Acque torbide e rimescolate

Un cielo terso, dipinto di azzurro delicato e malinconico, li aveva salutati mentre lasciavano Grande Inverno. Non altrettanto poetica era sembrata l'espressione di Sansa Stark al momento del congedo. Stoica, si sarebbe potuta definire la Lady della Casata del Metalupo, indecifrabile, sarebbe stato un altro aggettivo utilizzabile. Sorrisi, moine, un augurio di pronta guarigione a Jon e tutto si era concluso. Scalpitanti, i cavalli avevano galoppato oltre il portale trainando le carrozze dietro di loro.

Quando la sagoma di Sansa era sparita dietro la parete lignea della carrozza, Daenerys aveva emesso un lungo sospiro di sollievo. Un fardello le era stato levato dalle spalle e ora nessuno avrebbe osato far scoppiare nuovamente la bolla affettuosa e calda che era il suo nucleo familiare.

Da lì in avanti i giorni di viaggio erano stati contraddistinti da una pacatezza divina. Percorrendo la Strada del Re il corteo reale si erano snodato fino a Porto Bianco dove erano stati ospitati sotto il tetto di Lord Manderly. Successivamente l'Incollatura aveva aperto loro i suoi reami paludosi, colmi di acquitrini e sentieri erranti battuti dal vento. Farsi strada lì era stata un'impresa difficoltosa di cui i glutei di Dany conservavano ancora la memoria. Più di una volta una ruota era rimasta impantanata nella fanghiglia e più di una volta metà degli uomini del regal seguito aveva dovuto farsi in quattro per tirarla fuori. Senza scordare naturalmente i numerosi scossoni che amavano far sobbalzare i passeggeri.

Sepolto sotto una quantità astrusa di pellicce e coperte, Jon sedeva al suo fianco, passando dal sonno alla veglia al voler sbirciare fuori dalla finestrella. Sotto il suo soffice scudo trovava a volte riparo Jaehaerys Targaryen, il quale gorgogliava felice quando tirava i lembi di una coperta e se li ficcava in bocca. Ugualmente divertiti dalla montagna erano i cuccioli di metalupo della restante loro prole. I quattro piccoli giocavano masticando e rincorrendosi in quelle pelose colline, ululando e scodinzolando allegri.

Rhaella aveva chiamato la sua Ruggine in onore al pelo rossiccio. Quello di Aemon, un piccoletto grigio dotato di due fari gialli per occhi, era Viandante. Questo era un nome che Dany aveva trovato azzeccato in tutto e per tutto alla personalità ritirata ed enigmatica del cucciolo, riflesso di quella del suo padroncino. I due cuccioli di Alysanne e Daeron, un maschio e una femmina contraddistinti rispettivamente da un manto argentato e uno albino, erano stati ribattezzati Nebbia e Regina. Il piccoletto nero come l'inchiostro di Jae non aveva ancora ricevuto un nome dal suo padrone per ovvi motivi e Dany non sapeva come i gemellini Baratheon avessero chiamato i loro metalupi. Ciononostante, tutti e cinque i bambini sembravano andare d'amore e d'accordo con i propri cuccioli e una mattina Dany aveva persino scovato Rhaella intenta a insegnare a Ruggine come riportare un bastone.

I suoi figli stavano traendo diletto dalle creature anche la mattina che il corteo si fermò improvvisamente.

Avevano ormai detto addio all'Incollatura e alle sue strade non ancora toccate dall'opera di rinnovamento in corso e adesso era il Tridente la loro prossima tappa. Con Jaehaerys appena reduce da un poppata, i bimbi intrattenuti dai metalupi proprio di fronte a lei e Jon che sonnecchiava con la sua spalla eletta a cuscino, Dany si era permessa di dare un'occhiata fuori.

Ser Podrick in groppa a un purosangue bianco fu la prima visione che incontrò. Il giovane trottava di guardia accanto alla carrozza reale, la spada affilata a fianco e il mantello candido ricadente sulla schiena come una cascata di latte. Come vide la testa di Dany fare capolino dalla finestrella, le sorrise amabilmente, per poi riprendere a tenere lo sguardo fisso dinanzi a sé. Oltre la sua armatura fresca di ripulitura, Dany vide alberi verdi, dai fusti alti e solidi e radici profonde. Le loro fronte si elevavano fino al sfiorare il cielo e si diramavano come ragnatele verdognole e marroni. La zona del Tridente era lussureggiante e boscosa, ramificata da corsi d'acqua che sboccavano poi in tre grandi foci e si tuffavano nel Mare Stretto.

Dany non potè reprimere il brivido che le percorse la spina dorsale al pensiero che lì, a poche leghe di distanza, suo fratello Rhaegar avesse incontrato la morte per mano dell'Usurpatore. Era stata una storia che tante, innumerevoli, volte aveva vissuto nella propria mente. Rhaegar con la sua armatura incrostata di rubini che incrocia la lama con Robert Baratheon, le grida dello scontro tutt'intorno, il ferro, il sudore e il sangue e infine quel colpo, il decisivo, il fatale. La mazza chiodata dell'Usurpatore che centra in pieno il petto di Rhaegar, lasciandolo morente ed esanime mentre i suoi fiammanti rubini spariscono nel turbinio delle acque.

E insieme a quei rubini anche gli ultimi figli del Drago erano stati trasportati dalla corrente. Quella degli eventi e quella del Mare Stretto che li aveva trasportati fino a Braavos. Fino alla casa dell'albero di limoni e dalla grande porta rossa che Daenerys ricordava a stento.

"Perché ci siamo fermati?"

Fu la voce di Rhaella a destarla dalle sue riflessioni. Effettivamente, constatò Dany, la carrozza aveva subito una frenata. Jon si era svegliato di colpo e ora vaneggiava ancora mezzo addormentato. Sporgendosi aldilà della finestrella, si rivolse a Ser Podrick:

"Che succede? Perché siamo fermi?"

Il ragazzo arrossì timidamente prima di guardarla in faccia. "Perché mia signora... vedete... è appena giunto un messo a cavallo da Castel Granito e richiede una vostra udienza seduta stante."

Castel Granito. Dany lottò pur contenere la bile che le era salita dalla gola.








Gli Dei erano capaci di farsi beffa degli uomini quando ne hanno desiderio e allora dovette essere un momento del loro desiderio. Il messo non era niente meno che la scorta di Lord Tyrion Lannister, Protettore dell'Ovest e padrone di Castel Granito. Venendo al cospetto di Daenerys nella tenda che, insieme al resto del campo, era stata allestita per far fronte alla fermata improvvisa, ostentò un farsetto porpora impreziosito da due leoni che si fronteggiavano sui ambi lati del petto.

Dopo aver richiesto di essere lasciata sola con Lord Lannister, Dany non esitò a mostrare al Folletto la sua espressione più contrariata. Si sedette su una poltrona nell'attesa che la membrana oppressiva del silenzi venisse squarciata dal suo interlocutore.

E di fatto così accadde. "Sua Grazia il Re e Imperatore?"

"Sta riposando." Fu la risposta e non era una bugia, almeno non completamente. Adagiato nella sua sedia a rotelle Jon sorvegliava i giochi dei bimbi in riva al fiume. "La malattia l'ha colpito durante il suo soggiorno a Grande Inverno."

"Mi rincresce e gli porgo i miei più sinceri auguri di una pronta guarigione. Eleverò orazioni nel tempio di Castel Granito affinché torni il più presto possibile alla salute." Al diavolo le tue smancerie Lannister, è colpa tua se Jon è ridotto nel suo stato attuale. Non che non ti sia macchiato di altri peccati nei suoi e nei miei confronti. Tyrion si avviò verso un tavolino e si riempì una coppa con una caraffa. "Vino?"

"No grazie."

Una volta che il Folletto si fu dissetato, Dany potè finalmente rivolgergli la domanda che le angustiava le viscere fin dal primo istante in cui aveva saputo del suo arrivo. "Credevo di averti dato delle disposizioni ben precise. Dovevi solamente stare lontano dalla mia famiglia, null'altro. Avresti potuto startene benissimo a sguazzare nel tuo oro con quella santa donna che prenderai per moglie e invece..."

Un'altra sorsata."È proprio per questo che io sono qui Maestà: non c'è più oro."

A Dany ci volle qualche secondo per realizzare la cosa. Sbatté le palpebre sconcertata. "Non c'è più oro? In che senso?"

"Nel senso, mia regina, che le miniere di Castel Granito sono vuote, sgombre, finite." Tyrion mimò un gesto con le dita per imitare la chiusura dei battenti. "La rocca non sforna più nemmeno una pepita, non un solo grammo, niente di niente. Il prezioso metallo su cui i miei antenati hanno fatto affidamento non esiste più e la Casata Lannister non potrà più considerarsi la riparatrice di debiti del reame."

"Ma... ma il tuo feudo è ricco e vasto e le ricchezze che affiorano al tuo castello sono quasi il doppio di quelle delle Terre della Corona!"

Bevuta giunta al termine e coppa riposta sul tavolino. "È vero, non posso negare che i possedimenti lasciatemi in eredità da mio padre siano floridi, ma frumento, bestiame e ortaggi non riempiono le tasche allo stesso livello dell'oro. L'oro compra il potere e le amicizie, l'oro del conio forgia alleanze e l'acciaio delle spade poi le disfa. Ad ogni modo la Corona dovrà trovarsi un nuovo creditore se in futuro affronterà casse vuote."

"Per il momento le nostre casse e i nostri forzieri sono colmi." Rispose Dany. "Grazie mille per l'interesse."

Si alzò, dando le spalle a Tyrion e affacciandosi sul suo Jae dormiente. Il suo figlio più piccolo, lo Stallone che Monta il Mondo, sognava lieto con Lupo Neve stretto al petto e il cucciolo corvino raggomitolato ai piedi della culla. Come, una volta alzato il capo, vide Tyrion, il piccolo cominciò a ringhiare.

"Buono piccolino..." Gli intimò Dany tentando di riportarlo seduto con il piede. Era sicura che il lupacchiotto percepisse l'aura nefasta che avvolgeva Tyrion Lannister e il fetore di cattive azioni che aveva compiuto contro la famiglia del suo protetto. "Sta buono..."

Aveva bisogno di schiarirsi la mente. Castel Granito aveva concluso la sua attività di fabbrica della pecunia di metà del Continente Occidentale e adesso qualcuno altro avrebbe dovuto rimpiazzarlo in questa attività. Ma chi? Braavos e la sua rinomata Banca di Ferro? I fondi dell'Impero finivano tutti dritti lì, da quelli degli altri lord fino a quelli dei mercanti di strada, mentre la Corona aveva un tesoro a sé stante gestito da un apposito tesoriere e sotto il diretto comando del Maestro del Conio. Forse lasciare che Braavos gestisse la produzione di denaro avrebbe significato troppo potere nelle mani dei braavosioni. E i soldi erano potere fin dalla notte dei tempi. No, forse sarebbe stata un'idea più brillante far sì che la zecca imperiale subisse un totale rinnovamento.

"Ti sei fatto tutte queste miglia cavallo solo per dirmi in faccia la situazione delle tue miniere Lannister?" La domanda le balenò spontanea. "Avresti potuto benissimo aggiornarmi della situazione con un corvo..."

"Maestà i-io... Daenerys..."

Il tocco giunse rapido e sinuoso come una vipera. Delicatamente, la mano di Tyrion le accarezzò la gonna e la coscia sottostante. Compì l'atto in un modo solenne, come se stesse sfiorando le gambe di una dea. Dany fu scossa da un moto istantaneo di repulsione e scacciò quella mano con un colpo netto. Nella culla Jae si svegliò e si mise a piangere.

Guardò Tyrion dritto negli occhi, infiammata da una collera e da un disgusto senza uguali. Dato il tempo e i fatti trascorsi, aveva pensato che il sentimento che Tyrion nutriva per lei, cosa che Jon le aveva confessato fin dal suo arrivo oltre alla Barriera, si fosse gradualmente affievolito. Lei era di Jon e lui era suo e insieme avevano ridato vita ad una dinastia, tutto il mondo ne era a conoscenza. Ma a quanto pareva Tyrion Lannister ambiva a dimenticarlo.

"Daenerys... io..."

Lei afferrò Jaehaerys e si mise a cullarlo pur di farlo calmare. Gli baciò la cuffietta che riparava i suoi riccioli d'ossidiana e avvertì il cessato ringhio del cucciolo ai suoi piedi. "Ssh... va tutto bene puledrino... adesso il nano cattivo se ne andrà..."

Erano umidi gli occhi di Tyrion, umidi e tristi. "Mia signora..."

Lei provvedete a far sì che non pronunciasse più nessuna parola in suo presenza. Quell'essere ripugnante nell'animo le faceva ribrezzo.

"Hai una consorte che sta per mettere al mondo un erede. Sarà meglio per te che tu li tratti con il dovuto rispetto e amore perché Lady Goodbrook merita il paradiso per volerti restare accanto. Guardie! Scortate Sua Signoria alla sua cavalcatura: il nostro incontro è giunto al termine."








Il papà si era addormentato e Ser Davos l'aveva ricondotto alla sua tenda facendo un occhiolino a Rhaella. Dormiva sempre il suo papà in questi giorni e Rhaella si domandava quanto fosse stanco. Di sicuro non quanto lei lo era delle insinuazioni di Robb Baratheon. Non viaggiavano nella stessa carrozza e già per Rhaella questo era un miracolo, ma ai pasti e alle soste se lo ritrovava sempre alle costole con quel suo sorriso da sbruffone e la sua faccia da schiaffi.

Quel giorno decise di chiudere la questione una volta per tutte. Loro sei sulle sponde del Tridente e il verdetto finale del vincitore alla spada che sarebbe riuscito a gettare l'altra nell'acqua. Robb accettò di buon grado e subito, con Aemon, Daeron, Alysanne ed Olek come spettatori, il duello ebbe inizio.

Rhaella mulinò la sua spada e assestò un fendente sotto l'ascella di Robb o almeno tentò di riproporre quello che aveva udito venire chiamato fendente dai soldati con cui papà si allenava periodicamente nel cortile interno della Fortezza Rossa. Robb la colpì con la punta della spada lignea, lasciandola ricadere di schiena sul terreno. Rhaella vide l'erba avvicinarsi ad una velocità disarmante ma, dandosi la spinta con la mano, tornò in piedi in un baleno.

E Robb, colto di sorpresa, fu disarmato.

"Ho vinto io cerbiatto."

Non si trovò ad esultare allo stesso modo quando vide Alysanne inoltrarsi nei flutti per riprendere la spada perduta e lottare contro la corrente.

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