Vagabondaggi al sole estivo

Il corvo proveniva niente meno che da Qarth. Nonostante l'usanza di spedire epistole e messaggi con gli uccelli dal nero piumaggio non fosse così radicata in Oriente come invece lo era in Occidente, Jon e Daenerys avevano stabilito che ogni città sulla sponda opposta del Mare Stretto disponesse di un'uccelleria e anche Qarth, sebbene non facente parte dell'Impero, aveva deciso di adeguarsi a questo nuovo costume. Nella missiva i più potenti e abbienti signori domandavano pubblicamente perdono per i mali che "alcuni ragni velenosi avevamo sputato sull'immacolata e ineguagliabile buona reputazione della Corona di Westeros ed di Essos."

Dany aveva riso nel leggere quest'affermazione: quale menzognera gentilezza! Al di sotto di quegli eleganti ghirigori d'inchiostro si diramavano in realtà innumerevoli capillari di intrighi e complotti, trame fitte come le ragnatele di quei malvagi ragni di cui la lettera faceva menzione. Il terrore che era sbarcato qualche giorno prima era solo uno stuzzichino.

In realtà Dany non nutriva alcun timore per se stessa. Temeva per i suoi figli, ancora così piccoli, innocenti e delicati e per Jon, il cui coraggio non avrebbe mai messo in dubbio ma che era, non ora fortunatamente, minato nella salute, avvinghiato nella morsa della tubercolosi. Passando a lui la lettera non ebbe l'onore di vederlo ridere sguaiatamente come invece era stato per lei. Jon divenne d'improvviso cupo, serrò i denti e accartocciò la lettera, riducendola ad un ammasso color pergamena.

"Queste pecorelle pensano di spegnere la nostra furia con qualche bella parolina? Devono avere la mente imbottita di stoffa se credono di passarla liscia per un oltraggio del genere! I Draghi non si accontentano di simili scuse!"

Il fuoco Targaryen divampa vigoroso in te amore mio. Nella Sala del Concilio Ristretto la tensione crebbe con le parole di Jon. Dany picchiettò il palmo di Jon sotto il tavolo nella speranza di sbollire un po' la sua collera. Si scambiarono l'un l'altra un'occhiata fuggente e carica d'amore prima di tornare all'argomento della discussione.

"Non ho intenzione di ordinare l'immediata convocazione dei più importanti rappresentati di quell'infame città." Disse Dany. "Verrebbero qui con le loro navi e gli Dei soltanto sono a conoscenza di cosa potrebbero nascondere questa volta. Se Qarth non verrà da noi, noi verremo da Qarth. Voglio che l'orgoglio si estingua e che quegli uomini di latte cadano in ginocchio a implorare il perdono. Hanno tentato di colpire la mia famiglia e nessuno può sognarsi di attaccare la mia famiglia."

Ser Davos strabuzzò gli occhi. "Avete quindi desiderio di intraprendere un viaggio fino a Qarth? Se la memoria non mi inganna il percorso per raggiungerla è difficoltoso ed irto di pericoli! Certo, se però volerete sui vostri draghi..."

"Mi dispiace disilludervi Ser." Dany scosse la testa. "Ma non sarà così. L'ultima volta che volammo con i nostri figli essi erano due, non cinque. Gestire cinque bambini, in tenera età per giunta, e contemporaneamente rimanere aggrappati al dorso di un drago è assai complicato. E se dovessero sporgersi troppo... non oso neanche pensarci."

"Allora potreste lasciarli alla sicurezza della Fortezza Rossa e intraprendere questo cammino in due e con una scorta." Suggerì l'anziano Primo Cavaliere. "Si rivelerebbe assai più vantaggioso e veloce."

Jon prese parola questa volta, i gomiti posati sul tavolo in legno d'acero. "Il principe Jaehaerys deve essere presentato ai dothraki. Per loro egli è il prescelto, lo Stallone che Monta il Mondo e non poterlo vedere quando è finalmente giunto sulla terra sarebbe preso da loro come un insulto. Inoltre lasciare soli i nostri figli dopo che siamo usciti reduci da una congiura sarebbe per noi insostenibile. Temo che non ci sarà bisogno di alcuna scorta, siccome io e la regina e imperatrice ritenevamo opportuno viaggiare con loro in un khalasar. Siamo il Khal e la Khaleesi del Grande Mare d'Erba Ser, presumo non l'abbiate dimenticato."

Un angolo della bocca di Davos si arricciò con aria divertita e le dita del vecchio corsero a lisciarsi la barba. "Assolutamente no Maestà, i cavallucci giocattolo dei principi me lo ricordano quotidianamente."

Una risata serpeggiò fra i presenti, sciogliendo leggermente l'atmosfera di dubbi ed incertezze che la risposta di Qarth aveva dato alla luce. Dany si portò alle labbra un calice di vino prima di continuare e la sua gola beneficiò della dolcezza del rosso vino dell'estate di Dorne.

"Non ci imbarcheremo in questo viaggio almeno prima che non sia trascorsa mezza luna. Io e il mio consorte vogliamo goderci la Capitale ancora per un po'."







Quel pomeriggio Daenerys rese visita ai poveri dimoranti della Cripta delle Vergini. In seguito all'edificazione di nuovi e stabili edifici il loro numero era progressivamente diminuito ma ancora tanti ragazzini cenciosi, puttane, donne con lattanti al seno, mendicanti, bottegai in miseria, storpi e malati dormivano sotto la volta che aveva visto imprigionate le tre sorelle di Baelor il Benedetto. In compagnia di Jon e delle sue ancelle, Dany aveva scambiato due parole con ognuno di loro, discutendo dei problemi che affliggevano il popolino, giocando con un gruppo di bimbi, lavando vecchi infermi e imboccando di sua mano neonati denutriti.

Quando aveva però appurato che le scorte destinate ai suoi ospiti stavano calando, aveva deciso spontaneamente di compiere un giro nei mercati per acquistare con conio suo frutta e verdura fresca, pane e pesce. Con sé aveva portato anche Rhaella ed Aemon, eccitati per la gita inaspettata.

Così Jon si era ritrovato solo con i figli più piccoli e aveva deciso di dedicare il suo tempo alla revisione di alcuni documenti. Approfittando della bella giornata soleggiata che quel giorno aveva benedetto Approdo del Re, aveva portato il suo tavolino portatile sotto un portico, disponendovi a fianco la culla di Jaehaerys e un tappeto colmo di balocchi per Daeron e Alysanne. Aldilà di quel tetto di candido gelsomino i giardini spalancavano le loro verdi e lussureggianti porte, ostentando tutta l'abbondanza dell'estate.

Ogni tanto lo sguardo di Jon sfuggiva alle ampollose parole di chissà quale lord marcate di nero e vagava in quei palazzi di viticci, rami e foglie, cercando di acchiappare la sagoma di un qualche uccellino che lì dentro aveva preso albergo o deliziandosi del rumore delle onde che si infrangevano sulla costa poco distante. Tutto era meraviglioso, un paradiso.

"Mama?" La mano di Alysanne gli tirò i calzoni per attirare la sua attenzione. Jon rimise al suo posto il timbro Targaryen con la ceralacca rossa e abbassò il viso per ascoltare la sua piccolina. "Vollo Mama."

"Mamma tornerà presto tesoro mio." Jon la prese in braccio e si sorprese del peso che aveva guadagnato la sua principessa. Non era più uno scricciolo ingordo come invece era Jae. "Per gli Dei quanto ti sei fatta grande eh? Tra non molto non sarai più tanto piccolina! Ma non importa, per il tuo papà lo sarai sempre."

Alysanne sorrise teneramente e accolse con altrettanta tenerezza un bacio di Jon sulla fronte. Dopodiché fu ammagliata dal documento dispiegato sul tavolo di lavoro del suo papà. Fu il sigillo di un cervo in una brillante cera dorata che l'attirò maggiormente. Le sue manine afferrarono lo strano foglio, scrutandolo poi con occhi curiosi. Ecco la sua caratteristica principale che veniva alla luce: la curiosità. Aly trovava fascino in qualunque cosa, che fosse un bruco strisciante sul parapetto di un balcone o i riflessi dorati sull'armatura delle Guardie Reali.

Jon ridacchiò. "Non dirmi che Daeron ti ha contagiato con la sua passione per la lettura! È una richiesta di aumento del perimetro di un feudo da parte di Zio Gendry per uno dei suoi vassalli. Roba noiosa, lo so, nemmeno a me piace spendervi sopra del tempo."

Sentendosi richiamato, Daeron e la sua testa fecero capolino oltre le gambe di Jon. Lui per salutarlo gli scompigliò i capelli e ricevette come ricompensa un sorriso compiaciuto. Daeron spalancò le braccia, lasciando intendere che anche lui, come la sorella, voleva sedersi sulle ginocchia del suo papà. Un papà che invece gli diede un buffetto sul mento.

"Perdonami cucciolo, ma se prendo in braccio pure te finisco col far crollare questa povera sedia. Siete due piccoli maialini, lo sapete?"

I gemellini risero gai e Jaehaerys dalla culla volle esprimere la sua voglia di carezze. Lasciando Alysanne e voltandosi nella sua direzione, Jon degnò con gli occhi i giardini. E fu allora che un'idea gli balenò nella mente. Sorrise lieto.

"Piccini, che ne dite se organizziamo una sorpresa per la mamma?"







I giardini erano un'apoteosi di colori e profumi e l'aria era satura del sale marino e degli strilli acuti dei gabbiani. Le rose si aprivano in vortici rossi, bianchi, gialli, arancioni e purpurei, i gigli rivolgevano al cielo baci pallidi, le viole puntellavano l'erba come gemme. Nel frutteto pendevano mature mele, pere, arance, limoni, olive verdognole e tenere giuggiole. Leggiadro l'alloro scintillava, pregno di verde, lucido e appuntito, intanto che i leggi sibilavano al vento, il rosmarino spandeva il suo profumo e gli aghi dei pini marittimi cadevano a incorniciare le loro radici.

I gemellini correvano spensierati difronte a Jon e Jae, soffermandosi ogni tanto ad ammirare insolite creature come scarabei, coccinelle o farfalle. Come Jon aveva proposto loro di trovare un fiore meraviglioso da regalare alla mamma, erano partiti scattanti sui sentieri dei giardini, in testa l'idea già imputata.

"Papà!" Daeron indicò una rosea ninfea galleggiante nella fontana. Doveva essergli parsa un'ottima scelta da destinare alla sua mamma, in quanto si arrampicò sul bordo e sfiorò con un dito la liquida superficie. Altre ninfee, rotondi cerchi verdi, si scontrarono sospinte dal tocco. "Fiore belo!"

"Bello ma difficile da portare alla mamma piccolino." Gli rispose Jon allegro. Stretto al suo petto, Jaehaerys sonnecchiava. "Proviamo a vedere qualcos'altro."

Fu richiamato dalla bellezza di una macchia di primule quando percepì qualcosa di viscido colpirlo sulla schiena. Jon fece per girarsi ma una palla di colore scuro lo fece capitombolare sul terreno. Ne' lui ne' Jaehaerys si fecero per fortuna un graffio, anzi, il suo piccolo khalakka gorgogliò e gli tirò la barba con una risata.

"Ma che..." Fango, una palla di fango. Il suo farsetto era impiastricciato di fango partito nientemeno dalle mani dei suoi figli. Ai suoi piedi Daeron e Alysanne sogghignavano birichini.

Jon cercò di ripararsi con una mano e corse ad acchiappare Jae che nel frattempo aveva trovato diletto nei fili d'erba. "Bambini, fate i bravi..."

Non servì a nulla. Altre palle giunsero ad accanirsi su di lui, colorando il suo farsetto, il suo viso e le sue mani di marrone. Fango piombò su Jon e lui si vide costretto a ripararsi con le braccia. Oltre quella cortina molle i gemellini ridevano, divertirti da quella scena esilarante. E persino Jae rideva! Ad un certo punto Jon fu certo che persino il membro più giovane della sua progenie si fosse unito alla marachella perché una minuscola pallina, grande quanto un sassolino di ghiaia, lo raggiunse sul ginocchio.

Diavoletti, siete tre diavoletti! Quando il tormento ebbe fine Jon avrebbe potuto infuriarsi e rimproverare i suoi figli, ma come poteva? Erano i suoi tesori e avevano appena un anno! Fu per questo motivo che scoppiò in una fragorosa risata.

"Rhaella ed Aemon vi hanno inculcato i loro precetti vero? Sono lieto di saperlo!"

E fu allora, nel bel mezzo della gioia, che adocchiò un cespuglio di rose arancioni della stessa sfumatura dell'alba.







"Jon..."

"Sono stati i bambini! Mi hanno preso alla sprovvista! Ma non sono qui per quello: dimmi se le rose sono di tuo gradimento mia Khaleesi,"

Le rose erano di un arancione che sfumava in un giallo tenue man mano che si giungeva ai petali centrali e i bordi dei suoi petali laterali erano dipinti di schizzi rossastri. A Dany ricordavano l'aurora e il tramonto, lo stesso tramonto che ora imperava là fuori. Erano meravigliose. Se le portò alle narici e inspirò la loro fragranza. Unica, leggendaria.

"Sono stupende Jon, grazie dal profondo del mio cuore."

Un sorriso sghembo, adorabile sul viso arrossito di Jon Snow. "Le abbiamo colte io, i gemellini e Jae, devi ringraziare anche loro e poi..."

Dany indietreggiò sul letto con l'ombra di una risata sulle labbra. Sapeva dove il suo re volesse andare a parare. "E poi cosa Eggy? Io ringrazierò di certo i miei gioielli, ma tu cosa chiedi ancora dalla zietta?"

Jon avanzò come un predatore avanzava verso una preda. Subito sulle lenzuola di puro e bianco lino comparvero chiazze marroni e Dany indietreggiò ancora di più fino a giungere con la schiena bloccata contro lo schienale di legno.

"La moglie del dorniano era bionda come l'oro, e più caldo della primavera era il suo bacio. Ma la lama del dorniano era acciaio nero, e terribile era il suo bacio..." Cantò Jon con voce melodiosa come quella di un usignolo, nessuna traccia di accento nordico a contaminarla. Ecco l'eredità di Rhaegar. "La moglie del dorniano cantava mentre faceva il bagno, dolce come una pesca era la sua voce. Ma la lama del dorniano cantava la sua canzone, freddo come una sanguisuga era il suo morso..."

Sorridendo, Dany provò a bloccarlo con la mano. "Jon Snow, non osare venire avanti!"

"Mentre al suolo giaceva, con le tenebre attorno e il sapore del sangue sulla lingua, i suoi fratelli furono accanto a lui, e per lui pregarono, così lui rise e sorrise e per loro cantò..." Rapido, Jon le afferrò una caviglia e la baciò con reverenziale fervore. Dany la mosse per scacciarlo, ma il tentativo si rivelò vano. Emise una risatina.

"Jon..."

"Fratelli, o fratelli, i miei giorni sono alla fine, la mia vita ha preso la lama del dorniano. Ma questo nulla importa, che tutti gli uomini devono morire e gustato io ho la moglie del dorniano!"

Lui ricadde su di lei e lei lo lasciò fare. Era pronta ad assaporarlo, pronta a farlo suo. La notte incombente li prese con sé mentre i gridolini estasiati di Dany sfumarono con la comparsa delle prime stelle.

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