Voci dell'Est

Il vomito era denso, viscido e di una lieve sfumatura verdastra. Un altro conato giunse a riempire il palato di Daenerys e allora lei, come tutte le altre volte, non potè fare altro che piegarsi in due e depositare tutto quel luridume nella latrina. Ecco un'altra meraviglia da aggiungersi alla lista nella villa di Illyrio: una complessa rete di tubature, pagata a chissà quale prezzo, depositava gli scarichi direttamente nelle fognature. Nei Sette Regni solo i lord più benestanti potevano permettersi tale lusso, anche se vasi da notte e pitali da latrina continuavano a venire utilizzati nelle loro nobili dimore.

Dany scosse la testa e si preparò a vomitare ancora. Nonostante l'ora tarda e il fatto che domani la sua mamma dovesse incontrare le persone più rinomate del Continente Orientale, Jaehaerys voleva farsi sentire. Con i suoi zoccoli di puledrino agitato scalciava e faceva contorcere le viscere di Daenerys. Lei si portò le mani al ventre e respirò affannata mentre la tregua dal vomito aveva - così sperava - inizio.

Almeno non tiri fuori una cascata come i tuoi fratelli. No, decisamente no. Quando avevano portato in grembo i gemelli i primi mesi erano stati per Dany un calvario di vomitate, piedi gonfi e rimpinzante di fichi. E, sebbene nessuna sua gravidanza l'avesse mai fatta aumentare di peso, allora si era sentita ogni giorno gonfia come una balena. Lo Stallone che Monta il Mondo si distaccava di netto da tutto ciò, sebbene i suoi calcetti non si potessero del tutto definire rilassanti. Jaehaerys sembrava perennemente agitato, ansioso di uscire dal suo bozzolo e di andare alla scoperta del mondo.

Un raggio di luna entrava obliquo dalla finestra della sala da bagno, colpendo il pavimento di marmo e lustrandolo di pura luce bianca. La notte era al suo culmine, fitta, nera e gocciolante di stelle mentre una lattea luna piena scrutava ogni cosa dall'alto. Dietro le finestre di altre case rilucevano i chiarori dei focolari e gatti, mille e ancor di più, vagabondavano sui tetti, portando con sé i più intimi segreti dei cittadini di Pentos. Di giorno, Pentos era un alveare ronzante di vita, sguazzante nell'oro, nelle sete e nel sale marino delle sue navi, di notte assumeva invece le fattezze di una sacerdotessa, silente, misteriosa e intrigante.

Dany poggiò la fronte madida di sudore sul bordo della latrina. Malgrado fosse imbottita di morbido raso, la seggetta le sembrava ora permeata della puzza del vomito. Avrebbe chiesto scusa a Illyrio la mattina seguente a colazione, se Jae non avrebbe avuto altre intenzioni naturalmente. Gli occhi gialli di un gatto nero come la pece si accesero a osservarla nel buio, appollaiati sulla medesima finestra che fungeva da fonte di luce. La bestiola miagolò e si leccò una zampa per poi dileguarsi e mimetizzarsi con le tenebre.

Un bussare e una voce aldilà del legno. "Dany? Stai bene?"

Jon. Dany rialzò il capo e puntò gli occhi verso la porta, maledicendosi mentalmente per averlo svegliato. Non voleva che le sue spalle accumulassero altra tensione oltre a quella già dovuta alla situazione del loro Impero. Massaggiandomi la fronte gli rispose: "È soltanto il nostro piccolo khalakka che ha voluto farmi una sorpresa. Nulla di grave sta tranquillo, torna a dormire piuttosto."

Jon non si mostrò obbediente. L'uscio fu spalancato e la sua figura comprare sulla soglia completamente nuda. Dany divorò con gli occhi il suo uccello sventolato all'aria, ma non potè trattenere un sorriso dinanzi allo stato in cui vessavano i capelli del suo sposo. Jon Snow aveva in testa un cespuglio dalle fronde scure che nessun pettine sarebbe stato in grado di domare.

Non appena la vide chinata sulla latrina accorse subito da lei, inginocchiandosi al suo livello. "Daeron mi ha destato bisognoso di un cambio di panni e ho notato che tu non eri nel letto. Ti senti male? Riesci a reggerti in piedi? Se domani ti sentirai indisposta parlerò io con quei signori a nome di entrambi..."

"No, no..." Dany scosse la testa. Le sue ciocche biondo-argentee ondeggiarono nell'aria. "Ormai con le nausee ci ho fatto l'abitudine e Jae sembra amare particolarmente la sera e il pomeriggio. Domani sarò abbastanza in forze da presenziare, stai tranquillo Jon."

Jon non sembrò convinto fino in fondo e la strinse dolcemente a sé. Dany si perse nella levigatezza dei suoi muscoli e nel calore delle sue braccia. Il bacio che arrivò sul suo capo poi, siglò tutto l'amore che lui provava per lei. "Sei sicura? Non voglio che tu patisca inutilmente, potrai rimanere qui, al sicuro."

"Sicura Eggy." Il cuore battente del suo amato la stava cullando, una nenia prorompente di amore. Dany chiuse gli occhi e lasciò che anche l'ultima sensazione di vomito abbandonasse il suo palato. "Ho vissuto altre cinque gravidanze e so cosa mi aspetta, a discapito di tutte le fantasie che la tua mente sempre in ansia può ideare. Adesso portami a letto, sono stanca."

E fu così che, caricata nelle braccia di Khal Aegon, Daenerys ritornò sotto le coperte.






Il giorno seguente, nella piazza principale di Pentos, non vi era posto nelle pedane in legno che non fosse occupato. Ogni personalità illustre di Essos si era diretta verso Pentos, trovando posto nelle locande, nelle magioni di amici facoltosi, nelle bettole e nei bordelli. Le loro vesti frusciavano una contro l'altra, il loro vociare assomigliava al ronzare di insetti e i gioielli alle loro dita, alle loro gole e ai loro lobi scintillavano al sole mattutino. Su una poltrona foderata di soffice damasco il Signore del Mare di Braavos sedeva circondato dalle sue guardie del corpo, rivestito di cotta di maglia e d'acciaio bollito. L'arconte di Tyrosh sostava poco più in là con un turbante porpora sulla nuca pelata e nella fila degli emissari di Norvos si alteravano magistri e preti barbuti con le loro famose e incolte barbe.

Ma tutte quelle voci si spensero non appena Aegon e Daenerys Targaryen comparvero sulla scena mano nella mano. Lui esprimeva autorevolezza aspra e dura come gli scogli nella sua giubba nera e rossa, i colori tradizionali di Casa Targaryen. Una spilla a testa di drago brillava sulla sua spalla e la corona dalle spadine bronzee e metalliche alternate faceva altrettanto. Lei invece era l'immagine stessa della regalità, abbagliante nel suo strascico vermiglio e nelle sbuffanti spalline nere che lasciavano le sue spalle e le sue braccia scoperte. La corona di Aegon il Conquistatore cingeva i suoi delicati fili oro-argentei.

Le Loro Grazie salirono gli scalini di legno fino a raggiungere la pedana a loro destinata e sedersi sui loro scranni. Le mani della regina ricaddero dolcemente sul suo grembo mentre il Re si schiariva la voce. "Possiamo iniziare presumo. Io e l'Imperatrice e Khaleesi mia sposa rinnoviamo i nostri più sinceri ringraziamenti a tutti voi per essere convenuti qui in questa giornata decisiva per le sorti di Essos e di Westeros. Molti di voi si staranno chiedendo perché mai vi abbiamo riuniti tutti qui e, la risposta è semplice, ma volete illustrarla voi amore mio?"

"Certamente marito." Jaehaerys ti prego, sta buono. Si massaggiò la pancia. "Trecento anni or sono Aegon il Drago approdò sulle sponde dell'Ovest con un solo obbiettivo in mente: sottomettere una moltitudine di reami perennemente in guerra fra di loro al suo potere e forgiare un regno dove regnassero la concordia e l'armonia. Così fece. Il fuoco di Balerion, Vaghar e Meraxes purificò Westeros e diede vita a una nuova era all'insegna dell'unione. I Regni del Tramonto prima della Conquista mi ricorda terribilmente Essos sapete? Così effimeri, così pronti a uccidere a fil di spada alla prima occasione."

Fu Jon a continuare, i suoi lineamenti induriti dalla serietà. "Voi abitanti delle Città Libere siete sempre pronti a sputare veleno le une sulle altre, ma vi siete mai fermati a riflettere un attimo sulle vostre origini. Voi eravate il sangue di Valyria, il seme dei Signori dei Draghi e un tempo vivevate tutti unit sotto il vessillo del Drago e del fumo. Ma adesso? Adesso avete dimenticato le vostre radici, le avete fatte appassire e vi siete cuciti addosso dei nomi per diversificarvi quando in realtà nelle vostre vene scorre lo stesso identico sangue. Lyseniani, volantiani, tyroshi, braavosiani... cosa sono se non soltanto dei nomi?"

"Sono identità!" Esclamò il Signore del Mare alzandosi dal suo morbido seggio. "E Braavos, se le Loro Grazie mi permettono di rinfrescare le loro regali memorie, fu fondata da profughi di Valyria! Noi non volevamo avere niente a che fare con la sua mira espansionistica!"

Voci di accordo si sollevarono dagli spalti e il vociare riprese. Battendo la mano sul bracciolo della sua poltrona, Jon intimò a tutti di fare silenzio. Il suo sguardo non lasciava spazio a repliche. Dany rispose all'affermazione del Signore del Mare.

"Ma anche un identità può essere svuotata, Vostra Signoria, quando le mura in cui essa si rispecchia sono rase al suolo e tutti quei nomi diventano di colpo vuoti, privi di significato. Ciò stava accadendo di recente, non è vero? Un pazzo a Volantis stava minacciando l'egemonia di tutti voi, mirando a cancellare le vostre care identità dalla faccia della terra e voi cosa avete fatto? Nulla, siete rimasti buoni buoni nelle vostre ville in riva al mare pensando che quel pazzo sarebbe presto scomparso dalle scene con la stessa velocità con la quale vi era comparso. Certo, come no. Siamo dovuti intervenire io e il Re affinché la situazione non sfociasse in una vera e propria guerra civile."

Questa volta toccò a un magistro tyroshi dalla barba purpurea prendere parola. "Le vostre parole stanno smuovendo gli animi di molti di noi Vostra Grazia, ma, se posso essere franco, Westeros non ha mai trovato grande interesse nelle questioni di noi orientali e ogni volta che noi gli abbiamo chiesto aiuto ci ha sbattuto la porta in faccia, dicendoci senza mezzi termini che dovevano vedercela per i fatti nostri."

"Prima alle redini di Westeros stavano sovrani inetti e tirannici, di cui poche stelle come il Vecchio Re e Daeron il Buono brillavano di una sfolgorante luce."Disse Jon. "Ma ora quel tempo si è concluso. Osservatevi l'un l'altro e chiedetevi, miei signori e mie signore, vale davvero la pena di versare il sangue di quest'uomo per qualche appezzamento di terreno in più? Il sangue non irriga i campi, lo sappiamo bene. Come può un vita valere un pezzo d'oro? Quell'ora me lo porterò con me una volta che l'aria avrà abbandonato i miei polmoni? No. Noi vi aiuteremo, porteremo a voi pace e giustizia e..."

"Voi Occidentali siete degli invasori!" Un delegato di Myr si alzò e puntò il dito in direzione della pedana reale. Il suo grido fece ricominciare il coro di voci. "Io non mi fido di voi!"

Dany strinse i denti e anche Jae capì dell'abitazione della sua mamma e si acquietò. "E voi dovreste invece ringraziare quali divinità esista per aver risparmiato la vostra città e Tyrosh dalle ambizioni della Tigre! Egli ha scelto di marciare nell'entroterra e di risalire la foce della Rhoyne piuttosto che mettere a ferro e fuoco le vostre città!"

Questa volta a porre fine al parlare incessante dei presenti non furono i reali. Sopra le loro teste ruggiti scossero il cielo e, come tutti levarono degli sguardi tremanti verso l'alto, incrociarono gli occhi incandescenti di ben sette draghi. Drogon per primo atterrò nel bel mezzo della piazza, immobilizzando gli astanti. Dany sorrise a quella vista e strinse la mano di sorridente Jon Snow.

"Vedete signori miei: voi avete liberato una tigre e noi abbiamo liberato dei draghi. E i Draghi uccidono gli uomini morti, le puttane incinte, i Capri Neri e le arpie, il loro fuoco tutto divora. Perciò, se non volete che divori anche le vostre città per ben otto volte farete ben a riflettere con senno sulle nostre parole."

Ciò che ne seguì furono brividi di paura, sguardi sconcertati e preoccupati, mormorii sommessi e un unico, grande inchino. Tutti, ma proprio tutti, si inginocchiarono sulla pietra polverosa della piazza, piegarono i loro capi e deposero le loro armi ai loro piedi. Il Signore del Mare di Braavos parlò di nuovo a nome di tutti.

"Vostre Grazie, voi dimostrate coraggio e fedeltà, amore per ogni forma di vita e il giusto intelletto per dominare un impero di tali proporzioni. Noi tutti chiediamo a gran voce la pace da decenni, ma questo desiderio fino ad ora non ha mai trovato compimento. Voi lo realizzerete, nei siamo certi, porterete pace a questo martoriato continente e lo riunirete sotto il glorioso stemma di Valyria. Tenete in piedi le mura delle nostre città e noi vi promettiamo la nostra più profonda fedeltà."

Detto questo prese il suo pugnale e fece baciare la sua lama al tremante palmo della sua mano. Gocce del suo sangue bagnarono il terreno mentre lui si inginocchiò con la faccia a terra. "Lode e gloria all'Imperatore e all'Imperatrice. Lode e Gloria all'Occidente e all'Oriente. Lode e Gloria alla Nuova Valyria."

Il grido risuonò chiaro per tutta la piazza, all'unisono:

"Lode e Gloria alla Nuova Valyria!"

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top