ho vista nemmeno una settimana fa, ma mi tranquillizzo pensando che domani pomeriggio potrò di nuovo baciare le sue labbra, toccarle i capelli e immergere i miei occhi nei suoi.

Anna

«Questa sera vado a dormire da Giada ricordi?» dico a mia madre, mentre mi guardo allo specchio, cercando di domare i miei capelli.

In realtà vado ad accompagnare Noah alla cena con suo padre, ma questo di certo non posso dirglielo.

«Sì, ricordo» borbotta: so che non le piace il fatto che sto uscendo spesso, ma per fortuna decide di non dire nient'altro.

Torno in camera mia e prendo i miei orecchini: scelgo un paio non troppo vistoso, cioè un orecchino con una ballerina argentata che dondola quando scuoto la testa, e un altro che è a forma di una piccola rosa dello stesso colore.

«Esci così?» chiede mia madre quando torno nel salotto, gli occhi fissi sul mio vestito.

Sul suo viso non c'è la solita espressione di disgusto, ma riesco a scorgere una punta di sorpresa sul suo viso.

«Sì. Perché, cosa c'è che non va?» chiedo, guardandomi il vestito.
«Niente. Lo trovo solo un po' troppo infantile» dice, poi esce dalla porta della veranda e mi lascia sola.

Sospiro di sollievo: di solito fa commenti che mi fanno molto male, soprattutto quando si mette a criticare il mio fisico. Oggi dev'essere troppo stanca per torturarmi, oppure ha capito che forse certe cose non le dovrebbe nemmeno pensare. No, dev'essere la prima opzione.

Controllo l'orologio e mi accorgo che sono le cinque.
Fra mezz'ora arriverà Noah...

Sono un po' in ansia, perché sto per incontrare suo padre: spero solo di non fare brutta figura. Sarebbe bello se almeno uno dei nostri genitori approvasse il nostro rapporto. Anche se so di stare simpatica alla zia di Noah, il che è già una gran cosa, vorrei che tutto vada bene anche con suo padre.

Mezz'ora dopo il mio telefono squilla, e vedo che Noah mi ha mandato un messaggio: "Sono qui."

Mi metto le scarpe e mi guardo per l'ultima volta allo specchio. Per una volta non mi dispiace quello che vedo: il vestito è abbastanza carino, e i miei capelli marroni mi ricadono mossi sulle spalle. Ho deciso di non truccarmi, anche perché non sono molto capace: le uniche cose che uso sono il mascara e l'ombretto. Mi spruzzo un po' di profumo sul collo e sui polsi, per poi prendere la mia borsa, salutare mia madre e uscire.

Una volta fuori chiudo il cancello e mi avvio verso il punto dove Noah mi ha scritto di andare. Per una volta non fa molto caldo: il vento mi scompiglia i capelli, e io cerco di tenerli a bada con una mano.
Dio, che ansia.

Arrivata in fondo alla strada trovo la macchina di Ross - anche se dubito sia solo di Ross poiché Noah non fa altro che usarla - con Noah e Will che mi aspettano.

«Ehi Anna, come va?» mi saluta Will, mentre la sua testa fa capolino fuori dal finestrino.

Ha i capelli ricci bagnati, probabilmente dal sudore, e vedo che indossa una maglietta che di solito si indossa quando si gioca a Basket. Probabilmente Noah è andato a prenderlo nel bel mezzo di una partita o di un allenamento.

«Tutto bene, te? Oggi hai giocato?» gli chiedo indicando la sua maglietta.

Lui annuisce, mentre io apro la portiera, trovando Noah al volante. Non si è vestito elegante ma ha fatto uno sforzo: indossa una camicia bianca con i primi bottoni slacciati e un jeans strappato sulle ginocchia.
Anche se non si è messo niente di speciale, è bellissimo.

«Ciao, Anie» dice Noah quando mi sporgo verso di lui per lasciargli un bacio a stampo sulle labbra.
«Ciao» sorrido, e lui con me.
«Ragazzi, vogliamo parlare del fatto che la mia squadra ha vinto di venti punti? Ho corso come un pazzo per mezz'ora, ci credo che abbiamo vinto!» esclama Will, con gli occhi verdi che gli si illuminano.
«Davvero? Ma è fantastico!» sorrido, guardandolo dallo specchietto.
«Will, ma vuoi stare un po' zitto? Non tutti sono ossessionati dal basket come te» si lamenta Noah, dopo aver messo in moto.
«Rilassati... Era solo per fare conversazione» sbuffa, incrociando le braccia.

Noah alza le spalle, e io lo guardo storto.

«Quanti canestri hai fatto?»

Appena William si accorge della mia domanda sorride, scoprendo i denti, e comincia a raccontarmi per filo e per segno tutta la partita.

Noah scuote la testa e ridacchia di tanto in tanto, e io lo osservo, affascinata dal suo sorriso.

«Siamo arrivati» dice Noah ad un certo punto, e quando guardo fuori dal finestrino rimango a bocca aperta.

Quando diceva che suo padre viveva in una villa enorme, pensavo avesse esagerato, ma ora mi rendo conto che ha detto la verità: la macchina è parcheggiata davanti ad un cancello che dà su un edificio bianco a due piani, con una piscina davanti. Finora, una piscina come quella, l'avevo vista solo nei film.

«Cazzo» Will è il primo a parlare, e Noah lo rimprovera per il linguaggio.
«Okay Will, vai in macchina a cambiarti, noi ti aspettiamo qui» dice in seguito, prendendomi per mano.

Mi porta qualche metro più in là dalla macchina e quando ci fermiamo le sue labbra toccano le mie. Io inspiro di scatto, perché non me lo aspettavo, ma poi mi rilasso insieme a lui, e intreccio la mia lingua alla sua. Le sue mani mi cingono i fianchi, le mie le sue spalle, e lo sento sospirare.

«Questo vestito è...» si stacca da me per guardarmi meglio, «Sei davvero... molto bella, Anie.»
«Sei sicuro?»
«Sì, cazzo. Sì» dice, mordendosi leggermente il labbro inferiore.
«Grazie» mormoro, toccandomi la fronte con la mano.

Mi giro verso la macchina, ma Will non è ancora uscito.

«Scommetto tu sia più in ansia di quanto lo sia io.»
«Già» arrossisco, e lui mi bacia di nuovo.
«Questo ti aiuta?» chiede, staccandosi da me.
«Non molto.»

Sto mentendo: i suoi baci sono come un fottuto calmante.

«E questo?» chiede, passando le labbra sul mio collo.
«Mhm...» chiudo gli occhi quando sento un brivido salirmi lungo la schiena.
«Come pensavo» sorride sulla mia pelle.
«Dobbiamo... andare» dico, quando lui torna a baciarmi le labbra.
«Non voglio...» piagnucola, staccandosi da me, «Torniamo a casa, qui non mi piace.»

Mette su il broncio e io gli do un colpetto sulla spalla.

«Ormai non si può più tornare indietro.» ridacchio, «E poi che ne facciamo di Will?»
«Hai ragione» sbuffa, «Ma stasera dormi da me» sorride di nuovo.
«Sì» annuisco e lo bacio sulla guancia.

Dopo un po' vediamo Will uscire dalla macchina, così torniamo da lui e ci prepariamo a suonare il campanello, ma quando lo stiamo per fare, vediamo un'ombra venire verso di noi, con in mano delle chiavi.

Oddio, dev'essere il padre di Noah!

La figura si avvicina, e a poco a poco riesco a distinguere i lineamenti del suo viso, che mi sembrano stranamente familiari.
Noah inspira di scatto, e mi stringe più forte la mano quando il cancello si apre, e un uomo sui quarantacinque anni appare di fronte a noi, con un sorriso in viso, che si trasforma in confusione quando mi vede.

Il mio cuore comincia a battere più velocemente, e per un attimo mi sembra che la mia vista si sia annebbiata. No, non può essere.

«Annalisa?»

E in un secondo, mi sembra di essere catapultata indietro nel tempo: mi ritrovo seduta su un divano, un divano così familiare che mi ricordo ancora la sensazione delle mie dita sulla stoffa, e davanti a me si trova l'uomo che è di fronte a me anche nel presente, solo che nel passato indossa un paio di occhiali sul viso. È sorridente, e sembra gentile. Lui mi fa delle domande, mi dice che tutto quello che gli dirò resterà confidenziale, che per legge non può raccontare niente a nessuno a meno che non sia io a deciderlo. Che mi vuole solo aiutare.

Non è possibile. Gli occhi marroni del mio vecchio psicologo mi fissano sconcertati, e io riesco solo a boccheggiare, finché le parole si decidono ad uscire dalla mia bocca.

«Signor Bryan?»

Salveee, scusate mi ero dimenticata di scrivere la parte autrice HAHAHA comunque...
E niente, non so quando aggiornerò, ma spero questo capitolo vi sia piaciuto ❤️
Baci 💋
-Gaia

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