Coraggio e onore
Erano sei contro dodici su quel molo, numericamente inferiori fin dal principio. La settima persona mancante stava in quel momento sorvegliando la nursery dei suoi figli e Daenerys pregò che i bambini non fossero minimamente intaccati da quello che stava succedendo a pochi passi dal loro castello. Nervosa, strinse il bicipite di Jon con così tanta forza da bloccargli la circolazione. Il braccio sinistro di lui, quello libero da Lungo Artiglio, le scivolò lungo la vita, stringendola protettivamente a sé.
"Con quale potere pretendete di attaccare il nostro reame?"
Dany tentò di non lasciar trasparire nemmeno il più insignificante briciolo di timore. Ricordò a sé stessa che quegli uomini che aveva difronte erano narcisisti incipriati e olezzanti di nauseabondi profumi, uomini latte come li chiamavano i dothraki, esseri senza spina dorsale.
"Attaccare, che brutta parola..." Le dita inanellate del Superno, grosse salsicce insaccate nell'oro, si intrecciarono sinuosamente. "Io preferirei piuttosto definire tutto questo un equo scambio. I vostri troni in cambio di una deviazione per il culto del Dio Rosso, stava viaggiando in direzione di Westeros e noi l'abbiamo riportato ad Essos, dove è giusto che rimanga."
Per l'occasione Dany aveva deciso di indossare una tipica gonna di Qarth. Un lungo, traspirante e fine abito che lasciava scoperto il seno sinistro. La scelta era ricaduta su di esso anche per far fronte alla bolla di calore soffocante che in quei giorni sembrava aver preso di mira Approdo del Re, ma adesso su quelle spalle, quelle braccia e quel seno nudo stava fiorendo la pelle d'oca. E non era dovuta al vento.
Il Superno continuò, le sue labbra viscidi vermi carnosi che si spostarono per lasciare spazio a un sorriso altrettanto viscido. "In questo momento il fiore all'occhiello della nostra flotta sta facendo rotta proprio per questa puzzolente e putrida città, pronta ad attaccare le vostre difese e a seppellire in fondo al Mare quelle chiatte che chiamate galee. Ma non dovete temere! La vostra gente finirà in buone mani sotto lo sfolgorante e glorioso dominio di Qarth."
Una ramificazione di nervi e di vene era uscita allo scoperto sul collo di Jon e la collera aveva preso il dominio dei suoi tratti, distorcendoli e scavando solchi profondi nella fronte. Dany vide la stretta intorno all'elsa di Lungo Artiglio farsi più decisa.
"Dalla nostra parte abbiamo i lord di un intero reame, i governatori delle più importanti città d'oriente e soprattutto dei draghi." Disse Jon a denti stretti. "Cosa vi fa pensare di uscire vittoriosi da una simile impresa? È un suicidio!"
"Il potere che la religione esercita sulle menti ce lo fa pensare mio signore." Fu la risposta del pallido Superno. "È così tremendamente facile insinuare nel cervelletto insulso della plebe e di devoti signorotti che, aprendo le porte a una fede straniera, si spalanchino automaticamente i battenti per la depravazione e l'eresia. E tutto questo rimandando comodamente in piedi sul pulpito! Marchingegni ingegnosi sono i credi degli uomini, non c'è che dire."
Sul pulpito. Riflettè Daenerys. L'Alto Septon sta sul pulpito. Lui era inizialmente contrario all'edificazione del tempio, lui non ha proferito parola quando un suo adepto è stato malmenato e gettato in galera, lui è influente in questa città. Alla fine i suoi dubbi su fratello Vem si erano rivelati fondati: il septon era stato solo una pedina nel gioco, solo un burattino nelle mani dell'Alto Septon. Quella palla di lardo aveva scambiato la sua famiglia per impedire che R'hllor approdasse sulle coste di Westeros? Aveva deciso di vendere candidamente i Sette Regni a Qarth in cambio della purezza della fede dei Sette da altre fedi? Inaudito.
Il Superno notò la sua disapprovazione. "Oh ma non mettete su quel broncio mia signora, rovina il vostro bel visetto. È la scelta migliore per tutti credetemi: l'Occidente in Occidente e l'Oriente in Oriente, ognuno al posto prestabilito."
Quanto avrebbero desiderato avere in quel momento Sangue Infuocato fra le mani e tranciare di netto quella bianca gola, solo per punirlo di essersi rivolto a lei come a una poppante di tre anni. Invece era Lungo Artiglio, la tagliente spada in acciaio di Valyria del suo Jon Snow, a ergersi a sua difesa. Dany osservò la lama bere avida la luce del sole, tagliente anche al solo sguardo.
Ser Podrick, Ser Elias, Ser Chas, Ser Doran, Ser Alleus e Ser Alfred si fecero avanti, frapponendosi fra loro e gli invasori, dorati e giganteschi, le loro armature d'oro a scaglie bianche luccicanti e i loro ampi mantelli mossi al vento come onde di spuma bianca. Le loro spade erano sguainate, pronte a dissetarsi con il sangue dei nemici che avessero osato far del male alla famiglia reale. Loro avevano fatto un giuramento che legava inesorabilmente le loro vite a quelle dei loro sovrani e dei loro figli e in nome di quel giuramento non avrebbero esitato a sacrificare le loro vite. Ma non sarebbe stato quello il giorno della loro morte e i menestrelli avrebbero dovuto aspettare per celebrare le loro imprese.
Nel cielo un ruggito squarciò il silenzio immobile e poco dopo la nera sagoma di Drogon e quella verde di Rhaegal furono avvistate fra le nuvole. Come lame di membrana e scaglie le loro ali fendettero quella soffice cortina e, a fauci spalancate, le due creature scesero in picchiata sulla nave di Qarth. Cascate di fuoco la fecero colare a picco, riducendo il suo legno laccato e la sua polena d'oro massiccio in nera cenere solcata da ruscelli liquefatti.
Una volta sbaragliata la prima minaccia, i draghi mostrarono a Qarth un assaggio degli inferi ruggendo minacciosamente in faccia alla sua delegazione. Fu allora che Jon approfittò del caos e si voltò verso Daenerys. "Tu, Drogon e Rhaeagal pensate a distruggere quella maledetta flotta, io e gli altri dovremmo riuscire a cavarcela."
"Ma Jon..."
Un bacio sulla fronte, rapido e fugace. "È un ordine Dany, ti prego seguilo. Va lontano dalla carneficina che qui sta per avere luogo e devasta le imbarcazioni di questa fottuta Qarth, poi torna dai nostri figli. Voglio che siate tutti al sicuro, chiaro?"
Un groppo di ansia le occluse la gola al pensare ai suoi figli. Dany annuì e montò in groppa a Drogon, spiccando il volo verso l'orizzonte.
Quell'uomo era cattivo. E brutto. E sembrava che avesse fatto il bagno in ogni profumo esistente. Le narici di Aemon chiedevano pietà ma lui cercò di ricordare a sé stesso che un vero cavaliere non ha mai paura di nulla, specialmente dei cattivi odori. Poi Ser Brienne non sembrava si stesse tirando indietro dinanzi al concentrato di fragranze, anzi, stava tenendo testa allo sfidante con uno sguardo glaciale e Giuramento libera dal fodero.
Aemon non aveva idea da dove fosse giunto quell'uomo. Era entrato dalla finestra con un pugnale in mano, definendosi una persona gentile e desiderosa di giocare con lui e i suoi fratelli. Benché il suo aspetto fosse assai appariscente come quello dei cortigiani del castello - ed Aemon li aveva visti agghindarsi nelle foggie più bizzarre secondo i dettami della moda del momento - non pareva essere uno di loro. E se anche lo era, Aemon si domandava in quale angolo remoto dell'Impero la gente coltivasse l'abitudine di entrare dalla finestra invece che dalla porta e di non bussare come era da prassi.
Restava il fatto che le septe avevano strillato non appena l'avevano visto e Septa Ursula aveva afferrato Jaehaerys dalla culla e attirato Daeron e Alysanne sotto le sue gonne. Era stato allora che Ser Brienne aveva fatto irruzione nella nursery, domandando cosa stesse accadendo e incrociando la lama di Giuramento con quella corta ed affilata del pugnale dello sconosciuto.
Aemon e Rhaella sarebbero rimasti volentieri ad ammirare lo scontro in atto se le septe non li avessero trascinati di scatto nella loro piccola e semi illuminata cella, chiudendo la porta a chiave e tentando di porre fine ai pianti disperati dei gemellini e di Jae mentre i loro cuccioli di metalupo scavavano solchi con gli artigli nella porta per uscire. Anche Aemon piangeva, ma non di paura. Piangeva perché grazie a quella stupida porta serrata gli era precluso un duello fantastico. Che razza di cavaliere era se non difendeva gli indifesi? E i suoi fratellini erano indifesi!
Si accontentò di sbirciare dalla serratura. Lo straniero era caduto in ginocchio e Ser Brienne torreggiava su di lui, Giuramento levata pronta a sconfiggere il nemico. Ora l'avrebbe sbattuto nella più buia e malfamata prigione dei Sette Regni, accadeva sempre così ai cattivi nelle storie. Cadevano in disgrazia e la prigione era lì ad attenderli, lugubre e tenebrosa, non prima che il sovrano li avesse giudicati. La mamma e il papà avrebbero sicuramente decretato le catene a vita per quell'uomo malvagio, Aemon ne era certo.
"La feccia come te mi fa ribrezzo." Disse Ser Brienne all'uomo inginocchiato. Dalla sua posizione Aem non riuscì a capire dove fosse andato a cacciarsi il suo pugnale. "Voler uccidere dei bambini indifesi... che razza di uomo sei?"
L'altro rispose, ma con una voce talmente rauca che Aemon non riuscì a udirlo. Ora era giunto il momento del verdetto finale, Ser Brienne stava per trascinare quel farabutto nelle segrete e...
"Principe Aemon venite via da lì!"
La mano di Septa Vestalya giunsero a strappare Aemon dal buco della serratura. Non vide mai l'uomo cattivo venire condotto al cospetto dei suoi genitori per essere sbattuto in gatta buia ma udì un tonfo sul pavimento. Evidentemente Ser Brienne doveva essere uscita con il prigioniero e aver sbattuto contro qualcosa nel mentre, magari contro il drago a dondolo di Aemon e i suoi fratelli, e averlo fatto cadere.
Lui e gli altri non uscirono subito dal nascondiglio, ma quando finalmente tornarono all'aria fresca e alla luce del sole lo straniero non c'era più e nel punto dove Ser Brienne aveva dato prova delle sue fenomenali doti cavalleresche adesso c'era un tappeto. Aemon corse nella sua direzione ma non potè posare le sue dita si di esso che il piede di Ser Brienne lo bloccò.
"È meglio che lo lasciate al suo posto principino, le inservienti passeranno presto a toglierlo e voi non volete rovinare il loro lavoro immagino."
No, Aemon non voleva. Aemon era sempre gentile con tutti, specialmente con le ragazze, per questo si era guadagnato l'appellativo di Aemon il Gentile. Scosse la testa e ritornò dai suoi fratelli, accartocciando in un angolo della mente l'idea di chiedere a Ser Brienne cosa fossero quelle chiazze rosse sulla sua placca pettorale.
Non c'era nessuna flotta, era stata tutta una menzogna, una frottola detta per instillare timore nei loro cuori. Con Drogon e Rhaegal Daenerys aveva sorvegliato in lungo e in largo il tratto di mare che, una volta oltrepassate Driftmark e Roccia del Drago si apriva nel Mare Stretto. Ma nulla, nessuna nave in vista e aveva osato spingersi addirittura oltre, nel centro pulsante del mare stretto. Niente di niente, nemmeno il miraggio di una vela in lontananza.
Per questo era ritornata in fretta e furia alla Capitale, spronando Drogon fino allo sfinimento e costringendo il povero Rhaegal, il quale era molto più giovane e piccolo di Drogon, a sbattere insistentemente le ali per tenere il passo. La rabbia più cieca ardeva nei suoi lombi e Dany giurò a se stessa che il prossimo pasto che i suoi draghi avrebbero assaporato sarebbe stato un Alto Septon cotto a puntino con tanto di una croccante corona ingioiellata per contorno. Sempre che Jon non se ne fosse già occupato.
Jon.
Il suo cuore fremette all'individuarlo lì, sui bastioni della mura cittadine invase ai piedi da una folla di curiosi, intento a combattere contro un soldato di Qarth. L'elmo del soldato era perduto, la sua scintillante armatura impolverata e un'infiorescenza di sangue gli colava dalla tempia. Jon era sudato, accaldato e il suo farsetto era sporco di fango e sabbia. Senza pensarci due volte Dany ordinò a Drogon di atterrare. Le mura tremarono al contatto con gli artigli del drago e il guerriero di Qarth si immobilizzò alla vista della creatura.
O forse alla vista di Daenerys. Un ghigno fece la sua comparsa sul suo viso. "Eccola lì! La puttana folle!"
Il furore di Jon fu incontenibile. La lama di Lungo Artiglio centrò in pieno lo stomaco del soldato, trapassandolo e spegnendo la luce della vita nei suoi occhi. Il suo cadavere cadde oltre i merli e piombò dritto in mezzo alla gente, che si scostò e subito dopo acclamò l'eroica maniera in cui Aegon aveva difeso l'onore della sua Daenerys.
Trovarono l'Alto Septon nelle sue stanze nel Tempio di Baelor, adagiato nudo sul letto e circondato da degli ugualmente nudi e rosei fanciulli, gli stessi che si era accalcati fuori dalla casa di Fratello Vem per vederlo venire scortato dalla guardia cittadina. I ragazzi si scostarono e tentarono di coprirsi le pudenda con le lenzuola. Era giovani estremamente belli, dalle chiome ricciolute e la carnagione lattea.
L'Alto Septon oppose resistenza scuotendo i rotoli di grasso che gli pendevano dalle braccia, gridando come un tacchino ferito e sgranando gli occhi quando fu condotto al cospetto dei suoi sovrani.
"Vostre Grazie... esigo una spiegazione!"
Due guardie lo immobilizzavano da dietro, intimandogli di tenere le ginocchia sul pavimento. Era così patetico, un ciccione nudo che si spacciava per un gran signore, constatò Daenerys. Lei e Jon lo squadrarono da capo a piedi e infine fu lei ad emettere la sentenza con tono grave.
"Rinchiudetelo nelle segrete. Domattina sarà processato per alto tradimento."
Intanto dovevano riprendersi dagli scioccanti eventi occorsi quel giorno.
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