Una parte del mio cuore: "Si torna sempre dove si è stati bene." 3 episodio.
ᴀᴍʏʙᴇᴛʜ ᴍᴄɴᴜʟᴛʏ & ɢᴇʀᴀʟᴅɪɴᴇ ᴊᴀᴍᴇs
Episodio 3
Quando è morto mio padre, una parte di me si è spento per sempre. Una carezza, una parola dolce, un sorriso... Non ho avuto niente di tutto questo da lui. Non gli ho dato neppure l'ultimo saluto e la mia anima è spoglia, come gli alberi che costeggiano la strada di casa.
Scesi dall'auto con un foulard nero avvolto intorno alla testa. C'erano molte persone che avrebbero partecipato alla cerimonia funebre e appena m'inoltrai in quel luogo a me estraneo, mia madre corse a perdifiato per raggiungermi.
"Amybeth!" Mi strinse continuando a piangere, avvolsi le mie mani sulla sua schiena restando immobile. Poi si girò in direzione della bara. "Robert!" Urlò straziata. "Robert! Tua figlia è qui. Adesso è orfana."
Ha lasciato un vuoto dentro di me. Ha portato con sé quell'intimo desiderio che custodisco e che non mi sarebbe stato più restituito.
Non ho avuto il suo affetto prima, non l'ho anche in quel momento. Il mio cuore è come avvolto da uno strato di ghiaccio. Ma è più facile. Abituarti all'assenza di qualcuno se non ti sei mai sentita apprezzata. Vorrei essere stata accarezzata almeno una volta. E che abbia detto sono orgogliosa di ciò che sei. Vorrei che fosse stato tanto generoso nel mostrare il suo amore quanto nel mostrare rabbia e rancore, verso chi avrebbe dovuto dire di amare.
"Spero che basti per tutti." Esalò mia madre che mi sedeva accanto. "Spero che piaccia."
Dalila distribuiva del cibo su un vassoio, mi invitò ad assaggiare con un cenno della testa.
"No, Dalila, non lo voglio."
"Non mangi? Devi mangiare." Sentenziò mia madre con fare premuroso, poggiando poi il piatto sul tavolo.
"Amybeth, stai bene?" Guardai la mora alla mia destra che mi strofinava la mano sulla spalla.
Increspai un sorriso.
"Sto bene, Dalila, davvero"
Mia madre mi accerchiò le spalle. "Tesoro, vuoi stenderti un po'?" Poi si rivolse alla mia amica. "Dalila, puoi trasportare i suoi bagagli? Questi ragazzi avranno viaggiato molto."
Stava per alzarsi, ma bloccai prontamente prendendole la mano. "Non è necessario. Siediti, non resterò mamma. Devo ritornare in città."
"Intendi..." Si accostò di più. "Cosa intendi? Non vuoi vegliare insieme a noi per l'anima di tuo padre?" Piegai la testa. "Pensaci. Non avere fretta."
Mi tolse il bicchiere d'acqua dalle mani e si allontanò verso la cucina.
L'osservai in silenzio.
"Amybeth, non hai mangiato nulla dal tuo arrivo, mangia un po'..." M'implorò dolcemente Dalila spingendomi la forchetta contro le labbra. Ma mi feci indietro storcendo il volto per rifiutare quel boccone ripugnante.
"Dalila. Non riesco a mangiare. Mi fa venire la nausea."
Restò interdetta.
"Hai la nausea?" Posò il piatto e si coprì la bocca. "Cosa? Davvero?" La guardai ancora increspando un lieve sorriso. "Sei incinta?"
Scossi la testa.
"Oh mio Dio! Mamma! Non ce l'ha nemmeno detto!" Esclamò voltandosi verso la madre e poi mi buttò le braccia al collo. "Amybeth." Quando slegammo il contatto mi fissò felice e mi toccò l'addome. "Sono così felice per te."
"Amybeth..." Esordì mia madre di ritorno dalla cucina mentre si accomodava.
"Congratulazioni, eh." Sputò subito la madre di Dalila. Mia madre le lanciò un'occhiata confusa. "Dio prende una vita e né da un'altra. Ti auguro un parto indolore e un bambino sano."
Sentivo la sua espressione ferita puntata sulla mia figura. Rialzai gli occhi incatenandoli ai suoi. All'inizio non aprí bocca, restò a contemplare il vuoto con espressione delusa. Poi tornò a parlare, cercando di non mostrarlo.
"Con la morte di Robert..." Gesticolò con le mani. "Tutto si è susseguito e mi è passato di mente." Mi posò la mano sulla schiena. "Stavo per dirvelo."
Mi sentivo un essere vile e riprovevole. "Me ne sono dimenticata. Perdonatemi." Continuò ponendosi la mano sul petto, poi trasse un respiro e si piegò sulle ginocchia.
Osservai il patio dove giocavo da bambina e tutto era così lontano. Quell'epoca di giochi era finita.
"Grazie per essere venuto."
Lucas le strinse cordialmente la mano, mentre davo le spalle ad entrambi.
"Chiamami se hai bisogno di qualcosa." Mi guardò.
"Tesoro, ti aspetto in macchina, va bene?" E si incamminò verso quella direzione.
"Avvisami quando arrivi, va bene, Amybeth? Non farmi stare in pensiero." Disse mia madre esortandomi a camminare mentre mi sfiorava delicatamente il braccio. Cercò di accompagnarmi con passo sofferente, ma la fermai, prendendole una mano.
"La mia gravidanza è un po' rischiosa e domani devo fare un controllo, per questo non posso restare."
Mi sorrise con gli occhi lucidi accarezzandomi la pancia. Poi riprendemmo a camminare.
"Va bene, prenditi cura di te." Si dispose di fronte a me. "Amybeth... Perché non me l'hai detto prima degli altri?" Non era arrabbiata, solo delusa. "Perché non mi hai detto ch'eri incinta?"
"L'abbiamo saputo solo da qualche mese. Non ho avuto alcuna possibilità."
"Bene." Mi sorrise. "Altrimenti me l'avresti detto, vero?" Dichiarò speranzosa. "Che bella notizia, mi renderai nonna! L'avresti mai detto, vero, Amybeth? E tu ch'eri convinta che non sarebbe mai successo..."
"Sì. Lo so." Risposi. Mi abbracciò nuovamente, ridendo sulla mia spalla. Poi rivolse gli occhi al cielo emozionata.
"Mamma..." Ci fermammo per l'ennesima volta. "Che cosa hai intenzione di fare qui da sola ora che papà non c'è più?"
Mi strinse il mento con dolcezza. "Questa è la mia casa, tesoro. Qui ci sono i nostri ricordi più belli." Guardò dritto davanti a lei. "E poi non sono sola. Ci sono i nostri vicini, gli animali e la tomba di mia madre." Alzò gli occhi. "E il tuo ciliegio. Sono come una vecchia quercia, qui ci sono le mie radici. Nessun posto può essere chiamato paradiso, al di fuori di questo." Si accostò mentre fissavo quel patio polveroso. "E se vorrai tornare un giorno..."
La guardai, in silenzio.
"Tu dici?" Domandai con riluttanza.
"Tesoro, non puoi saperlo. Sappiamo da dove proveniamo." Mi mise una mano sulla spalla e l'accarezzò. "Ma non sappiamo dove riposeremo. Inoltre hai bisogno di una casa in cui puoi tornare." Mi strinse forte la mano nella sua. "Io non ho mai avuto una casa. Voglio che tu ne abbia una."
"Fa freddo, entra." Le dissi.
"No, va bene." Tossí. "Aspetterò fino a quando non te ne andrai."
"Stai tossendo. Ti ammalerai." Tossí più forte, coprendosi con il suo foulard.
"Prendi questi, mamma."
Lasciai scivolare dei soldi nella sua tasca.
"Amybeth." Mi fissò con gli occhi sgranati.
"Prendi. Questi sono per le spese funebri." Insistei piegandomi verso il suo volto.
"Questo è inappropriato! Per favore!" Protestò debolmente.
"No, potresti averne bisogno."
Sbuffò.
"Va bene, grazie."
"Entra adesso." Le ordinai.
Contemplò il mio volto, voleva che restasse impresso nella sua mente, poi mi strinse in un altro abbraccio colmo di desiderio e di rimpianto. Mi lasciò salire in macchina e mi salutò da lontano.
Ho lasciato qualcosa in quel sentiero polveroso e in quegli occhi abbattuti. Il mio cuore. Mia madre ora si sente responsabile nei miei confronti, vuole essere uno scudo, l'ho capito quando è morto mio padre. Ancora una volta, fuggo da lei e dalle mie responsabilità. Ma questo non poteva durare a lungo. Perché stavo per diventare madre e a quel punto avrei compreso cosa significava penare.
Non c'è cosa più celestiale di un viso paffuto e di un pugno in bocca, chiuso però in una teca di cristallo. Così lontano per poterlo sfiorare.
"Lentamente, cara..." M'istruí Lucas mentre percorrevo quella strada in direzione di un vetro spesso. Il mio passo era incerto, non avevo ancora superato i postumi dell'operazione.
"Dov'è lui?" Chiesi. Le due donne mi fecero spazio.
"Guarda! È bellissimo."
Le mani di mio marito erano avvolte attorno alle mie braccia mentre osservavo rapita quel piccolo esserino che piangeva e si agitava nell'incubatrice. Non riuscivo a contenere le emozioni, ero sopraffatta. Stavo assaporando una gioia che credevo non mi appartenesse.
Lucas continuava a baciarmi i capelli.
"Non è troppo piccolo?" Chiesi con voce tremante ai presenti.
"Niente affatto. Eri così quando sei nata." Rispose mia madre, mentre spostavo lo sguardo sul mio ometto, che si muoveva convulsamente. "Crescerà. Diventerà forte."
"Quando posso prenderlo? Vorrei tanto abbracciarlo."
"Ricordi cosa ci ha detto il dottore, cara?" Intervenne Lucas. "Prima deve riposare, dopo potremo prenderlo in braccio. Giusto, Geraldine?"
Sono incantata da lui, mi ha fatto perdere la testa. È bello come suo padre, è vispo, inteliggente e da grande può fare grandi cose.
"Certo che lo faremo." Mi sfiorò la mano. "Che carino. Il mio primo nipote. È molto attivo."
Continuai a sorridere.
"Dai, tesoro. Sei stanca e hai bisogno di riposo. L'ha detto anche il dottore." Mi esortò lui, prendendomi dolcemente per le spalle.
"Non voglio smettere di guardarlo."
"Vedi?" Mi fece notare mia madre. "Ora capisci, Amybeth. Un figlio è la cosa più importante per una madre e per lui saresti capace di scalare un monte a mani nude. Ho sempre cercato di non farti mancare il mio affetto e di passare con te ogni momento libero." Le presi le mani e gliele strinsi. Tirai su con il naso. "Sì, che è giusto?" Mi domandò.
Mi umettai le labbra.
"Lo è davvero."
"Oh, tesoro! Riposati. E molto presto, te lo prometto, l'avrai fra le braccia."
Lucas mi diede un altro bacio sulla testa.
"Andiamo."
Mi bloccai, stringendole una mano. "Non andrai via, vero mamma?"
Mi fece un cenno con la testa emozionata e le sorrisi di rimando, prima che Lucas mi portasse verso la camera.
Avevo ritrovato ciò che di più caro stavo negando di possedere.
Poi l'oscurità, una possente mano nera mi agguantò il collo. Me lo stritolò e mi lasciò senza respiro. Stavo agonizzando come un animale per le vie deserte della mia anima e non c'era nessuno che potesse strapparmi quella sensazione. Una frase soltanto mi condannò. Me e i miei progetti. Non lo rividi più. Quell'essere fragile, debilitato e solo, chiuso in una prigione di vetro attaccato a dei tubi. Respirai affannosamente, stavo scivolando in acque sempre più torbide e fredde. Mi portai la mano sulla fronte ed ero in un bagno di sudore. Cercai di sollevarmi, sbattevo le braccia per non annegare, ma ricaddi tra le sue braccia. Non sentivo il suo richiamo spaventato, le voci intorno a me erano un ammasso di confusione senza importanza.
Il dolore piantonato nel cervello, nel cuore, in ogni parte del corpo era sul punto di uccidermi. Urlai così forte, le lacrime scendevano copiose e muovevo convulsamente le gambe. Stavo morendo lentamente, ero senz'aria con gli occhi sbarrati e rivolti al cielo.
Ero sorda alle parole di conforto. Mi strappai il nastrino rosso che adornava i capelli e piansi a lungo, per poter arginare la voragine che nessuno avrebbe colmato. Gli afferrai la camicia e mi portai la mano con il lavaggio attaccato contro la bocca.
I miei occhi erano vitrei e assenti mentre il mio corpo veniva trascinato attraverso il corridoio dell'ospedale in sedia a rotelle. Si fermò all'improvviso e si prostrò vicino al mio orecchio.
"Torno subito, va bene?" Mi riferii con dolcezza. "Vado un attimo fuori. Geraldine torni subito, puoi controllare Amybeth?" E si allontanò, ma il mio sguardo era puntato verso il nulla. Nulla aveva più senso. Non era importante. Mi sentivo uno scheletro privo di pelle, perché qualcuno me l'aveva sottratta.
Perché lui se n'era andato e mi aveva abbandonato. Senza calore o carezze che potessi ricordare di avergli lasciato.
"Amybeth..." Parlò, pettinandomi i capelli con cura. Vi appoggiò la bocca e mi baciò ma non mossi un muscolo. "Oh tesoro..." Mi accarezzò il viso. "Non essere triste, amore di mamma. Siete entrambi giovani. Potrete avere altri figli." Tentò di non piangere. "Guardami, per favore. Il signore ci ha tolto quel prezioso angioletto, ma ti ha fatto sopravvivere." Non smetteva di accarezzarmi. "Sono con te, amore di mamma." Mi baciò di nuovo la testa. "Non essere triste, per favore." Cercò di asciugarmi le lacrime. "Non essere triste."
"Basta!" Urlai a pieni polmoni, risvegliandomi all'improvviso mentre lei indietreggiava alle mie spalle atterrita.
"Non puoi proteggermi da tutto." Sbottai, respirando a fatica. "Non ho potuto..." Mormorai. "Non l'ho nemmeno tenuto tra le braccia prima che fosse... Oh, piccolo." Feci un altro respiro strisciandomi la pelle con le unghie. "Non mi hanno permesso di tenerlo una volta! Una volta."
"Amybeth, va tutto bene, amore mio." Sussurrò Lucas avvolgendomi le braccia contro il corpo.
"È morto! Capisci!? Volevo solo una volta!"
Mi sentii trascinare via, mentre la mia speranza si era definitivamente spenta come la luce della candela, avvolgendo la stanza di un buio terrificante.
Dopo quel giorno, non ho più visto mia madre per molto tempo. Trascorro le notti seduta sul divano a fissare il vuoto, quel dolore mi sta rendendo folle e mi conduce come la tempesta in una direzione che non avrei voluto varcare. Persino le cose che ho di fronte non riesco più a vederle. Non posso chiamarla e fare finta che qualcosa non sia andato a pezzi. Quel filo che ci tiene legate si sta lentamente spezzando.
Sono sempre più distante e un'automa ha preso definitivamente il mio posto.
Ci vuole tempo per accettare il dolore. Devi entrare nel suo cuore per curare le sue ferite e renderti conto che la vita continua ad essere un treno che corre veloce sui binari.
Spalancai quella vecchia porta cigolante e mi rividi da bambina. Cominciai a camminare tenendo saldamente fra le mani la mia unica valigia.
Osservai il patio e sembrava che quel paese dov'ero cresciuta non fosse cambiato di una virgola. Poi la vidi che scendeva le scale appoggiandosi al muro con fatica, con la testa avvolta da un fazzoletto e un secchio che lanciò lontano. Mi trattenni.
"Mamma." La chiamai con voce malferma.
S'immobilizzò, probabilmente non si aspettava di risentire la mia voce dopo tanto tempo, ma ero lì in carne ed ossa. Quando i nostri sguardi si incrociarono, iniziai a singhiozzare.
Mi guardò sorpresa con le labbra spalancate e gli occhi sgranati.
"Sono venuta."
Mi venne da ridere. Si coprí automaticamente la bocca e mi corse incontro con gli occhi colmi di lacrime.
"Sono qui."
Allargai le braccia e l'accolsi, stringendola al mio corpo così forte che temevo di spezzarla. Ma lei fortificò la stretta. La baciai sulla testa con gli occhi traboccanti di lacrime.
Mi staccai leggermente afferrandole la testa. Lei mi accarezzò i capelli.
"Tesoro. Mia amata Amybeth."
"Stai bene?" Le sussurrai con la voce rotta. Mi fece un cenno con la testa sorpresa. "Stai bene."
"Sto meglio." Riprese a piangere. "Adesso che sei qui molto meglio, Amybeth."
Si appoggiò sul mio petto e le avvolsi la schiena con le mie braccia, continuando a baciarle la testa.
Si staccò e mi accarezzò le guance con i pollici.
"Oh, tesoro! Vita mia. Dove sei stata? Ogni giorno sono morta sapendoti lontana." Poi tossí un'altra volta, mentre mi sporgevo per recuperare la borsa. "La porto io." Si offrì, ma la tosse cominciò a tormentarla.
"Posso portarla, mamma. Non è pesante."
"La prenderò io." Me la tolse dalle mani. "Fa' freddo, andiamo dentro."
Ci guardammo, quel legame era ancora lì, a tenerci legate.
Mi spinsi verso le sue braccia abbracciandola.
"Sei venuta..." Disse.
Le accarezzai la schiena, tirando su con il naso. Poi si staccò.
"Sei venuta..." Ripeté. "L'hai fatto di nuovo. Hai mantenuto la promessa."
Risi, mentre mi conduceva verso la porta senza lasciarmi la mano.
"Ma ora sei qui! Vieni, vieni..."
Entrai nella stanza e la vidi affaccendata ad aggiustare il lenzuolo del letto.
"Ho finito." Dichiarò raggiante.
"Non dovevi. Non dormirò qui."
Mi guardò, perplessa.
"Cosa intendi, Amybeth? Sei tornata adesso? Non ti lascerò!"
Scossi la testa.
"No! Dormirò tra le braccia di mia madre." Sorrisi. "In camera da letto."
Ridacchiò, sollevata.
"Bene. Il materasso è grande. Staremo comode." Mi superò per uscire. "Vedremo, Amybeth."
Restai un'attimo immobile ai piedi del letto immersa nei miei pensieri, prima di raggiungerla.
"Amybeth?" Afferrò la mia mano. "Oh, tesoro, voglio chiederti una cosa. Hai litigato con tuo marito?"
"No, mamma." Scossi la testa. "Non è così."
Mi osservò a lungo, come per scavare nella mia anima.
"No? Bene." Continuò. "Le chiacchiere di tua suocera non ti hanno infastidito, vero?"
"No, no, mamma. Nessuno ha detto niente." Negai ancora. "Mi stai spezzando il cuore adesso, sento che non mi vuoi qui!" Mi finsi offesa. Sorrise. Le presi il viso fra le mie mani. "Forse... Sentivo come se ti mancavo."
"Forse?" Aggiunse le sue mani, stringendomele poi fra le sue come per riscaldarle. "Non dire, forse! Tutti i figli mancano alle loro madri se sono lontani."
"Va bene." Tagliai corto. "Preparerò io il tavolo e mi occuperò della cena. Non fare niente, va bene?" Le ordinai seria.
"Bene."
"E partiremo domani."
Le sfiorai dolcemente il mento, prima di darle le spalle e allontanarmi.
"Mamma?" La chiamai sorridendole con le braccia giunte dietro la testa.
"Cosa c'è?"
Mi girai di lato, sostenendomi la testa con una mano.
"Qual è stato il discorso di mio padre a cena quella volta a Chicago?"
Ridacchiò felice, ricadendo più volte con la testa sul cuscino.
"Cosa ti sei ricordata adesso?" Si portò una mano contro le labbra e si sistemò su un fianco.
"Amybeth. È..." Si interruppe, continuando a ridere. "I suoi capelli erano neri come il carbone. L'uomo entrò nel bagno e si mise a tingersi i capelli. Dovevi vederlo!" Si accostò e sussurrò. "Sembrava una melanzana arrostita." Scoppiai a ridere. "Ma avevo talmente paura." Guardai il suo volto rilassato, poggiato sul cuscino e un pensiero mi balzò alla testa.
"Mamma, perché papà non ci ha mai amato?"
Tornò seria e mi prese il viso.
"Certo che ti ha amata. Chi non può amarti? Ti ha amata e l'ha fatto fino all'ultimo suo respiro. Ma sapeva solo esprimere il suo amore a modo suo." Abbassai gli occhi. "Il giorno in cui ti ho dato alla luce era eccitato e molto felice. Il giorno dove ogni sogno si è realizzato. Tuo padre ha distribuito dolci in tutto il paese. A tutti! Lo sapevi questo?" L'ascoltai attentamente. "La gente diceva che non ero in grado di partorire, che una pietra l'avrebbe fatto per prima. Si offese ma lo tenne per sé." I suoi occhi brillavano per l'emozione.
"E quando sei nata, ha detto: ci ha fatto aspettare a lungo, come se non volesse nascere. Come se tu avessi paura di ciò che poteva donarti il mondo. Ma eri talmente bella e perfetta che ha deciso di chiamarmi Amybeth. Perché il sole ti aveva accolto come i girasoli in estate." "Avrei voluto che mi avesse mostrato quell'amore. Avrei..." Sussurrai.
Mi stesi nuovamente di schiena, incrociando le braccia sotto la testa.
"In qualche modo..." Strinse le labbra. "Visse l'uomo di nome Robert."
Guardai il soffitto, in silenzio.
"Amybeth?" Si avvicinò preoccupata.
"Perché sei venuta da sola? Perché Lucas non è con te?"
Roteai gli occhi.
"Lucas e io non siamo gemelli siamesi. Non dobbiamo stare insieme tutto il tempo. Ognuno ha i propri spazi."
"Sì, dovreste stare insieme tutto il tempo. Godere dei preziosi momenti. Perché siete sposati, tesoro." Mi rimbeccò. E sorrisi caldamente. "Adesso, è meglio dormire. Sono stanca per il viaggio."
"Non provare a cambiare discorso."
"Non l'ho fatto."
La guardai dritto negli occhi per confermare la mia innocenza e lei ridacchiò.
"Bene allora... Hai freddo?" Mi strinse una mano. "Le tue mani sono fredde." Si sporse per spegnere la lampada e il buio avvolse completamente la stanza. "Bene, buona notte."
Stava per addormentarsi, spostai un braccio e mi strinsi al suo petto, abbracciando quella sensazione di calore di cui per troppo tempo ero stata orfana.
"Buon lavoro." Esordii dopo aver varcato la soglia di un piccolo negozio di stoffe. Passeggiare per le vie, salutare qualche passante, contemplare alle prime luci del giorno il paesaggio e i suoi dintorni mi stringeva la gola per l'emozione. Avevo rinnegato le mie origini e i miei modi rozzi per convertirmi in una donna di città, ma in realtà nelle mie vene scorreva quel sangue.
"Grazie. Cosa...?" La proprietaria si fermò di colpo, dipingendosi sul volto un'espressione meravigliata.
Feci un passo avanti sorridendole.
"Amybeth?" Mi abbracciò entusiasta. "Santo cielo! Benvenuta cara amica mia. Quando sei arrivata qui?"
"Ieri."
"Sì?" Scossi la testa, in risposta. "È vero!" Esclamò. "Non era possibile che tu non tornassi più qui?" Mi accarezzò una spalla. "Devi essere molto felice ora. Sono contenta, AB." Ingoiai un po' mentre mi prendeva la mano e indicava uno sgabello.
"Siediti, parliamo. Cosa ti offro? Tè o caffè? Cosa si beve più a Chicago?"
"Grazie, Dalila. Non voglio niente. Che ne dici di andare a fare un giro?" Inarcò un sopracciglio. "Per respirare un po' di aria fresca."
"Bene. Vogliamo andare al nostro solito posto?" Propose.
Sorrisi. "Certo."
"Bene."
"Dai, Beth. Vieni qui. Non ti allontanare." La piccola ci corse incontro sulla spiaggia e le prese la mano. "Mi manchi così tanto, AB."
Le sorrisi, con le mani nelle tasche del cappotto mentre l'aria salmastra mi muoveva gentilmente i capelli. "Avevo programmato di venirti a trovare a Chicago. Ma ogni volta succede qualcosa. E ho pensato che comunque saresti ritornata." Chinai la testa pensierosa. "E guarda, sei qui adesso." Continuai ad affondare gli stivali nella sabbia in silenzio. "Ehi, sei venuta da sola? Tuo marito?"
Sospirai.
"Non iniziare a parlare come mamma, Dalila."
"Certo che lo farò. Non sono la tua migliore amica?" Mi apostrofò. "Sei mia sorella. Un problema tuo è anche mio."
Le feci un sorriso riconoscente, prima che il cellulare squillasse nella tasca. Vidi il mittente e con espressione seccata staccai.
"Amybeth?"
Mi voltai di scatto, spostandomi i capelli dal viso.
"Cosa?"
"Sei felice?"
"Perché mi stai facendo questa domanda?" Le toccai il braccio e mi allontanai. "Certo che sono felice."
Mi sedetti su una roccia e lei mi seguí a ruota.
"Sei felice tu?" Le domandai di rimando, guardandola di sottecchi.
"Non lo so." Prese la borsa e tirò fuori un pacco di sigarette. "Penso di sì. Ti ricordi quando ti ho detto al liceo che volevo sposare un uomo bello?" Guardai la sabbia bianca sotto di noi, con le mani giunte. "L'ho sposato." Fece un tiro e sbuffò un po' di fumo. "Poi ho dato alla luce Beth."
"Beth..."
Fissai quella meravigliosa creatura dai capelli biondi che tirava sassi dalla sponda e un ricordo mi punse il cuore.
Dalila abbassò la testa, colpevole.
"Ho saputo del..." Mi riscossi torcendomi le dita. "Mi dispiace per il tuo bambino." Mi toccò la gamba con premura. "Ma non lasciarti sopraffare dalla disperazione, va bene AB?" Poi esclamò. "Ehi, ti ricordi Susan? Ha dato alla luce un bambino dopo tre aborti." Mi accarezzò la schiena su e giù. "Non essere triste."
"Vedremo." Tagliai corto. "Sarà quello che deciderà il destino." Continuai a fissare la sua incantevole bambina, poi ruppi il silenzio che si era creato. "Dali?"
"Sì?"
"Ti sei mai pentita di essere rimasta in città?"
"No, perché dovrei pentirmi? Perché qualcuno sta da qualche parte, AB?" Mi guardò negli occhi. La incitai a continuare, stando in silenzio. "Perché è felice lì e non ha bisogno di nient'altro. Sono rimasta qui per lo stesso motivo per cui tu te ne sei andata."
Ci pensai su. "È vero." Mormorai. Trassi un respiro. "Me ne sono andata."
Piegai la testa sulle gambe.
"Beth! Vieni qui! Basta giocare! I tuoi piedini si congeleranno!" Rialzai gli occhi e guardai l'orizzonte. "Sii obbediente, piccola! Non vorrai prenderti un malanno!"
"Dali." La richiamai. Tirai su con il naso. "Prenditi cura di mia madre."
Mi osservò, stranita.
"Cosa intendi dire? Eh? Non capisco..." La guardai. "Tua madre è mia madre. Siamo una famiglia, Amybeth."
Le sorrisi e le tolsi dalle dita la sigaretta.
"Lo siamo. E lo saremo per sempre." Appoggiai una mano sulla sua spalla. "Grazie, non lo dimenticherò." Me la portai alla bocca e feci un tiro.
"AB... dimmi la verità." Insisté, muovendosi convulsamente sulla roccia. "C'è qualcosa che mi stai nascondendo? Che ti preoccupa?"
Le toccai la gamba.
"No, no, calmati. Non c'è niente. Dobbiamo decidere alcune cose insieme. Ora andiamo, si gela qui."
Abbassò la testa.
"Grazie al cielo." Tirò su col naso e la fissai. "Bene, dai. Andiamo."
Rivolsi uno sguardo alla sabbia.
"Beth! Andiamo!" Richiamò la bambina che corse subito verso di lei e ci alzammo entrambe dalla roccia.
Mia madre era al settimo cielo, mi mostrava ai nostri vicini come il brillante più prezioso che possedeva.
Il paese non era stato più colorato mentre a braccetto davamo un'occhiata alle vetrine. La convinsi ad acquistare un cappotto più pesante, trascorremmo delle ore a farle provare ogni genere di cappotto e lei era entusiasta delle mie scelte. Facemmo un book fotografico così che potesse conservare quelle foto e ricordarsi di quel momento bellissimo, ma quando il velo della tristezza adombrava il mio volto ciò che mi volevo lasciare alle spalle tornava a farmi visita.
"Amybeth?" Mi richiamò mia madre. "Non hai trovato niente da mangiare a casa, vero? Ecco perché mi hai portato qui." Increspai un sorriso. "Sono pigra a cucinare solo per me. Ma avrei preparato volentieri qualcosa per la mia bellissima figlia." Poi mormorò per non farsi sentire dagli altri tavoli. "Non erano necessarie queste spese..."
Mi sporsi.
"Mamma cara, mi hai cresciuta e hai voluto che avessi un'educazione migliore della tua. Non pensi di meritare questi premi?"
"Dovrei?" Si chiese.
"Certo che dovresti."
Un sorriso colmo di soddisfazione le riempì le labbra.
"Bene, voglio provare questo dolce. Sembra delizioso." Iniziò a tagliare una fetta sotto i miei occhi attenti. "Dovresti mangiare anche tu."
Distolsi il viso quando il cellulare squillò. Era lui.
Mia madre osservò sospettosa il mio gesto, stavo rifiutando insistentemente quelle chiamate. Girai il telefono e la guardai, ma non disse una parola.
"Mamma... Mamma." Cercai di asciugarmi in fretta le lacrime e la vidi varcare la soglia ansiosa.
"Cosa c'è, piccola?"
Si avvicinò al mio letto mentre pettinavo i capelli della bambola, lasciandoli scivolare fra le dita.
"Mamma, non tenerla più. Non c'è nessuno che ci possa giocare."
"Tesoro." Prese posto accanto a me. "Tesoro..." Mi posò dolcemente la mano sulla spalla. "Mia dolce bambina. Da quando sei venuta qui..." La guardai. "Mi hai confortato tutto il tempo. Ma non riesci a consolarti." Piegai la testa con gli occhi lucidi e scavati da profonde occhiaie. "Ci sono molti pensieri nella tua testa, pensi che non lo sappia? Una madre sa sempre tutto della propria bambina. Anche quello che non dice." Rialzai la testa di scatto e cominciai a piangere.
"Amybeth..." Mi passò delicatamente la mano fra i capelli. "Per l'amor del cielo. Per favore, non stare così male." Mi prese il viso. "Non preoccuparti, sei ancora giovane. Puoi avere molti figli."
"Avrò dei bambini, vero?" Le chiesi con le guance bagnate. "Avrò dei figli. Correranno nel cortile." Sorrise alzando gli occhi, come se li stesse immaginando in quel momento. "Rincorreranno il pollo. E li inseguirai per dar loro da mangiare."
"Certo che lo farai! Sarò stanca! A tenere un cucchiaio in mano e a dire..." Gesticolò con le mani. "L'aereo sta arrivando!" Ridacchiai, ancora scossa dai singhiozzi. "Abbi cura di te ora. Vuoi del latte caldo? Ti aiuterà."
Feci un cenno con la testa.
"Va bene."
Sollevò la bambola all'altezza del suo viso.
"Questa non va' da nessuna parte, signorina. L'avrà mia nipote l'anno prossimo. Ne sono sicura."
Il mio viso si oscurò di più mentre appoggiava la bambola sul letto e lasciava la stanza.
La presi e l'appoggiai sul comodino al solito posto, prendendo poi un diario che avevo da bambina. Sfogliai le pagine, una dopo l'altra, riattaccando una piccola farfalla verde.
Poi ritrovai una calligrafia diversa sulle pagine successive.
𝓞𝓰𝓰𝓲 𝓶𝓲𝓪 𝓯𝓲𝓰𝓵𝓲𝓪, 𝓐𝓶𝔂𝓫𝓮𝓽𝓱, 𝓮' 𝓪𝓷𝓭𝓪𝓽𝓪 𝓪 𝓒𝓱𝓲𝓬𝓪𝓰𝓸.
𝓡𝓮𝓪𝓵𝓲𝔃𝔃𝓮𝓻𝓪' 𝓲𝓵 𝓼𝓾𝓸 𝓼𝓸𝓰𝓷𝓸.
𝓓𝓲𝓿𝓮𝓷𝓽𝓮𝓻𝓪' 𝓾𝓷𝓪 𝓫𝓻𝓪𝓿𝓪 𝓲𝓷𝓼𝓮𝓰𝓷𝓪𝓷𝓽𝓮.
𝓜𝓲 𝓶𝓪𝓷𝓬𝓪. 𝓜𝓲 𝓶𝓪𝓷𝓬𝓪 𝓬𝓸𝓼𝓲' 𝓽𝓪𝓷𝓽𝓸.
Girai un'altra pagina.
𝓢𝓸𝓷𝓸 𝓪𝓷𝓭𝓪𝓽𝓪 𝓭𝓪𝓵𝓵𝓪 𝓼𝓲𝓰𝓷𝓸𝓻𝓪 𝓔𝓵𝓲𝔃𝓪.
𝓛'𝓱𝓸 𝓼𝓾𝓹𝓹𝓵𝓲𝓬𝓪𝓽𝓪 𝓭𝓲 𝓪𝓬𝓬𝓮𝓽𝓽𝓪𝓻𝓮 𝓲𝓵 𝓼𝓾𝓸 𝓶𝓪𝓽𝓻𝓲𝓶𝓸𝓷𝓲𝓸. 𝓗𝓸 𝓼𝓮𝓶𝓹𝓻𝓮 𝓽𝓮𝓷𝓾𝓽𝓸 𝓵𝓪 𝓽𝓮𝓼𝓽𝓪 𝓪𝓵𝓽𝓪. 𝓜𝓪 𝓹𝓮𝓻 𝓲𝓵 𝓫𝓮𝓷𝓮 𝓭𝓲 𝓶𝓲𝓪 𝓯𝓲𝓰𝓵𝓲𝓪 𝓮 𝓹𝓮𝓻 𝓵𝓪 𝓼𝓾𝓪 𝓯𝓮𝓵𝓲𝓬𝓲𝓽𝓪̀, 𝓱𝓸 𝓬𝓱𝓲𝓷𝓪𝓽𝓸 𝓵𝓪 𝓽𝓮𝓼𝓽𝓪. 𝓥𝓸𝓰𝓵𝓲𝓸 𝓬𝓱𝓮 𝓼𝓲𝓪 𝓯𝓮𝓵𝓲𝓬𝓮, 𝓼𝓮 𝓭𝓮𝓿𝓮 𝓮𝓼𝓼𝓮𝓻𝓮 𝓸𝓻𝓯𝓪𝓷𝓪 𝓵𝓸 𝓼𝓪𝓻𝓪̀.
Nuovi singhiozzi mi scossero e mi coprii la bocca con la mano.
"Mamma..." Mi sfuggí dalle labbra ormai secche.
Respirai forte, continuando a girare le pagine con gli occhi gonfi e rossi.
Sull'ultima pagina.
𝓜𝓲𝓪 𝓯𝓲𝓰𝓵𝓲𝓪 𝓱𝓪 𝓹𝓮𝓻𝓼𝓸 𝓲𝓵 𝓼𝓾𝓸 𝓫𝓪𝓶𝓫𝓲𝓷𝓸 𝓸𝓰𝓰𝓲.
𝓒𝓪𝓻𝓸 𝓓𝓲𝓸, 𝓼𝓮 𝓼𝓮𝓲 𝓬𝓪𝓻𝓲𝓽𝓪𝓽𝓮𝓿𝓸𝓵𝓮, 𝓹𝓮𝓻 𝓯𝓪𝓿𝓸𝓻𝓮, 𝓵𝓪𝓼𝓬𝓲𝓪 𝓬𝓱𝓮 𝓺𝓾𝓮𝓼𝓽𝓸 𝓼𝓲𝓪 𝓲𝓵 𝓷𝓸𝓼𝓽𝓻𝓸 𝓹𝓲𝓾̀ 𝓰𝓻𝓪𝓷𝓭𝓮 𝓭𝓸𝓵𝓸𝓻𝓮.
Non riuscii a leggere più niente.
Gettai il diario sulla coperta e piansi senza più controllo fino a rimanere a corto di respiro e... di lacrime.
Un dolore inespugnabile, che neppure la sua vicinanza avrebbe mai sconfitto.
**Fine terzo episodio**
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