Capitolo 4
Noah
«Che rottura che sei» dico a Ross che continua ad abbuffarsi di pizza dopo avermi fatto il riassunto di quello che è successo con la sua ragazza e avermi ripetuto duemila volte quanto sia perfetta.
Ho l'impressione che ogni volta che i miei amici si innamorano, diventano tutti super sdolcinati. Anche se i miei amici si innamorano raramente.
«Non puoi almeno fare finta che te ne freghi qualcosa?» faccio fatica a capire cosa mi dice Ross, perché parla con la bocca piena.
E che cazzo Ross, ti stai mangiando tutto! Non hai più bisogno di crescere, sei alto più di due fottuti metri! La pizza me la puoi anche lasciare!
«No. Accontentati del fatto che ti stia ascoltando» gli dico, prendendogli dalle mani il cartone che contiene i due ultimi pezzi di pizza.
«Sei così antipatico...» sbuffa alzando gli occhi verdi al cielo, «Sai, ho anche incontrato la sua migliore amica» aggiunge provando a prendere l'ultimo pezzo di pizza, che riesco a strappargli dalle mani.
«Davvero? Ti ha minacciato?» chiedo, dandoci un morso.
«Come fai a saperlo?» mi guarda male, aggrottando le sopracciglia.
«Sono un professionista sai?» ribatto facendo un gesto con la mano.
Il ruolo delle migliori amiche è quello, no?
Mi ricordo che una volta avevo lasciato una tipa e la sua migliore amica era venuta ad urlarmi addosso. Sì, quella volta ero stato uno stronzo. Ma adesso sono cambiato!
«Seh. In realtà Giada mi aveva parlato di lei, è un'italiana, ma non ha un briciolo di accento» dice, e appena pronuncia il nome della sua ragazza gli occhi gli si illuminano.
Sei proprio cotto Ross, mi dispiace.
Sinceramente non mi è mai successo di parlare di una persona come Ross parla della sua ragazza. Certo, sono uscito con qualcuna, ma mai più di un mese o due. L'unica ragazza che non vuole uscire dalla mia testa è un'altra... E non so nemmeno perché.
«Da dove viene?» decido di accontentarlo, facendo finta di essere interessato.
Dopotutto lui fa un sacco di cose per me, ascoltarlo parlare non dovrebbe essere troppo complicato.
«In realtà è nata in Francia, ma sua madre viene da Firenze» dice come se recitasse una poesia, con gli occhi verdi puntati sul soffitto, «Si chiama Anna»
Al suono di quel nome sputo fuori la redbull che stavo bevendo.
«Ehi stai bene?» si allarma Ross dandomi una pacca sulla schiena.
«Sì, sì, mi è andata di traverso» lo rassicuro.
E di nuovo la stessa reazione. È solo un nome, non è detto che sia lei! Stupido cervello, sempre a farmi sussultare non appena quelle due sillabe sono pronunciate. Però la descrizione che Ross ha appena fatto mi è familiare...
«E com'è?» chiedo cercando di calmarmi.
«Ha l'età di Giada, i capelli castani, a caschetto, occhi marroni...» comincia mentre io impallidisco.
«Sarcastica, verso il metro e sessanta...» completo la sua frase con disgusto.
«Sì esatto, la conosci?» si stupisce, passandosi una mano nei capelli rossi.
«Sì, era con me alle medie. Mi è sempre stata sulle palle» borbotto alzandomi.
«Davvero? A me sembrava simpatica» dice deluso, e le sue labbra si incurvano verso il basso.
Prende il telecomando e preme "ok" per mettere un altro episodio dello Straordinario mondo di Gumball. Alcune volte mi pongo delle domande sulla sanità mentale di questo ragazzo: perché guarda queste cretinate?
«Le apparenze ingannano» ribatto, «Vado a dormire, è quasi l'una.»
«Cosaa? Oddio ma domani ho lezione!» esclama Ross, alzandosi di scatto dal divano, «Mhm... vabbè mi guardo solo un altro episodio e poi vado a dormire.»
Ridacchio e chiudo la porta di camera mia. Scommetto che domani lo trovo addormentato sul divano che sbava. Potrei svegliarlo con un secchio d'acqua in testa, così imparerebbe, ma poi bagnerei anche il divano, quindi meglio di no.
Spengo la luce, mi tolgo la maglietta e mi butto sul letto.
Non riesco a smettere di pensare a quello che ha detto Ross. L'ha davvero rivista? Ha davvero sentito la sua voce? Saranno quattro anni che non l'ho sentita parlare.
Eravamo compagni di classe, e all'inizio lei mi incuriosiva. Ricordo che parlavamo, qualche volta, poi siamo cresciuti e abbiamo smesso. Ricordo che c'era qualcosa in lei che mi irritava. C'è qualcosa in lei che mi irrita.
Forse è per questo che non riesco a levarmela dalla testa. Non ci sono mai riuscito, e perché poi? Non la conosco bene: non so quasi niente su di lei. So solo che è brava a scuola e che mi odia. Che è italiana e che ama leggere.
Però è come una calamita: ogni volta che cerco di allontanare la mia mente dal pensarla, mi ritrovo di nuovo a farlo, senza nemmeno accorgermene.
Devo dormire e smettere di pensare. Devo spegnere il cervello. Sarebbe bellissimo schioccare le dita e addormentarsi di colpo, invece mi tocca stare tre ore sveglio primo di addormentarmi.
Però è vero che questa sera sono stanchissimo: mi sono alzato alle quattro del mattino per andare a trovare mia zia, che abita a due ore e mezzo da qui. Tutta quella cazzo di strada per sentirmi dire che sta peggiorando.
Spegni il fottuto cervello, Noah.
Mi rigiro nel letto e stringo forte gli occhi cercando di addormentarmi.
Anna
«A tavola!» grida mia madre dalla cucina.
«Arrivo, vado a lavarmi le mani!» grido a mia volta.
Mi alzo dal mio letto e barcollo, sentendo la testa che mi gira. Ho sonno: sono tre ore che sto studiando senza nemmeno una pausa, voglio solo andare a letto.
Quando sono tornata a casa dopo aver incontrato il ragazzo di Giada ho realizzato che anche io dovevo studiare per la verifica.
Vado in bagno e mentre mi lavo le mani mi guardo allo specchio: sembro una depressa che non dorme da giorni, con quelle borse che ho sotto i miei occhi stanchi. Mi asciugo le mani e vado a tavola. Mio padre, che indossa una camicia azzurra e ha i capelli marroni tirati all'indietro con del gel, sta già seduto e sorride quando mi vede, mentre mia madre, che è vestita con i pantaloni della tuta e una canottiera, è impegnata a portare i piatti a tavola.
Mio padre è sempre stato gentile con me, magari perché non sono come mio fratello, e sono brava a scuola. Ma lui vuole bene alla mia immagine. Al fatto che ho sempre dei bei voti, che il mio comportamento è perfetto e tutto il resto... Non alla vera me. Non alla me che piange di nascosto nel suo letto dopo una giornata difficile.
Mi siedo e rigiro la forchetta fra le mani. Sono stanca, davvero. Non mi ero nemmeno accorta della presenza di mio fratello, che sta guardando il suo telefono.
Rabbrividisco. Era da un po' di tempo che non mangiavamo tutti insieme: con mio padre che viaggia sempre per lavoro e mio fratello che non è mai in casa, non mi stupisce più di tanto.
La sua faccia - anche se coperta dai suoi disordinati capelli marroni - è un po' più luminosa di qualche giorno fa, quando l'ho beccato a fumarsi una sigaretta, o qualcosa del genere. Lui non lo sa. Non gli ho detto niente, anche perché non abbiamo una conversazione da un sacco di tempo, però è comunque stato un colpo basso. Non l'ho detto ai nostri genitori perché probabilmente lui mi avrebbe ucciso, ma anche perché è una sua decisione. Fa quello che cazzo vuole. Tanto sono suoi i polmoni. Ma non esiterò a farne uso contro di lui. Se lo merita, dopo tutto quello che mi ha fatto.
Guardo il mio piatto e mi mordo l'interno della guancia: quando mangia con noi non è mai di buon umore, e ho paura che si metta a fare una delle sue scenate.
«Leo» sospira mia madre.
«Che c'è?» borbotta lui senza nemmeno alzare gli occhi.
Non ce la faccio a sopportare un altro litigio. Sono stanca, ho avuto una lunga giornata e ho solo voglia di andare a letto. Faccio per prendere il mio piatto e andare a mangiare nella mia camera, ma realizzo che sarebbe davvero maleducato da parte mia.
«Niente telefono a tavola» lo rimprovera mia madre.
Lui alza gli occhi e la guarda, mentre io abbasso lo sguardo automaticamente.
«È una cosa importante» insiste con un'espressione che non lascia spazio alle emozioni.
«Non importa, la finirai dopo» ribatte mia madre, cominciando a mangiare.
Mio fratello sbuffa e si infila il telefono nei pantaloni della tuta, per poi incrociare le braccia al petto e fissare il vuoto.
Non capisco perché mia madre non dice niente: se mi fossi comportata così mi avrebbe urlato in faccia che dovevo portare rispetto per la persona che mi paga la scuola e mi dà da mangiare, invece quando c'è di mezzo mio fratello, non ribatte mai, e lo lascia fare.
Stringo forte la forchetta in mano, e vedo le mie nocche diventare bianche.
«Che fai, non mangi?» chiede dopo un po', visto che Leo non ha nemmeno guardato il piatto.
«Non è colpa mia se il cibo qui fa schifo» dice, e vedo i muscoli della sua mascella contrarsi.
No. No, no no no. Finirà male, lo so.
«Non parlare così a tua madre» interviene mio padre.
«Parlare come? Non ho detto niente» ribatte Leo.
«Leo, calmati» dice piano mia madre.
«Calmarmi? Perché cazzo mi dite tutti così, io sono perfettamente calmo» dice, ma in realtà sembra un po' isterico.
«Leo, non ne posso più di vederti così. Che cosa ti sta succedendo?» esclama esasperato mio padre.
«Niente» risponde, per poi essere subito interrotto da mia madre.
«Senti Leo, ho deciso una cosa» comincia mia madre.
A questo punto, realizzo che non so davvero come diavolo funzioni la testa di mia madre. Ma che cavolo gli viene in mente? Dirglielo adesso? Già è incazzato, non oso immaginare... Oddio, vorrei solo andare in camera mia.
«Ho deciso di farti aiutare. Di nuovo» dice tutto d'un fiato.
«Che cosa?» sussurra Leo, con la voce di chi sta per esplodere di rabbia.
«Qualcuno verrà ad aiutarti con i compiti. Non voglio che tu venga bocciato perché ti rifiuti di studiare. Tu sei un ragazzo intelligente, ma in questo periodo fare intervenire qualcuno cosicché tu riprenda ad impegnarti in quello che fai è la cosa migliore da fare. Questa volta l'unica persona che potrà licenziarlo sarò io, o non potrai più uscire di casa la sera» aggiunge mia madre.
Il resto della scena lo vedo a malapena: mio fratello che si alza, che urla, mia madre che urla, mio padre che si unisce al coro... Sento come un fischio nelle orecchie, la vista che mi si annebbia, e il cuore che mi si stringe: respiro con difficoltà.
Vorrei solo che smettessero di urlare. Vorrei solo mangiare tranquilla. Basta, vi prego, fatela finita. Basta... Basta!
Le voci smettono di urlare, e tutti si girano verso di me. L'ho detto a voce alta, ma che mi è preso?
«E tu chi cazzo credi di essere?» esclama mio fratello.
E il vociare ricomincia. Mi alzo barcollando dalla sedia, e corro in bagno, buttandomi sul water, per poi vomitarci l'anima.
Chi cazzo credo di essere?
Quella che hai abbandonato. Quella che hai sempre odiato. Quella che comincia a piangere al solo pensiero di stare nella stessa stanza con te.
Continuo a vomitare, finché non resta più niente da buttare fuori.
Tiro lo sciacquone e mi lavo i denti, con le lacrime che mi scorrono silenziose sul viso. Sono abituata a sentirmi così, a sentirmi inutile e insignificante, e di solito lo sopporto piuttosto bene, ma è da un po' di tempo che sto ricominciando a stare male.
Senza James... Mi sento sola. Giada mi aiuta, ma a lei non posso dire come mi sento. Non capirebbe, e la metterebbe solo a disagio.
Esco dal bagno e mi chiudo in camera. Mi metto il pigiama e mi butto sul letto.
Non pensare a niente o starai peggio, è quello che mi dico sempre.
Ma non ci riesco: non riesco a pensare ad altro che al fatto che mio fratello mi odia e che la mia famiglia si sta distruggendo. Tanto vale piangere tutte le lacrime del mio corpo ora, così domani riuscirò forse a costruire un sorriso falso, che nessuno noterà.
Mi piacerebbe urlare, ma purtroppo non sono sola. Prendo le cuffie e avvio la playlist che di solito mi aiuta a stare meglio, e mi addormento piangendo, ignorando i colpi che sento alla porta della mia camera.
Ciao a tutti!!
Ecco a voi il famoso Leo, il fratello di Anna.
Che ne pensate della reazione di Noah al sentire il nome di Anna?
Spero che vi è piaciuto il capitolo, e proverò a aggiornare anche domani.
Non esitate a lasciare una stellina se volete incoraggiarmi a continuare 💜
-Gaia
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