Capitolo 40 - EPILOGO
*Alexandra's pov, 11 giugno 2007*
Ho avuto modo, durante quest'ultimo mese, di constatare che l'attesa mi rende una più ansiosa del normale. Sono già una persona tendenzialmente nervosa, e la lettera del college che non arriva mi rende anche molto inquieta. Il risultato? La moquette di camera mia sta per consumarsi.
Ho percorso circa duemila chilometri camminando avanti e indietro per la mia stanza, in questi giorni. È un modo molto efficace di scaricare la tensione; la concentrazione che richiede il movimento delle gambe mi distrae dai pensieri tetri che invadono la mia mente.
Luke ha già ricevuto una risposta. Positiva. Ovvio, i suoi voti sono stratosferici. Pensavo che la sua condotta precedente gli avrebbe creato problemi, ma mi sbagliavo. A quanto pare, ha dimostrato di essere cambiato ed è satto accettato senza batter ciglio...
Io, Karen e Thomas invece stiamo ancora aspettando la nostra lettera. O Email. Controllo tutti i giorni ogni ora il computer e ho imparato a memoria gli orari del postino. Nulla. La cosa che mi fa più imbestialire è l'assoluta calma di mio padre. Insomma, come fai a essere così tranquillo quando tua figlia inizia a stalkerare i postini e a soffrire d'insonnia?
Kellin e Kate mi dicono di stare tranquilla, che una risposta arriverà, che ci metterà solo un po' più tempo di quella di Luke perchè, al contrario suo, io non sono riuscita ad ottenere tutte A+ a fine esami. Quindi, prima di accettarmi, quelli della WSU devono assicurarsi che non ci siano studenti più qualificati... ehi, ma che discriminazione.
Pamela e Austin invece sono dalla mia parte. Sono in ansia per me, che dolci. Sia io che Austin, però, suggeriamo a Pam di rilassarsi, di cercare di evitare lo stress, perchè tutto ciò non fa bene al bambino. Quando i due vengono a trovare me e mio padre, quindi, parliamo di tutto tranne che del mio futuro, anche se leggo nei loro occhi che sono in pensiero per me. Più che altro, ci limitiamo a spettegolare su tutto ciò che ci passa per la testa, cercando vecchi vestiti miei e di Kellin che potrebbero andare bene a un neonato. Frugando in soffita abbiamo trovato un vecchio giocattolo di Kells, quello in cui bisogna girare la manopola e sentire il verso dell'animale che il braccio indica. Papà si è commosso, e Pam è scoppiata a piangere. Io e Austin li abbiamo guardati mentre, abbracciati, piangevano. È stata la cosa più tenera, strana ed esilarante mai vista in vita mia: mio padre che piange è qualcosa alla quale si ha la fortuna di assistere solo una volta ogni mille anni, mentre Pamela ultimamente trova sempre una ragione per versare qualche lacrima. Sarà la gravidanza che gioca brutti scherzi?
Ci sono volte in cui esco con i miei amici, e insieme troviamo sempre un modo di ridere sulle mie catastrofiche aspettative. Mi prenderanno? Passerò gli esami? Ce la farò con i programmi? E se avrò una compagna di stanza antipatica?
O se, peggio, non mi accetteranno? Ashton ha detto che se succede, mi adotterà (in teoria può, è maggiorenne già da un anno) e insieme viaggeremo per il mondo alla ricerca degli elfi e delle fatine dei boschi. Abbiamo riso così tanto che Alex ha dovuto schiaffeggiarci per farci smettere.
Anche se sembriamo tutti felici e contenti per le nostre eventuali partenze per il college, sappiamo che In realtà sotto c'è di più. C'è la tristezza, la consapevolezza che non riusciremo più a vederci tutti i giorni come prima, non sappiamo neanche se riusciremo a sentirci per telefono. È veramente difficile dire addio a persone con le quali si ha passato almeno due ore al giorno negli ultimi sei anni.
Nessuno sembra farci caso. La verità è che tutti fingiamo di non pensarci troppo, perché la cosa ci rende immensamente malinconici. E soprattutto perché almeno la metà di noi rischia di mettersi a piangere sul serio.
Jack dice che andrá tutto bene, che le cose continueranno a funzionare in tutti i sensi. Sia tra il gruppo di amici, sia tra noi due. Dice che mi chiamerà tutti i giorni e che quando potrà porterà tutti a trovare me, Luke, Karen e Thomas (se mi prendono, ovvio). La cosa mi fa solo venir voglia di piangere e andare a rannicchiarmi tra le braccia di mio padre come una bambina di tre anni che ha gli incubi.
I giorni migliori, nonostante tutto, sono quelli che passo con Jack.
È strano come, senza che noi dicessimo nulla a nessuno, tutti quelli del nostro gruppo abbiano capito che il nostro rapporto si era trasformato. Ci ho messo un po' anche io a capirlo. E un altro po' a comprendere la situazione. Il cambiamento non è stato radicale, anzi... non c'è proprio stato. Siamo sempre quella coppia di sfigati che va in giro a fare gli scherzi alle vecchiette, due poveri idioti che si fanno lo sgambetto per strada e si comportano da tredicenni. C'è solo una cosa in più: ora quando ci sediamo su un divano non devo più fare finta di stare comoda seduta in una posizione rigida, calcolata in modo da non sfiorare nemmeno un lembo di stoffa della maglietta di Jack, per successivamente evitare il disagio. Adesso posso appoggiare la testa sulla sua spalla, sulle sue gambe... che ne so, sembra stupido, ma ora posso toccarlo, abbracciarlo quando mi pare e piace. Perché prima mi sarei sentita estremamente imbarazzata se avessi anche solo mosso un dito in modo sbagliato. Adesso, invece... persino papà nota il modo in cui è diminuita la mia agitazione nei confronti di Jack.
Con mia grande approvazione, tra di noi non c'è nulla di eccessivamente romantico. Questo è un altro punto comico sulla lista della nostra "relazione": abbiamo stilato una lista dei lati negativi delle nostre precedenti storie e abbiamo discusso sul fatto di cercare di non commettere gli stessi errori. È stato divertente e comunque un pensiero carino, da parte di Jack. Già, è stata una sua idea. Tutte le idee strane e stupide vengono a lui.
-Perché non mandi un'altra lettera?- sta chiedendo, infatti. È seduto sul divano del mio salotto e mi osserva mentre cammino nervosamente avanti e indietro, attendendo le quattro e sedici, orario in cui so che il postino se ne sarà andato e io potrò uscire a controllare indisturbata se c'è una qualche lettera indirizzata a me.
Cambio direzione e torno indietro sui miei passi. -Pensaci- dico. -Tu sei super impegnato a fare qualcosa di super importante e un idiota continua a inviarti la stessa lettera. Accetteresti una persona così nel tuo college?
-Sì!- Alza il dito per aria, con foga. -Perché dimostra perseveranza e coraggio. Ci vogliono persone tenaci nel futuro dell'America!
-Tenaci come te?
-Esatto.
-Se lo dici tu.- Alzo gli occhi al cielo e controllo l'orologio. Quattro e diciassette. Ho perso un minuto! Mi fondo fuori dalla porta di casa e vado a prendere la posta nella cassetta delle lettere, con un tempo degno di nota.
-Lexie, con calma- mormora Jack, preoccupato dal mio comportamento. Sto iperventilando: ho appena trovato la lettera di mia grande attesa. Finalmente. Ora resta da scoprire... saranno buone o cattive notizie?
-Ti prego... fai tu- chiedo porgendogli la busta color avorio con mani tremanti. Mi siedo accanto a lui cercando di controllare la sensazione di sconforto che aleggia nella mia testa e ascolto attentamente ogni singolo rumore che proviene dalla mia destra. Passano i secondi, i minuti.
-Allora?- domando, impaziente.
Jack fa una faccia triste e appoggia la lettera aperta sul tavolo. "No." -Mi dispiace, ma...- "NO." Sento la mia faccia tirarsi in un'assurda smorfia di preoccupazione mista ad ansia e mi preparo al peggio.
-Mi sa che non ti vedrò per un po'- finisce Jack. -Perché sei stata presa!- Sulle ultime frasi calca un accento contento e fiero.
Subito stento a crederci. "Mi sta prendendo in giro?" Ma poi leggo. 'Cara signorina Quinn' e via dicendo '...lei è stata accettata' eccetera. La felicità è tanta che invece di esultare, mi accascio sullo schienale del divano lasciando che un sorriso mi invada le labbra. "Ce l'ho fatta."
-Ci sei riuscita, Lexie- dice dolcemente Jack. -Andrai a Washington.
-Già...- mormoro, dando voce ai pensieri che tutti hanno cercato di tenere nascosti negli ultimi mesi. -Ma... tu... e gli altri... io non voglio che ci separiamo tutti...
-Tranquilla.- Mi mette un braccio intorno alle spalle e mi stringe a sè. -Funzionerà. Tra tutti.
-Dici sempre così...
-Perché ci credo- risponde convinto. -So che non perderai nessun amico, perchè tutti ti vogliono bene. E so anche che quando tu finirai quella fottuta scuola, io e te potremo fare tutto quello che vogliamo quando vogliamo e come vogliamo. Perché io ti aspetto. Spero che lo faccia anche tu.
Annuisco e abbraccio forte Jack. Cerco di non piangere, ma una lacrima scappa impertinente dai miei occhi, sia per la tristezza, che per la felicità che per la commozione.
-Non piangere, Lexie- dice accarezzandomi la guancia bagnata. -Si piange quando la vita giunge al termine. La nostra è appena cominciata.
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Innanzitutto ci tengo a lanciare l'hashtag #VeronicaSmettiDiPiangere.
Poi
Mi scuso per il ritardo ma volevo scrivere qualcosa di decente... spero che sia di vostro gradimento.
Poi...
La storia finisce così. Vi dico subito che probabilmente farò un sequel, dipende dalle views a cui arriva la ff.
Mi dispiace terminare questa storia perché mi piaceva scriverla... spero che a voi sia piaciuta... commenti finali?
Io ora mi concentrerò su Return The Favor, che è più difficile da scrivere di quanto avessi immaginato.
Chiudo ufficialmente A Love Like War.
#veri
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