Capitolo 41

Anna

Guardo fuori dal finestrino e cerco di calmarmi. Vorrei sotterrarmi.

Come diavolo mi è saltato in mente di accettare?

Siamo in macchina da almeno due ore, ma non ho ancora capito come dovrei comportarmi. Insomma, devo praticamente far finta che le ultime tre settimane non siano successe. Facilissimo, guarda.

Non so che cosa si aspetti Noah da me, ma non lo guarderò con occhi sognanti, e non lo bacerò davanti alla sua famiglia. Quello se lo può scordare.

Sono meno arrabbiata con lui, però non l'ho totalmente perdonato. Anzi, ma che dico? Certo che l'ho perdonato. Ma non ho ancora perdonato me stessa per essermi affezionata a lui.

Sbircio verso di lui e vedo che sta battendo le dita al ritmo della canzone "Jesus of Suburbia". Sorrido leggermente. Ma quanto può durare questa canzone?

Non posso fare a meno di fissarlo. È molto bello. Il contrasto del bianco della sua camicia con la sua pelle abbronzata mi fa impazzire. I suoi capelli sono scompigliati, e decido di non guardarlo troppo, altrimenti potrei saltargli addosso. È davvero molto bello. E dannatamente attraente.

Quando Noah esce dall'autostrada all'uscita Aix-en-Provence, spalanco gli occhi e lo guardo.

«La tua famiglia vive qui?» gli chiedo,
«Sì. Si sono trasferiti da poco, prima vivevamo a Valbonne tutti insieme.»
«Perché si sono trasferiti qui?» chiedo.

Aix-en-Provence è una città molto carina, con le casette color pastello e tanti bei colori. Mi piace davvero tanto, e sono contenta di rivederla dal finestrino.

«La casa è più spaziosa, perfetta per i gemellini e mio fratello, e poi c'è una scuola proprio vicino, e per questo non hanno bisogno di una macchina. Ultimamente con i soldi che ho accumulato grazie al lavoretto dai tuoi stavo pensando di regalare a Will un...»

Ma non lo ascolto più. Non la conosco ancora, ma quella donna mi fa già tenerezza: si occupa di quei bambini come fossero i suoi veri figli, e da come Noah l'ha descritto, ne è felice. Vivere con quella malattia poi, dev'essere difficile. Noah sembra notare che non lo ascolto più perché smette di parlare.

Dopo un po' alzo lo sguardo e realizzo che la macchina si è fermata. Non siamo al centro della città, perciò la casetta che si trova di fronte a noi è un po' isolata. Noah esce dalla macchina, seguito da me.

La casetta è tutta bianca, tranne la porta e il tetto, che sono bordeaux. Dopo aver oltrepassato il cancellino nero che si trovava all'entrata, Noah ed io camminiamo lungo un breve sentiero di sassolini bianchi, che portano fino alla porta.

Noah mi guarda, e fa un piccolo sorriso sghembo: «Che lo show abbia inizio...»

Sfodero un sorriso finto dopo aver fatto un respiro profondo, e lui bussa.

La porta si apre poco dopo, e ci si presenta davanti una donna di colore sulla sessantina, con dei foltissimi capelli ricci legati in una crocchia enorme. Indossa un grembiule con un po' di farina appiccicata sopra, e i suoi occhi marroni si spalancano non appena vede Noah.

«Noah! Tesoro! Ah, quanto mi sei mancato!» esclama, abbracciandolo.

Noah ricambia leggermente, poi sua zia si stacca da lui e posa gli occhi su di me, le sopracciglia aggrottate.

«Non riesco proprio a ricordarmi di chi si tratta... sono mortificata!» esclama portandosi una mano sulla bocca.
«No zia, non ti preoccupare, non l'hai ancora conosciuta» la rassicura Noah, toccandosi i capelli.
«Sono Anna, piacere di conoscerla» le sorrido, e lei mi dà un bacio sulla guancia.
«Oh, ma che bella ragazza che mi hai portato! Voi... insomma state...?» dice scrutandoci con i suoi occhi nocciolati.
«Sì» dice Noah mi mette il braccio intorno alle spalle, per poi attirarmi a sé, «Anna è la mia ragazza.»

Dio, che imbarazzo. Non pensavo che quella frase mi avrebbe fatto arrossire fino alle orecchie. Sì, credo proprio che in questo momento la mia faccia somigli a un pomodoro.

«Ragazza?!» esclamano due vocine.

La donna sussulta e si gira, mentre due bambini riccioluti passano ai lati del suo corpo, lanciandosi verso il mio finto ragazzo.

Aiuto! Lo stanno attaccando!

«Clary! Samuel! Lo sapete che non è educato origliare le conversazioni altrui?» esclama la zia di Noah, mettendo le mani sui fianchi.
«Scusa» ridono i due bambini.

Noah cerca di tenerli tutti e due in braccio anche se con un po' di fatica.

Guardandoli meglio, Samuel ha i suoi stessi occhi marroni e capelli ricci, mentre Clary ha i capelli biondi e gli occhi verdi. Hanno però tutti e due la carnagione più chiara, un po' simile alla mia.

«Piano, ehi! Così mi fate male!» dice Noah ridendo.

La sua risata si fa spazio fino al mio cuore fino a stringerlo dolcemente. Quando i gemellini si staccano da lui, si girano a guardarmi e mi sorridono timidamente. Oddio, forse dovrei smettere di fissarli con gli occhi a cuoricini.

«Ciao» dicono contemporaneamente.
«Ciao, io sono Anna» dico, e loro mi vengono a stringere la mano.
«Su, entrate!» dice la zia di Noah.

La seguiamo fino ad arrivare in una stanza che contiene sia la cucina che il salotto. I gemellini si allontano da noi, per poi rincorrersi su per le scale. Li osservo, e mi chiedo quando possa essere grande il piano di sopra. Però. Che bella casa. È semplice, ma molto bella. E ancora non l'ho vista tutta.

«Che carini...» sospiro, ancora ammaliata dalla bellezza di quei due bambini.
«Sono adorabili la maggior parte del tempo, ma certe volte sono davvero dei diavoletti» scuote la testa la zia di Noah, «Che sbadata, non mi sono presentata! Mi chiamo Jennifer, ma tutti mi chiamano Jenny» aggiunge, avviandosi verso la tavola da pranzo.

Io guardo Noah, che sta fissando una foto di cui non riesco a distinguere l'immagine. Sembra un po' nostalgico.

Questa stanza, che è l'unica del piano terra, è molto ampia: contiene il tavolo da pranzo, un divanetto grigio, una televisione e una porta finestra, che si apre su un giardino molto piccolo.

«Fra poco William dovrebbe tornare dal Basket, ma nell'aspettare potete accomodarvi qui. Io devo andare a finire di preparare la cena, ma poi sarò tutta vostra» sorride Jennifer, indicandoci il divanetto che si trova vicino al tavolo da pranzo.

La guardo tornare ai fornelli, e il mio sguardo incontra quello di Noah.

«Vado a chiederle se ha bisogno d'aiuto?» gli chiedo.
«Okay. Io aspetto Will qui» dice distogliendo i suoi occhi marroni dai miei.

Mi alzo e torno in cucina, e mi schiarisco la voce per annunciare la mia presenza.

«Oh, Anna. C'è qualcosa che non va?»
«No, va tutto bene. Volevo sapere se posso aiutarla in qualche modo.»
«Aiutarmi?» chiede confusa «Be' in realtà ci sarebbe una cosa: i pomodori vanno tagliati... ma non vorrei che ti sporcassi il tuo bel vestito. Se proprio insisti posso prestarti un grembiule.»
«Sì, per piacere» dico, e dopo aver tirato fuori un grembiule da un cassetto, me lo porge. «Sei davvero molto gentile, troppo gentile...»

Mi guarda in un modo sospetto.

«Per caso Noah ti ha pagata per farti venire qui?»

Quasi quasi mi strozzo con la mia stessa saliva.

«Cosa? No! Certo che no, che cosa glielo fa pensare?» cerco di reprimere la voglia di fare una risata isterica.
«Oh ti prego, non darmi del lei, mi fai sentire vecchia! E comunque... sei diversa dalle altre ragazze che Noah frequenta di solito... Sei gentile, non hai un filo di trucco, e scommetto che sei anche molto intelligente» dice, e sento le mie guance andare a fuoco, «E arrossisci anche! Ti ha definitivamente pagata.» conclude, ritornando ai fornelli.
«T-ti assicuro che non è così» ribatto, cominciando a tagliare i pomodori, cercando una via d'uscita da questa situazione.

Aiuto.

«Farò finta di crederti, tesoro. Noah mi ha già parlato di una certa Anna, ma non mi ricordo bene come vi siete incontrati.»

Davvero gli ha parlato di me? E adesso che cosa mi dovrei inventare?

«Il coinquilino di Noah è il ragazzo della mia migliore amica... ci siamo conosciuti per caso» dico una mezza verità.
«Sì. Ma mi aveva detto che vi conoscevate già... non è così?»

Quello però se lo deve ricordare...

«Ehm...»
«Ah ma certo andavate a scuola insieme!» esclama, sorridendo.

Oh ti prego.

«Ma tu sei quella Anna? Anna, la ragazzina di cui Noah era innamorato quando era più piccolo?» si gira verso di me, con un sorriso sulle labbra.

Ma allora sono proprio sfigata!

«Nooo, dev'essere qualcun altro. Ci sono molte altre Anne in Francia» dico mettendomi una mano dietro la nuca.
«Capisco... meglio faccia finta di averlo dimenticato, per evitare a Noah l'imbarazzo. Quando era piccolo non smetteva di parlare di questa Anna che era bella come il sole... Gliene parlerò più tardi» sogghigna girandosi verso la pentola.

Non dico niente, ma sto annegando nell'imbarazzo.

«Stai attenta però. Lui è davvero bravo a combinare un guaio dopo l'altro, dovrai capire se vale la pena perdonarlo» sospira.
«Io penso ne valga la pena» dico, e credo di pensarlo davvero.

L'ho perdonato, ma non possiamo stare insieme lo stesso.

«C'è qualcosa che non va fra voi?» chiede dopo un po'.
«Che cosa te lo fa pensare?» mi mordo un labbro.
«Non lo so... lo guardi in modo strano. Non riesco a capire se ti ha pagata o siete davvero qualcosa, ma sei arrabbiata con lui...» mi guarda sospettosa.
«Non è niente, davvero. E non mi ha pagata.»

Lei fa le spallucce, e dopo un po' finisco di tagliare i pomodori.

«Ho finito» le dico.
«Bene, grazie mille. Ora puoi tornare dal tuo fidanzatino, e dirgli di lavarsi le mani che è pronto» dice sorridendomi.

Annuisco, gli restituisco il grembiule e torno in salotto, ma invece di trovare Noah, trovo un ragazzino con dei capelli mori raccolti in uno chignon. è davanti al tavolo da pranzo e sta bevendo un bicchiere d'acqua.

«Ciao. Chi sei?» dice pulendosi la bocca con la mano.
«Mi chiamo Anna» rispondo.
«Ho sentito la fine della conversazione che hai appena avuto con mia mamma. Nel dire "fidanzatino" intendeva Noah?» chiede fissandomi dei curiosi occhi verdi.

Questo dev'essere il fratello di Noah... Ha i suoi stessi capelli, e il colore della sua pelle è uguale al suo. I suoi lineamenti sono dolci, e le labbra piene si stendono in un piccolo sorriso.

«Sì. Però non so dove sia andato...» dico, girandomi per cercarlo.
«Non importa, lo troverò io. Sono Will, comunque.»
«Piacere. Mi potresti indicare dove si trova il bagno, per piacere?» chiedo: devo lavarmi le mani e ho anche un enorme bisogno di una piccolissima pausa.
«Seguimi, ma chérie

Ma chérie?!

Comincia a salire le scale che portano al piano di sopra, e mi affretto a seguirlo.
In realtà al piano di sopra c'è soltanto un grande corridoio con almeno cinque porte sui lati.

«Questo è il bagno» dice indicando una porta, per poi chiudersi in un'altra stanza vicino, che dev'essere la sua camera da letto.

Okay... Mi chiudo in bagno e comincio a lavarmi le mani, buttandomi un po' d'acqua in faccia per rinfrescarmi.

La famiglia di Noah mi sembra simpatica. E sembrano tutti avere un bel rapporto. Sono felice per Noah, ma vedere una famiglia unita mi fa ricordare che la mia è quasi distrutta. Cerco di non pensarci per non mettermi a piangere e di concentrarmi sul cercare Noah.

Esco dal bagno e mi avvio lungo il corridoio, sperando di trovare la porta giusta.
Decido di provarle tutte, ma quando faccio per aprirne una, Noah esce da essa, e mi ritrovo faccia a faccia con la persona che stavo cercando.

«Anna» dice, e la sua bocca si stende in un piccolo sorriso.
«Si mangia» dico prendendolo per mano, «Ah sì, c'è Will che è arrivato.»

Noah non si muove, mentre il suo sguardo è fisso sulla mia mano che tiene la sua.

«Sono la tua ragazza, ricordi?» sbuffo.
«Sì, ricordo» dice, e si sporge verso di me per far toccare le nostre labbra per qualche secondo, facendomi venire i brividi.
«Quello era necessario?» distolgo lo sguardo dal suo, tirando via la mano.
«No, ma ne avevo voglia» ribatte si passa una mano nei capelli ricci, «Vado a salutare Will, dì a mia zia che arriviamo.»

Io annuisco, per poi scendere le scale.

Quando arrivo in salotto trovo la tavola imbandita con i gemellini e Jennifer che stanno parlando fra loro.

Mi avvicino a loro, prendendo posto a tavola.

«Gli altri due?» chiede la zia di Noah.

Noto che si è tolta il grembiule, e che adesso indossa un vestito grigio molto semplice.

«Hanno detto che arrivano» rispondo facendo le spallucce.

Dopo qualche minuto i due fratelli si uniscono a noi, e cominciamo a mangiare: Jennifer ha preparato il pollo arrosto con l'insalata.
Durante la cena i gemellini raccontano in ogni dettaglio la loro giornata, e i loro discorsetti li fanno sembrare ancora più adorabili di quanto lo fossero prima.

Il tempo con la famiglia di Noah sembra passare talmente veloce che non mi rendo nemmeno conto del passare delle ore.

Sono contenta che non facciano domande imbarazzanti sul rapporto - fasullo, ma loro non lo sanno - che abbiamo io e Noah.

I bambini dopo un po' sono andati a letto e siamo rimasti io, Noah, Will e Jennifer. Abbiamo parlato dei voti di Will e della sua passione per il basket, poi lui mi ha chiesto qual'era il mio sogno più grande, e io gli ho risposto che era diventare una scrittrice.

In tutto ciò, Noah non faceva altro che fissarmi.

Poi la zia di Noah ha insistito sul sapere se scrivevo già dei racconti, e gli ho promesso che gli avrei mostrato tutto non appena sarebbero stati presentabili.

Alzo lo sguardo, e quando torno a guardarmi intorno, mi rendo conto che Noah non è più vicino a me.

«Dov'è andato Noah?» chiedo a Will, che si trova di fronte a me.
«Fuori, ha detto che aveva bisogno di una boccata d'aria» dice, con la bocca piena di torta al cioccolato.
«Okay, allora vado da lui un secondo» dico prima di alzarmi.

Mi avvio verso il giardino, e scorgo Noah, di schiena, che sembra fissare il cielo.

«Noah? Va tutto bene?» gli chiedo una volta che mi sono avvicinata a lui.

Mi sembra un po' triste.

«Sì» annuisce, ma senza guardarmi.
«Sei sicuro?» insisto: ha risposto troppo velocemente.
«Sì Anie. Non ti preoccupare» dice, e osservo i suoi capelli ricci mossi dal venticello, «Grazie di avermi accompagnato. Mi era mancato passare del tempo con te.»

Appena lo sento pronunciare quelle parole distolgo lo sguardo e sento l'ennesimo brivido lungo la schiena. Mi era mancato il suo chiamarmi Anie, ma anche passare del tempo con lui e sentirlo vicino a me.

«Era mancato anche a me» sussurro, guardando l'erba del giardino.

Lui mi mette le mani sulle spalle per obbligarmi a guardare le sue iridi marroni.

«Anna, non mi piace sentirti così fredda nei miei confronti. Lo so, ho sbagliato e avrei dovuto cercarti invece di allontanarmi, perdonami, ti prego. Non voglio stare senza di te» dice, quasi in un lamento.

Le sue sopracciglia sono aggrottate, ma non ci posso fare niente. Stare con Noah comporterebbe non solo la rabbia di mio padre, ma anche il mio cuore spezzato.

Ho davvero paura che lui mi spezzi il cuore.

«Mi dispiace» mi divincolo dalla sua presa.
«Anie...» sospira, cercano le mie mani.
«No, Noah... devi riaccompagnarmi a casa» ribatto, senza guardarlo.

E nel momento esatto in cui pronuncio quella frase, un tuono mi fa sussultare, e pochi secondi dopo di esso, arriva la pioggia. E non qualche goccia. Il diluvio, cazzo.

«A quanto pare il tempo ha deciso il contrario... Non posso guidare con questa pioggia, rischiamo di fare un incidente» dice Noah, e non riesco ad ignorare il suo tono di voce divertito.
«Fra poco si calmerà, vedrai.»
«Anie, sono le undici di sera. Abbiamo una stanza degli ospiti, dormirai lì, d'accordo?»
«Okay» borbotto.

Così poco dopo, mi ritrovo in una piccola stanza, con all'interno un letto matrimoniale, un comodino e un armadio. La zia di Noah mi dà la buonanotte, e mentre chiude la porta, io mi stendo di schiena sul letto. La camera di Noah è ovviamente di fronte alla mia, e la tentazione di andare a dormire con lui è molto forte. Vorrei correre da lui e affondare il viso nel suo petto, ma ho paura. Ho paura di farmi male.

Cerco di resistere alla tentazione, e dopo un po' a rigirarmi nel letto, mi addormento.

Ciao!!! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Ditemi che cosa ne pensate nei commenti!!
Avete perdonato Noah? Pensate che Anna dovrebbe perdonarlo?
E niente, ditemi voi.
Baci 💋
-Gaia 💙

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