Guerrieri

"Affondo, fendente, parata. Affondo, fendente, parata. Affondo, fendente, parata..."

Il cucchiaio si muoveva con tutta la maestria che la mano di Jon potesse conferirgli. Immaginando che fosse una spada, il suo consorte aveva iniziato a tracciare invisibili linee nell'aria e a elencare i nomi delle principali mosse del duello. Dany non aveva trovato nulla da obbiettare ed era rimasta lì ferma accanto a Jon con una scodella vuota di zuppa in grembo. Era incantata dalla sinuosità del suo braccio, dalla sicurezza che metteva nel colpire un avversario inesistente e dalla velocità con la quale ritirava la finta arma.

Chissà come sarebbe stato impugnare una vera spada, ascoltare il sibilo che si creava al bacio di due lame, sentire l'acciaio affondare nella carne del nemico, il cozzare delle armature, la polvere negli occhi e il sudore unito alle incrostazioni di sangue sulla pelle. Per anni il suo campo di battaglia era stato il cielo e l'unica arma che avesse mai posseduto era stato l'ustionante fuoco di drago, eppure adesso, osservando Jon ripetere quelle mosse di cui sentiva tanto la mancanza, il desiderio di essere istruita nella illustre arte dei combattimenti irrorava tutto il suo corpo come l'acqua pura di una neonata fonte di montagna.

"Con un cucchiaio non incuti molto timore sai?" Rise Dany riponendo la scodella sul comodino. "Il temibile cucchiaio di Aegon Targaryen... nah... non suona bene. Preferisco Lungo Artiglio."

Jon interruppe la nenia di movimenti e nomine e le sorrise. "Prenderei benissimo Lungo Artiglio ma purtroppo non posso mettere un piede fuori dal letto che la mia regina mi trucida solo con lo sguardo."

Anche Dany rise gaia e si sporse in avanti per accarezzare i capelli del suo amato. "È perché il mio re è un vero e proprio testone ed è difficile farlo rimanere buono buono sotto le coperte. Mi vedo costretta a usare le maniere forti con lui."

"Allora il tuo re ti sfiderà con il suo leggendario cucchiaio magico." Jon sfregò la testa nell'incavo del suo collo, facendo ondeggiare la sottile catenella d'oro che lo cingeva. Un altro dei suoi regali. "Ed è difficile resistervi sai? Persino una dea Nata dalla Tempesta come te dovrà inchinarsi al suo potere."

La malattia non ha fatto venir meno il suo senso dell'umorismo. Anche se quell'umorismo era piccolo quanto un granello di sabbia e lo dimostrava solo con lei, preferendo sfoggiare con gli altri l'austera espressione nordica. In ogni modo, Dany ringraziò mentalmente gli Dei. Cinse la schiena di Jon con le sue braccia e la diresse verso il suo petto, consolidando così la stretta che il suo sposo aveva iniziato. Era ancora caldo. La febbre non ne voleva sapere di scendere ma, almeno, i colpi di tosse sembravano essere diminuiti rispetto al giorno precedente. Ma Jon sarebbe potuto tornare a sputare sangue in ogni minuto. La tubercolosi era imprevedibile.

"Rabbrividisco dinanzi a cotanto potere." Scherzò Daenerys. "Ma fremo di eccitazione all'idea di impugnare una spada. Tutte quelle mosse che stavi nominando sembravano così affascinanti! Non sono mai stata un tipo da armeria, eppure..."

"Eppure ti attira vero? Devo dunque dedurre che tutti i miei faticosi allenamenti ai quali hai assistito con i nostri pargoletti nel cortile interno hanno portato frutto?" Lasciandosi sfuggire una risatina, Jon si accomodò sotto le candide lenzuola.

Dany annuì. "Non solo sei riuscito a far eccitare nostra figlia e a farla diventare una nuova Arya Stark, ma persino a far avvicinare me al mondo delle spade. A questo punto dovrai regalarne una anche a me, mio re."

"E ti istruirò lungo questo affilato e scintillante cammino." Aggiunse Jon. "Mi immagino già tutti i colpi che riceverò..."

La tua mogliettina ti riempirà di lividi. "Io e te saremo una squadra formidabile!"

Jon Snow sorrise, dispiegando bene l'ormai rinomata coperta rossa su di sé. Il rosso brillò notevolmente sul bianco delle lenzuola. E non si rivelò essere l'unico rosso, perché poco dopo un colpo di tosse troncò la frase che Jon stava per dire. Rubini schizzarono nell'aria per poi finire nella ciotola di rame. Per aiutarlo, Dany gli donò una serie di pacche sulla schiena. Ogni volta che lui tornava a tossire, l'ansia le invadeva le membra. L'ansia che a quel colpo ne sarebbe potuto seguire un altro e poi un altro e poi un altro ancora, fino a creare una catena continua. Proprio come era successo nei terribili giorni di angoscia precedenti l'arrivo di Fratello Grogyr.

Le avevano detto che l'incendio da lei appiccato al campo degli Umili Fratelli ormai due notti prima aveva continuato a bruciare per un giorno intero senza sosta. Solo verso sera le fiamme si erano attenuate per poi spegnersi del tutto. Alla fine, tutto ciò che era rimasto dell'accampamento degli eretici non era stato altro che una nera distesa di cenere.

Nera come le loro anime ingannatrici. Jon si era ripreso dal colpo improvviso abbandonandosi lungo l'imponente schienale di cuscini alle sue spalle. Dany gli accarezzò la fronte. "Vuoi che ti lascio riposare oppure..."

"No." Deciso. "Non sono stanco, la tosse mi ha solamente colto senza preavviso, tutto qui. Piuttosto parlami dei nostri bimbi, del nostro regno. Non molte notizie giungono dentro queste quattro mura. I nostri tesori fanno i bravi? E i gemelli?"

"Rhaella e Aemon chiedono sempre di te." E Dany avrebbe voluto dar loro ogni volta una risposta concreta, ma come spiegare a dei bambini di tre e due anni che l'allontanamento dal loro papà era per il loro bene? Dany cercava di passare quanto più tempo possibile con loro, dormendo addirittura nella nursery visto che momentaneamente il letto era occupato da Jon e dalla sua infermità, eppure percepiva la tensione dei suoi tesori senza il loro padre. Lo volevano. Volevano i suoi baci e i suoi giochi. "Mentre i gemelli hanno ripreso a nutrirsi al mio seno. Alysanne è la più vorace, ma Daeron è capace di superarla quando è affamato."

Una risata sgorgò dalla gola di Jon. "I nostri meravigliosi figli! Muoio dalla voglia di vederli Dany. Desidero accarezzarli e baciarli e giocare con loro. Voglio stringere fra le braccia i gemellini e cullarli, loro sono ancora così piccoli!"

"Lo so." Dany strinse la mano di Jon. "Ma per la loro salute è meglio che non ti vedano per un po', almeno fino a quando le tue condizioni non saranno stabili. Ma ti prometto che un giorno passeremo un intero pomeriggio nella nursery, tu, io e i nostri piccini. E poi..."

"E poi?..."

"E poi ho qui un regalo per te. Chiudi gli occhi."

Jon ubbidì, coprendosi le palpebre con le mani. Approfittando dell'occasione Dany si affrettò a compiere il suo dovere. Realizzò una treccia con i riccioli del suo sposo e vi legò ad essa una campanella d'argento. Poi si alzò e prese lo specchio. "Fatto. Ora puoi aprirli."

Porse a Jon lo specchio e l'espressione che vi vide riflessa non la stupì affatto: curiosità. Con un dito Jon fece tintinnare la campanella. "Una treccia e una campana? Cosa significano?"

"Per i dothraki la treccia è sinonimo di valore. Se un guerriero viene sconfitto in battaglia è costretto a tagliarsi la treccia in modo che tutto il mondo sia testimone della sua vergogna. Se invece è vittorioso sul campo ad essa vengono aggiunti tanti piccoli campanelli. E tu ti sei dimostrato un vincitore amore mio..." Delle lacrime arrivarono a pizzicarle le pupille e un nodo serrò la sua gola. Aveva pensato di essere vicina a perdere Jon ed invece si era dimostrato tutto il contrario. "Hai sconfitto la morte che ti minacciava e stai lottando contro la tubercolosi in questo preciso istante. So già che la sconfiggerai ancora e lo farai ogni volta che questa malattia tornerà a bussare alla tua porta. Tu sei un guerriero, il mio guerriero assetato di vita."

Una lucida patina era stata srotolata sulle iridi grigie di Jon. "Non avrei mai potuto affrontare questa prova senza di te. Tu sei la colonna portante della mia vita Daenerys Targaryen."

E allora, in barba a tutte le prescrizioni dei Maestri, Daenerys si permise di baciarlo sulla guancia. Fu un bacio piccolo, breve, contornato dalle lacrime e dal tintinnare della campanella della treccia di Jon, ma per lei significò molto. Prima di tutto l'infinito amore che provava per il suo re guerriero.

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