Capitolo 12
Anna
Okay, posso farcela. Ho una sola lezione con lui, e dura solo un'ora.
Forse oggi non verrà a parlarmi... Dopotutto non lo fa da qualche paio di mesi. Ma io ho paura lo stesso.
Sospiro e guardo Giada, che sta prendendo a calci il distributore automatico perché la sua bottiglietta d'acqua è restata incastrata. L'influenza le è passata, si vede dal modo in cui sta insultando quella povera macchina.
«Porca puttana! Rivoglio indietro i miei due euro subito, macchina infernale!» urla, continuando a dare calci al distributore.
«Giada, calmati» mormoro, e la spingo via dal distributore, per poi cominciare a scuoterlo.
Pochi secondi dopo la bottiglietta d'acqua si sblocca, e dopo averla presa gliela porgo.
«Oh... grazie» ridacchia bevendo un sorso.
È vestita con una salopette di jeans nera, che gli copre le gambe lunghe e snelle. Si è truccata con un po' di eyeliner, e al collo ha la sua solita catenina.
Scuoto la testa e mi giro verso la porta dell'aula d'inglese.
E lì, lo intravedo. Sta parlando con i suoi amici, e non mi ha vista, per fortuna. I suoi capelli marrone chiaro sono scompigliati, immagino a causa del casco che indossa per andare in moto, e anche se siamo lontani qualche decina di metri, riesco a vedere le sue iridi azzurre brillare quando sorride.
Guardo gli occhi che mi avevano stregato, per poi distruggermi lentamente. Guardo le sue mani e le sue dita lunghe, che una volta mi toccavano il corpo con avidità, certe volte dandomi tutt'altro che carezze. Guardo la sua bocca, che un tempo aveva toccato la mia, e tante bottiglie di birra.
Mi guardo le mani, e chiudo gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Pensare a lui mi fa sempre molto male. Lo odio così tanto che mi viene voglia di scappare via da qui, e non tornare mai più. Non so come ho fatto ad essere così stupida: pensare che gli importasse qualcosa di me, che usarlo per distrarmi non sarebbe stata la mia fine.
Certe notti mi sveglio di soprassalto, con ancora la sua voce che mi urla nelle orecchie quanto sono inutile e stupida. Che sono troppo triste e troppo fragile.
Sapevo che si era avvicinato a me probabilmente per una scommessa o qualcosa del genere, ma a quel tempo non me ne importava: volevo solo distrarmi, e lui era esattamente quello di cui avevo bisogno per dimenticare tutto il resto O almeno così credevo.
«Anna, sbrigati che sta per iniziare la lezione!!» sussurra Giada, prendendomi per un braccio, per poi trascinarmi nell'aula.
Ci sediamo all'ultimo banco perché il resto dell'aula è quasi pieno, e al primo banco non ci vado nemmeno per sogno. Per fortuna John arriva per ultimo in classe e si siede al primo banco, anche se so che odia starci.
Il professore chiude la porta, e comincia a parlare, parlare e parlare. Non lo ascolto, e guardo fuori dalla finestra.
John mi ricorda mio fratello in tantissimi modi. D'altronde erano amici - o lo sono ancora, non ne sono sicura. Però ricordo come mi hanno usato, di come si sono divertiti a vedermi soffrire.
Ad un certo punto sento un pezzo di carta sfiorarmi l'orecchio, e mi giro, trovando in terra il pezzo di carta in questione, arrotolato come una pallina.
Lo raccolgo e lo apro:
"Devo parlarti"
Riconosco subito la scrittura: è di John. Che cosa diavolo vuole da me?
È da qualche settimana che sento il suo sguardo su di me, come se mi avesse scelto come sua preda. Di nuovo.
Ma perché? Perché vorrebbe parlarmi?
Dopo tutto quello che mi ha fatto, vuole ferirmi di nuovo? Non glielo lascerò fare. Non posso, non più.
Sono quasi riuscita a liberarmi di lui: non ha il diritto di tornare a rompere le palle così all'improvviso. È da almeno un anno che ci siamo lasciati. Di qualunque cosa voglia parlarmi, so già che saranno parole false.
Quindi con una mano tremante mi infilo il bigliettino in tasca, pronta a dargli fuoco non appena avrò finito le lezioni.
Mi avvicino alla fermata dell'autobus, ma mi fermo di scatto e faccio retromarcia.
Non voglio parlare con John. Né adesso né mai. So che prima o poi mi troverà, però preferisco aspettare che se ne vada, per rimandare almeno a domani, così forse stanotte riuscirò a prepararmi psicologicamente.
Prima che i suoi occhi color cielo mi possono guardare, mi giro dall'altra parte, e vado a sbattere contro qualcuno.
«Mi scusi» dico a voce bassa, ma quando alzo lo sguardo e incontro quello della mia ossessione, mi sembra di svenire.
«Da chi stai scappando?» sorride Noah, mostrando un poco i suoi denti bianchi.
«Da nessuno» dico, indietreggiando.
Oggi è vestito di nero, non come l'ultima volta che l'ho visto, una settimana fa. Anche se vado matta per il contrasto che offre la sua maglietta bianca contro la sua pelle scura, devo ammettere che anche il nero gli sta molto bene.
Come avevo promesso, ho fatto il possibile per stare fuori casa le volte in cui c'era lui, ma sapevo che ad un certo punto avrei dovuto rivederlo. E l'idea non mi dava più così tanto fastidio.
«Stavo scherzando» scuote la testa, «Comunque, passavo di qui, e mi chiedevo se avessi bisogno di un passaggio.»
Lo guardo confusa. Dò un'occhiata alla fermata dell'autobus, dove si trova il mio ex, poi tornare a guardare Noah.
«Davvero?» chiedo, perché non sono sicura se stia facendo sul serio.
«Sì. Siamo non-nemici, ricordi?» mette la testa da un lato.
«Già... okay, avrei davvero bisogno di un passaggio» ammetto.
«Allora... vieni con me se vuoi vivere» dice con un tono di voce strano, incamminandosi verso il parcheggio.
Ridacchio nervosamente, perché quella citazione è proprio azzeccata: non so se riuscirei a sopravvivere a John. Arrivati alla Jeep di Ross, sento qualcuno gridare il mio nome.
Alzo lo sguardo e incontro quello del mio incubo peggiore. I suoi occhi azzurri guardano i miei, e quando vedo che sta cominciando a venire verso di noi, entro nella macchina e chiudo forte la portiera.
«Metti in moto» dico a Noah.
«Aspetta, devo-»
«Metti in moto, ho detto!» sbotto, un po' più forte.
Lui obbedisce e mette in moto, per poi sfrecciare fuori dal parcheggio.
«Ma allora stavi davvero scappando da qualcuno!» esclama, mentre io mi metto a guardare fuori dal finestrino, «Scappavi da John?»
«Cosa?»
No, ti prego Noah, anche tu?
«Sì, quel ragazzo che ti fissava... scappavi da lui no? Si chiama John» alza le spalle.
«Lo conosci?» chiedo confusa.
«Sì... eravamo amici.» dice, con un tono di voce strano - decido di interpretarlo come disgusto.
«Eravamo?»
«Tutti fanno degli errori. Tu invece perché lo conosci?»
«È... un amico di mio fratello.» mormoro.
Non è una bugia, ma non è nemmeno tutta la verità. Lui annuisce e per il resto del tragitto non diciamo più niente, ma il silenzio non è imbarazzante.
Eravamo amici. Come ha potuto essere amico di John? Ma che dico, è vero che tutti fanno degli errori, e poi anche io ci sono cascata, quindi non posso giudicarlo.
«Eccoci» dice, mentre ferma la macchina.
«Grazie. Quanto mi costerà?» chiedo una volta uscita dalla macchina.
«Gratis per questa volta. Un po' di buone azioni non fa mai male» sorride, e dopo un cenno della mano se ne va, mentre io resto lì a guardarlo, rapita dal modo in cui i suoi capelli ricci gli ricadevano sulla fronte.
Eccomi ❤️
Scusate se non ho aggiornato ieri, ma ho avuto un sacco di cose da fare 🥺🥺
Ditemi che cosa ne pensate ♥️
Baci
-Gaia ♥️
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