Aemon il Gentile

La punizione che il papà aveva fatto ricadere su di lui e Rhaella non era poi così tremenda, almeno per Aemon. Le stalle l'aveva sempre affascinato e i cavalli erano bestie spettacolari, i più fidati amici di tutti i più valorosi cavalieri. Aemon sognava di essere un cavaliere, lo desiderava ardentemente così come Rhaella, fino a pochi giorni prima, aveva desiderato cavalcare un drago. Restava ammagliato dinanzi alle armature scintillanti, ai vessilli garrenti al vento e intessuti con argento, oro e altre stoffe pregiate, alle spade dalla punta affilata come la selce e i mantelli bianchi della Guardia Reale. Aemon avrebbe potuto ripetere a memoria le imprese di Ser Duncan l'Alto, di Barristan il Coraggioso e di Ser Arthur Dayne, la spada dell'alba. Quelle storie lo eccitavano, lo catturavano, lo trasportavano in epoche remote dove intrepidi guerrieri o solitari cavalieri erranti sconfiggevano mostri orribili e si guadagnavano l'amore di damigelle belle come gigli.

Per questo badare ai cavalli gli era sembrato qualcosa di grandioso. Nelle stalle reali dimoravano esemplari magnifici, unici nel loro genere. Destrieri sauri veloci come il vento e con delle folte criniere color ruggine, bai da torneo con gli zoccoli più possenti che Aemon avesse mai visto, giumente dal trotto leggero e il crine fine come la seta e purosangue della stesso nero della notte. Aemon si dilettava nel nutrire tutti loro con il miglior fieno che ci fosse e con le mele più saporite, nello strigliare i loro peli variegati e nell'aiutare il maniscalco reale nell'applicare loro i ferri. Ma non erano queste le uniche mansioni che attendeva nelle stalle. Lui e Rhaella spazzavano il pavimento a turno con quella grande scopa in legno di frassino che giaceva sempre nell'angolo inghirlandato da ragnatele, sistemavano balle di fieno in cumuli su cui poi saltavano e giocavano immaginando che fossero castelli e lucidavano i morsi e le staffe. Il tutto naturalmente sotto l'occhio vigile di una delle loro septe, di almeno uno stalliere e di una Guardia Reale.

Septa Ursula era in carne, con due vistose guance arrossate e un naso all'insù che le donava un'aria altezzosa. Spesso urlava quando vedeva Rhaella comportarsi in modi che lei giudicava poco regali, ma la si poteva di gran lunga definire assai più indulgente di Septa Vestalya. Sedeva ritirata in un cantuccio accanto alla dimora del cavallo preferito del Re suo signore, un maestoso stallone le cui tenebre erano interrotti da una gemma di luce bianca sulla fronte, e intervallava i propri occhi fra il ricamo posato in grembo e i suoi pupilli. Lo stalliere che invece quel giorno aveva sotto le proprie cure i principini era un ragazzo smilzo, dotato di una rarefatta barbetta castana sul mento e due occhi sporgenti. Rhaella aveva sussurrato assomigliava molto più ad una capra che ad una persona, e il fratello aveva condiviso la risatina sottomessa che era seguita. Per ultimo veniva Ser Podrick, aitante nella sua cappa candida.

"Rhae Rhae! Aem!" Il pomeriggio era afoso, le code degli equini schioccavano come fruste nel tentativo di scacciare i fastidiosi nugoli di moscerini che svolazzavano intorno alle loro natiche e Daeron e Alysanne Targaryen giunsero sorridenti e saltellanti, due leprotti allegri con Septa Vestalya alle calcagna. Corsero nel fresco riparo d'ombra che erano le stalle, abbracciando i fratelli maggiori. Aemon accolse Daeron e se lo strinse contro il petto, non mancando di notare la graziosa giubba rossa con cui il suo fratellino era stato vestito. Forse era fin troppo graziosa per le stalle pregne di polvere, paglia, crine e sterco. Aemon scompigliò i capelli biondo-argentei di Dada; spesso era il papà a farlo con lui e a compiere questo gesto Aemon si sentiva grande come lui nonostante fosse nel suo terzo anno di vita.

"Cosa ci fate qui voi due?" Domandò Rhaella stringendo la mano di Aly. Quel giorno la mamma e il papà erano impegnati in una riunione molto importante con un delegato di Qarth, perciò Aemon sapeva che non sarebbe stato saggio disturbarli, molto probabilmente era per questo che i gemelli erano qui. Una nursery che ospitava soltanto una septa e un cavaliere reale non era poi una nursery così animata e divertente. "Volete aiutarci?"

"Sì! Sì!" Daeron spalancò le braccia verso l'alto e prese a saltare sul posto. Sorrideva felice. "Cavo! Callalo!" Non riusciva ancora a pronunciare la parola cavallo, ma d'altronde Aemon non poteva biasimarlo: aveva appena compiuto un anno. La mamma affermava sempre che i suoi figli maschi erano le incarnazioni terrene della calma. Aemon era posato, di poche parole, timido di primo impatto, cauto, serio e obbediente, questa la descrizione che la mamma faceva di lui, Daeron era invece un acuto osservatore e dotato di una memoria prodigiosa. Se in giro aveva visto un segno o una lettera a lui sconosciuta, non appena rimetteva piede nella nursery la riscriveva dovunque gli capitasse a tiro, che fosse su un tovagliolo, su una coperta, su una parete o su un vestito di sua sorella. Per quanto biascicasse ancora parole a metà, una gli usciva perennemente limpida dalle labbra: "Perché?"

"Certamente no vostre altezze!" La voce petulante di Septa Vestalya infranse la gioia di Daeron e Alysanne. I due smisero di saltare e si voltarono verso l'acida governante. "La principessa Rhaella e il principe Aemon sono tenuti a svolgere dei compiti qui come punizione per aver messo in pericolo loro stessi avvicinandosi ai draghi, ma voi due siete ancora molto piccoli e non avete commesso nulla che vi costringa a sporcarvi le mani."

"Ma..." Alysanne sembrava contraria. "Cavini belli!"

I cavalli erano indubbiamente belli, il lustro delle scuderie della Fortezza Rossa, ma lo scuotere congiunto dei capi di Septa Ursula e Septa Vestalya pose fine ai sogni dei gemellini. Non spettava a loro lavorare con paglia, spazzole e ferri per imparare una lezione. Aemon stava per replicare quando un rumore proveniente da fuori costrinse la sua testa e quelle del resto dei presenti a voltarsi verso l'ingresso delle stalle. Si avvicinò a Ser Podrick che scrutava la soglia e la sua mascella si serrò per l'indignazione. Una lavandaia, una giovinetta che poteva aver visto al massimo un'estate, stava venendo strattonata per il polso da un ragazzo che Aemon riconobbe come l'apprendista del fornaio, quello che aveva sempre le mani sporche di farina e le braccia muscolose madide di sudore per il calore torrido dei forni. Più lei si contorceva e si dimenava per liberarsi, più lui aumentava la stretta e tentava di tapparle la bocca. Le sue richieste d'aiuto riecheggiarono per il cortile e attirarono l'attenzione di una folla di curiosi, per la maggior parte uomini.

Ma fra di loro sbucò una donna. Era tozza, con gli occhi infossati e i capelli grigi come le nubi in tempesta. Emise un lamento quando vide la situazione in corso. "La mia Evelyn! Lasciala andare, lasciala andare subito razza di bruto! Le Loro Grazie verranno a conoscenza di questo!"

Le guance del ragazzo erano imporporate dal vino. Anche se Aemon non aveva mai assaggiato del vino, l'aveva visto spesso versato nei calici della mamma o del papà durante i banchetti, rosso come un rubino a volte, violaceo come gli occhi di Alysanne altre e bianco come la neve del Nord che Aemon a stento ricordava altre ancora. Sapeva anche che i grandi ne potevano bere talmente tanto da divenire ebbri, come una notte aveva fatto il papà. Si era scolato così tanto vino che aveva sbagliato stanza ed era finito nella nursery, dove aveva vomitato nel vaso da notte di Rhaella, fatto urlare lui e i suoi fratelli perché pensavano che stesse male e infine dove si era addormentato sulla poltrona che era posizionata davanti al camino. Aveva dormito profondamente fino alla metà del giorno seguente, dando ai suoi figli la possibilità di svestirlo e di tingere i suoi abiti di rosa. Per fortuna la mamma, prima che il papà si svegliasse, aveva rimediato a tutto e l'ira del papà era sfuggita per un soffio.

"Le Loro Grazie non sono presenti adesso o sbaglio?" Il giovane rise sguaiatamente, come un bracco non appena ha le preda fra le proprie fauci. "E chi vuoi chiamare donna sentiamo? L'attendente imperiale? Ser Brienne la snaturata? Oppure vuoi correre filata nello studio dei nostri bene amati sovrani e far venire qua quel ragazzino malaticcio che ci governa?"

Con la coda nell'occhio, Aemon vide la mano di Ser Podrick scivolare sull'elsa della propria spada e l'espressione gaia che fino ad allora aveva sfoggiato venire sostituita da una smorfia contraria. Ma prima che potesse anche solo fiatare, le gambe di Aemon aveva iniziato a correre all'impazzata verso il luogo dove si stava compiendo il misfatto, mosse da un impeto d'orgoglio. Il suo papà non era malaticcio e non era un ragazzino, ma era grande e sano e Ser Brienne non era affatto snaturata ma forte e ostinata come solo un cavaliere uscito dai racconti d'avventura poteva essere. Nessuno poteva permettersi di parlare dei suoi cari in questo modo, nessuno! Si fermò difronte ai due giovani, la figura che avesse osato avvicinarsi di più fino ad allora.

"Cosa vuoi ragazzino?" L'apprendista fornaio aveva aumentato la stretta intorno al polso della lavandaia, cingendolo con un bracciale rosso. La sua voce era tagliente, ma Aemon non si lasciò intimorire. "Pussa via e torna ai tuoi giochi se no vuoi già scoprire come nascono i nanerottoli come te!"

Aemon cinse le braccia al petto. "Lasciala stare! Tu sei una persona cattiva! Non si parla male degli altri!"

"Oh... è arrivato il piccolo septon a farmi una predica! Inginocchiamoci tutti e facciamo espiazione per i nostri peccati!" Un'altra risata beffarda. "Vai via! Vattene!"

Aemon non si mosse di un centimetro. Non seppe dire in seguito cosa gli avesse fatto scorrere il sangue nelle vene più veloce e fatto fremere le gambe per saltare. Ma saltò. Saltò e si aggrappò agli abiti infarinati e puzzolenti di vino del ragazzo. Le sue mani si strinsero intorno alla sua vita e i suoi piedi trovarono un appiglio nelle sue braghe. Per salire Aemon fece forza proprio su quelle e fu così che risate si alzarono questa volta dalla piccola folla lì intorno, perché la sua gamba fece ricadere sul terreno l'unica copertura che i genitali dell'apprendista fornaio avevano. La sua vittima iniziò ad agitarsi come impazzita, a fare di tutto pur di toglierselo di dosso, ma Aemon non desistette. Scalò fino alle spalle e da lì si legò con tutto sé stesso al braccio. E gli morse la mano. I suoi denti affondarono nella carne e lasciarono all'apprendista garzone un marchio rosso. Lui urlò di dolore e da qualche parte, nel bel mezzo di quella mescolanza di volti, suoni e odori, risuonò anche l'urlo inorridito di Septa Vestalya.

Aemon lo ignorò e continuò ad ignorarlo anche quando ricadde con la schiena contro i sassolini di ghiaia del cortile. Il giovane fuggì con la mano dolorante, trascinandosi dietro imprecazioni e risate beffarde. La lavandaia se ne stava inginocchiata poco distante da Aemon, il viso chino e intenta a massaggiarsi il polso arrossato. Aemon le si avvicinò di soppiatto e le fece il baciamano. Il papà lo faceva molto spesso con la mamma, lui lo descriveva come un gesto di gran galanteria e assai cavalleresco, obbligatorio nei confronti delle signore. E quella lavandaia, per quanto non possedesse titoli, ricchezze o denari e il suo unico regno fosse quello della fonte, della lavanderia e dei panni appesi ad asciugare nei cortili, era comunque una signora. Le labbra di Aemon si posarono con estrema delicatezza sulla sua mano ammorbidita dall'acqua.

"Come siete gentile principino..." Un sorriso fece cambiare il corso dei fiumi di lacrime della ragazza. "Vi ringrazio per avermi salvato... siete stato davvero... davvero..."

"Mio fratello è un cavaliere!" L'arrivo improvviso di Rhaella per poco non fece sussultare Aemon. "Aemon il Gentile! Mio fratello è Aemon il Gentile!"

E allora un solo grido risuonò del cortile, un grido incurante dell'espressione arcigna delle due septe governanti.

"Aemon il Gentile!"

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