Capitolo 5

Anna

Guardo l'edificio che si trova di fronte a me e sospiro. Fra qualche mese non ci tornerò mai più. Le lezioni saranno finite, e forse quest'estate potrò finalmente rilassarmi.

Cerco nel mio zaino la tessera che mi permette di entrare nel liceo, e quando la trovo, la faccio passare davanti ad un aggeggio che fa un "bip", per poi aprire il cancello. Rimetto la tessera nello zaino e prendo il mio telefono.
Giada mi ha mandato un messaggio:

"Oggi non mi sento bene, ho la febbre a 38, quindi resto a casa."

"Oddio mi dispiace :( Riposati, io ti prendo gli appunti."

Dopo averle risposto mi metto il telefono in tasca. Mi dispiace tanto che Giada stia male, e tra l'altro fare lezione senza di lei sarà orribile...

Alzo lo sguardo e mi rendo conto che sono arrivata davanti all'aula di francese. Mi fermo, poiché le lezioni iniziano fra dieci minuti, per poi appoggiarmi al muro con la schiena. Il professore di francese mi sta simpatico, quindi l'ora non sarà così noiosa, però non sono molto in forma da quando sono crollata l'altro giorno, dopo che i miei e Leo si sono messi a litigare di nuovo.

Mi guardo di nuovo intorno e vedo una ragazza verso il metro e ottantacinque correre verso di me, per poi stringermi in un abbraccio.

«Mary, vacci piano, che così ti vomito tutta la colazione addosso» borbotto, mentre lei si tira indietro e finge di fare una faccia disgustata.
«Oggi ho detto di nuovo a mia madre di chiamarmi Mary, però lei continua a chiamarmi Marlena. Uffa...» dice, sistemandosi gli occhiali.

Marlena ha sempre odiato il suo nome, e non fa che lamentarsi. Non ho mai capito perché: ci sono nomi molto peggiori, tipo Gertrude o cose del genere... Ma a lei Marlena proprio non piace, così si fa chiamare Mary. Io ho un po' di difficoltà a pensare a lei senza pensare "Marlena", però quando la chiamo per nome mi ricordo sempre di dire Mary, perché so che altrimenti lei si arrabbia.

«Comunque sai ieri è successa una cosa orribile...» e comincia a raccontarmi di come sua nonna ha rovesciato del succo di frutta sulla sua borsa Louis Vuitton, e che lei si è messa a piangere e non ha smesso fino a tarda notte.

Alzo gli occhi al cielo e scuoto leggermente la testa, anche se sorrido un poco.

«Almeno ho ancora la mia cintura» dice, sollevandosi poi la maglietta per mostrarmi la sua cintura con una grande LV nel mezzo.

Sinceramente io non ho mai provato interesse per i vestiti o gli oggetti firmati: preferisco spendere soldi per libri o vestiti meno costosi. Io sono piuttosto contenta della mia maglietta di H&M, e non invidio Mary per la sua ricchezza o cose del genere - non come tutte le ragazze della classe.

«Anna? Mi stai ascoltando almeno??»
«Scusa... Ero sovrappensiero» ammetto.
«Be' visto che non ti interessa, vado a parlare con qualcun altro» sbuffa, mettendo il broncio, per poi andarsene nella direzione di due ragazze della nostra classe - sue amiche, a quanto pare - e io mi acciglio, spalancando la bocca.

Che cosa?

Mi giro dall'altra parte e scorgo il professore di francese che si avvicina all'aula. Entro in classe e mi siedo al mio solito posto. Tanto lo so che a fine ora Marlena tornerà a parlarmi, perché le sue nuove amiche non la sopporteranno più, ma per ora mi sta bene il fatto che non si sia seduta vicino a me: voglio stare un po' per i fatti miei.

«Anna, non essere ansiosa per niente, è solo una verifica di storia, mica l'esame della tua vita!» esclama Marlena ridendo.
«Scusa, sono fatta così, non posso farci niente» ribatto sistemandomi i capelli che mi arrivano in bocca a causa del vento.

Come avevo previsto, nemmeno a metà giornata Mary è tornata a parlarmi, come se si fosse dimenticata dell'accaduto di qualche ora prima. Non mi ha dato molto fastidio: a questo punto credo che gli sbalzi d'umore facciano parte del suo carattere.

In questo momento stiamo parlando della verifica di storia che avremo la settimana prossima. Non ho idea di come faccia a non avere l'ansia ogni santo giorno come me - l'ansia è più o meno la mia ombra!

«Senti, ora prendi l'autobus, torni a casa, rileggi i tuoi schemini un paio di volte, e poi ti metti a leggere il tuo libro, insomma quello che ti piace fare. Vedrai che avrai un bel voto come sempre, e io mi ritroverò con un quattro» aggiunge dandomi un colpetto sulla spalla.
«Se lo dici tu» dico alzando lo sguardo per raggiungere i suoi occhi marroni - e verdi, dice lei - coperti dagli occhiali.

Trovarsi delle amiche basse è sempre sulla lista di cose da fare, già.

Comunque, per ora mi vanno bene queste. Sinceramente non so cosa ci ha spinto a legare, Marlena ed io. Forse il fatto che eravamo quattro italiane in una scuola di francesi ci ha aiutato. Ricordo ancora quando il prof di matematica l'ha fatta sedere vicino a me apposta: lei era appena arrivata in Francia, ed era un po' smarrita. Sapeva forse dieci parole di francese, come avrebbe potuto capire la matematica?
In realtà non ci siamo molto frequentate prima della terza media, ma da lì in poi siamo state insieme un sacco di tempo.

Mi rendo conto di quanto è cambiata: prima era timida e gentile con tutti, ora invece, è leggermente superficiale, ma non si lascia mettere i piedi in testa da nessuno. Anche se ama molto parlare di sé stessa e delle sue borse di Louis Vuitton, è mia amica, e ora lei è qui che mi guarda e mi fa una battuta stupida sui ricci appena nati.

«Ci vediamo domani eh? Non ti azzardare a saltare l'ora della verifica» la avverto sgranando gli occhi.
«Okay... allora ci vediamo all'Inferno» esclama salendo nella macchina di sua madre che intanto era arrivata.
«Arrivederci signora Incanti!» dico a sua madre, che mi saluta con un gesto della mano.

Mi infilo gli auricolari e avvio la musica "Kiwi" di Harry Styles, e nel mentre vado alla fermata dell'autobus. Tiro fuori i miei appunti di storia, e comincio a leggerli, ma dopo pochi secondi arriva il 100, e lo fermo con un gesto della mano.

«Buongiorno» dico all'autista, che non si degna nemmeno di rispondermi.

Alzo gli occhi al cielo e tiro fuori la mia tessera, in modo che non mi butti fuori dall'autobus. Mi siedo ad un posto libero e mi metto a rileggere i miei appunti. Okay, forse dovrei smettere, che mi sta venendo il mal di testa. Mi dispiace che leggere sull'autobus o in macchina mi dia noia: i viaggi passerebbero molto più velocemente se io potessi leggere.

Dopo un po' alzo la testa per verificare la prossima fermata e mi accorgo di una presenza nell'autobus che mi fa quasi svenire. Ricci mori. Occhi nocciola. Pelle color cioccolato. Sopracciglia aggrottate, con in faccia quell'espressione che sembra dire "sono figo e lo so".

Non può essere lui. Non deve essere lui. Noah Patterson... Noah Patterson!!

Giro la testa di scatto e guardo fuori dal finestrino. Oh mio Dio. Oh. Mio. Dio.

Anna, calmati, che se svieni ti vedrà di sicuro.

Ma come faccio a calmarmi?! Che cosa diavolo ci fa la mia cotta delle medie qui? E perché vederlo mi fa sempre andare nel panico totale?

Cerco di tornare sui miei appunti, ma i miei occhi tornano ad osservare il suo viso color cioccolato, e i suoi lineamenti perfetti. Perché questo stronzo deve essere così... bello? Distolgo lo sguardo da lui e cerco di fare come se niente fosse.

Saranno quattro anni che non abbiamo avuto una conversazione. Un anno dall'ultima volta che l'ho visto. Una settimana da quando l'ho sognato per l'ultima volta.

Esatto, sognato: pensavo di essermi liberata di lui, ma quando mi sono svegliata con ancora il sapore delle sue labbra sulle mie, ho quasi avuto una crisi isterica.

E perché, mi chiedo, perché dovrei sognare di baciarlo se una delle persone che mi fanno innervosire di più al mondo? Non lo conosco veramente, ma so che è bello, irritante e che adora usare il sarcasmo, ciò che mi permette - a quanto pare - di avere un attacco di panico non appena lo vedo.
È un'ossessione, giuro. E io mi chiedo perché, perché il mio cervello doveva fissarsi con questo tizio?

Basta. Devo scendere, è la mia fermata. Mi alzo e arrivo alla porta dell'autobus, a malavoglia.

Ohmiodio è a solo mezzo metro da me. Ha lo sguardo concentrato su un bigliettino che ha in mano. Ti prego che sia cieco e non mi veda. In realtà anche se mi vedesse, non mi riconoscerebbe. Vero? Non si ricorderà di me dopo quattro anni? Solo una cretina come me potrebbe ricordarsi anche del suono della sua voce.

E se si ricordasse di me? Non voglio cominciare una conversazione con lui, dato che o non riusciremmo a non insultarci a vicenda o non troverei niente da dirgli. Ovvio, che cosa potrei dirgli?

Scendo dall'autobus stile Flash, senza dire niente all'autista - di solito saluto le persone prima di andarmene, ma se avessi alzato la voce, lui avrebbe potuto sentirmi.

Dopo un po' tiro un sospiro di sollievo: non mi ha vista. Mi accorgo di camminare ancora velocemente, quindi rallento - se continuo così dovrò prendere il ventolin.

All'improvviso sento una mano toccarmi la spalla.

«Ehi, scusa se disturbo, sai dov'è questa strada?» dice la sua voce, mentre mi mostra un bigliettino.

Cavolini fritti. Cavolini frittissimi.

Giro lentamente la testa verso di lui, stringendo i denti in un sorriso falso. La maglietta rossa che indossa non mi impedisce di scorgere i muscoli del suo petto, e cerco di non guardare troppo i suoi jeans neri, perché sento che sto per svenire.

«E-ehm s-sì, abito lì» dico leggendo il nome della strada dove abito.

Alzo gli occhi e guardo le sue iridi marroni. Sto per perdermici dentro, come faccio sempre, ma lui interrompe le mie fantasticherie - traditrici del cazzo.

«Ah okay, mi indichi la strada... Anna?» pronuncia il mio nome come fosse veleno.

Mi ha riconosciuta porc-

Vorrei sotterrarmi dalla vergogna, ma non so come riesco a rispondere.

«Noah... Bella memoria» commento incamminandomi.

Scappa, Anna, scappa! No, solo una codarda scapperebbe.

Cerco di non guardarlo: potrei incantarmi, e non ne ho proprio voglia. I suoi capelli sono così perfetti che ogni volta che li vedo cadere sui suoi occhi vorrei spostarglieli. Dannazione!

«Lo so, lo so. Potrei dire lo stesso di te, ma dimenticarsi di me è un'impresa, quindi non vale» dice, e alzo gli occhi mentalmente, perché più o meno ha ragione.
«Già, il tuo narcisismo mi ha traumatizzata a vita» borbotto a bassa voce con un sorrisetto amaro, «Posso sapere che cavolo devi andarci a fare nella strada dove abito?» aggiungo girando la testa per guardarlo.

Lui assottiglia gli occhi, e le sue labbra piene si stendono in un sorrisetto.

«Non tutto gira intorno a te sai? Devo fare un lavoretto per poter guadagnare un po' di soldi: un tizio ha difficoltà a scuola» sbotta passandosi una mano fra i capelli ricci.

Smetto di camminare di botto, e lui mi guarda confuso.

Anna, calma. Non ti mettere a urlare, ti va? A me doveva capitare. Come se non avessi abbastanza problemi.

Ridacchio istericamente e torno da lui, ricominciando a camminare.

«A quanto pare ti sbagli, Patterson, perché il tizio che devi aiutare si chiama Leo, ed è mio fratello» ribatto.

Ecco Anna e Noah riuniti di nuovo yeee!!
Cosa ne pensate di Mary/Marlena?
Povera Giada che ha l'influenza... immagino già Ross che le fa da infermiere 😂☺️😘
Spero che questo capitolo vi piaccia, e forseeee e dico forse, riuscirò a aggiornare anche domani (domani faccio 8h-18h al liceo quindi ecco sparatemi).
Baciii
-Gaia 💙

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top