Sui passi di una conquista
Il marmo era nero, lucido, una lastra rettangolare che fungeva da altare e che di certo, quando le luci dei fuochi scoppiettanti erano accese, rifletteva la danza delle lingue scarlatte. La dita di Daenerys scivolarono su di esso con grazia, accarezzandone la superficie con i polpastrelli. Intorno all'oscuro altare si ergevano quattro bracieri di bronzo, ma, invece di essere ardenti, i loro tizzoni si limitavano soltanto a lasciar salire verso l'alto esili fili di fumo.
"Quindi è qui che..." Jon non proseguì oltre con la frase, essendo il finale ovvio. Una lama di luce, entrata di soppiatto da uno spiraglio delle finestre coperte da tende, cadeva sui suoi riccioli e li faceva brillare come ossidiana lavorata.
Il tempio del Dio Rosso, uno fra i più grandi e illustri di tutto il Continente Orientale, era completamente sgombro. Vuote e rarefatte erano le sue stanze, solitarie e silenziose come scatole abbandonate. Tutti i seguaci di R'hllor avevano lasciato Volantis non appena Umo la Tigre era salita al potere. Quella stessa Volantis che ora, agli occhi di Jon e Dany, mostrava cittadini stanchi e provati, dagli sguardi vacui e dalle guance scarne. Pur di raggruppare a sé quante più armi possibili, la Tigre aveva alzato le tasse su tutto, compresi i beni alimentari. Di conseguenza il prezzo del pane era salito, così come la fame nelle pance dei volantiani.
E ora, mentre i volantiani si rimpinzavano con le provviste di cui i carri dothraki abbondavano, Dany e Jon esploravano il Tempio del Dio tanto caro a Kinvara. Gli occhi di lui non si staccarono dall'altare, quasi come se stesse immaginando la scena che lì si era svolta tre anni prima.
"Sì amore mio." Dany si accarezzò il grembo, lì dove ora una leggerò rigonfiamento dava al mondo un segno della presenza di Jaehaerys. "Qui, su questo stesso altare, Kinvara e altri preti rossi mi hanno riportato alla vita. Grazie a loro ho potuto rimediare a tutti i miei errori."
Per un secondo gli occhi di Jon parvero avvolti da una pagina lucida. "Ma io non ho ancora trovato il modo di rimediare al mio."
Papà non riesce proprio a lasciarsi alle spalle il passato mio piccolo Khal Jae. Avvicinandosi a lui, Dany gli prese il viso fra le mani, lasciando che i suoi palmi fossero solleticati dalla barba di Jon. Un brivido d'emozione la scosse non appena sentì le mani del suo sposo cingerle la vita. Si perse in quelle iridi color della tempesta, una tempesta che ora minacciava pioggia.
"L'hai fatto invece, l'hai fatto rendendo il mio più sogno più profondo reale: mi hai dato una famiglia. E poi, se avessi continuato su quel cammino di morte e distruzione, che fine avrei fatto? Quella non ero io Jon, ficcatelo bene in testa. D'accordo, ero triste e arrabbiata e spaventata dagli eventi che allora si erano susseguiti senza sosta nella mia vita, dalla rivelazione su di te ma... avevo tradito i miei principi, avevo tradito me stessa. Come può la paladina della libertà e la madre degli oppressi, schiacciare un popolo in quel modo, dimmelo?"
Ora sottili fili di lacrime erano stati intrecciati anche nei suoi occhi. Con un tenero bacio sulla guancia, Dany ascoltò il suo amato. "E come può un uomo che ha giurato di avere sempre onore, compiere un'azione così... così disonorevole?!"
"Piantala." Dany si strinse a lui e sfregò la punta del suo naso contro la sua spalla. Il farsetto di lui era grigio e morbido. "Dobbiamo guardare al futuro, d'accordo? Pensa a me e ai tuoi figli e alla pace che porteremo a questo martoriato continente. Andiamo Eggy, abbiamo un impero da creare."
Discese le scale mano nella mano con lui e con lui uscì dal Tempio. Eggy, Khal Aegon, piccolo draghetto di neve... quanti dolci soprannomi per il suo Jon Snow. Dany pregò con tutto il cuore che, prima o poi, riuscisse ad abbandonare definitivamente i torbidi giorni del passato.
Lei per prima spiccò il volo in direzione di Lys, con Slyxas e gli altri due draghi come seguito. Il viaggio non si mostrò particolarmente lungo, poche ore e la città dell'amore comparve dinanzi ai suoi occhi, sfoggiando tetti rossi e palazzi bianchi, agghindati di rose e altri fiori rampicanti, antri, giardinetti nascosti e fontanelle dalle gorgoglianti acque. Come le concubine che di lei erano il vanto, anche Lys stessa sembrava una concubina. Una amabile senza dubbio, dalla pelle lattea e la chioma fulva, adagiata languidamente in riva al mare e sotto la luce del sole, ma al suo interno, Dany lo sapeva, era altezzosa.
Quando mio fratello fu ospite dei triarchi, loro gli risero in faccia quando disse di volere il loro aiuto per la riconquista di Westeros. Dany allora era solo una bambina, ma ricordava benissimo l'umore nero di Viserys al ritorno da quel banchetto e, soprattutto, le botte che ne erano seguite. Ma Viserys non aveva un drago, o tre, o otto. Viserys si crogiolava in sogni irrealizzabili e si pensava un re quando in verità lui, di un re, non era nemmeno l'ombra. Adesso, Dany era certa, i triarchi non avrebbero riso a un Targaryen. Si sarebbero inchinati a un Targaryen, in debito per la loro liberazione.
Il palazzo dei triarchi dominava la piazza centrale, accecante nel suo marmo bianco e nei suoi fregi e stucchi. Una puttana gravida, il simbolo della città, mostrava al mondo il suo ventre rigonfio proprio sopra la porta, andandola a formare con le sue gambe divaricate. Ma Dany non avrebbe utilizzato la porta. Planò con Drogon sul tetto. Gli artigli del drago si conficcarono nelle tegole, scostandole e facendone ricadere molte con un sonoro tonfo. Ai piedi della bianca struttura Dany vide i Lys siano uscire dalle loro case e radunarsi per ammirare spaventati quella belva che si era appollaiata sul palazzo cuore della loro politica.
Le truppe volantiane erano qui dentro, così le aveva detto Jon. Le aveva consigliato anche di darlo alle fiamme per uccidere così tutti i seguaci rimasti della Tigre, ma al suo interno non vi stanziavano solo i volantiani. Vi erano anche schiavi innocenti, donne di piacere e bambini, burocrati e mercanti. Allora, invece di aizzare il fuoco in quelle stanze, Dany decise di fare una cosa.
"Shake ziry." Ordinò a Drogon. Scuotilo. Sì, voleva scuoterlo come un giocattolo, come una palla. Voleva che le fondamenta tremassero e che i suoi avversari spaventati uscissero dal palazzo per spaventarsi ancora di più alla vista di Drogon. Suo figlio ubbidì. Le sue zampe fecero ancora più presa sul tetto, cominciando a scuoterlo. Presto file intere di tegole caddero e polvere cominciò a scendere dalle mura. Chiese a Drogon di aumentare la forza. Un ruggito e una spinta, un ruggito e una spinta. Ben presto solo le grida taglienti del drago aleggiarono nell'aria, andando a gelare il sangue nelle vene dei lyseniani.
E anche in quelle dei volantiani. Ad ogni scossa un fiume di persone si raggruppava nella piazza, rendendola gremita come non mai e soldati con una tigre sulla placca pettorale abbandonarono l'edificio. Un'altra scossa e una statua da una nicchia crollò, frantumandosi a terra, a lei seguirono un fregio e altre statue gemelle e, infine, una zampa di Drogon sprofondò nel tetto, creando un cratere rosso e polveroso. Allora e solo allora Dany gli ordinò di alzarsi in volo e incenerì il tutto. Colonne di fuoco sostituirono le colonne di marmo e il palazzo dei triarchi di Lys si incenerì come un pezzo di legno.
Gli altri tre draghi, Slyxas e i due innominati, abbracciarono la piazza, appollaiandosi sulle case ad essa circostanti come gargoyles di squame e di carne. I loro ruggito riecheggiarono nel cielo, accogliendo la discesa di Dany. Tutti gli occhi erano puntati su di lei, occhi di bambini emaciati, occhi di mercanti arricchiti, occhi di schiavi marchiati sulle guance.
"Da oggi Volantis ha smesso di tormentarvi, così come il resto delle Città Libere. Guardatevi, scrutate nelle vostre anime, voi temprati da continue e inutili guerre. I vostri padri hanno combattuto, voi combattete e i vostri figli combatteranno in futuro. È questo che volete? Una guerra infinita con coloro che secoli or sono furono i vostri stessi fratelli. Voi lyseniani dagli occhi viola e i capelli argentati di Valyria, voi che vi vantate di essere la città dell'amore ma che amore con i vostri antichi amici non dimostrate, potete avere ora l'occasione di riscatto. Unitevi a noi, a me e al mio sposo Aegon, signori dei draghi, e fate rinascere Valyria."
Silenzio. Reverenziale silenzio. Occhi sbarrati, gole serrate. Poi, ad uno ad uno, dei corpi tremanti si inchinarono. Dany sorrise a quella vista, ma il suo sorriso svanì presto.
"Liberati i vostri schiavi ora. Non c'è posto per la schiavitù a Valyria. È un ordine."
Questa volta, nessun Triarca rise in faccia a un Targaryen.
Pentos, maestosa Pentos affacciata sul mare, era asserragliata dall'interno. Il suo ponte levatoio era stato rialzato e le sue mura la difendevano egregiamente. Peccato non quattro draghi o da un'armata di dothraki. Per il portone fu assai semplice, una fiammata di Rhaegal e l'ostacolo fu superato. La parte più difficile venne in seguito. Nonostante quattro draghi e un esercito intero di nomadi che erano miracolosamente riusciti ad accettare di non razziare nulla per una notte, la pattuglia volantiana non ne voleva sapere di mettere un piede fuori dal palazzo dei Magistri.
"Uscite fuori razza di cani!" Il che, Jon lo sapeva, era un insulto ai cani. "Siete circondati e il popolo mal vi sopporta! Uscite allo scoperto e avrete una morte indolore."
Anche se coloro che avete ucciso lì dentro non hanno avuto questo onore. Niente da fare. Un soldato si affacciò alla finestra e gli sputò come risposta. Jon strinse i denti per contenere lo sdegno. Lassù, nel cielo, le nubi coprivano la luna. Smontò da Rhaegal e si incamminò verso il palazzo.
"Aspetta Khal Aegon." Un guerriero dothraki lo fermò al braccio. "Uomini in armatura sono uomini codardi, non degni di te."
"Voglio che il concetto sia loro chiaro."
Lo stesso soldato che prima gli aveva sputato ora ritornò alla finestra. "Cosa vuoi ragazzino? La Tigre si mangia la lucertola!"
Jon parlò in dothraki. "Ma il Drago divora la Tigre, la brucia. Se non vi arrendete non mi basterà nulla per rendere questo posto una seconda Harrenhal."
Ottenne una risata di scherno come risposta e, allora, Jon mantenne fede alla parola data.
"Dracarys."
Quello che era stato il palazzo dei Magistri di Pentos illuminò la notte con le sue vampate di fuoco, si accartocciò su sé stesso come carta straccia, piegandosi e contorcendosi mentre le sue pareti crollavano e la cenere danzava alla luce delle stelle. Gli ultimi seguaci della Tigre dimoranti in esso morirono soffocati.
Il primo Aegon bruciò i suoi nemici. Pensò Jon. E anche il sesto fa così, anche io porto, dove sono richiesti, fuoco e sangue. E, quella notte, Pentos sperimentò la forza dei Targaryen.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top