Ombre in agguato
Approdo del Re aveva accolto il ritorno dei suoi sovrani in un'esaltazione di colori, suoni e odori. Non appena gli zoccoli dei destrieri reali avevano oltrepassato la Porta degli Dei una folla giubilante li aveva circondati, levando le mani al cielo nella speranza di sfiorare almeno un lembo di vestito della Regina o del Re e invocando benedizioni sulla dinastia Targaryen per molte generazioni a venire.
Erano popolani che per tutta la vita non avevano conosciuto altro che il loro piccolo mondo composto dalla bottega, dalla casa e dalla devozione agli Dei e alla monarchia, gente semplice che conduceva un'esistenza semplice mossa dalla sola speranza di una pace duratura. E per adesso i Targaryen avevano dato loro tutto questo: messi rigogliose e un mercato prospero, eredi in abbondanza, rare, lampanti e lontane guerre che non avevano intaccato minimamente il loro universo e un aiuto concreto verso i problemi dei bassifondi. A discapito di tutte le voci malevole che avevano accompagnato l'ascesa al trono di Daenerys ed Aegon Targaryen, ora nessuno poteva negare che il reame fosse veramente e finalmente in pace.
Mentre dispensava sorrisi, stringeva mani e baciava bambini, un Jon ormai prossimo alla guarigione e capace di restare in sella per un buon periodo di tempo senza stancarsi troppo aveva lasciato scorrere il suo sguardo aldilà di quello sgargiante e caotico fiume umano. I suoi occhi erano scivolati su quegli angoli bui e quei vicoli solitari dove sagome dai contorni indistinti si radunavano in silenzio invece che unirsi alle celebrazioni.
Era conscio che a Westeros albergasse ancora dell'astio nei confronti suoi e di Daenerys e, benché nel popolino e in un gran parte della nobiltà fossero ormai diventati dei veri e propri idoli, in alcune locande e bettole malfamate continuavano a venir sussurrati quei due tremendi soprannomi: Regina Folle e Sterminatore di Regine. Non ovunque le buone azioni e le vittorie militari avevano epurato il sentimento amaro che aveva contraddistinto quei maledettissimi giorni ad Approdo del Re ormai quattro anni prima e di questo entrambi, ma soprattutto Dany, ne soffrivano largamente.
Ai lati delle strade, protetti da mura baciate dalle tenebre, si aggregavano entità che desideravo vedere nuovamente i Targaryen spodestati ed esiliati, se non addirittura completamente estinti. Gli errori di Jon e di Dany bruciavano ancora nelle loro anime e non si sarebbero dichiarati soddisfatti finché non fossero riusciti nel loro intento.
Jon non l'avrebbe mai permesso.
Aveva già perso Dany una volta e se qualcuno avesse osato strappargliela dalle braccia di nuovo - o se avesse avuto anche solo l'ardire di torcerle un capello - si sarebbe immediatamente ritrovato a render conto delle sue azioni davanti alla tagliente lama di Lungo Artiglio o alle fiamme incandescenti di Rhaegal. Lo stesso valeva per colui che pensava di far del male a quelle gemme splendenti dei suoi figli. Quattro anni prima era stato sciocco, un burattino nelle mani di Sansa, Tyrion e Varys ma adesso non più.
Adesso in lui dimorava l'essenza di Aegon VI Targaryen e la famiglia, per Aegon, era l'unica cosa veramente importante.
Rhaella, Aemon, Daeron, Alysanne e Jaehaerys Targaryen ricevettero il battesimo dei Sette Dei nel tempio privato della Fortezza quel giorno stesso. Furono unti sette volte sulla fronte con i sette sacri oli e confermati nella fede del Credo. L'Alto Septon in persona officiò il rito, estinguendo in tal modo il debito contratto con i genitori dei principini in cambio del consenso per la costruzione di un tempio del Dio Rosso nella Capitale. Successivamente i piccini elevarono le loro preghiere dinanzi agli altari degli Dei, agghindandoli con fiori di campo colti da loro stessi in una radura il giorno precedente, gesto che Sua Alta Sacralità trovò assai dolce.
Dalle panche, Daenerys osservò la cerimonia procedere senza interruzioni, intervallata ogni tanto da canti e da letture dalla Stella a Sette Punte. Elogiò interiormente Rhaella per il contegno dimostrato e Daeron per non aver rivolto una valanga di domande riguardo agli anelli che luccicavano sulle dita dell'Alto Septon e aver tenuto la bocca chiusa. L'incenso, il bagliore delle candele, il sottofondo musicale e le dita di Jon intrecciate di nascosto con lei sue creavano un'atmosfera di puro e delicato misticismo. Un'atmosfera che un bisbiglio giunse a distruggere.
"Ho saputo che i lavori per il luogo di culto del Signore della Luce non procedono come previsto."
Tyrion Lannister. Dany aveva quasi dimenticato che era arrivato ad Approdo del Re insieme alla sua futura sposa per assistere al lieto evento. Peccato che, nelle intenzioni di Jon e Dany sarebbe dovuta essere una funzione prettamente privata e destinata a pochi e fidati eletti.
"Ne siamo venuti a conoscenza oggi stesso al nostro ritorno e non abbiamo ancora avuto il tempo di destinare ad esso la nostra attenzione." Rispose Daenerys parlando a nome sia suo che di Jon.
Il Folletto non si accontentò di quella risposta."Ovviamente mia signora, ma se potessi..."
"Tu non puoi nulla. Sono certa che presto farai ritorno a Castel Granito."
"Da qui a pochi giorni Maestà, la gravidanza della lady mia consorte le sta gradualmente impedendo lunghi viaggi."
L'unico e fugace sguardo che Daenerys rivolse a Tyrion girando di poco il capo, uno sguardo fulminante. "Non era una domanda Lannister."
Nel rosso covo dei Draghi vi era fin troppa ostilità per un piccolo uomo come lui. E Tyrion Lannister di ostilità nella vita ne aveva sperimentate fin troppe. Daenerys lo evitava come se fosse stato un lebbroso e non gli permetteva assolutamente di avvicinarsi a Jon o ai principi reali. Tyrion ricordava a stento le ultime parole che aveva scambiato con il suo giovane monarca qualche luna prima e i principini non gli avevano mai prestato una grande attenzione, forse dato soprattutto il fatto che Tyrion non aveva mai osato avventurarsi di suo spontanea volontà fino al Fortino di Maegor, sede degli appartamenti regali e quindi anche della nursery.
Ad ogni modo, quell'aria di diffidenza l'aveva schiacciato a tal punto che quella sera aveva avvertito il bisogno di bere. Siccome la sua unica compagna d'alloggio era la sua gravida ed accaldata moglie, una deliziosa e giovane vedova con la quale non trovava purtroppo molti spunti di conversazione su argomenti a lui cari come la storia o la letteratura, il Folletto si era deciso per un bicchiere nella taverna più vicina al castello che ci fosse.
Ed ora era quasi all'uscio quando... "Buona sera milord, cosa vi porta qui?"
Un ragazzino semi sepolto dalle ombre, dodici anni al massimo a giudicare dall'altezza, gli bloccò la strada. La sua voce recava i segni del passaggio da bambino ad adolescente e tutto il suo corpo, capo compreso, era coperto da un lungo e pesante mantello nero.
"La sete." Gli disse Tyrion. "E tu cosa vuoi da me mio buon fanciullo?"
Non fu il fanciullo interpellato a rispondere, ma bensì un altro leggermente più piccolo e minuto che Tyrion ipotizzò avere circa otto o nove anni di vita.
"Aiuto, amicizia e ricchezza. Tu sei una chiave Lord Lannister, una chiave per aprire la porta della rovina dei Targaryen. Conosci la Fortezza Rossa come le tue tasche e riteniamo che non avrai difficoltà ad unirti alla nostra causa. Tu possiedi oro e una mente geniale. Corrompi ancor di più la già corrotta corte imperiale e una volta che i Draghi saranno stati definitivamente spazzati via tu riotterrai il tuo ruolo quale Primo Cavaliere del Re."
Tyrion era sbigottito. "Quale re?" Osò domandare.
Un terzo ragazzo, un adolescente. "Il Re che gli Dei riterranno opportuno mettere al comando delle redini di Westeros. Accetta il nostro piano e tutto si risolverà. Buona notte milord."
E tutti e tre si dileguarono in un baleno, inghiottiti dalle tenebre.
Accetta il nostro piano e tutto si risolverà... Si ripetè il Folletto nella mente. Devo nuovamente macchiarmi di tradimento oppure no? Daenerys mi odia, eppure io pensavo di aver chiuso con intrighi e macchinazioni.
A quanto pareva si era sbagliato.
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