Il ratto è uscito dalla tana

Soddisfatto delle gioie carnali, Jon si alzò dal letto. Dany, ancora nuda, con i capezzoli turgidi e gocciolanti di latte e con le lenzuola attorcigliate intorno alle caviglie, lo osservò languida. Le fiamme del braciere spandevano barbagli arrossati e germogli vermigli nascevano fra le ceneri, riscaldando l'ambiente. Abbracciata da quella luce, la carnagione pallida di Jon Snow assumeva una sfumatura lievemente bronzea, proprio come quella di un dothraki.

Proprio come quella di un Khal. Pensò Dany poggiando il suo mento su una mano e sdraiandosi lateralmente nella direzione del suo sposo. Ora completamente libera da coperte o lenzuola, la sua gravidanza si mostrava in tutta la sua rotondità. Proprio come quella delle statue dei grandi condottieri che decorano i nobili giardini, di grandi re, di grandi imperatori.

"Non mi interessano le riflessioni monetarie del nostro Primo Cavaliere." Lui riprese il filo del discorso che aveva contraddistinto la loro passione, sebbene fosse stato dibattuto in mormorii, sussurri e grida di raggiungimento dell'orgasmo. "Nuovi possedimenti porteranno fecondità al Tesoro della Corona? Bene, che ci pensi lui. Io non so contare."

Daenerys rise della battuta e si accarezzò il ventre, portando poi la sua mano lì dove un cespuglio argentato segnava l'ingresso al castello delle meraviglie. "Ora che la Banca di Ferro di Braavos è sotto il nostro comando è come se quei soldi fossero i nostri. Ma non lo trovo giusto. Perché non dividiamo le due cose? Braavos depositerà e raccoglierà i fondi della nobiltà e dei comuni cittadini mentre il Tesoro della Corona rimarrà il Tesoro della Corona, sede del denaro privato della famiglia imperiale e ad usufrutto suo, unico e personale. Nessun altro al di fuori della nostra cerchia potrà approfittarne."

La virilità di Jon era ancora luccicante ed umida del suo seme, un frutto polposo che poco prima aveva stuzzicato le labbra di Dany. Lui rise e afferrò il panno che era stato posato accanto al braciere, gettandoselo sul collo e da lì iniziando a detergersi l'intero torace per scacciare il sudore. Le campanelle nella sua treccia tintinnarono, minuscoli sistri d'argento, di bronzo e di oro.

"Tu hai sempre le idee migliori, mia stupenda regina e fantasmagorica Khaleesi, sei tu la mente fra noi due. Mi inspira la tua proposta, ci farò un pensierino sopra."

Questa volta toccò a Dany ridere. Allungò le mani fino a toccare la tastiera del letto in legno d'acero lavorato. Nel laghetto del suo grembo, Jaehaerys danzò con le gambine. "Fanne pure anche due, se proprio vuoi la mia modesta opinione, ma possibilmente prima che i grotteschi occhi di Tyrion Lannister incrocino i tuoi e ti rimproverino come se tu fossi un lattante che puzza d'Estate."

Jon iniziò a rivestirsi. Si mise addosso la giubba grigia priva di maniche che le mani di Dany con tanto amore avevano realizzato e si infilò i pantaloni, prima una gamba e poi l'altra. Si cinse la vita con una cintura di cerchi di bronzo, la superficie liscia come il ventre di una vergine. Infine calzò gli stivali. Dany ammirò tutto questo rimanendo nuda sul loro letto con solo un sottilissimo velo di seta bianca e trapunta di fini diamanti a coprirle le pudenda. Inginocchiandosi ai suoi piedi ormai completamente vestito, Jon le prese un seno di marmo a coppa nella mano, lo strizzò e lo adornò con un bacio sul capezzolo arrossato.

Dany non riuscì a non squittire di piacere come se fosse una ragazzina alla prima notte nel talamo. "Eggy..."

"Fra di noi e il Folletto c'è di mezzo l'intero Mare Stretto, stella fulgida della mia vita, e nonostante i Lannister abbiano a loro disposizione tutto l'oro del mondo, dovrà prima vedersela con me se intende annoiarti con lezioni sul conio. Un Drago l'oro lo squaglia e ci nuota dentro."





Lo portarono al loro cospetto nel pomeriggio, quando il sole era una gonfia palla pulsante di luce e l'erba del Mare Dothraki una lussureggiante distesa resa frusciante dal vento. All'inizio, quando i loro cavalieri di sangue avevano recato loro la notizia, sia Jon che Dany avevano stentato a crederci. Eppure, quando i mercenari di Myr vennero da loro con alle loro spalle quella infetta piaga vivente, i loro dubbi si sciolsero come ghiaccio al sole. Aero Umo, la Tigre di Volantis, era infine uscito allo scoperto, anche se non di sua volontà. Era stato nascosto per mesi interi in una cantina di Tyrosh, nutrendosi con la complicità di alcuni servi del magistro a cui apparteneva la cantina e dissetandosi con le scorte di vino lì conservate. Poi era fuggito a Myr e lì era campato grazie alle elemosine. Erano stati alcuni mercenari di origine volantiana a riconoscerlo alla fine e a braccarlo e catturarlo come una lepre in gabbia.

Dany si era aspettata un energumeno dalle mille cicatrici e con il viso temprato da infinite battaglie, ma l'uomo che fu fatto inchinare dinanzi a lei e Jon si rivelò essere tutt'alto. Era tozzo, con una mascella squadrata e la pelle scurita dal sole. Un accenno di pancia penzolava dal suo petto e grossi orecchini pendevano dai suoi lobi. I suoi occhi, scuri come pezzi di carbone, erano contornati da contusioni. Niente cicatrici, niente muscoli, solo un nobiluomo caduto in disgrazia che aveva predicato il ritorno alle armi.

"Vostre G-Grazie Imperiali..." Biascicò il verme non appena osò alzare lo sguardo ai due sovrani. "Voi..."

"Non pronunziare parole alcuna." Lo frenò Dany, cercando di contenere un moto di disgusto che le saliva dallo stomaco. Quell'essere aveva condannato alla fame milioni di persone e per cosa? Per il sogno irrealizzato di un regime totalmente armato? "Al nostro cospetto la tua lingua dovrete essere muta, la tua favella spenta. Perciò chiudi il becco."

Fu Jon a continuare. "Tu hai infiammato gli animi e le menti dei tuoi concittadini e cosa ne hai ottenuto in cambio? Fame, distruzione, una sonora sconfitta. Come hai pensato di poter conquistare il Continente Orientale con il tuo contingente?"

Umo ripartì alla carica. "E allora voi? Voi avete conquistato Essos, avete ribaltato le sue basi, l'avete scombussolata. Come potete accusare me di un crimine che voi stessi in seguito avete compiuto?"

Dany rise sarcastica. "Crimine? Quale crimine? Abbiamo messo a ferro e fuoco città? Ridotto allo stremo e alla fame intere popolazioni? Abbiamo per caso creato armi di distruzione, pronte per uccidere uomini? No, anzi, vedo che io e il Re mio sposo abbiamo portato pace e cibo, meritata abbondanza ad Essos. E dovresti ritenerti fortunato che non abbiamo scatenato fuoco e sangue, perché altrimenti sarebbe stato un inferno."

"Noi abbiamo combattuto una guerra di parole, di corvi e di penne da scrivere, tu una di duro acciaio e costruita sui cadaveri ammassati di quei mentecatti che sono stati così folli da seguirti." Disse Jon. "Lo sai che ne ho beccati alcuni intenti a disertare? A loro sì che ho riservato fuoco e sangue, perché la morte sul campo di battaglia, indipendentemente con quale schieramento si stia, è la morte che spalanca le porte della gloria e dell'eroismo. Ma tu, losco fuggitivo, di eroismo non ne hai dimostrato nemmeno una briciola."

La voce del suo amato era sprezzante veleno, il suo volto un'austera maschera di granito. Il Re si era ridestato in Jon Snow e avrebbe fatto sentire il suo giudizio. Un giudizio che Dany condivideva in pieno. "Io, Aegon delle Case Targaryen e Stark, sesto del mio nome, legittimo re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lord dei Sette Regni, protettore del reame e Imperatore di Nuova Valyria, ti condanno a morte."

Dany si aggiunse. "Io, Daenerys di Casa Targaryen, prima del mio nome, legittima regina degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lady dei Sette Regni, protettrice del reame e Imperatrice di Nuova Valyria, ti condanno a morte."

La mascella di Aero Umo non avrebbe potuto essere più spalancata. Dany godette di quella vista e godette anche delle sue stesse parole poco dopo. "Saranno i nostri draghi a decretare la tua fine, sangue del mio sangue, prendetelo e portatelo da loro."

I dothraki fecero per accanirsi sulla Tigre ma Jon li fermò e Dany non capì subito il perché. "Aspettate. L'uomo che mi crebbe come padre diceva sempre che colui che pronuncia la sentenza deve anche essere colui che cala la spada. Intendo tenere onore alle sue parole, perché questa feccia non è degna di due nobili draghi."

E nemmeno della lucida lama di Lungo Artiglio. Avrebbe voluto aggiungere Dany. Egli è cibo per i corvi e per gli avvoltoi, lasciamolo qui a marcire e andiamo avanti. Ma non disse nulla di ciò. Il Nord dove Jon era cresciuto tornava a farsi sentire con le sue fredde tradizioni e ormai lui aveva già sfoderato Lungo Artiglio.






Ci volle poco. Un tronco, un colpo netto e tutto ebbe fine. La testa del criminale ruzzolò giù dal tronco tagliato e sangue zampillò a illuminare con chiazze purpuree il prato. Subito le mosche si accanirono, divorando quel che rimaneva di Aero Umo, la Tigre di Volantis. Jon si sedette a ripulire Lungo Artiglio, la lama in acciaio di Valyria incrostata di sangue e Dany non osò disturbarlo.

Non per molto almeno. "Adesso il nostro Impero è stabile amore mio, anche l'ultima minaccia è stata eliminata."

"Aye." Jon continuò a pulire fino a quando Lungo Artiglio non avrebbe potuto tagliare anche solo con lo sguardo. Il panno diventò ricoperto di chiazze di sangue. "Ma finché avremo respiro nuovi nemici spunteranno. Magari a distanza di decenni o di secoli, ma arriveranno sempre."

Dany gli cinse le spalle con le braccia e lo baciò sulla guancia, facendolo sorridere come un ragazzino alla prima cotta. Adorabile, eccolo lì il suo piccolo draghetto di neve. "Lo so, ma mi sento al sicuro. Perché so che finché tu rimarrai al mio fianco non avrò nulla da temere."

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