Rocce, draghi e amore

L'aroma di pane appena sfornato irruppe nei suoi sogni e squarciò come un coltello invisibile il nero velo del suo sonno. Le pupille di Daenerys furono bagnate dalla luce mattutina come le sue palpebre si sollevarono, e non appena ebbe messo a fuoco l'ambiente intorno a sè, sorrise nel vedere che si trattava di Roccia del Drago. Ivi erano arrivati lei e Jon la sera prima dopo giorni passati sulla nave reale "Fuoco di drago".

Le tende di lino appese alle porte ad arco del loro balcone ondeggiavano alla brezza marina e fuori le onde sbattevano pigre contro gli scogli. Quegli spicchi di cielo che Dany riusciva a cogliere dal letto parevano essere di un azzurro brillante. Si preannunciava una bella giornata. Questo pensiero la rese felice e la sua felicità aumentò quando salutò il suo piccolino. Era alla sesta luna ma le pareva di essere quasi giunta al termine talmente era grossa la sua pancia. Se la accarezzò sorridendo e solo allora i suoi occhi caddero su qualcuno che era rimasto lì fermo ad osservarla fin dal risvegliò.

"Buongiorno mia regina."

Jon Snow se ne stava sulla soglia della porta con un vassoio in mano e un sorriso stampato sul volto. A quanto pareva quel giorno aveva deciso di legarsi i capelli nel codino. A passi rapidi si avvicinò alla sua sposa, la baciò sulla guancia e le depose dinanzi il vassoio. "Per farti iniziare la giornata nel migliore dei modi."

Uova, fette di pane caldo e imburrato, latte, uva e soprattutto fichi adornavano il vassoio d'argento, per non parlare poi di quel rametto di lillà che domivana su tutto quel ben degli Dei dal suo vasetto di vetro soffiato. Dany sentì crescerle l'acquolina in bocca ed afferrò subito una fetta di pane. Ormai la fame improvvisa la conosceva troppo bene, in tutte quelle lune ci aveva fatto l'abitudine. Ma nonostante avesse la bocca mezza piena e le sue papille gustative stessero facendo i salti di gioia per la dolcezza del burro, non dimenticò di ringraziare il suo re per quel dono inaspettato.

"Sei un te -mmh! - tesoro..." Al bando le maniere regali per una volta. Rimaneva in fin dei conti una donna incinta. "Grazie, grazie davvero Jon."

Di tutto rimando lui le sorrise intenerito. "Hai tutta la bocca sporca di burro!"

Dany si tastò le labbra per controllare ma i suoi polpastrelli non trovarono nulla. "Dove?"

Jon avvicinò un dito al suo labbro inferiore e lo massaggiò lievemente. Non aveva smesso di sorridere. "Qui. Vuoi che ti pulisca?"

Il Re che al mondo mostrava un carattere chiuso e riservato con lei era più aperto delle fauci di un drago quando brucia qualcosa. Adorava il suo lato monello e vivace. Acconsentì. "D'accordo, ma devi fare in fretta."

"Come la mia regina comanda."

La pulizia arrivò senza bisogno di farsi attendere. Le labbra di Jon si scontrarono con le sue in una lotta a colpi di morsi e legami. La lingua di Daenerys sfregò contro quella del suo amato e le trasmise il sapore dolcissimo del burro e la morbidezza di quelle poche briciole di pane che ancora rimanevano all'interno del suo palato. Percepì le mani di Jon cingerle le spalle e da lì salire come due ragni rosa e a cinque zampe verso le sue guance. Le incorniciarono il viso prima che il bacio finisse.

"Sei un tempio..." Sussurrò Jon posando la sua fronte contro la sua. "Sei una dea, un essere celestiale, sei una madre. E sei tutta mia."

"Fino al più piccolo e insignificante pezzo di me." Rispose Dany sorridendogli. "E tu sei mio, mio e solo mio. Nessuno può toccare il mio Jon Snow."

"Il tuo Jon Snow..." Jon ripetè quelle ultime parole con enfasi, chiudendo gli occhi ed immergendosi per un breve attimo nei suoi pensieri. Il sorriso non aveva abbandonato le sue labbra. Quando riaprì le palpebre furono due pozze d'acqua grigia ad accogliere Daenerys. "Oggi è una bella giornata. Che ne dici se annulliamo i nostri impegni e ci facciamo un bel picnic con i bambini nel giardino di Aegon?"

Dany non avrebbe chiesto altro, ma erano regnanti e il dovere veniva sempre prima del piacere. Solleticò con le dita il mento di Jon, lasciando che i peli neri si attorcigliassero attorno alle sue dita. "Abbiamo un regno a cui pensare amore mio. Tyrion è arrivato e il Concilio Ristretto al completo è qui per noi. Non possiamo abbandonarli come due bambini birichini per fare quello che più ci va."

Il suo re mise su il broncio. "A me piace essere birichino per te, mia bellissima regina. Per te farei qualunque cosa, mi getterei nel fuoco e scalerei la montagna più elevata. E visto che ti amo ti chiedo subito di non esagerare nel lavoro. Questa gestazione si sta rivelando dura e non voglio che tu ti stressi troppo. Lascia a me un po' di riunioni e di documenti, ti prego."

"Per poi ritrovarti il giorno dopo ancora impegnato, addormentato e sommerso da tutte quelle scartoffie? Jon, non fingere, sappiamo entrambi come va a finire se ti inculchi in testa il voler lavorare da solo per un reame."

Risero entrambi di quell'affermazione prima che Dany riprendesse parola. "Questo è anche il mio regno e intendo guidarlo fino all'ultimo giorno di travaglio. Con Rhaella e Aemon non ho forse fatto così?"

"Sì ma le loro gravidanze sono state più..."

"Più tranquille, lo so." Dal mento del suo amato adesso Dany era passata alla guancia. "Capisco i tuoi timori e ti ringrazio della premura che hai nei miei confronti, ma anche da gravida rimango pur sempre una regina. E una regina non viene mai meno al proprio dovere e nemmeno un re."

Jon sbuffò per finta. Ecco che arrivava il nipotino brontolone. "Ma ti prego zietta, per un giorno soltanto! Solo un giorno e poi torneremo a lavorare, te lo prometto. Farò il bravo bambino se oggi faremo il picnic."

È più testardo di un mulo. O di un drago. O di un lupo. O di entrambi, erano tutte e due creature con le quali non si scendeva a patti facilmente. Dany sospirò rassegnata. "Un giorno solo. Che sia e rimanga un giorno solo, siamo intesi Aegon?"








L'acqua a lui destinata era in un secchio. Era lurida, lo faceva tossire e aveva il sapore ripugnante delle fogne, ma era sempre meglio rispetto a quella carica di muffa che gocciolava dal soffitto. Vi ci si era specchiato dentro una volta, in quel secchio di legno corroso dalle tarme, e non si era stupito del suo aspetto. I riccioli lunghi, sporchi e spettinati, la barba incolta come quella di un selvaggio e gli occhi infossati, due bulbi sperduti nel nero che li circondava. Sapeva anche senza il bisogno dell'acqua di essere cadaverico. Da quando non vedeva veramente il sole? Settimane? O forse erano mesi? E se fossero stati anni?

No, non potevano essere passati anni. Colui che un tempo era stato il suo timoroso migliore amico era venuto a trovarlo e pure il Cavaliere delle Cipolle e loro non sembravano cambiati di un giorno. Il tempo si era dunque accanito solo su di lui. Non che non ne avesse tutti i diritti, così come tutti gli altri. Tutti potevano accanirsi su di lui, ucciderlo di nuovo, spezzargli ogni singolo osso, cavargli gli occhi e darli in pasto ai corvi, gettare il suo cadavere nel mare e fare sì che il mondo dimenticasse il suo nome.

Eccola la punizione migliore per lui: essere dimenticato. Che lo lasciassero pure lì in quella cella a marcire, a morire di stenti e di colpi di tosse, tanto là fuori a chi sarebbe veramente stato a cuore? A nessuno. Gli assassini, i bastardi e gli ignoranti non stavano mai a cuore a nessuno.

Solo lei l'aveva amato ma lui al suo amore aveva risposto con un bacio di freddo acciaio. Lei, che avrebbe meritato il mondo intero... No! L'universo intero...

Scosse la testa nel tentativo di scacciare via questi pensieri, anche se sapeva che era impossibile. Erano sempre lì, quei pensieri, sempre sostavano in agguato in un angolino della sua mente in attesa del momento propizio. E il momento propizio era la notte oppure quando si sfregava gli occhi stanchi per cercare di dividere sudore e lacrime. Prima di chinarsi per bere si arieggiò con le braccia. La maglia lurida gli rimaneva ormai sempre incollata al petto per il caldo e macchie di sudore grosse quanto un uovo avevano scurito il verde.

Accanto al secchio avevano deposto la ciotola del cibo. Una brodaglia color merda dove galleggiavano zampe di gallina e chissà quali altri scarti di animali. C'erano giorni in cui l'aveva rifiutato quel cibo, in cui i sensi di colpa gli avevano chiuso lo stomaco, ma oggi, pur sentendosi tormentato come non mai, l'umanità che c'era in lui aveva preso il sopravvento.

Vigliacco, si era detto, tu ormai non hai più neanche un briciolo di umanità. Non ascoltare il tuo stomaco e muori di fame, è meglio per tutti credimi.

Sarà stato anche meglio per tutti ma la sua pancia la pensava diversamente. Si portò la ciotola alle labbra e fece scivolare giù per la gola quella schifezza. Il sapore rancido dominò nel suo palato fino a quando non incontrò qualcosa di duro. Riponendo la ciotola sul pavimento, notò che era una fiaschetta. Una fiaschetta di vetro piccola, grande almeno quanto un pollice, e al tappo della quale vi era legato un minuscolo foglio. Lo ripulì un po' dal brodo, lo sdrotolò e lo lesse.

E un miscuglio di felicità e di profonda tristezza lo invase.

"Caro Jon.

Io e Arya abbiamo fatto il possibile per liberarti, come Tyrion ti avrà di sicuro già detto, ma purtroppo non ci siamo riuscite. Hanno deciso di mandarti alla Barriera ma io so che non è quello che vuoi..."

Se alla Barriera avrebbe potuto essere dimenticato per sempre allora sì. Riprese a leggere.

"... tu vuoi riunirti a Daenerys. Tu la amavi e questo tuo amore per lei adesso ti sta distruggendo. Non posso sopportare di vederti così. Ti prego, a nome dell'affetto che provi per me, prendi quella fiaschetta. Starai meglio per sempre e non dovrai crogiolarti nella disperazione per il resto dei tuoi giorni. Sarai felice insieme a lei e io sarò felice nel sapere ciò. Arya non lo sa e non lo dovrà mai sapere, le dirò che le condizioni della prigionia erano troppo dure per te.

Ti voglio tutto il bene del mondo, fratello o cugino che tu sia. Arrivederci Jon, grazie di tutto.

Tua Sansa Stark, Regina del Nord."

Gli Dei avevano dunque ascoltato le sue preghiere? Sollevò la fiaschetta e il liquido in essa contenente brillò alla luce del sole. Lacrime di Lys, trasparenti, inodori e insapori come l'acqua. Capaci di distruggere le viscere di uomo con il veleno. Eccola qui, nella sua mano, la chiave per sfuggire al dolore. Ma ne sarebbe mai veramente sfuggito? Una volta morto sarebbe di sicuro finito nel più profondo dei gironi infernali mentre lei sarebbe stata... lei sarebbe stata nel più alto dei cieli, a danzare e a sorridere con coloro che aveva amato. Lei se lo meritava. Lei si meritava tutto quello che c'era di bello.

Una risata beffarda sgorgò dalla sua gola. Un biglietto di sola andata per l'inferno donato dalle mani di sua sorella. Ecco un'ulteriore prova di quanto poco lui importasse là fuori. Persino i suoi parenti lo volevano morto. Distrusse la lettera e osservò il veleno. Doveva berlo e tutto sarebbe finito per la seconda volta, la volta definitiva. Doveva berlo e tutti si sarebbero dimenticati di lui in un colpo solo. Doveva solamente berlo.

Codardo, disse la sua coscienza, se non lo bevi sei uno stupido e infame codardo. Un altro appellativo da aggiungere alla tua lista.

Lo bevve.

Fu come bere acqua, niente di speciale. Fino a quando il mondo prese a girare vorticosamente intorno a lui. Le sue viscere si contrassero in una morsa letale. Indietreggiò spaventato e scivolò, andando a picchiare il capo contro il pavimento. Una fitta violentissima nello stomaco, poi un'altra e un'altra ancora. Sembrava come se migliaia di pugnali invisibili si stessero conficcando nella sua pancia. Era questo il dolore. Era questo che aveva provato lei quando la sua arma l'aveva raggiunta nel cuore. Si ricordò del tradimento dei suoi confratelli in nero e d'un tratto quella pioggia di pugnali gli apparve una cosa leggera in confronto a questa.

Si raggomitolò in posizione fetale. Rabbrividiva in modo così violento che i suoi denti sbattevano senza sosta. Dentro di lui era in corso la più tremenda delle battaglie, il suo stomaco si contraeva e pulsava e si contraeva di nuovo... oh Dei... Dovette fare appello a tutte le sue forze per non urlare. In compenso graffiò il pavimento fino al punto di scorticarsi un'unghia. Poi sentì qualcosa affiorare in superficie, qualcosa arrivare. Ma non era la morte tanto sperata. Era il vomito. Un vomito verdastro, puzzolente e viscido, un vomito che sembrava non finire più. Colorò il pavimento di verde e alla fine, quando non ebbe più forze, tutto quello che riuscì a fare fu rimanere lì, sguazzante nel suo stesso vomito, in preda le convulsioni.

Ma guardati, disse di nuovo la sua coscienza, la sua coscienza bastarda, ma guardati come ti sei ridotto. Lei non ti avrebbe mai amato in questo stato. Sei solo un'inutile forma di vita, un assassino, un vero bastardo, un re dimenticato. Sì, lo era, lo era fin nel midollo.

Lei aveva sempre detto che il sangue dei Targaryen era diverso da quello degli altri e adesso lui ne aveva la conferma. Neanche del veleno era riuscito a ucciderlo.

Rimase lì ad attendere la notte e i suoi incubi.








Il picnic fu piacevole. Frutta fresca, latte e pasticcini ripieni di crema e cioccolato. I bambini corsero ridendo nel giardino, inseguirono farfalle e giocarono con Spettro. E quando loro se ne furono andati calmi sotto le coperte del loro riposino pomeridiano, i loro genitori ne approfittarono per un bel momento di solitudine.

"I nostri principini erano veramente scalmanati oggi no mia regina?"

Il sole illuminava i riccioli scuri di Jon e li rendeva un'aureola corvina. A Dany venne una voglia pazzesca di baciarlo. "Certamente mio re, dei veri e propri monelli, come il loro papà dopotutto."

Lui l'afferrò di scatto e la fede ricadere con sè sul morbido telo che fino a poco prima aveva ospitato le loro pietanze. "Stai dicendo che io sono un monello?"

Daenerys sorrise e sfregò il suo naso contro quello di Jon. Aveva un pezzettino di fragola intrappolato nei baffi. "Chiariamoci subito: non un monello qualsiasi, ma il mio monello. Il mio re monello..."

Il giardino di Aegon era immerso in un piacevole profumo di pino. Lungo il suo perimetro crescevano alberi altissimi, rose selvatiche e macchie di cespugli di mirtilli. Quel pomeriggio Jon e i bimbi si erano messi d'accordo per fare indigestione di mirtilli e, di conseguenza, fare ammattire Dany. Le labbra blu di Jon ne portavano ancora le tracce, labbra che Dany baciò con affetto.

"E tu..." Mormorò Jon dopo il bacio sorridendo come un malandrino. "... tu se la mia regina golosona..."

Una scherzosa spintarella da parte di Daenerys, unita alle risate divertite di entrambi, segnò l'inizio di qualcosa di più di un semplice gioco. Qualcosa di più profondo e intriso d'amore.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top