Capitolo 32
Anna
Guardo fuori dalla finestra e sospiro. Voglio uscire. Non mi piace stare sempre chiusa in casa. Per una volta che non avevo compiti poi, il che è una cosa abbastanza rara... Però mia madre è stata chiara: niente uscite tranne per andare a scuola.
Ad un certo punto vedo una luce accendersi nella camera di James, che è affacciata proprio davanti alla mia. Sorrido, e ripenso a quelle volte in cui comunicavamo scrivendo su dei fogli quello che ci passava per la testa, per poi affacciarli alla finestra.
Quando intravedo la testa di James fare capolino nella sua stanza, prendo un foglio e ci scrivo: "Ma salve!", poi lo metto contro il vetro della finestra, aspettando che lui lo veda.
Mentre aspetto che lui si accorga della scritta lo osservo: oggi è vestito con una camicia bianca a maniche lunghe, con i primi bottoni slacciati, e un jeans nero.
Ad un certo punto James guarda fuori dalla finestra, e accortosi di me, sorride, mostrandomi le fossette che ha sulle guance, per poi appoggiare lo zaino che aveva sulla spalla sul suo letto, prendere un foglio, scarabocchiarci qualcosa sopra e mostrarmelo.
"Come stai?"
Mi continua a stupire la sua empatia, e quanto lui sia gentile e premuroso. Gli faccio il pollice in su, e il suo sorriso si allarga ancora di più. Si fa una coda velocemente, perché i capelli biondi che gli ricadono sul viso gli danno noia, poi mi mostra un altro foglio: "Davvero?"
Annuisco, e gli affaccio un foglio con scritto: "Vorrei parlarti dal vivo, ma sono in punizione e non posso uscire."
Lui aggrotta le sopracciglia, confuso.
"Che cos'è successo?"
"Storia lunga: mia madre."
"Le faccio cambiare idea."
Scritto questo, esce dalla stanza, lasciandomi a fissare il vuoto con la bocca spalancata. Non so cosa fare, quindi mi stendo sul mio letto e guardo il soffitto, aspettando.
D'un tratto la porta della mia camera si apre, e quando mi giro verso di essa, vedo Jem, appoggiato allo stipite.
«Non l'hai fatto» dico tirandomi su, mentre un sorriso comincia a farsi spazio sul mio viso.
«L'ho fatto» ridacchia James, assottigliando gli occhi verdi.
«Oddio, grazie Jem!» salto giù dal letto, per poi abbracciarlo quasi fino a stritolarlo.
La mia faccia è sul suo petto, le sue mani nei miei capelli sciolti. Il suo odore mi è mancato. Le sue braccia mi sono mancate. Ma quello che mi è mancato di più è sentire la sua voce dal vivo, e non attraverso un telefono. Non siamo stati tanto tempo insieme: dopotutto è tornato soltanto due settimane fa.
«Hai il diritto a due ore con me, non un minuto di più» mormora quando ci siamo staccati, mimando le virgolette, per farmi capire che quelle sono le esatte parole che gli ha detto mia madre.
Io annuisco più volte, eccitata di poter uscire infine da questa casa: è da venerdì che non ho visto una persona che non sia mia madre o mio padre. Già, mio fratello non è un'opzione: a quanto pare ha deciso di non farsi vedere per un po'.
«Ti va un gelato da Gusto?» chiede James, mettendo la testa da un lato.
«Sì! Sto morendo di fame» quasi urlo, battendo le mani, entusiasta.
«Bene, andiamo allora» mi prende a braccetto, trascinandomi verso il corridoio.
Per fortuna sono conciata decentemente: ho addosso il vestitino bianco che mi metto di solito in casa, perché oggi fa particolarmente caldo.
«Non un minuto di più!» esclama mia madre, prima che James chiuda la porta, ridacchiando.
Mia madre ha sempre amato James, magari per questo mi ha permesso di uscire un po' con lui oggi. D'altronde chi non ama James? Mia madre non perde mai l'occasione di chiedermi come sta, o di parlare di lui per venti minuti interi. Credo lui le stia simpatico anche perché ha saputo aiutarmi quando lei non riusciva a farlo. Perfino lei sa che è solo grazie a lui se oggi sto meglio.
Saliamo in macchina.
«Scusa se non mi sono fatta sentire da un po'...» dico una volta che Jem ha messo in moto.
«Non ti preoccupare, so quanto è impegnativo essere al liceo internazionale. Danno compiti manco fossero caramelle» scuote la testa, facendo muovere i suoi capelli biondi, anche se legati, lo sguardo fisso sulla strada.
«Già...» mormoro, perché ha proprio ragione.
«Devi raccontarmi un po' di cose, non è così?» chiede, guardandomi con la coda dell'occhio.
Il bello della sua voce è che non è mai accusatoria. Lui non mi ha mai accusata prima di sapere completamente i fatti e le ragioni del perché sono accaduti. Riesce a capire che ci sono cose per lui scontate, che per me sono difficili.
So che non sarà per niente contento quando gli parlerò di John. E so perché: lui mi ha aiutato a riprendermi dopo la faccenda con John, ma eravamo amici anche durante. Lui ha visto benissimo le cause e gli effetti di quella relazione.
«Sì, è così» sospiro.
«Non sono tutte belle» deduce, sicuramente da qualcosa nella mia voce.
Questo ragazzo mi legge nella mente.
«No, infatti. Meglio se ne parliamo dopo il gelato» lo guardo, soffermando il mio sguardo sulle sue folte ciglia, che gli accarezzano la pelle ad ogni battito di palpebra.
«Sono d'accordo» dice, guardando altrove.
«Pistacchio e cioccolato. Sei sempre la solita, vedo» i suoi occhi verde smeraldo mi fissano divertiti.
«Dicono che il pistacchio abbinato con il cioccolato diventi un potente eccitante e antidepressivo» faccio finta di sistemarmi degli occhiali immaginari.
«E funziona?» chiede James, sorridendo dolcemente.
«Direi che sono solo cazzate, ma il problema è che mi sento già meglio» cerco di non ridere.
«Il mio invece che qualità ha?» chiede curioso.
«Panna e cioccolato, uhm... consolatorio!» esclamo, dopo aver riflettuto per un po'.
«Allora la prossima volta me ne porterò una vaschetta a casa» sorride debolmente.
Il mio di sorriso invece, sparisce dal mio viso: è triste e non me ne vuole parlare? Lui vede il mio sconforto e mi mette un braccio intorno alle spalle, baciandomi i capelli, e mi sento subito un po' meglio. Se me ne vorrà parlare meglio così, altrimenti glielo chiederò io, ma fra un po'. Il nostro rapporto è comunque basato sul confidarsi l'uno con l'altro.
Dopo aver finito i nostri gelati, camminiamo fino ad un parco, e ci sediamo su una panchina. Il parco è deserto, ma la vista è piacevole: ci sono tutti quei giochi per bambini piccoli, che mi fanno sorridere, nostalgicamente.
«Allora? Vuoi dirmi che cosa succede nel tuo mondo?» James interrompe i miei pensieri, e io mi giro verso di lui, che ha i bordi delle labbra leggermente all'insù.
«Vuoi prima le cose belle o le cose brutte?»
«Belle, dai» dice dopo una piccola riflessione.
Sorrido e lo accontento. Gli racconto per prima cosa della cena con Giada, Ross e Noah. Gli dico che è stata una serata divertente, anche se un po' stressante a causa degli sguardi strani che mi lanciava Giada continuamente. Quando comincio a parlargli di Noah e di come il nostro rapporto sia cambiato, divento rossa come un peperone.
Non vedo Noah da quando ci siamo baciati in piscina, ovvero da tre giorni. Al solo pensiero arrossisco ancora di più. Avrei voluto quel momento durasse mille anni, ma ovviamente i miei devono sempre tornare a casa nei momenti più opportuni.
Credo che questa cosa con Noah mi stia un po' sfuggendo di mano. Sto cominciando a pensare a lui in ogni momento, ma la cosa che è cambiata, è che adesso quando me ne accorgo, invece di sbuffare, sorrido.
«Quindi state insieme?» chiede James, assottigliando gli occhi, un po' confuso.
«No, ci stiamo solo... frequentando?» dico, ma dal mio tono di voce sembra che io gli stia facendo una domanda.
«Dovresti saperlo tu» sorride un poco, mostrando le sue adorabili fossette.
«Lo so ma... quando stiamo insieme io non ci penso. Insomma, certe volte baciarlo mi viene spontaneo, anche se non stiamo proprio insieme... è strano vero?» osservo i suoi capelli mossi dal venticello che si è instaurato nel frattempo.
«No, non lo è affatto» guarda un punto indefinito, e sorride serrando le labbra.
«Che c'è?» chiedo, cercando il verde dei suoi occhi.
«Niente, è solo che a questo punto non voglio sapere le cose brutte» torna a guardarmi.
«Oh...» ora tocca a me distogliere lo sguardo.
«Che cos'è successo, Lisa?»
Alzo lo sguardo di scatto: è da un po' che non mi chiamava così. Questo soprannome mi ricorda molte cose, e mi piace molto, ma solo se lo usa lui. Solo se lo usa lui, con quel tono di voce così dolce, che mi aiutava a riaddormentarmi quando facevo i brutti sogni.
Devo dire che tra Lisa e Anie c'è una competizione sul quale sia il più bello dei due.
Però ammetto che Anie ha qualche punto in più. D'altronde Noah mi chiamava così ai tempi delle medie per darmi noia, mentre adesso lo usa piuttosto per farmi sorridere. Quel nomignolo è zeppo di ricordi.
«Primo, Jane mi ha chiamata per scusarsi dopo una settimana e mezza, e... be' avrei voluto mi chiamasse prima» sospiro, iniziando per la cosa meno brutta.
«Sai com'è fatta Jane...» scuote la testa.
«Lo so. Ma ci speravo lo stesso.»
«Mi dispiace.»
«Non è niente. L'avevo persa un po' di tempo fa, ma me ne sono accorta solo adesso.»
Ricordo quando mercoledì sera mi ha chiamata di nuovo, quando mi ha di nuovo detto quanto le dispiacesse e quanto voleva avermi di nuovo accanto. Ricordo anche di come le ho detto che avrei continuato a scriverle solo se si impegnava anche lei a mantenere la nostra amicizia, e di come me ne sono pentita poco dopo: avrei dovuto essere più cattiva. Ma non mi è mai piaciuto fare del male alle persone, anche se si tratta di persone come Jane, quindi ho deciso di dargli un'ultima possibilità. Ma questa volta non sarò io a scriverle o a chiamarla: dovrà farlo lei, altrimenti non può funzionare.
«Gli hai dato un'ultima possibilità?»
«Sì. Dopotutto secondo mia madre il mio nome significa pietà e misericordia» borbotto, preparandomi mentalmente a dirgli di John.
Faccio un respiro profondo.
«C'è un'altra cosa. E non ti piacerà» mi mordo l'interno guancia.
«Dimmi» dice, anche se nella sua voce riesco a percepire un pizzico di preoccupazione.
«John è tornato a girarmi intorno» dico tutto d'un fiato, chiudendo gli occhi.
«Che cosa hai detto?» chiede James, e questa volta, la sua voce lascia benissimo trasparire della rabbia pura.
«Ha detto che gli manco e che vuole passare di nuovo del tempo con me. Ha detto che mi ama» dico, per poi aprire gli occhi.
Il suo viso è più rosso del solito, e sta stringendo i pugni, poiché le sue nocche sono bianche dallo sforzo.
«Dimmi che stai scherzando» dice fra i denti, alzandosi di scatto.
Io scuoto la testa e chiudo di nuovo gli occhi: vedere James arrabbiato per colpa mia mi fa mancare l'aria.
«Anna, ascoltami» dice, e sento le sue mani afferrarmi le spalle, «Guardami.»
Obbedisco e lo guardo negli occhi, che sono lucidi, non so se dalla rabbia o da qualcos'altro. Si è accovacciato per essere alla mia altezza, e si morde il labbro quasi fino a farlo sanguinare.
«Promettimi che non ci cascherai di nuovo. Promettilo. Perché non posso vederti stare male di nuovo per colpa di quel coglione e dei suoi giochetti perversi. Lo capisci? Non posso» questa volta la sua voce è tremante, e una lacrima solitaria scende lungo la sua guancia, che mi affretto ad asciugare con l'indice.
«Lo prometto» annuisco.
«Dillo di nuovo.»
«Te lo prometto, Jem» questa volta è lui ad asciugare una lacrima dalla mia guancia.
«Okay, ora vado a uccidere quella testa di cazzo» si alza, allontanandosi da me.
«No, Jem, per favore resta con me» lo supplico, rincorrendolo, per poi afferrargli il braccio.
Lui si ferma, mi osserva con le sopracciglia aggrottate, poi mi abbraccia. Sento il tessuto della sua camicia sulla guancia, e cerco di trattenere le lacrime per non bagnargliela. Il battito del suo cuore è veloce, ma mi calma un pochino.
«Non gli permetterò di farti del male. Non di nuovo. Non lo permetterò, Lisa, hai capito?» sta parlando a raffica, perciò mi limito ad annuire contro il suo petto.
E restiamo lì, zitti e abbracciati, cercando di calmarci l'un l'altro, come abbiamo sempre fatto.
Buonasera a tutti ♥️
Ecco a voi un nuovo capitolo, un po' più lunghino (non l'ho riletto prima di postarlo quindi se ci sono degli errori ditemelo eheh) Che ne pensate di questo James, un po' meno calmo del solito?
Spero vi sia piaciuto, ditemelo nei commenti 🥰
Comunque penso che il prossimo capitolo uscirà fra poco (o domani o lunedì (spero)).
Baci 💋
-Gaia 💙
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