Capitolo 38
Anna
James chiude la porta e mi prende per mano, portandomi in bagno. Appena ci entriamo dentro sento un enorme bisogno di rimettere, così mi accascio per terra, apro il water e ci vomito dentro. James mi tiene i capelli, accarezzandomi la schiena.
Ormai questa scena mi è familiare. Mi sono trovata molte volte in queste situazioni, soprattutto dopo degli incubi orrendi, con James che mi abbracciava, cercando di farmi smettere di urlare. Quando ho finito di vomitare, scoppio a piangere, e lui cerca di confortarmi, come sempre, sussurrandomi parole dolci.
«Lisa, ehi... Non sei sola, ci sono io» dice mentre mi pulisce il viso.
Mi sento patetica. Mi sento debole. Mi sento distrutta.
«Ora ti strucco e andiamo a dormire, okay?» mi fa alzare, mentre io annuisco freneticamente.
James tira fuori dal cassetto sotto il lavandino del cotone e dello struccante, mi fa sedere sullo sgabello che c'è lì vicino, e comincia a passarmi piano il cotone sugli occhi.
Io guardo con un occhio le sue iridi verde smeraldo, concentrate nel lavoro che sta facendo.
«Lisa, se piangi è complicato» sorride dolcemente.
Ma io non riesco a smettere. Non è solo per Noah, per il suo sguardo ferito, per quello che gli ho detto, ma è anche perché la mia vita è troppo incasinata. Mio fratello, John, i miei, Noah...
Non riesco ad uscirne. Non riesco a dimenticare quello che Leo mi ha fatto, quello che John mi ha fatto. Pensavo di essere riuscita ad andare avanti, ma solo adesso mi rendo conto che non è così. Solo adesso mi rendo conto che mi sono solo illusa, che non ho ancora fatto i conti con me stessa, e che se non lo faccio presto, affonderò nei miei incubi.
Quando James ha finito, mi fa alzare e mi porta in camera sua. Il litigio con Noah mi ha fatto passare un poco la sbornia, ma a quanto pare non abbastanza, perché rischio di cadere sette volte nel tragitto di tre metri dal bagno alla stanza di James.
Mi stendo sul letto, mentre James cerca qualcosa nel suo armadio.
"Io non riesco a levarti dalla mia testa. Sei come una fottuta calamita: ogni volta che provo a smettere di pensarti, la mia mente torna ancora più violentemente verso di te. Sei sempre nella mia testa, e non te ne vuoi mai andare, cazzo!"
Non l'ho detto per davvero... Che diavolo mi è preso?
Mi porto le mani alla testa e mi sfugge un lamento. Mi sento come se stesse per scoppiare.
«Tutto bene? Vuoi un doliprane?» chiede James, girandosi verso di me.
«No sto... sto bene» mento: è già abbastanza preoccupato.
Lui sospira, e mi lancia una maglietta e un pantalone per dormire.
«Tieni, meglio se ti cambi, puzzi di alcool.»
«Scusa» mi sento in colpa.
È tornato da poco e sento già di essere un peso. Mi sento come una bambina che ha bisogno d'aiuto anche solo per vestirsi.
«Non ti devi scusare. Prova a dormire» mi sorride dolcemente, scacciando via i miei pensieri.
Affondo la faccia nel cuscino, sbuffando. Come farò a dormire? La testa mi scoppia a causa del pianto.
Dopo un po' anche James si stende vicino a me, e sbircio verso di lui. Indossa una semplice maglietta grigia, e un pantalone della tuta. Ha lo sguardo rivolto al soffitto e le labbra strette fra loro.
Distolgo lo sguardo e ripenso alla mia ossessione, e al suo viso confuso e triste. Non avrei dovuto lasciarlo lì. Avrei dovuto lasciargli dire quello che voleva dire. Ma sono una codarda, e come al solito, invece di affrontare i miei problemi, sono scappata.
«Lisa...» mormora James, che si è accorto delle lacrime che mi rigano le guance, «Vieni qui, dai.»
Mi avvicino a lui e affondo il viso nel suo petto, mentre lui mi accarezza i capelli con una mano, e la schiena con l'altra.
«Non avrei dovuto trattarlo così» tiro su col naso, continuando a piangere.
«Sei ubriaca, Lisa, non pensarci okay?» biascica sui miei capelli.
Annuisco, e inspiro il suo profumo.
«Chi ti ha portata a quella festa?» chiede dopo un po'.
«Giada. C'era anche Ross» mormoro.
«Bene, domani vado a farci due chiacchiere.»
«Smettila, mi sono divertita, più o meno. Ho anche incontrato un ragazzo triste come me» sorrido un po' al ricordo del dolce Lucas.
«Ah sì?»
«Sì. Il suo ragazzo l'aveva lasciato. Avrei dovuto dirgli di mangiare del gelato pistacchio e panna.»
A questa mia frase James ride, e sento il suo petto vibrare. Mi sento un po' meglio.
«Ti sto rovinando tutta la maglietta» realizzo, cercando di allontanarmi da lui.
«Non importa. È solo acqua salata» sussurra, tirandomi di nuovo verso di lui.
Io lo lascio fare, e mi rilasso nelle sue braccia. La testa fa un po' meno male.
«Ora dormi, mia Lisa» mormora, e quella è l'ultima cosa che sento prima di addormentarmi.
Sbadiglio e socchiudo gli occhi. Dove sono? Come mi chiamo?
Dio, che mal di testa.
Mi tiro su e mi passo una mano nei capelli. Mi guardo intorno, cercando James, ma il letto è vuoto. Sul comodino però, mi accorgo di un bigliettino. Mi precipito a leggerlo:
"Per quanto mi possa piacere vedere il tuo viso da appena sveglia, devo andare a fare qualche compera per mia madre. Sempre se vuoi, o se ne hai bisogno, ci vediamo dopo.
Tuo, James."
Nel leggere quel biglietto sorrido, e me lo metto in tasca. Sembrerò pazza, ma ho una collezione dei bigliettini che mi scrive James. Certe volte li tiro fuori e li rileggo. Mi fanno sentire meglio.
Mi alzo e vado in bagno. Mi osservo allo specchio. Mi tocco gli occhi, le guance. Prima ero abituata a quell'immagine: quel viso triste e distrutto dal pianto, ma per un po' l'avevo dimenticato, e adesso vederlo di nuovo mi fa paura. Ho l'impressione che quegli istanti di felicità con Noah non siano mai esistiti, talmente il dolore lancinante di ieri mi ha fatto male.
Oddio. Noah... Devo parlargli. Devo dirgli che mi dispiace.
Mentre mi lavo la faccia ed esco dalla camera di James per andare in cucina, continuo a pensare a che cosa devo dire a Noah. Arrivata in cucina sussulto, trovando una donna ai fornelli.
«Signora Ford» la saluto.
«Annalisa, buongiorno» si rigira verso di me, sorridendo, «Sono tornata questa mattina e ti ha visto con James. Era tanto che non dormivate insieme. Stai bene?»
La madre di James è davvero una donna gentile. Gentile e comprensiva. Non sa tutto di quello che è successo con John, ma ne sa abbastanza per potermi guardare con quello sguardo triste, compassionevole.
Somiglia molto a James: ha gli stessi capelli, biondi, che sono tagliati a caschetto, e gli stessi occhi verde smeraldo.
«Sì. Tutto okay» annuisco, anche se non è esattamente la verità.
«Vuoi qualcosa da mangiare?» chiede, sorridendo.
Anche lei ha le fossette. È vestita con una maglietta bianca, e le sue spalle sono coperte da un gilet bianco a maniche lunghe. Indossa un pantalone della tuta, che non le copre interamente le gambe, visto la sua altezza. È davvero molto alta e esile, devo ammettere che è anche molto bella.
«No, grazie, devo andare a casa, altrimenti mia madre si arrabbia» mi tocco la nuca con una mano.
Sono un po' in imbarazzo. Non l'ho vista da molto tempo, ma non è solo per quello. Il suo sguardo compassionevole mi fa arrossire. Di solito non mi piace quando le persone mi guardano così, ma con lei è diverso. Lei è così dolce.
«Sono contenta che tu e James stiate ancora passando del tempo insieme.»
«Anche io» annuisco, aspettando il suo permesso per andare.
«Buona giornata, allora» sorride di nuovo dolcemente, per poi tornare ai fornelli.
«Ciao» sussurro, raccattando le mie cose, per poi uscire dalla casa di James.
Prima di entrare in casa mia, faccio un respiro profondo.
«Annalisa. James mi ha scritto ieri, dicendomi che dormivi da lui» dice mia madre, non appena chiudo la porta di casa.
«Sì, scusa se non ti ho avvisato io» dico, quando la trovo seduta sul divano, intenta ad armeggiare col telefono.
È vestita bene, con un vestito nero, segno che sta per uscire da lì a poco. Ha i capelli lunghi lisci, che gli ricadono sulle spalle.
«Sai bene che per andare da James non ce n'è bisogno. Allora? Avete passato momenti... di intimità?» chiede, guardando il suo telefono.
«Cristo, mamma, no. Siamo amici e basta» alzo gli occhi al cielo.
Se solo mi guardassi in faccia capiresti che ieri sera mi sono ubriacata, ma okay.
«Io non ti capisco, davvero. Hai James, che è un ragazzo non solo dolce, ma anche educato, e invece vai dietro a Patterson» borbotta, scuotendo la testa.
Questa non è una novità, mamma. Non mi hai mai capita, perché non ci ha mai provato. Altrimenti avresti capito che James è solo un amico, e che con Noah è diverso.
«Noah non lo sento più, lo sai» dico, sbuffando.
Sì, sono ancora arrabbiata per questa "punizione".
«Per fortuna.»
«Vado a farmi una doccia» vorrei urlargli una quantità indefinita di parolacce, ma sto zitta.
Mi chiudo in bagno e comincio a spogliarmi. Devo andare da Giada. Si sarà preoccupata, anche se sono sicuro che James le abbia mandato un messaggio. Sono un po' arrabbiata con lei: non avrebbe dovuto lasciarmi sola. So che voleva divertirsi con Ross, ma se intendeva fare come se non esistessi non avrebbe dovuto invitarmi.
Mi guardo allo specchio, osservando il mio corpo privo di vestiti. Sono meno magra di pochi mesi fa, e ne sono felice. Quell'essere magra mi ricordava John.
"Voglio essere onesto con te, perché nessun'altro lo sarà. Nessuno vorrà di te con un corpo del genere. Devi dimagrire, bambolina."
Entro nella doccia, lasciando poi l'acqua scivolarmi addosso. Vorrei potesse lavare via le mie paure, i miei problemi, i miei pensieri. Vorrei potessero sgocciolare via, lontano da me.
Resto un po' lì, anche se ho finito di lavarmi, solo per godere di quel calore che mi inebria i sensi.
Continuo a mordermi il labbro, cercando di stare calma. Sono davanti l'appartamento di Noah.
Ho detto a mia madre che andavo da Giada per studiare, ma non le ho mentito, ho solo omesso la parte dove passo prima da Noah. Ce la potrò fare a dirgli che mi dispiace, no? Sì, ce la posso fare.
Faccio un respiro profondo, poi suono il campanello.
Non ce la posso fare. Cazzo, che cosa mi è saltato in mente?
Faccio per andarmene, ma mi ferma il rumore della porta che si apre. E lì, sul ciglio della porta, mi appare Noah, in tutta la sua bellezza. Indossa una maglietta rossa, piuttosto larga, e dei jeans neri. I suoi riccioli mori gli accarezzano la fronte, e i suoi occhi color nocciola, prima annoiati, si illuminano non appena mi vede.
«Anna» dice, sorpreso dalla mia presenza.
Il mio nome esce dalle sue labbra quasi come se avesse trattenuto il fiato.
«Ciao, ehm, volevo...» cerco di parlare, ma è così perfetto che faccio fatica a comporre una frase sensata, «Mi dispiace per ieri sera. L'alcool mi ha dato alla testa»
Abbasso lo sguardo, fissando il suolo.
«Non importa» dice, anche se posso sentire del fastidio nella sua voce.
Fa per tornare in casa, ma gli afferro il braccio.
«Sì invece, davvero. Scusa. Ho agito in maniera infantile e stupida» dico esattamente quello che penso, guardandolo dritto negli occhi.
«Sì, in effetti» si scansa dal mio tocco, guardando dappertutto tranne che nei miei occhi.
«Mi perdoni?» chiedo piano.
Se mi dice di no, penso potrei scoppiare a piangere.
Il suo sguardo si addolcisce, e finalmente mi sorride, anche se leggermente.
«Certo, Anie» dice, tornando a guardarmi.
E mi perdo per la millesima volta nei suoi occhi nocciola, che per quanto ci abbia provato, non sono riuscita a mandare via dalla mia testa. D'altronde Noah ci è entrato senza chiedere il permesso, e so che da quel fatidico giorno, non se n'è mai andato.
«Io-» comincio a dire, ma vengo interrotta da una voce.
Quella voce.
E la magia si spezza. La felicità che provavo qualche secondo fa se ne va in uno schiocco di dita. Adesso sento solo una sensazione di vuoto. Pensavo che dal modo in cui mi aveva guardato ieri sera, a Noah importasse davvero qualcosa di me, ma a quanto pare mi sbagliavo.
«Tesoro, torna a letto dai!» è quello che ha detto quella voce stridula, acida, irritante, insopportabile.
Guardo il punto da dove è provenuta la voce, e nel mentre il mio cuore perde un battito. Torno a guardare Noah, che dopo essersi girato anche lui, torna a guardarmi, con uno sguardo irritato, ma non appena vede la mia espressione, comincia a scuotere la testa, come per dirmi "non è quello che pensi".
«Non pensavo avessi compagnia, ora vi lascio da soli» dico, con un filo di voce.
Detto questo comincio ad allontanarmi, ma Noah mi segue, e mi afferra per la spalla.
«Anna per favore...»
«No, Noah, non importa, davvero. Noi non possiamo... non ci sarà niente lo stesso. Non importa se stai con un'altra, fra noi non c'è niente. Non ci può essere niente.»
Mi fa male dire quelle parole, ma è l'unica soluzione. Non posso soffrire di nuovo. Non posso illudermi di nuovo, come ho fatto con John, per poi dover fare un anno di visite dallo psicologo. Non potrei sopportarlo. Crollerei, e non riuscirei più ad alzarmi. Dopo tutti gli sforzi di James nel provare a farmi sentire meglio, dopo tutte quelle ore spese nel consolarmi, non posso ricaderci di nuovo.
Mi divincolo dalla sua presa e scappo via da lui, sentendolo gridare il mio nome più volte. D'altronde è l'unica cosa che so fare. Scappare.
Ma salve!!
Scusate per il capitolo lunghissimo ahahah ❤️
Ditemi che cosa ne pensate, come al solito!!
Spero di poter aggiornare presto, un bacio ✨
-Gaia 💙
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