Gocce rosse
La testa di Jon ciondolava mentre lo trasportavano, Daenerys lo vedeva e vedeva anche come i suoi piedi strisciassero sul terreno, privi di qualcuno che li guidasse.
Ogni tanto Jon tossiva e allora il suo farsetto andava a colorarsi di rosso.
Daenerys gli fu subito vicina. "Sono qui amore mio."
Jon non rispose e si limitò a strizzare gli occhi, come se questo l'avesse potuto aiutare a rimanere cosciente in qualche modo.
Prima che Dany se ne rendesse conto erano già arrivati nei loro appartamenti. Fu lei ad aprire la porta e fu sempre lei che aiutò Ser Brienne e Ser Podrick a distendere Jon sul letto.
"Piano." Disse loro mentre posavano il loro re sulle candide lenzuola. "Fate piano, non troppo in fretta."
Jon aveva perso di nuovo conoscenza e le coperte e i cuscini sui quali era adagiato avevano più colore di lui. Il nero dei suoi capelli era nettamente in contrasto con il colorito pallidissimo e con le labbra arrossate dai continui sputi di sangue.
Fu Ser Davos a toglierli di dosso il farsetto ormai completamente macchiato, lasciando così il torace del suo re coperto solo da una semplice maglia grigia madida di sudore.
Dany sentì il cuore batterle più forte per l'ansia.
Aemon era stato subito trasportato nella nursery non appena il suo papà era entrato ma nel frattempo alcuni cortigiani si erano radunati alla porta, curiosi di vedere cosa affliggesse il loro sovrano.
"Mandateli via!" Ordinò Dany a Ser Podrick e a Ser Brienne. "Mandateli via e chiudete la porta!"
I due cavalieri obbedirono e una volta scacciati quegli sguardi curiosi e quelle menti piene di domande si misero a fare da guardia aldilà del legno.
Ora nella stanza oltre a Jon rimanevano solo Dany, Tyrion, Samwell e Ser Davos.
"Che cosa ha Sam?" Finalmente Dany poté rivolgere al Gran Maestro quella domanda che tanto le premeva nella mente.
"Fatelo alzare." Fu la risposta di Sam. "Ho bisogno che stia seduto sul letto."
Dany avrebbe voluto obbiettare, dire che Jon ormai non aveva più forze per fare nulla, ma prima che potesse aprir bocca Ser Davos scosse Jon per le spalle e lo tirò a sedere sul bordo del letto.
Dany lo aiutò a sostenerlo.
"No..." Mormorò Jon prima che la sua testa ricadesse in avanti, i suoi riccioli scuri a coprire il suo volto come una nera visiera di un elmo.
Tossì ancora, andando a decorare i suoi pantaloni con piccoli cerchi vermigli.
"Ssh..." Dany gli accarezzò la guancia. Percepiva il calore sotto la pelle.
La tosse aveva lasciato la voce di Jon rauca e stanca e avvicinando la mano alla sua bocca Dany poteva percepire il sangue che si muoveva in essa, viscido e caldo, come uno sgradito ospite del palato.
Una solitaria goccia stava solcando il labbro inferiore di Jon, lasciando dietro di sé un sottile e rosso sentiero. Dany la pulì via con il proprio fazzoletto.
Era così occupata a guardare Jon che si accorse solo in un secondo momento che Sam, e lei non sapeva da dove, aveva tirato fuori un imbuto e che l'aveva appoggiato contro la schiena dell'amico. Era di ottone.
"Tossite Vostra Grazia." Disse mentre appoggiava l'orecchio al minuscolo tubicino dell'imbuto. "Ho bisogno del vostro tossire in questo momento."
Forse Jon aveva ripreso i sensi per un attimo, perché ubbidì. Non tossì forte come le altre volte, ma una cascata di rivoli rossi colò comunque lungo il suo mento.
Fu Dany che ancora una volta lo pulì.
Non appena il fastidioso suono si riversò nell'aggeggio di ottone Sam sospirò e lo tolse dalla schiena di Jon.
"Allora?" Dany non ce la faceva più, doveva sapere quale infermità stesse attanagliando il suo amato consorte. "Che cosa ha? Perché sta male? È grave?"
Per un secondo Sam non parlò e si limitò a mordersi il labbro inferiore.
Poi rispose e a quella risposta Dany sentì il suo cuore mancare un battito.
"La tubercolosi."
No. Non poteva essere. La tubercolosi era quella malattia dei pallidi con poco appetito e del sangue sputato, era quella malattia degli ambienti poco salubri e la Fortezza Rossa non era un ambiente poco salubre.
Eppure tutto quello che Jon sembrava avere ora coincideva alla perfezione con i sintomi della malattia.
"Credo che possa averla presa durante il suo... soggiorno in prigione." Visto che Dany non rispondeva, Sam cominciò a spiegare. "E le prigioni non sono per antonomasia un luogo sano. Sono umide e sporche, piene di insetti e di ratti e con poca luce e le condizioni igieniche lì dentro non sono delle migliori. Se poi contiamo che da quel tipo di aria Jon si è ritrovato circondato da quella freddissima oltre la Barriera... beh, i suoi polmoni devono averne risentito e la malattia per tutto questo tempo ha giaciuto addormentata, anche se prima o poi doveva uscire allo scoperto."
Dany era sconvolta. Tutto quello che riusciva a immaginarsi era Jon, il suo Jon, che se ne stava rannicchiato in un angolo buio di una cella, desideroso di lasciarsi morire dopo quello che era successo, tutto tremante come un pulcino bagnato mentre intorno a lui gocce di acqua malsana scendevano dal soffitto umido e decorato dalle muffe.
Non riusciva a sopportarlo.
E soprattutto non riusciva a farlo perché sapeva che quelle altre tre persone che in quel momento stavano con loro nella stanza si erano dichiarate amici di Jon e alleati suoi e non avevano mosso un dito per aiutarlo.
L'avevano lasciato lì a marcire nel senso di colpa.
L'avevano dimenticata non appena era morta.
E poi, non appena avevano saputo che era risorta, avevano subito cambiato frazione perché si erano resi conto di non aver rotto la ruota dichiarando una monarchia elettiva con Bran come primo esempio, ma di averla solo rafforzata.
Dany sentì la rabbia crescerle nel petto, una rabbia cieca e un senso di difesa nei confronti di Jon che mai aveva provato prima, ma con un respiro profondo la mandò via.
L'ultima volta che aveva lasciato che la rabbia dominasse in lei aveva fatto un casino e la popolazione di Approdo del Re, lei e Jon ne avevano dovuto pagare il prezzo. E poi Sam e Tyrion si erano dichiarati pentiti e Dany non aveva mai dubitato della bontà di Ser Davos.
Aveva scoperto che il perdono era una grande arma, anche se a volte perdonare risultava difficile, e sapeva che continuare a covare i rancori del passato non avrebbe giovato a nulla.
Doveva guardare al futuro e, in quel momento, a Jon.
Soprattutto a Jon.
"Cosa puoi fare Sam? Vi è una cura?"
Il giovane Gran Maestro sospirò e gettò un'occhiata al suo re, che adesso era ritornato sdraiato sul letto.
"Bisognerà togliere il sangue cattivo e per questo potrò fargli dei salassi, poi la febbre dovrà calare e le sue membra avranno bisogno di riposo. In questo momento ha soprattutto bisogno di riposare e perciò gli darò del Latte di Papavero. Lo calmerà."
Speriamo. Pensò Dany osservando il suo re di nuovo privo di sensi. Speriamo con tutto il cuore.
"Lo stemma di Casa Martell mostra il sole e la lancia, le due armi preferite dai dorniani, ma-"
"Ma delle due la più letale è il sole. Non potremmo cambiare libro?"
Dany sorrise e staccò gli occhi dalle pagine ingiallite del vecchio tomo che aveva in grembo.
Jon Snow se ne stava a letto, la schiena sorretta da centinaia di cuscini, circa una dozzina di coperte sulle gambe e quel suo inconfondibile e adorabile broncio contornato da una marea di riccioli spettinati.
Accanto a lui stava una ciotolina di bronzo pronta a accogliere il sangue che i colpi di tosse avrebbero liberato e un draghetto verde che si godeva contento le carezze sul capo che gli venivano rivolte. Draghetto era una parola grossa per Rhaegal, visto che lui, così come tutti i suoi fratelli, era diventato grande almeno quanto Spettro.
E proprio Spettro adesso era il silenzioso custode di Daenerys e sonnecchiava sotto la sua sedia.
"Sei stato tu a dirmi che Daeron I Targaryen era uno dei tuoi eroi d'infanzia."
Jon sbuffò e si crogiolò nel cuscino bianco. "Sì ma continuare a leggere la sua famosa Conquista di Dorne mi fa solo venire voglia di prendere Lungo Artiglio e duellare con qualcuno."
Dany rise leggermente, chiuse il libro e lo pose sul comodino, stando attenta a non rovinare la raffinata copertina in pelle.
Jon smise di accarezzare Rhaegal. "Va a giocare con Meghar." Di rimando il drago verde emise un breve ruggito, per poi dispiegare le ali e volare fuori dalla finestra, pronto per ubbidire alle richieste di Jon.
Lui sospirò e si massaggiò la fronte. "Scusami Dany, scusami se ancora una volta ti rompo le scatole..."
Dany gli tolse la mano e gli spostò un ricciolo ribelle. "Tu non mi rompi le scatole. Piantala con questo discorso."
Sotto i polpastrelli poteva sentire il calore che la pelle di Jon emanava. Gli era salita la febbre, anche se non di molto e con essa i colpi di tosse si erano moltiplicati. Adesso si riteneva fortunata ad avere un momento con Jon dove lui non fosse in preda a fremiti e sputi di sangue.
Anche se sapeva che sarebbero potuti ritornare da un momento all'altro.
Jon si girò a guardarla e lei, in quelle pozze color del cielo in tempesta, vi lesse un senso di colpa che non sarebbe mai scomparso del tutto, nonostante tutte le emozioni positive e i bei ricordi che avevano cercato di soffocarlo. Era una cicatrice che sarebbe rimasta a vita, solo che a differenza della sua, che era una cicatrice nata per amore, quella di Jon era un segno di vergogna, un marchio indelebile di ciò che si era ritrovato costretto a fare.
E Dany non riusciva a sopportare il fatto che colui che l'aveva spinto su quel cammino con le sue ammalianti frasi era stato il suo Primo Cavaliere.
In quel momento Jon tossì ancora e schizzi rossi si librarono nell'aria.
Dany prese la ciotolina e l'avvicinò a lui. Il sangue andò a conferire al bronzo una sfumatura purpurea e tutto il corpo di Jon Snow cominciò a essere scosso da fremiti.
Ogni attimo che precedeva un colpo di tosse il suo torace si agitava e subito dopo grumi di sangue abbandonavano il suo caldo palato.
"Io..." Jon non riuscì nemmeno a iniziare una frase che ricomiciò a tossire e le sue labbra tornarono a colorarsi di rosso, mentre anche la minima traccia di colore scompariva dalle sue guance.
"Butta fuori tutto." Gli disse Dany, donandogli dei colpi sulla schiena. "Butta fuori tutto e poi potrai parlare."
Minuscole chiazze cremisi andarono a decorare la maglia che Jon usava per dormire.
Continuò a tossire per un po' e quando finì una solitaria goccia rossa tremolava sul suo labbro superiore. Dany gliela pulì via con il proprio fazzoletto.
Jon sospirò ancora sconsolato e si gettò sui cuscini.
Dany gli prese il suo viso fra le mani e gli sorrise, sperando che anche sul suo volto pallido ne comparisse uno. Con le dita gli massaggiò gli zigomi e gli donò dolci pizzicotti.
E finalmente, un piccolo sorriso fece la sua comparsa sul viso di Jon Snow.
"Devi mangiare." Gli mormorò. "Se devi riguadagnare le forze devi nutrirti."
Jon si crogiolò un attimo nelle sue carezze, poi a occhi chiusi rispose. "Non ho appetito..."
Dany tolse le mani e prese un vassoio che poco prima aveva posato sul comodino, accanto al libro. Su di esso vi era una ciotola coperta da un tovagliolo e quando Dany lo tolse dei caldi fumi salirono a deliziarle i sensi.
Caldi fumi derivanti da verdure. Carote, sedano, zucchine e patate navigavano in un buon brodo.
Ma quando lei porse una cucchiaiata a Jon, lui si ritrasse.
"Non ho appetito, te l'ho detto..."
Dany si impose. "Mangia."
Un breve colpo di tosse interruppe le proteste di Jon, ma subito dopo ritornò a protestare, facendo, seppur debolmente, segno di no con la testa.
"Mangia." Ripetè. Sapeva che la perdita di appetito era uno dei sintomi della tubercolosi, ma lui doveva riguadagnare energia.
Alla fine Jon Snow si convinse e mandò giù la prima cucchiata.
"Bravo." Lentamente mangiò, cucchiata dopo cucchiata. "Bravo, così Jon, mangia tutto."
Dany aveva nel frattempo preso alloggio nella nursery, vicino ai suoi bambini.
Anche loro, per quanto piccoli, capivano che stava succedendo qualcosa al loro papà. Rhaella si intrufolava nel suo letto, e sgranando le sue ametiste, domandava: "Papà?"
Dany riusciva solo a accarezzarle la testolina e baciarla sulla fronte. Come poteva spiegarle che il suo papà era affetto da una malattia ai polmoni?
Ma non dovette spiegarle nulla, nemmeno l'operazione che Jon si vide costretto a subire.
La sua tosse era aumentata e sempre più sangue continuava a finire non solo nella ciotola di bronzo, ma anche su tanti fazzoletti, sulle lenzuola e sulle sue mani. Per questo Sam aveva deciso, dopo aver consultato altri maestri, di fargli un salasso.
Dopo essersi preso una coppa di latte di papavero, Jon si era addormentato e allora Sam aveva potuto effettuargli il salasso.
Dany avrebbe sempre ricordato come il minuscolo taglierino era penetrato nel bianco braccio di Jon e di come, da quel taglio, un singolo rivolo di sangue ne fosse uscito fuori, tracciando uno scuro sentiero.
"Mmh..." Pur essendo addormentato, Jon aveva sentito la lama.
Una pezza fredda sul viso da parte di Sam era riuscito a calmarlo.
Dopo che il sangue aveva iniziato a scorrere, la sanguisuga era stata applicata. Il nero, grasso e viscido essere si era subito messo a succhiare avidamente, ansioso di gustare ogni singola goccia di quel sangue malato.
Dany era rimasta lì a guardarla mentre la sua codina si arricciava, quasi come per esprimere la felicità che il macabro pasto le donava.
Altri minuscoli tagli erano stati fatti, altre sanguisughe erano state applicate e altro sangue avevano succhiato.
Ma forse quel salasso aveva solo peggiorato le cose.
La febbre aveva continuato a salire e i colpi di tosse avevano continuato ad aumentare.
Per abbassarla, Sam aveva provato a immergere Jon in una vasca di ghiaccio, ma non era servito a nulla.
Jon si era ritrovato vittima di una tosse perenne e la febbre non sembrava più volerlo abbandonare. Rigagnoli di sudore gli scendevano lungo il volto, i capelli gli si incollavano alla fronte e lo sguardo diventava vacuo.
Ma anche se vacuo, anche se era ormai sempre chiuso dai continui colpi di tosse, sembrava come se cercasse qualcosa.
O qualcuno.
Nel delirio febbrile, Jon gridava due nomi e li gridava talmente forte che i membri della servitù dovevano mettersi dei tappi nelle orecchie quando passavano difronte agli appartamenti reali.
"DANY!"
E allora Dany correva da lui, gli stringeva la mano sudata e non lo abbandonava più, passando a volte una notte intera al suo capezzale.
Ma vi era anche un altro nome, uno più misterioso ma che Dany conosceva benissimo, uno che fra i colpi di tosse Jon ripeteva in continuazione. Come una nenia, come un'invocazione.
"MAMMA!"
Mamma. Quella parola che per lui non aveva mai avuto un vero significato, che per lui non si era mai materializzata in carezze, dolci sorrisi e teneri baci. Anche se per poco, Daenerys aveva avuto la compagnia di Viserys, in quei tempi lontani dove lui si era comportato da fratello maggiore e non da pazzo con in mente solo un trono. Jon invece non aveva mai avuto nessuno.
Non aveva mai potuto trovare due braccia famigliari ad accoglierlo dopo un brutto sogno o nel bel mezzo di un temporale dai tuoni spaventosi. I suoi fratelli erano di sangue nobile e suo padre dormiva in compagnia di una donna che lo odiava.
Per Jon, la parola mamma era una parola dal significato sconosciuto, era una parola di attese vane, era una parola morta. Morta nel sangue e nei petali di rose blu e sepolta sotto della fredda e grigia pietra invernale.
Eppure, la chiamava.
La voleva.
Quasi come se fosse la speranza di un'ultima attesa.
"MAMMA! Mamma dove sei?!"
Ripeteva questa frase in continuazione, scuotendo la testa ormai perennemente bagnata dal sudore. Le sue pupille lucidissime si muovevano ovunque, scrutando l'ambiente intorno a sé alla disperata ricerca di quell'assente figura.
Ma la mamma non arrivava mai.
Soltanto una sera venne a fare visita al suo febbricitante bambino.
La febbre era diventata altissima e la tosse ormai non sembrava arrestarsi più e ormai era diventata la sua voce. Il sangue usciva, dipingendo le labbra di Jon di un rosso vivo.
Alla luce tremolante delle candele, il suo viso era aldilà della definizione di pallido, colorato soltanto dalle labbra e da delle profonde occhiaie scure, smunto e distorto dal dolore.
"Mamma!" Come vide Dany entrare, una scintilla si era accesa in fondo a quei due profondi pozzi grigi. "Mamma... sei venuta... alla fine..."
Parlava così piano che Dany dovette avvicinarsi per sentire meglio.
Avrebbe voluto dirgli di no, che lei non era la sua mamma ma sua moglie e che la sua mamma non sarebbe mai venuta. Ma Jon la guardava così speranzoso e felice e, per la prima volta da giorni, un lieve sorriso era comparso su quelle labbra insanguinate.
Non trovò il cuore di deluderlo.
La sua mano bianca si era allungata per cercare la sua.
"Sì." Dany si sedette sulla sua ormai familiare sedia posata accanto al letto. "Sono venuta a trovarti piccolo mio."
Gli scostò un ricciolo che era rimasto incollato alla fronte. Il viso del suo amato era una cascata di sudore.
Jon le strinse la mano. "Oh mamma..ti..t-ti ho pensato...tanto..." Deglutì. "Mi hanno...trattato t-tutti tanto male... mamma..."
Lo so, ci hanno trattato male entrambi. Pensò Dany. Ci hanno usati ma adesso non succederà più, i draghi si sono risvegliati.
Dany si chinò e baciò il dorso sudato della mano di Jon.
Le veniva da piangere a vederlo così, al pensare cosa aveva passato e al pensare che quella malattia, quel mostro di fuoco, sudore e sangue che ora lo attanagliava, era lì con lui solo perché tutti coloro che si erano definiti suoi amici, fratelli e alleati l'avevano abbandonato come uno straccio lurido ed erano rimasti fermi a godersi i loro nuovi, comodi e altolocati posti.
Una parte di lei voleva solo fargliela pagare, voleva montare su Drogon e portarli lì, al capezzale del suo Jon, a mostrare loro cosa il loro egoismo, sì egoismo, aveva portato.
Ma non doveva fare così, era sbagliato e lo sapeva. Aveva percorso quel cammino in passato e ne aveva ottenuto solo dolore. Doveva stare calma.
Eppure era disposta a tutto pur di risentire i baci di Jon sul suo corpo, pur di risentire le sue braccia che la stringevano calde e rassicuranti, pur di rivederlo di nuovo sano e felice mentre giocava con i loro figli o meditava in silenzio con gli occhi grigi pieni di segreti,
Una solitaria lacrima le solcò il viso. "Ora sono qui piccolo mio e nessuno ti farà più del male."
Seppellì le altre lacrime infondo al proprio cuore.
"Neanche Lady Catelyn?" Le iridi febbrili di Jon si spalancarono.
Dany cercò di sorridergli e gli baciò ancora la mano. "Neanche Lady Catelyn."
Un altro colpo di tosse pose fine al minuscolo sorriso di Jon e per l'ennesima volta delle scintillanti gocce rosse illuminarono l'aria come rubini e caddero sulle lenzuola.
"La... mia... mamma..." Sussurrò con voce flebile. "La mia... bellissima... m-mamma..."
Dany accostò il suo volto al suo e lo baciò sulla guancia. I capelli di Jon erano una spugna dalla quale usciva sudore, ma non avevano perso la loro morbidezza.
"Dormi bimbo mio, dormi mio piccolo Aegon, la mamma è qui."
Per facilitargli il sonno, gli donò una coppa di dolcesonno sciolto nel latte. Alcuni rivoli bianchi scesero giù lungo il mento di Jon e rimasero intrappolate nella barba.
Stelle di latte. Pensò Dany.
Sbadigliò, mostrando al mondo un rosso palato pieno dell'odore acre del sangue.
"Mamma..." Jon scivolò nel sonno con quel nome sulle labbra. Le sue palpebre chiudevano come tende le grigie finestre dei suoi occhi. "Mamma..."
Non aveva abbandonato la stretta di mano con Dany e nemmeno lei lo fece.
Appoggiò il mento sull'ormai addormentato capo di Jon Snow e allora, solo allora, fece uscire tutte quelle lacrime che aveva trattenuto in tutti quei giorni d'ansia.
Pianse per tutto. Per lei e per la sua vita, per Jon e per la sua vita. Per le loro vittorie e per le loro sconfitte, per le loro lotte, per le loro perdite e per le loro centinaia di domande rimaste senza risposta.
Bagnò i capelli del suo re di lacrime salate e si addormentò lì, nel pianto, con i morbidi riccioli di Jon a farle da cuscino.
E si svegliò con una mano che la colpiva sul naso.
"Piantala di muoverti... non ho chiuso occhio per tutta la notte a causa tua..."
Questa era... la voce di Jon.
La camera era immersa nell'aria soffice del mattino e la luce del sole entrava dalle finestre, allungandosi fino al letto.
Dany dovette sbattere le palpebre più volte per abituarvisi ma poi lo vide e un caldo sorriso apparve sul suo volto non appena lo vide.
Jon si stava girando verso l'altro lato del letto, borbottando qualcosa e tirandosi le coperte fin sul mento.
"Jon!"
Richiamato, Jon Snow si girò. Non era più tanto pallido e il dolore sembrava averlo abbandonato. Ma non la tosse, che gli fece sputare un altro grumo di sangue.
"Buongiorno Dany..." Soffocò uno sbadiglio. La sua voce non era più flebile o roca, ma normale. "Hai finito di muoverti sulla mia testa? Mi sento più stanco di ieri sera..."
Al settimo cielo, Dany lo divorò di baci e ringraziò mentalmente ogni divinità esistente per averlo fatto guarire.
"Ehi che fai?" Jon rise mentre lo scuoteva. "Sono diventato un bambolotto improvvisamente?"
Guarito sì, costatò Sam, ma non del tutto.
I polmoni di Jon erano ancora deboli e avevano bisogno di respirare aria sana, non quella puzzolente e umida di Approdo del Re.
Aria marina, precisò, perché la brezza portante con sé salsedine e sale era ideale per i tisici.
E allora fu Dany a proporre il luogo, un luogo dove sarebbero potuti stare lontani per un po' dagli impegni di corte, un luogo che per entrambi significava molto e Jon accettò felice: Roccia del Drago.
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