Specchi sul passato

Quando Sua Grazia rivolse quella domanda al Primo Cavaliere quella mattina, quando il cielo era una distesa azzurra, il sole riscaldava i corpi e gli animi e l'Estate si faceva sentire in tutta la sua bollente abbondanza, lui rimase di stucco e fissò per un breve attimo la sua signora. A giudicare dall'occhiata verde e carica di stupore che le lanciò, Daenerys pensò che sarebbe rimasto meno esterrefatto se le fosse spuntata un'altra testa. Eppure la domanda era stata semplice e diretta, nulla di che, almeno per Dany.

"Sarebbe possibile visitare le segrete?"

Le segrete. Forse Tyrion pensava che non erano il luogo adatto a una donna del suo rango e incinta. Erano insalubri e covi di sporcizia, Dany lo sapeva benissimo, ma l'unico vero motivo per cui desiderava mettere piede in quegli antri bui era vedere con i propri occhi la cella che, con la sua aria permeata di luridume, aveva cambiato irrimediabilmente la vita di Jon. Lì aveva contratto la tubercolosi sostandovi per mesi interi, lì il dolore e il rimorso aveva iniziato a scavare in lui come un coltello invisibile. Dany doveva vedere le segrete, ne sentiva il dovere.

"C-Certamente Maestà..." Il Folletto si risvegliò dalla sua trance. "Ma se posso chiedere: perché? Perché mai vorreste, soprattutto nella vostra attuale situazione, visitare un luogo dalla così infame reputazione?"

Dany gli rivolse uno sguardo d'acciaio. "Per mio marito, Lord Lannister. E, se non vi dispiace, gradirei farlo immediatamente."







Così fu. Lei e Tyrion, scortati da Ser Elias Oakheart, un fidato uomo della Guardia Reale, scesero nelle viscere della Fortezza Rossa. Ben presto, la luce del giorno divenne solo un vago ricordo e scalino dopo scalino torce spuntavano dalle pareti come braccia dalle mani infuocate, accompagnando gli illustri visitatori nella discesa. Le scale erano ripide, scavate nella roccia e Dany si dovette far aiutare da Ser Elias a scendere dato che non se la sentiva di scivolare e di rischiare di far del male a Jaehaerys. Quando finalmente raggiunsero la base, Dany fu sollevata di posare il piede sul pavimento. Un pavimento impolverato e che chissà da quanto tempo non vedeva una scopa d'accordo, ma era pur sempre qualcosa di solido. Prima di inoltrarsi nelle tenebre, lei e gli altri avevano dovuto passare per il Cammino del Traditore, uno basso camminamento a mezzaluna che segnava l'ingresso nelle segrete e poco distante con gli appartamenti del capo carceriere, del boia reale e del lord confessore. Passandovici, Dany si era domandata quali pensieri avesse formulato Jon quando i suoi piedi aveva percorso quel medesimo tragitto.

O forse l'unica cosa a cui riusciva a pensare era l'azione appena compiuta. Molto probabilmente era stato proprio così. Ritornando con la mente al presente, Dany girò il capo e vide una lunga fila di porte di legno scuro diramarsi all'infinito nel corridoio difronte a lei, intervallate da torce dalle fiamme fioche. È qui? È qui la sua cella?

Come se avesse letto nella sua mente, Tyrion Lannister tirò un lembo della sua gonna per attirare la sua attenzione. "Non è qui Vostra Grazia, è situata più in basso."

Più in basso quanto? Sotto le suole delle loro scarpe si estendevano altri labirinti di sbarre, porte e torce, ma erano riservati per altri prigionieri. La schiera di celle che Dany aveva appena finito di ammirare era destinata ai prigionieri comuni come ladruncoli, borseggiatori e taglia gole mentre quelle appena un piano più in basso erano per i prigionieri di alti natali. Che forse il rango di Jon di bastardo di nobile famiglia fosse stato riconosciuto? Dany ci sperò. Ma fu una speranza vana, effimera come la luce di una candela, perché una volta discesa anche la seconda spirale di scalini, lei e gli altri non procedettero dritti ma, di nuovo, svoltarono l'angolo e altre scale si mostrarono loro. E, una volta che anch'esse si fossero concluse, rimaneva solo un ultimo piano, lo strato base di quella torta di mattoni, calce e ferro.

Quello riservato ai prigionieri più pericolosi, ai più letali. Ecco il piano della cella di Jon.  Il crimine di regicidio gli aveva fatto guadagnare un biglietto di sola andata per il luogo più buio, sporco e infame di tutto il reame. Laggiù, il calore non esisteva. Era il freddo a fare da padrone, un freddo ancestrale, sposo delle fitte tenebre e del ferro compatto delle porte. Ogni cosa del mondo superiore qui non penetrava, non si infiltrava nemmeno per sbaglio. Questo era il regno della solitudine e del dolore, l'ultima casa che coloro che si erano macchiati l'anima con i reati più gravi avrebbero mai conosciuto. Fu Tyrion che, prendendola per mano, la guidò nel buio.

"Statemi vicino mia regina, senza luce ogni cosa ama calzare la maschera dell'inganno e non gradirei che vi imbatteste in incontri spiacevoli. Venite, la cella che ospitò il Re è proprio qui."

I loro passi risuonarono sul soffitto a volta, echeggiando poi nelle tenebre. Dalle porte di ferro giunsero voci e lamenti lugubri, richiami di uomini sepolti vivi. Dany sentì addirittura una mano sbattere sul ferro, le nocche picchiare insistentemente pur di far ricordare al mondo esterno che qualche criminale era ancora lì. Il ferro tremò più volte scosso dai movimenti, ma non cedette. Era duro, spesso e scuro. Lo era anche quello che componeva l'entrata delle quinta cella a sinistra, coronata da torce spente. Il carceriere, dopo essersi prolungato in lunghe lusinghe alla regina, aveva dato le chiavi a Ser Elias, facendolo giurare di riportargliele non appena la mansione sarebbe giunta al termine. Un rumore di serrature attivate e la pesante porta in ferro si spalancò, svelando ciò che custodiva agli occhi di Daenerys, Tyrion e Ser Elias.

Era piccola, il muro scrostato e agghindato con arazzi di muffa interrotto solo dal taglio accecante di una finestra ad arco. Dany fu la prima ad entrarvici. Un tanfo incredibile di umidità, di escrementi e di vomito affiorò alle sue narici, costringendola tapparsi il naso. Dove il pavimento veniva baciato dalla luce diurna le pietre erano ustionanti e l'aria stessa era permeata da un'afa che le imperlò la fronte. Ma a giudicare dalla posizione profonda della cella il caldo non doveva dominare anche durante la notte. Allora, Dany ne era certa, quando il calore del sole spariva e lasciava spazio alla luna, il gelo veniva con lei, strisciava lungo le pietre e faceva sbattere i denti ai condannati. Un suono l'attirò verso un angolo. Un gocciolio. Dal soffitto, lì dove una rosa di muffa verdastra era sbocciata, una goccia d'acqua continuava perennemente la sua discesa, piombando sul pavimento e allargando il perimetro di una pozza d'acqua.

Dany vi ci si riflesse dentro. L'acqua era sporca e scura e in essa vi galleggiavano germogli di muffa. Jon era stato costretto a berla? Aveva dovuto mangiare giù per la gola quella... quella schifezza per mesi interi?! Una parte di lei stentava a crederci, eppure... eppure, prima che Dany potesse darsi una risposta definitiva, un ratto sbucò da un buco nella parete. Era grosso, forse della stessa stazza dei suoi compagni nelle fogne di Approdo del Re e il suo pelo nero spiccò sulle pietre. Zampettando fino alla pozzanghera, l'animale si chinò e bevve. Quando vide Dany, le mostrò i denti ricurvi e si dileguò in attimo, squittendo rumorosamente.

"Questo posto è davvero deplorevole." Disse Dany girandosi verso Tyrion. "Come hai potuto lasciare che il tuo legittimo re fosse sbattuto in questa... in questa... topaia! Anche il più sano degli uomini si ammalerebbe qui!"

Tyrion sembrò non darle ascolto, almeno non del tutto. I suoi occhi erano fissi su un muro. "Maestà, forse dovreste vedere queste."

Queste cosa? Avvicinandosi a lui e puntando i suoi occhi nella stessa direzione di Tyrion, rimase a bocca aperta. Sulla parete, incisi in modo rude, queste parole si leggevano, sparse come se fossero state pensieri improvvisi, brevi attimi di lucidità nel bel mezzo della disperazione più totale: "Dany, Dany, Dany, Dany." Disseminati come i semi di un fiore e poi: "Non è stato giusto, non è stato giusto, non è stato giusto, non è stato giusto, uccidimi Dany, non so per che cosa vivere ancora."

Le lacrime inumidirono gli occhi di lei, calando poi in delicati torrenti lungo le sue guance. Torrenti di lava, che bruciarono mille volte più della lava stessa. Su quel muro scrostato, decadente e invaso dalla muffa, Jon Snow aveva inciso il suo grido di dolore, il suo rimorso, la sua angoscia, il suo senso d'abbandono. Allungando una mano tremante, sfiorò con le dita le scritte. Ogni singolo giorno si pentiva amaramente di aver bruciato Approdo del Re, di aver commesso un'azione che mai la Spezzatrice di Catene avrebbe osato nemmeno pensare. Ogni mattina la vergogna di essersi comportata come una sciocca ragazzina vogliosa di attenzioni da parte dell'amato e disperata per le morti dei suoi cari le bruciava le viscere e la consapevolezza di aver distrutto in un attimo tutto ciò per cui aveva lottato per anni era la più amara bile da ingoiare. Dopo aveva ripreso il posto della sua famiglia e l'amore, questo era vero, ma mai prima d'allora si era così tanto arrabbiata verso se stessa.

Se non avesse mai sferrato un attacco di morte ad Approdo del Re, Jon non sarebbe mai piombato in quella spirale di dolore dai cui ancora non riusciva a uscire, non avrebbe mai scritto quelle cose orribili sul muro, soprattutto quel "Uccidimi Dany, non so per che cosa vivere ancora." che le faceva venire i brividi, e, cosa fondamentale, non avrebbe mai preso la tubercolosi. Tutto sarebbe andato subito per il meglio se solo quel maledetto Dracarys non fosse mai uscito dalle sue labbra ed invece...

"Non piangete mia signora." Tyrion cercò di consolarla. "Il peggio è passato. Questo luogo non conta più nulla ormai per voi e il Re."

Danh sentì il furore sostituirsi alla tristezza e ribollirle nelle vene. Non incrociò gli occhi con Tyrion. "Invece sì che conta Lannister. Conta e continuerà a contare perché ogni singola goccia di sangue che il Re sputerà durante la sua vita proverrà da questa luogo. Una cella dove l'egoismo tuo e di tutti i nostri alleati l'ha sbattuto e dopodiché l'ha dimenticato! Tu eri in una posizione influente, Primo Cavaliere di quel corvaccio di Bran, vi erano centinaia di Lord che non avevano partecipato alla Grande Guerra e avevano a disposizione eserciti freschi. Eravate numericamente superiori agli immacolati e anche di molto, cosa vi costava una battaglia in un luogo già martoriato? Eh? Una, una sola e sarebbe tutto finito!"

"Spargere sangue per un... criminale non ci era sembrata allora l'idea migliore Maestà. Noi tutti volevamo proteggere Jon da coloro che lo volevano morto per l'atto appena compiuto."

"Proteggere. Volevate proteggerlo. Si è visto come l'avete protetto! L'avete spedito su al Nord senza nemmeno un grazie, senza nemmeno rendervi conto che grazie a me e a lui, a tutti i miei sacrifici ed ai suoi, avevate ancora una testa attaccata al corpo. Nessuno l'ha più sentito se non Tormund, nemmeno Arya o quella gran regina e lady che si era definita Sansa. Lui stava male Tyrion, io l'ho visto con i miei stessi occhi. Lui... lui... lui era distrutto sia dentro che fuori, non riusciva a chiudere occhio da settimane, non toccava cibo.... ecco come l'avete protetto! Ecco come hai servito la tua regina Lannister!"

Dany non sopportava più quel luogo. D'improvviso le parve troppo angusto e l'aria troppo asfissiante. Doveva uscire e ritornare alla luce del sole, all'erba fresca, alla radura dell'albero di limoni e della porta rossa, alle risate dei suoi bambini. Doveva ritornare da Jon, dal suo amato, bellissimo ed unico Jon Snow. Doveva stringerlo a sé e vedere il suo viso sano, doveva farlo sentire protetto. Fece per uscire, ma un crac sotto la suola del sandalo la fermò. Si chinò e raccolse quella che sembrava essere una minuscola fiala di vetro. Al suo interno rimaneva qualche goccia di... acqua? No, l'acqua non poteva starsene dentro una fiala del genere. Allora era.. veleno, Lacrime di Lys. Lacrime di Lys per Jon, per metterlo a tacere una volta per tutte ma lui, da buon Targaryen dal sangue di drago, era sopravvissuto.

Stringendo nel palmo della mano i resti della fialetta, Dany ritornò al sole.








Quella notte fece un sogno, anche se in seguito non l'avrebbe definito proprio un sogno. Forse fu una visione, forse un dono degli Dei. Ad ogni modo, Daenerys vide Jon e Tyrion nella stessa cella che aveva esplorato quel giorno. Il Folletto pareva ben pettinato, ben vestito, con il farsetto nero nuovo di zecca e la spilla da Primo Cavaliere scintillante a un raggio di sole. Jon, invece, era tutto il contrario. I capelli arruffati, lunghi come la barba, nido dei pidocchi. Gli occhi cerchiati di nero e sprofondati nei bulbi oculari, la maglia lurida addosso e macchiata di sudore. Era magrissimo, uno scheletro, l'involucro vuoto di colui che era stato un tempo.

Tyrion lo mise al corrente della decisione di Bran di esiliarlo fra i Guardiani della Notte. Inizialmente, Jon parve non ascoltarlo molto, perso in chissà quali pensieri dolorosi, ma poi, con voce così rauca che parve che non la usasse da anni, domandò se esistessero ancora i Guardiani della Notte. Tyrion rispose di sì, gli disse che non avrebbe mai potuto avere moglie, figli o terre sue, gli disse che il mondo avrebbe sempre avuto bisogno di un luogo per bastardi e cose rotte. Jon disse solo una cosa e non era riferita ai Guardiani della Notte.

"È stato giusto? Non lo sento giunto quello che ho fatto." Pareva una domanda retorica dato che negli occhi di lui si leggeva già la risposta.

"Quello che abbiamo fatto. Chiedimelo fra dieci anni." Fu la risposta di Tyrion Lannister e l'atto di consolazione che fece nei confronti di Jon, nei confronti di uomo che chiedeva silenziosamente aiuto e conforto, fu una semplicissima stretta di mano. Solo quella. Al suo salvatore e compagno della sua salvatrice solo una semplice stretta di mano. Dany sentì le mani fremerle dal desiderio di schiaffeggiarlo. Quando Tyrion ebbe detto le ultime parole e la porta si richiuse alle spalle di Jon e Dany nel suo rumore ferreo, Jon si portò le braccia al petto e cominciò a piangere, non prima di aver tossito in quello stesso modo che Dany ormai conosceva benissimo: le prime avvisaglie della tubercolosi.





Si svegliò di soprassalto, ansimante e sudata. Jae dentro di lei scalciò irritato per la sveglia improvvisa, acquietandosi poi lentamente. Subito, avvertendo come un bisogno primordiale, Dany si girò verso la parte del letto occupata da Jon e cercò il suo corpo nelle tenebre. Lui era lì. Stava dormendo. Tutto andava bene. Lui stava bene. Il suo amato stringeva a sé il cuscino, serrandolo in una stretta bavosa e di ricciola sparsi. Il suo respiro ritmico e il suo ruscello di saliva tranquillizzarono Dany. Adesso Jon Snow era al sicuro, protetto e sano. Il passato, per quando fosse una ferita ancora aperta, aveva abbandonato sia lui che Dany.

Ciononostante Dany voleva una sua parola di rassicurazione, qualcosa, allora lo scosse e la risposta che ottenne fu un assonnato mugugno. "Mmh... Dany... bimbi..."

Quella frase senza senso riuscì a strapparle un sorriso. Soddisfatta e di nuovo tranquilla, Dany tornò ad adagiarsi sul letto accanto a Jon. La sua fronte si posò contro quella adornata dai riccioli scuri di lui. Il respiro caldo che uscì dalle sue narici l'accompagnò in un mondo di sogni dolci e sereni.








Destò Aegon Targaryen la mattina successiva con un bacio e quando vide due iridi appesantite dal sonno schiudersi e incrociare le sue, sorrise felice. "Buongiorno mio re."

Jon sbadigliò. "Buongiorno mia regina. Sei bellissima stamani."

Dany rise leggermente. "Me lo dici tutte le mattine!"

"È perché tutte le mattine è così." E, come tutte le mattine, Jon la guardò adorante come se fosse una dea o una meravigliosa statua di marmo. L'adorazione venne meno però quando l'ennesimo sbadiglio fuggì dalle labbra di lui.

"Grazie mille." Disse Dany scherzosa. "Essere investiti dal tuo alito di prima mattina è il miglior modo per cominciare la giornata."

Questa volta toccò a Jon ridere. Allungando un braccio, le accarezzò la schiena e i glutei e l'attirò a sé. Baciò Dany sui capelli, affondandovi il viso e beandosi del loro profumo. "C'è qualcosa che non va? Mi sembri pensierosa."

Ho visto a cosa ti condannarono, come posso non pensarci amore mio? "Sento soltanto Jae fare le capriole come una capretta di montagna. E mi stupisco che tu abbia ancora sonno!"

Richiamato, Jon uscì dall'assopimento in cui era sprofondato e sfregò le labbra contro il cuoio capelluto di Dany. "È mattina... non possiamo rimanere a letto fino a..." Sbadiglio. "... fino a mezzogiorno?..."

"Il mio re dormiglione." Dopo tutti gli incubi che hanno infestato le tue notti in quella maledetta cella puoi rimanere a letto anche tutto il giorno amore mio. Dany accolse il capo di lui nell'incavo del suo collo e glielo grattò, giocherellando poi con i riccioli. Vide Jon sospirare rilassato e chiudere gli occhi. "Sai, forse forse un giorno te lo concedo... ma solo uno! Che non diventi un'abitudine."

Mezzo addormentato, Jon annuì e sorrise. "La Mamma vizia il suo Bimbo."

Perché il suo Bimbo ha sofferto tanto come lei. "Ho fatto preparare una colazione speciale apposta per te. Vuoi vedere di che si tratta o continuare a ronfare come un cane da salotto?"

"La voglio vedere, ma prima posso dirti un segreto?"

"Dimmi."

Jon sorrise ancora come un bambino discolo. "La tua spada è in acciaio di Valyria. È stato difficile da reperire ma per te volevo solo il meglio. Non te l'ho detto subito per non vederti il giorno dopo pronta a pestare il mio povero sederino regale..."

Parlarono ancora. E quando la colazione in questione, marmellata di mirtilli, pane abbrustolito, pancetta affumicata, albicocche e te verde, fu posata dinanzi su un vassoio portatile, la bocca di Jon ricadde per lo stupore. Mangiarono tranquilli fino a quando Myanna non venne ad annunciare loro che il Concilio Ristretto si sarebbe riunito da lì a poco. Jon non potè parlare per la bocca colma di mirtilli, ma Dany lo fece a nome di entrambi.

"Grazie mille Myanna ma puoi comunicare al Concilio Ristretto che oggi io e il Re siamo indisposti e che rimarremo nei nostri alloggi a riposare."

"Indisposti?" Myanna spalancò gli occhi. "È per caso il bambino Vostra Grazia? Oppure il Re..."

Dany scosse la testa per rassicurarla. "Nulla di tutto questo. Siamo solo un po' stanchi."

Io principalmente. Sono stanca di segreti e intrighi. Myanna se ne andò e allora Jon e Dany poterono riprendere a mangiare in tutta tranquillità. Solo quando ebbero finito Dany osò gettare un'occhiata al cofanetto sul comodino dove aveva riposto la fiala trovata il giorno prima. Avrebbe scoperto chi aveva tentato di avvelenare Jon, sì, l'avrebbe fatto.

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