Ora che non ho più te
[Ora che non ho
Ora che non ho più te
Lo sai che
Non riposo mai, mai
E baby, tu non mi vedi
Frequento solo i posti che tu non hai visto mai
Perché ho paura di incontrarti e di un "ciao, come stai?"
E baby, tu non mi credi
A duecento all'ora
Come un pazzo in autostrada
Che ti cerca ancora
Che ti vuole, che ti chiama
È un'anima sola che
Non sa più dove va
Spegni le luci della città
Così che il cielo si illumina
Balliamo un'ultima volta, ma
È già finita la musica
Spegni le luci della città
Così che il cielo si illumina
Balliamo un'ultima volta, ma
È già finita la musica]
[Marc]
[Fine dicembre 2012]
<<Finalmente non più minorenne!>> Esordisco, posando un braccio sulle spalle di Angel, che si lascia sfuggire un lamento.
<<E dove sarebbe il bello, spiegamelo.>>
<<Beh...potrai votare.>>
<<Certo, in Italia però.>>
Ah già.
<<Potrai guidare!>>
<<Marc, per favore, stai zitto, mi stai solamente facendo venire l'ansia.>> In quel momento sento il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni e capisco che è arrivato il momento. Individuo lo sguardo di mio fratello e gli faccio cenno di raggiungerci.
<<Vengo subito, devo dire una cosa a mia madre.>> Non appena Alex ci raggiunge e attira l'attenzione di Angel, scendo al piano di sotto.
<<Ce ne hai messo di tempo!>> Javier mi lancia un'occhiataccia.
<<Sai com'è, il rivenditore che hai scelto non era esattamente dietro l'angolo e la strada è decisamente scivolosa stasera.>> Mi fa poi un cenno col capo.
<<Hai l'occorrente?>> mi domanda, mentre anche Juan ci raggiunge.
<<Sì. Dovrebbe bastare. Ho preso più di 4 metri di nastro.>> Tiro fuori dalla tasca della giacca il rotolo di nastro rosso e raggiungo i miei cugini. <<Dobbiamo fare in fretta prima che Angel inizi a sospettare qualcosa.>> Li avverto. <<Voi andate dall'altro lato, io vi passo il nastro da sotto.>>
<<Che idea ti è venuta Marc, cristo santo.>> Mi rimprovera Juan, mentre allunga il più possibile il braccio, per recuperare il lembo del nastro, stendendosi quasi completamente sul marciapiede.
<<Sì, non potevi, che ne so, regalarle un profumo? O un libro, dato che le piacciono tanto?>> Continua Javier. Guardo male entrambi.
<<Direi di no. A quello pensano gli altri.>>
Completiamo il lavoro in silenzio, poi mi allontano per poter ammirare l'opera.
<<Che gioiellino. Grazie ragazzi, non ce l'avrei fatta senza di voi.>> Li ringrazio, dando ad entrambi una pacca sulla spalla.
<<Sei sicuro che ad Angel piacerà?>> chiede Javier.
<<Certo! Quando gliel'ho fatta vedere due mesi fa, ha detto che l'adorava. Per evitare che qualcuno mi precedesse nell'acquisto, l'ho comprata subito, sono stato bravo a non farmi notare da lei.>> replico, mentre mi chino a guardare l'Opel Tigra viola infiochettata. <<Io avrei preferito comprarle una macchina nuova, ma lei mi ha detto di non azzardarmi neppure a pensarlo, quindi...>> Scrollo le spalle e invio un messaggio ad Alex per avvertirlo che ho finito di "impacchettare" l'auto e può far scendere Angel.
Mi risponde che non sarà facile convincerla e so benissimo che sarà così.
Quando, dopo diversi minuti, vedo il portone aprirsi, sento le farfalle nello stomaco. Spero che ad Angel piaccia il mio regalo.
<<Alex, santo cielo, ma dove dobbiamo - Oddio!?>> esclama a gran voce Angel, non appena si volta verso la mia direzione.
<<Sorpresa!>> Allargo le braccia, mostrando l'auto alle mie spalle, mentre Angel, con le mani a coprirle la bocca, resta immobile sul portone.
<<Oh mio dio! Tu - tu...cosa hai fatto?>>
<<Niente di particolare, solo un regalo per la mia migliore amica.>> Mi avvicino a lei. <<Tanti auguri, Angel.>> Le poso un bacio sulla guancia mentre lei mi abbraccia.
<<Tu - tu sei pazzo.>>
<<E lo hai capito solo adesso?>>
<<No, l'ho capito da quando ho scoperto quale fosse la passione che ti nutre.>> Scoppio a ridere.
<<Allora, ti piace?>>
<<Ma Marc, io...non ho neppure la patente!>>
<<Ovvio piccolo genio, hai compiuto 18 anni oggi. Ma vedrai, avrai un istruttore d'eccezione e prenderai la patente in un batter d'occhio.>> Angel mi lancia un'occhiata.
<<L'istruttore saresti tu?>>
<<Ovviamente.>> Angel scuote il capo.
<<Il fiocco è la cosa più bella del mondo.>>
<<Noi abbiamo contribuito.>> Si fa avanti Javier. Angel si volta a guardare lui e Juan e si porta una mano al petto inclinando il capo.
<<Grazie ragazzi, è bellissimo.>> Si volta verso di me e mi abbraccia. <<Grazie Marc, è bellissima. Ma non avresti dovuto, chissà quanto avrai speso...>>
<<Pochissimo in realtà. Sai che io avrei preferito regalarti un auto nuova...>>
<<E tu sai che mi sarei arrabbiata molto se tu lo avessi fatto.>>
<<Lo so, ma per fortuna abbiamo scovato questo gioiellino. Sono così tanto felice di sapere che ti piace.>>
Le poso un braccio sulle spalle, attirandola a me, mentre indica Alex.
<<Ecco perché tuo fratello mi ha fatto scendere in strada con una scusa a dir poco ridicola.>> Vedo Alex sgranare gli occhi e infilare le mani nelle tasche del giaccone.
<<Ovvero?>>
<<Sentiva che stava per nevicare, anzi, sosteneva che non appena saremmo scesi in strada avrebbe iniziato a nevicare.>> Scoppio a ridere, mentre Alex boccheggia, arrossendo.
<<Non riuscivo a trovare una scusa per farla scendere!>> Protesta, e Angel gli corre incontro, per andare ad abbracciarlo.
<<Grazie, Alex. Sei fantastico.>> Alex si piega per andare ad abbracciarla e affondare il viso tra i suoi capelli.
<<Grazie a te, Angel.>>
<<Ma questo vuol dire che dovrò imparare davvero a guidare!>> esclama a gran voce, staccandosi da Alex, con gli occhi spalancati. Sogghigno.
<<Direi di sì. Non era quello che volevi fare?>>
<<Sì, ma...insomma...mi sembra un qualcosa di quasi impossibile, è troppo difficile, non penso che ce la farò...>>
<<Ma certo che ce la farai, tu puoi fare qualsiasi cosa, lo sai vero?>> Le ricordo, raggiungendola. Angel accenna un sorriso, stringendosi nelle spalle.
<<Sì...>>
<<Avanti, togli quel fiocco, poi ti porto a fare un giretto sulla tua nuova macchina.>> Le sussurro all'orecchio e lei annuisce.
<<Sei il miglior migliore amico che avrei mai potuto avere.>> dice, non appena saliamo in auto. Sento il cuore fare le capriole nel petto. Le poso un bacio sulla guancia.
<<E tu la miglior migliore amica che avrei mai potuto avere.>>
~•~
Avevo cercato in tutti i modi di fermare Angel, di non farla scappare via per l'ennesima volta, per chiederle scusa. Ma mi era scivolata dalle dita come ogni volta. Mi sentivo un completo idiota.
Cosa diavolo mi era preso?
Non avrei mai dovuto dirle quelle cose, tanto meno in quel modo così duro.
Era venuta da me ed era parsa così fragile, emotiva, ed io invece mi ero fatto trascinare dalla frustrazione e dal dolore.
Non avrei mai potuto tornare ad esserle amico, sarebbe stata una tortura.
Volevo stare con lei e se lei non mi voleva, allora avrei sopportato la sua assenza, ma sarebbe stato insopportabile starle vicino e non poterla sfiorare o baciare, non poterla accarezzare o fare l'amore con lei.
Sarebbe stato inutile correrle dietro, non si sarebbe fermata neppure se fosse sceso in strada l'intero paese a furia di chiamarla.
Resto seduto nel buio della sala per non so quanto tempo. Ad un certo punto, sento lo scattare della serratura al piano di sotto e mio fratello e mia madre parlare fitto fitto e a bassa voce. Poi, sento dei passi sulle scale e quando la luce viene accesa, i miei occhi si chiudono istintivamente per il fastidio.
<<Marc, che ci fai seduto nel buio più completo?>>
<<Pensavo.>> replico, mentre sento Alex avanzare nella stanza.
<<Angel?>>
<<Se n'è andata.>>
<<Cos'è successo?>> Mi chiede, con il tono di chi ha già capito che è successo un casino.
<<Ho esagerato, come al solito.>> In quel momento anche mia madre raggiunge il salotto.
<<Ovvero?>>
<<Nulla, Angel era venuta per chiedermi se volevo provare a ricostruire la nostra amicizia e io le ho detto di no, perché mi era impossibile farlo, ci sarei stato troppo male. Allora lei ha risposto che era meglio se se ne andava e che non avrebbe mai dovuto venire, ed io le ho detto che non faceva altro che scappare e che era una codarda.>>
<<Oh, Marc.>> Sospira mia madre, scuotendo il capo con aria affranta. <<Che tempismo perfetto il tuo.>> La osservo confuso, mentre viene a sedersi accanto a me.
<<Sai perché Angel è tornata a Cervera?>>
<<No che non lo so.>>
<<Perché suo padre era tornato in paese.>> Rimango di stucco. Non avrei mai immaginato una cosa del genere. Il padre di Angel era una presenza invisibile e al tempo stesso estremamente ingombrante nella sua psiche ferita.
<<Suo padre...?>>
<<Sì. È per quello che è tornata. I suoi nonni non volevano più che restasse in paese, temevano che suo padre potesse provare a ristabile un contatto con lei. Angel non voleva andarsene, ma i suoi nonni l'hanno convinta fosse la cosa migliore e onestamente penso lo stesso. La vive come una fuga causata da una persona che l'ha già devastata abbastanza.>>
<<Cazzo, mamma!>> Scatto in piedi, furioso, dopo qualche secondo di silenzio. <<E non potevi dirmelo prima? Perché non me lo hai detto? Dio, le ho appena detto che...Sono un idiota. Non ne combino una giusta.>> Concludo, in piena disperazione, tornando a sedermi.
<<Lei era venuta da me, mostrandosi così...senza difese ed io invece l'ho ferita, dicendo proprio l'ultima cosa che avrei dovuto dirle.>>
<<Non potevi saperlo, Marc.>> Replica Alex.
<<Avrei potuto saperlo, però.>> ribatto, voltandomi verso mia madre. <<Mi distrugge sapere di averla ferita, mi sono ripromesso in tutti questi anni che avrei sempre fatto di tutto per non ferirla. Avresti dovuto dirmelo, mamma. Sarei stato più attento a quello che dicevo o almeno ci avrei provato.>>
<<Hai ragione Marc, mi dispiace. Pensavo o speravo che sarebbe stata Angel a dirtelo quando si sarebbe sentita pronta. Lei non sa che sua madre mi ha raccontato tutto.>>
<<Forse dovrei lasciar perdere.>> dico, dopo qualche istante di silenzio. <<Probabilmente è così che deve andare tra noi, doveva finire così tra noi. Ormai il nostro rapporto è compromesso, forse è inutile cercare di riparare qualcosa che è andato in mille pezzi, non si può...più riparare. Non serve a nulla, è solo una sofferenza inutile. Dovrei voltare pagina e andare avanti. È solo che...mi fa male il pensiero che sia finita così. Per equivoci, incomprensioni, bugie. Se avessi fatto qualcosa di sbagliato, se mi fossi comportato male, lo accetterei. Me lo meriterei. Ma non ho fatto nulla di male. Sarebbe triste se finisse così. Se deve finire, allora...che finisca con una stretta di mano e un addio. Non possono essere quelle che ha sentito uscire stasera dalla mia bocca le ultime parole che sentirà.>>
Sento qualcosa divamparmi nel petto e mi alzo di scatto dal divano, correndo giù per le scale.
<<Marc, dove vai?>> Sento chiedere da Alex, ma io ormai sono già fuori dalla porta. Devo chiedere scusa ad Angel per quello che le ho detto. Anche se lo penso, anche se penso che preferisca scappare via da quello che abbiamo, ciò che ho detto l'ha ferita ed esserne il responsabile mi fa male. Non appena arrivo davanti al palazzo di Angel, suono al citofono. La luce del tramonto taglia in due il mio sguardo, e mi porto una mano a coprirmi gli occhi.
<<Marc? Cosa succede?>> La voce confusa di Dina mi fa quasi sobbalzare tanto ero perso nei miei pensieri.
<<Dina, ti prego, devo parlare con Angel, per favore.>>
<<Mi dispiace Marc, Angel in questo momento non può...e non vuole parlare con te.>> Sento una fitta al cuore al sentire le sue parole. Forse, inconsciamente, mi aspettavo che potesse darmi una mano, come è già successo in passato.
<<Io...voglio solo ->>
<<Marc, davvero, ha cenato in fretta ed è andata a dormire. Anche se non penso che stia dormendo, in realtà.>> Aggiunge, in un sussurro. <<Mi dispiace.>>
<<Ti prego, Dina, almeno...dille che mi dispiace. Che sono stato un idiota a dirle quelle cose e che non volevo ferirla. Diglielo, per favore.>>
<<Marc...lo farò. Non preoccuparti. Vai a riposarti, buonanotte.>>
<<Buonanotte, Dina. E grazie.>>
Resto a fissare per istanti infiniti la targhetta con su scritto il nome di Angel e sua madre, per poi incamminarmi verso casa. Il sole è ormai sparito oltre i tetti delle case. Le prime stelle sono spuntate, mentre qualche pennellata di rosa continua a tingere il cielo.
Sono al tempo stesso diviso dall'irrequietezza e una sorta di sfinimento. Forse una passeggiata è tutto quello di cui ho bisogno in questo momento.
[Angel]
Quando avevo sentito suonare il citofono, poco dopo essere andata a letto, sapevo benissimo di chi si trattava.
Non avrebbe potuto essere altri che lui.
Avevo sentito mia madre dirgli che non volevo parlare con lui. Per una volta, non me lo avrebbe fatto trovare davanti a tradimento.
Le parole di Marc mi avevano fatto male, avevano riportato a galla tutto quello che avevo cercato di rimuovere da quando ero arrivata a Cervera - dunque, da meno di una settimana. Era ancora troppo recente ciò che era successo ed ero ancora tanto, estremamente sensibile sull'argomento. Non riesco a dormire e rimango a fissare il soffitto per non so quanto tempo, fino a quando non prendo il cellulare. Apro l'app di whatsapp e non vedere la casella di posta di Marc tra le prime, come è stato per tanti anni, fa male.
È come se una parte di me faticasse a credere che il nostro rapporto sia andato in frantumi in questo modo.
Il telefono mi vibra tra le mani e questo mi risveglia dai miei pensieri.
"Cosa ci fai sveglia a quest'ora?"
È un messaggio di Joan.
Sento una fitta alla bocca dello stomaco. Ci siamo sentiti ogni tanto nell'ultima settimana, ma ancora non gli ho detto che sono tornata a Cervera.
"Potrei farti la stessa domanda."
"Sì, ma sono stato io a chiedertelo per primo, quindi devi essere tu a rispondere."
"Non riesco a dormire. Tu?"
"Anche io. Ho visto che eri online e ho pensato di scriverti. Come mai non riesci a dormire?"
Potrei mai dirgli che non riesco a dormire perché sono persa in un turbinio di pensieri che si dividono tra quello che mi sono lasciata alle spalle in Italia, le parole di Marc e il fatto che mi manchi il nostro rapporto? Ovviamente no.
"Pensieri."
"Posso fare qualcosa per aiutarti a scacciarli via? Qualche video di gattini o alpaca potrebbero essere utili?"
Sogghigno, scuotendo il capo.
"Potresti provarci."
"Bene, allora preparati. Ne ho salvati un'infinità."
Joan mi invia davvero una lunga lista di video di cuccioli di varie specie. E io ovviamente, li guardo tutti. Ad ogni video sento il cuore sciogliersi un po' di più, la tenerezza che ho sempre provato nei confronti di Joan che si fa largo nel mio petto.
"Vedo che non stavi scherzando quando hai detto che ne avevi un'infinità."
"Assolutamente no. Sono serviti a qualcosa almeno?"
"Devo ammettere che sì, mi sono stati molto utili. Ti devo proprio ringraziare."
"Sai che sono sempre qui se hai bisogno, scricciolo. Non devi fare altro che chiamarmi o scrivermi."
Quanto mi manca il tempo che abbiamo passato insieme. Le serate passate a vedere film insieme nonostante io fossi in Italia e lui a Maiorca, tutte le volte che lui è venuto da me in montagna cenando assieme ai miei nonni in pigiama come se fosse una consuetudine.
Mi ha regalato uno spicchio di serenità di cui avrei bisogno anche ora e non posso dimenticarlo.
Passiamo quasi tutta la notte a parlare e finisco per addormentarmi un'ora prima che sorga il sole. Almeno potrò recuperare qualche ora di sonno dato che ho il turno pomeridiano al bar.
Quando mi sveglio in tempo per la colazione, sono ancora decisamente stanca. Mi siedo a tavola ancora dormendo.
<<Angel, sei sveglia?>> mi chiede mia madre e io, per tutta risposta, sbadiglio.
<<Ho dormito pochissimo stanotte.>> Mi limito a dire.
<<Torna a dormire dopo colazione, allora. Ti sveglierò poco prima di pranzo.>>
<<Grazie, mamma.>> Mi gusto il mio muffin al cioccolato con una tazza di latte e ad un certo punto vedo mia madre stirare le labbra.
<<Ieri sera è passato Marc.>> Mi informa, anche se lo so bene. Non rispondo e lei continua a parlare. <<Mi ha detto di dirti che gli dispiace. Che non voleva ferirti e che è stato un idiota a dirti quelle cose.>>
<<Va bene.>> Sollevo le spalle mentre mi alzo.
<<Cosa ti ha detto?>> mi chiede, mentre lavo la tazza.
<<Che sono una codarda.>> replico, cercando di controllare il tono della mia voce. <<E poteva risparmiarselo, almeno per ora. Ma ha sempre avuto un ottimo tempismo con me.>> Mi asciugo le mani. <<Vado a riposare.>>
Esco dalla cucina ed entro in bagno per sciacquarmi il viso.
Marc potrà anche avere ragione, ma perché devo soffrire in questo modo solo perché sto cercando di proteggermi da una sofferenza ancor più grande e di impedire che lui stesso soffra con me?
Non è colpa mia se non riesco a fidarmi di lui. Se provassimo a stare insieme sarebbe un inferno per me e renderei la vita un inferno anche a lui e non è quello che voglio. Voglio continuare a essere qualcosa di bello per lui, voglio che in futuro mi ricordi sempre come qualcosa di bello e unico, non voglio che mi ricordi con rabbia o delusione.
Confido nel fatto che un giorno magari, quando sarà passato il tempo necessario, saremo in grado di ricostruire il nostro rapporto, proprio grazie al fatto di essere riuscita a fare quel passo indietro utile a non distruggere definitivamente ogni sorta di possibile rapporto tra noi.
Sospiro e torno a letto.
Mi risveglio poco prima di pranzo con un messaggio di Joan che mi augura buon lavoro. Quando gli ho detto che ero tornata a Cervera aveva fatto ben poco per nascondere la sua felicità. Mi ha chiesto se il fatto di fare un salto durante il weekend potesse essere una cattiva idea.
Ovviamente gli ho risposto che mi avrebbe fatto piacere se fosse venuto.
Dopo pranzo mi preparo, poi raggiungo il bar per il mio turno.
Cerco di risollevarmi un po' l'umore per affrontare meglio il pomeriggio che scivola via senza grandi intoppi.
<<Ciao, Angel.>>
Forse ho parlato troppo presto.
Quando sento la sua voce una fitta al cuore mi colpisce.
Per quanto vorrei ignorarlo, la presenza di mia madre me lo impedisce. Mi lancia un'occhiata, facendomi cenno di provare a parlarci.
Mi volto verso di lui, incrociando le braccia al petto e facendogli un cenno col capo per chiedergli cosa vuole.
Marc sbatte le palpebre.
<<Posso parlarti, per favore?>>
<<Certo. Parla pure.>>
Lo vedo portare la punta della lingua tra le labbra. Lo fa sempre quando è contrariato o sta cercando di tenere la rabbia sotto controllo.
<<In privato, se possibile.>>
<<No, non è possibile.>>
<<E va bene.>> ribatte, stizzito. <<Se preferisci così, non ho problemi. Volevo solo ->>
<<Ragazzi, potreste andare un secondo al supermercato a prendermi...a prendermi il sale? L'ho finito oggi e senza non potrò cucinare stasera.>> Mi volto a guardare malissimo mia madre.
<<Perché dobbiamo andarci noi? Puoi andarci benissimo tu.>>
<<Ma perché io devo restare qui al bar.>>
<<E non posso restarci io, mentre tu fai un salto al supermercato? Puoi prendere la tua macchina senza dover scomodare il campione.>> Prima che mia madre possa replicare, scuoto il capo, sorridendo. <<Anzi no, mamma. Posso andarci benissimo da sola. Prendo le chiavi della tua macchina, farò in un secondo.>>
Mia madre stringe le labbra. Il fatto che sia riuscita a mandare a monte il suo piano di farmi restare sola con Marc non deve esserle piaciuto molto.
<<Devo andare anche io al supermercato, in realtà.>>
Cerco di trattenere l'istinto di saltargli al collo. Mi volto a guardarlo, furiosa.
<<E cosa dovresti andarci a fare tu, sentiamo?>>
<<Mamma mi ha detto di portarle...le uova.>> Sogghigno, in pieno nervosismo, scuotendo il capo.
<<Le uova. Certamente.>> Lo guardo.
<<Bene, vacci allora. Non è necessario andarci insieme.>>
<<Dato che dobbiamo parlare, sarebbe decisamente più comodo.>> replica, più calmo che mai.
Lo detesto.
<<Ma io non voglio parlare con te, non so se te ne sei accorto.>>
<<Per favore, Angel.>> mi implora, guardandomi dritto negli occhi. Non so come riesco a impedire al mio corpo di tremare visibilmente sotto quello sguardo.
Sospiro e vado nel retro. Recupero la borsa mentre mi sciolgo i capelli.
<<Andiamo.>> gli dico, non appena gli passo accanto. Mi sistemo le maniche della camicia mentre esco dal bar e lo vedo superarmi. Quando rialzo la testa, noto che sta tenendo aperta la portiera del passeggero della sua Honda bianca in attesa della sottoscritta.
<<Grazie.>> Stira le labbra in risposta, poi, non appena salgo in macchina, fa il giro di corsa per raggiungermi.
Lottare contro Marc è una cosa, ma se anche mia madre diventa una sua alleata la lotta si fa molto più difficile per me.
Ma che dico, mia madre è sempre stata una sua alleata.
L'aria che si respira all'interno dell'abitacolo è estremamente pesante. Vorrei allontanarmi da qui il più possibile.
Restiamo in silenzio fino a quando non raggiungiamo il supermercato. Scendo immediatamente dall'auto non appena Marc si ferma e varco subito la soglia del supermercato, senza aspettarlo. A quest'ora inizia ad essere decisamente più affollato e spero di fare in fretta. Mi muovo velocemente fra le persone e raggiungo subito la corsia dove si trova il sale.
Peccato che si trovi sullo scaffale più alto e ne siano rimasti pochi pezzi.
<<Accidenti, brutti bastardi, lo sapete che non siamo tutti dei pali della luce su questa terra?>> borbotto, in italiano, allungandomi sulle punte dei piedi, ma non ho neppure le zeppe che potevano donarmi qualche centimetro in più, ma gli scarponcini neri che uso sempre quando lavoro che si limitano a regalarmi quei 3 o 4 centimetri in più.
In quel momento, qualcuno alle mie spalle afferra il pacchetto del sale che stavo cercando invano di prendere. Solo che riconosco benissimo quella mano e quando mi volto a guardarlo, noto il piccolo sorriso sulle sue labbra e lo sguardo carezzevole nei suoi occhi.
<<Cosa c'è?>> gli chiedo, prendendo il sale dalle sue mani.
<<Niente, solo...sei la cosa più tenera che io abbia mai visto.>>
Una fitta fortissima mi colpisce al centro del petto e sento che potrei addirittura perdermici nel suo sguardo profondo e carezzevole. Vorrei avere sempre i suoi occhi su di me.
Scuoto appena il capo.
<<Le tue uova?>>
<<Devo ancora andare a prenderle.>> replica, scuotendo anche lui il capo.
<<Bene, andiamo a prenderle allora, così ce ne andiamo da qui.>>
Quando usciamo dal supermercato veniamo accolti da un acquazzone improvviso. Eppure fino a venti minuti fa c'era un sole da spaccare le pietre.
Corriamo fino alla macchina riuscendo a bagnarci il meno possibile.
<<Ci mancava solo l'acquazzone.>> borbotta lui, non appena chiude la portiera, passandosi una mano tra i capelli umidi.
Il mio sguardo viene catturato dai suoi movimenti come una falena alla luce. Osservo le goccioline d'acqua che scorrono sui suoi capelli all'attaccatura della nuca e sento distintamente il cuore sospirare.
Abbasso lo sguardo non appena me ne rendo conto. Io mi sono coperta dalla pioggia con la borsa, ma sulle lunghezze dei miei capelli intravedo qualche goccia di pioggia brillare. Chiudo gli occhi e mi concentro sul tamburellare della pioggia contro il tettuccio dell'auto.
È un suono che ho sempre amato, che mi ha sempre infuso un senso di pace e che ha sempre fatto vibrare la mia anima. Quando riapro gli occhi, scopro che lo sguardo di Marc è su di me. Sento una fitta al centro del petto. Lui accenna un piccolo sorriso.
<<So che ami molto il suono della pioggia sul tettuccio dell'auto perciò non ti volevo disturbare.>> Spiega, per poi schiarirsi la voce.
<<Angel, senti, mi dispiace da morire per quello che ho detto ieri. Io...non avrei dovuto, non volevo ferirti, ero solo arrabbiato, te lo giuro. Poi mia madre mi ha spiegato...insomma, mi ha spiegato la situazione...>>
<<Quale situazione?>> chiedo, confusa.
<<Quella di ->> si interrompe <<Il motivo per cui sei tornata a Cervera.>> Spalanco gli occhi.
<<Come fa a saperlo?>>
<<È stata tua madre a dirglielo.>>
<<Avrei dovuto immaginarlo.>> Sogghigno.
<<Ma Angel, quello che voglio dire è che...ti chiedo scusa. Come al solito, ho sbagliato con te. Sono andato a dire l'ultima cosa che avrei dovuto dire in quel momento.>> annuisco, deglutendo a fatica.
<<Va bene Marc, va tutto bene, non preoccuparti.>> Mi limito a dire, scuotendo il capo.
<<Sei sicura?>> mi chiede lui, dopo qualche istante di silenzio.
<<Sì, certo.>> taglio corto io, ma lui non sembra essere dello stesso avviso.
<<Perché sento che invece non è così? Tu pensi davvero di essere una codarda perché te ne sei andata dall'Italia e sei tornata in Spagna, vero?>>
Chiudo gli occhi e respiro profondamente. Non sopporto quando cerca di tirarmi fuori le parole.
<<E non è forse vero? Ho ceduto, sono stata io ad andarmene quando sarebbe dovuto essere il contrario e questo non è giusto! Non è affatto giusto. Ma i miei nonni mi hanno convinto che era la cosa più giusta da fare, perché se aveva fatto il passo ulteriore di provare a parlarmi, cosa avrebbe fatto dopo? E se io ero riuscita a correre via facendogli perdere le mie tracce affinché non scoprisse il nostro nuovo indirizzo, non significava che ci sarei riuscita anche una seconda o terza volta.>>
Marc mi lancia un'occhiata confusa.
<<Cosa intendi? Mia madre ha detto che sei tornata perché hai scoperto che tuo padre era tornato in paese e i tuoi nonni temevano che potesse mettersi in contatto con te...>>
Accidenti.
Ma perché cazzo non riesco a stare zitta? Sospiro e distendo le spalle.
<<Questo è quello che io e i nonni abbiamo deciso di dire a mia madre. Hai visto com'era preoccupata solo all'idea che lui era tornato in paese e poteva mettersi in contatto con me? Come avrebbe reagito se avesse saputo che è esattamente quello che è successo? Non volevamo farla preoccupare troppo inutilmente dato che ora, sono qui.>>
<<E tu non hai idea di quanto questo mi faccia tirare un sospiro di sollievo.>> Lo sento dire, per poi prendermi una mano. Il calore della sua mano si diffonde lungo il mio braccio, scaldandomi la cassa toracica. Mi sento come avvolta da una morbida coperta. <<Saperti qui, lontana da lui mi tranquillizza enormemente. Dio, Angel, perché non me ne hai parlato?>> chiede, dopo essersi passato una mano tra i capelli e tornando a guardarmi.
<<Forse perché non volevo farti preoccupare inutilmente? Forse perché eri già preoccupato per altro che mi riguardava?>> replico, incrociando le braccia al petto e inarcando un sopracciglio. Vedo le sue spalle sciogliersi e lasciare andare un sospiro, mentre increspa le labbra.
<<Era questo quello di cui mi avresti parlato dopo il Sachsenring?>> mi chiede, girando completamente il corpo verso di me. Lui, la sua voce, il suo sguardo caldo e profondo e la melodia della pioggia contro il tettuccio dell'auto sembrano essere una combinazione perfetta.
<<Sì. Ora però non è più un problema, almeno lo spero.>> ammetto, scrollando le spalle. Marc mi scruta con intensità e sento il suo sguardo penetrarmi sotto la pelle.
<<Forse sarebbe meglio andare.>> Gli faccio notare e lui scuote appena il capo.
<<Sì, certo.>>
Il viaggio di ritorno al bar è silenzioso esattamente come lo era stato quello di andata. Un'improvvisa tristezza mi avvolge, una tristezza a cui non so dare una spiegazione.
<<Angel, è davvero tutto a posto per quello che ho detto...?>>
<<Sì Marc, tranquillo. Ho sbagliato anche io, non avrei dovuto farti una simile proposta, mi dispiace. Ti auguro buona fortuna, per tutto.>> Gli rivolgo un ultimo sguardo e scendo dall'auto.
So che il nostro rapporto è ormai irrecuperabile. È stato troppo e ora non possiamo essere più niente. Percorro il tratto di strada che separa la sua auto dal bar, sentendo i suoi occhi che bruciano sulla mia schiena.
Controllo l'ora sul cellulare per l'ennesima volta, sbuffando. Il treno di Joan è in ritardo, e se continua così, finirà per essere in ritardo sul ritardo. Vado a sedermi su una panchina, per poi aprire il mio ventaglio. Non soffro particolarmente il caldo, ma oggi è una giornata parecchio afosa. Sollevo lo sguardo quando il treno di Joan entra in stazione. Come ogni cosa di grandi dimensioni in movimento, anche il treno mi spaventa, perciò resto a debita distanza, alzandomi dalla panchina solo quando si ferma, senza avvicinarmi troppo.
<<Joan!>> Lo chiamo, non appena individuo con lo sguardo la sua testa osi non più così bionda. Lo vedo sollevare il capo e sorridere non appena il suo sguardo si posa su di me. Mi viene incontro e mi abbraccia non appena mi raggiunge.
<<Oh, Angel, che bello rivederti.>>
<<Anche a me fa tanto piacere rivederti, Joan. Com'è andato il viaggio?>>
<<Tutto bene e soprattutto, molto più breve di quello per raggiungerti in Italia.>>
<<Ti stai forse lamentando?>> gli chiedo, inarcando un sopracciglio e voltandomi a guardarlo mentre usciamo dalla stazione.
<<Certo che no! Farei 24 ore di viaggio anche solo per vederti cinque minuti, lo sai.>> Sorrido, scuotendo il capo, mentre salgo in macchina. <<Ehi, dov'è finita l'Opel Tigra?>>
Il sorriso sparisce dalle mie labbra.
<<Non c'è più. Questa è l'auto di mia madre. Ora che sono tornata stabilmente qui a Cervera però dovrò cercarmi un'altra auto.>>
<<Peccato. Quell'auto ti donava parecchio.>> Mi limito a tirare le labbra in una specie di sorriso sperando, così facendo, di chiudere il discorso.
Parlare della mia auto mi fa ricordare chi me l'ha regalata e il motivo per cui non l'ho più con me e vorrei evitare di pensare a Marc anche in questo momento.
<<Ehi, tutto bene, scricciolo?>> La domanda di Joan mi fa risvegliare dai miei pensieri. Mi volto a guardarlo per un istante, sbattendo le palpebre.
<<Oh sì, certo, Joan. Ti accompagno in hotel?>>
<<Sì grazie, così mi dò anche una bella rinfrescata.>>
<<Hai scelto uno dei posticini più carini di Cervera, questo b&b è un bijoux.>> Noto, non appena fermo l'auto davanti alla palazzina. Fiori variopinti colorano i balconcini del b&b costruito interamente in pietra. È uno di quei luoghi che riesce a infondermi buonumore semplicemente dando un'occhiata alla facciata.
<<Vuoi salire?>> mi chiede subito, sbattendo le ciglia. Inarco un sopracciglio, sollevando un angolo delle labbra.
<<Sei arrivato da cinque minuti e ci stai già provando, Joan caro?>>
<<Potrebbe essere, tu che ne dici?>> Mi rivolge un ampio sorriso.
<<Non ti hanno insegnato che non si risponde ad una domanda con un'altra domanda?>> replico, prendendolo per il mento. <<Avanti, ci vediamo più tardi. Passo a prenderti verso le 21, va bene? C'è un posticino dove ho in mente di portarti.>> Concludo, con un sorriso. Un lampo attraversa lo sguardo di Joan.
<<Non vedo l'ora, scricciolo.>> Mi posa un bacio sulla guancia, per poi scendere dall'auto. Torno a casa e schiaccio un pisolino, per poi iniziare a prepararmi. Faccio una doccia veloce, per poi truccarmi un po'. Indosso un semplice vestitino nero, un paio di tacchi alti dello stesso colore e sono pronta. Dò un'ultima pettinata ai capelli e osservo il mio riflesso allo specchio. Sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio per osservare i miei orecchini a cerchio preferiti, che brillano per un istante sotto la luce del sole che penetra dalla finestra, e annuisco.
In quel momento sento la porta principale aprirsi e recupero il cellulare e la borsa.
<<Esci?>> mi chiede mia madre, non appena posa gli occhi su di me.
<<Sì mamma, te l'avevo già detto oggi pomeriggio, ricordi? Quando ti ho chiesto se ti serviva la macchina stasera. Io e Joan usciamo a cena.>>
<<Oh giusto, esci con Joan. Lo avevo dimenticato per un attimo.>> replica, accennando un sorriso. <<Divertiti e torna presto.>> Le poso un bacio sulla guancia ed esco. Salgo in auto e inforco gli occhiali da sole. Raggiungo il Bed & breakfast dove alloggia Joan e gli invio un messaggio per avvisarlo che sono arrivata.
Quando la sua figura slanciata appare ai miei occhi sento quel qualcosa tornare a pizzicarmi al centro del petto.
<<Buonasera, biondino.>> lo saluto, con un largo sorriso, non appena sale in macchina. I suoi occhi luminosi non si staccano da me.
<<Wow, sei...cioè, buonasera. Sei da mozzare il fiato.>> Sogghigno.
<<Grazie, Joan. Anche tu sei proprio carino.>> Il sorriso sulle sue labbra si allarga. Si sporge verso di me e mi posa un bacio sulla guancia.
<<Allora, dove siamo diretti?>>
<<Stasera ti porterò al Golden.>>
<<Ovvero?>>
<<È un pub dove si mangia, si beve e si balla. Un piccolo gioiellino qui a Cervera.>>
Ricordo benissimo l'ultima volta che sono stata al Golden. Il giorno in cui Alex mi ha lasciata, ormai quasi un anno fa, e io e Rafi abbiamo deciso di trascorrere la serata a far baldoria. Non avevo messo in conto che Marc si sarebbe unito a noi per farci da tassista e che avrebbe concluso la serata facendomi intendere che ricordava quello che gli avevo detto la sera prima.
Ma stasera sarà diverso.
Devo lasciarmi tutto alle spalle una volta per tutte.
Scuoto il capo, mentre parcheggio davanti al Golden.
<<Hai già qualche canzone in mente, Joan caro?>> gli chiedo, non appena scendiamo dall'auto. Lui mi rivolge un'occhiata confusa.
<<Perché?>>
<<Perché qui sei tu a poter scegliere la musica.>> gli spiego, mentre entriamo nel locale pieno di gente. Lo sento prendermi immediatamente per mano e un sorriso si apre sulle mie labbra. <<Vieni, andiamo a sederci al mio posto preferito.>>
Sento gli sguardi della gente su di noi mentre attraversiamo la sala.
<<Allora? Che ne pensi?>> gli domando, non appena ci sediamo al tavolo.
<<È...decisamente affollato.>>
<<Beh, è sabato sera. Molta gente viene qui prima di andare in discoteca.>>
<<È comunque molto carino. Questo è il tuo posto preferito perché è vicino al jukebox, vero?>> Lo indica con un cenno del capo e io sorrido, stringendomi nelle spalle.
<<Beccata.>>
<<Quindi, se chiunque può scegliere la musica...pensa quanta musica che non ti piace sarai stata costretta ad ascoltare ogni volta che sei venuta qui.>>
<<Molta, lo ammetto. Vedi di scegliere bene quando deciderai di andare al jukebox.>> Joan strabuzza gli occhi.
<<Mi lascerai questo onore?>>
<<È un modo per metterti alla prova.>> replico, rivolgendogli un largo sorriso.
<<Bueno...adesso mi sento un po' in ansia.>> Sogghigno, poggiando una mano sul suo braccio.
<<Oh avanti, biondino, stai tranquillo.>> In quel momento uno dei camerieri viene a portarci i menù.
<<Angel, ciao!>>
È Santiago, uno dei camerieri che lavora al Golden da anni. Quando sono arrivata a Cervera lavorava già qui al locale. Gli rivolgo un sorriso, mentre lui mi squadra oltre gli occhiali da vista, per poi squadrare Joan, e in seguito, la mia mano posata sul suo braccio.
<<Ciao, Santiago. Tutto bene?>>
<<Tutto bene, sì. Tu? È da un po' che non ti si vedeva da queste parti.>>
<<Un annetto, più o meno. Ma ho trascorso poco tempo a Cervera nell'ultimo anno, quindi...>>
<<Sì, Marc me lo ha detto.>>
Sentirlo nominare mi fa irrigidire di colpo. Tolgo la mano dal braccio di Joan e afferro uno dei menù.
<<Grazie per i menù, Santiago. Intanto puoi portare dell'acqua per me. Tu cosa vuoi da bere, Joan?>> Lui mi lancia un'occhiata, sbattendo le palpebre.
<<Una birra piccola, se possibile.>>
<<Perfetto, torno subito.>>
È letteralmente impossibile non sentirlo nominare per almeno una sera.
<<Tutto bene?>> Sento chiedere da Joan e sollevo lo sguardo dal menù.
<<Sì...sì, certo Joan.>> Vado a stringere la sua mano, per poi scuotere il capo. <<È inutile che io consulti il menù, prenderò sempre il solito.>>
<<Ovvero?>>
<<Hamburger con doppio bacon e patatine fritte.>> Joan spalanca gli occhi, sollevando le sopracciglia, poi si schiarisce la voce.
<<Io...opterò per un'insalata.>>
<<Non puoi fare uno strappo alla regola?>>
<<Per quanto vorrei...no, non posso, lo sai.>> Sospira, poi sembra ripensarci. <<Anzi no, prenderò una pizza. È sabato e almeno una pizza voglio concedermela.>>
<<Bravo!>> In quel momento Santiago torna per portarci da bere e prendere i nostri ordini.
Non appena terminiamo la nostra cena, Joan si alza e raggiunge il jukebox. Mi osserva per un istante, poi, fa la sua scelta. Mentre ritorna al tavolo, le note inconfondibili di Everybody wants to rule the world dei Tears for fears riempiono il locale.
<<Allora? Ho scelto bene?>>
<<Non avresti potuto fare scelta migliore.>> Sorrido, mentre lui mi prende una mano.
<<La prima canzone che abbiamo cantato insieme. È scolpito nella mia memoria quel momento, come tutti gli altri in cui ci sei tu.>> Sento qualcosa pizzicarmi al centro del petto. Mi alzo e lo tiro su con me. Joan mi osserva con aria confusa.
<<Dobbiamo ballare la nostra canzone.>>
Gli dico, con un sorriso.
So che la gente ci starà guardando, ma finché terrò gli occhi fissi su quelli di Joan, non mi importerà.
Ci abbracciamo non appena la canzone finisce e un applauso si alza nella sala. Nascondo il viso nella sua spalla. L'effetto che la musica ha su di me è finito e ora mi sento improvvisamente in imbarazzo.
Torniamo a sederci e Joan mi prende entrambe le mani. Ha gli occhi lucidi.
<<Mi sei mancata così tanto, Angel. Non so se è il momento migliore per parlarne, ma sento di volerlo fare ora. Sono stato davvero un idiota, lo so, me ne rendo conto. Solo che...vederti andare a Cervera, dove c'era anche lui, sapendo benissimo del legame che avete sempre avuto, sapendo quanto lui sia importante per te, sapendo quello che prova lui per te...mi faceva soffrire. Ma ti giuro, non era di te che non mi fidavo. Era di Marc che non mi fidavo.>>
<<Ma sai benissimo che se non avessi voluto tradirti, Marc avrebbe anche potuto girarmi intorno in boxer, non sarebbe comunque successo. Temevi che avrei ceduto, avendolo intorno, non è forse così?>> Joan deglutisce a fatica.
<<Sì, è vero. Cosa posso dire? È così. Perché so che c'è stato qualcosa tra di voi durante il giro asiatico, lo scorso anno, so come stavi a novembre quando qualcosa si è rotto tra di voi, ti ho vista. Non era difficile arrivarci, Angel.>> Spalanco gli occhi.
<<Come...?>>
<<Il modo in cui ti guardava. Il modo in cui cercava sempre di starti vicino, di avere un contatto fisico con te. Quella sera, a Phillip Island, il modo in cui vi siete guardati...è stato chiaro. Mi è bastata solo l'ulteriore conferma nel vedere che Marc non aveva occhi per nessun'altra oltre te.>> Abbassa il capo, mentre io continuo a fissarlo.
Non mi ha detto nulla. Non mi ha fatto domande in proposito, eppure, avrei dovuto capire che aveva intuito che c'era qualcosa tra di noi. Ricordo quello che mi disse durante il viaggio di ritorno, dopo l'ultimo gran premio del giro asiatico, quando venne a sedersi accanto a me in aereo.
Mi chiese se ero felice e se la giraffa si fosse resa conto di essere innamorata, facendo riferimento ad una poesia che gli avevo detto in Austria.
Come ho fatto a non capire?
<<Io...mi sono reso conto di aver sbagliato. Di essermi comportato come uno stupido e di averti dimostrato che non mi fido di te, quando non è così, Angel. Avevo solo paura di perderti e alla fine...ti ho perso lo stesso. Ma>> Si tende verso di me, guardandomi negli occhi. <<Ti prego, dammi un'altra occasione. Farò in modo che funzioni questa volta. Non mi comporterò più come un bambino, permettimi di dimostrartelo, per favore.>>
Sento il cuore battere a gran colpi nel mio petto. Inclino il capo mentre stringo le mani di Joan. Sono stata così bene con lui e mi rende triste il modo in cui è finita tra noi, il modo in cui ho messo un punto alla nostra storia, all'improvviso. Sento di aver bisogno di quella pace che Joan riusciva a darmi.
<<Joan, io...non riesco a darti una risposta così, su due piedi.>>
<<No, certo, pensaci. Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno. Non ho fretta, scricciolo.>> Replica, mentre un tenero sorriso si disegna sulle sue labbra. Mi porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e le sue dita lunghe mi sfiorano la guancia.
Ricambio il suo sorriso, per poi socchiudere gli occhi. Sento il cuore in tumulto, come se avessi un oceano in tempesta nel profondo di me che si sta agitando.
So di cosa ho bisogno per ignorare quello che sento. Non appena le note della canzone scelta da uno dei commensali terminano, mi alzo e vado a sceglierne una in grado di spazzare via ogni pensiero, ogni paura o angoscia almeno per qualche minuto. La melodia inconfondibile di Fiesta di Raffaella Carrà si propaga nel locale e tutti si alzano in piedi per ballare.
<<Balliamo, biondino.>> Joan sorride e si alza in piedi, raggiungendomi.
Alla fine, voglio solo godermi questi due giorni con lui.
[Marc]
Le luci stroboscopiche mi abbagliano per un istante non appena io e Alex varchiamo la soglia della discoteca. Ci addentriamo nel locale già gremito di persone, dirigendoci verso il bar.
<<Ehi, Xavi!>> Alex chiama un tipo alto, dai capelli corti e brizzolati e l'ombra della barba a sottolineare i tratti marcati del volto. Xavi è il proprietario del locale in cui veniamo da anni ed è ormai un amico.
<<Ragazzi, benvenuti! Vi aspettavo. Se volete potete già accomodarvi al tavolino che vi ho riservato, nel privè. Cosa gradite da bere?>>
<<Io un margarita.>> Risponde subito Alex.
<<Lo stesso per me.>> Mi limito a dire. Raggiungiamo poi il tavolino che ci è stato riservato. <Chissà quanto diavolo ci metteranno gli altri ad arrivare.>> Sbuffo, controllando l'orologio, riferendomi ai nostri amici.
<<Tranquillo, arriveranno sicuramente.>> Alex mi rivolge poi una lunga occhiata. <<Come stai?>> Lo guardo di traverso.
<<Sai già come sto, perché chiedermelo?>> Alex sospira, mentre un cameriere viene a servirci i nostri drink. <<Comunque, non ne voglio più parlare. Ci ho messo una pietra sopra. Basta starci male, basta pensarci, basta...basta pensarla. Basta.>> So che Alex mi starà guardando poco convinto ma non posso fare altro. Sono stanco di stare male per Angel. Non posso fare altro che accettare che tra noi sia andata così. Fa male da morire vedere come il nostro rapporto sia andato letteralmente in pezzi ma non cambia nulla se mi crogiolo nel dolore. Non cambierà le cose.
Probabilmente ha ragione lei.
È stato solo un grande, immenso errore e l'unica cosa che abbiamo ottenuto alla fine è stato solo rovinare un bellissimo rapporto.
Nostro cugino Juan e gli altri ci raggiungono poco dopo.
<<Balliamo?>> propongo loro dopo aver buttato giù il primo drink, incalzato dalla musica che pompa a gran volume. Ci alziamo e raggiungiamo la pista da ballo. Il mio sguardo viene subito catturato da una ragazza dai capelli nero corvino, lunghi e lisci, il corpo sinuoso fasciato in un abitino nero che le lascia le spalle scoperte. Sta ballando proprio a pochi metri da me e mi sta fissando da quando ho messo piede sulla pista da ballo. Quando si accorge che ho notato il suo sguardo su di me, mi rivolge un caldo sorriso e non appena lo ricambio, inizia ad avvicinarsi, senza smettere di ballare.
<<Sbaglio o ti ho già visto da qualche parte?>> Mi chiede ad alta voce non appena mi raggiunge, per sovrastare il volume della musica.
<<Dipende.>> Rispondo, inarcando le sopracciglia e sorridendo <<Dove mi avresti già visto?>>
<<In televisione. Tu sei quel pilota che corre in moto, non è vero?>>
<<Proprio così. Mi chiamo Marc, qual è il tuo nome?>>
<<Natasha.>>
Ha gli occhi verdi e le labbra rosse e carnose attirano subito la mia attenzione.
<<Bene, Natasha...posso offrirti qualcosa da bere? Se ti va torniamo al tavolo che ho prenotato nel privè.>>
<<Certo che mi va.>> Replica e mi scocca un'occhiata infuocata. Le faccio strada e quando ci sediamo al tavolino, lei mi si appiccica letteralmente addosso.
<<Cosa gradisci da bere?>>
<<Un gin tonic, grazie.>> Faccio un cenno al cameriere per attirare la sua attenzione e ordino il drink scelto da Natasha.
<<Sai, sei ancora più sexy dal vivo.>> Mi dice subito, non appena il cameriere si allontana.
<<Ah sì? Beh, anche tu sei molto, molto sexy.>>
<<Allora potremo saltare i convenevoli dei drink e passare subito al sodo, che dici?>> Mormora, sporgendosi verso di me e posandomi una mano sulla coscia.
È tutto quello che voglio, ora come ora.
<<Diretta...mi piace.>>
<<Anche a me tu piaci molto.>> Replica lei, mentre il cameriere ci serve i nostri drink. Mentre sorseggia il suo gin tonic, Natasha fa scorrere lentamente la sua mano dalle unghie laccate di rosso sulla mia coscia, verso l'alto. Mi si rizzano i peli sulle braccia.
Non appena arriva a sfiorare il punto più sensibile, la blocco, prendendole il polso. Lei si volta a guardarmi, un sorrisetto compiaciuto dipinto sulle labbra. Mi sporgo verso di lei e la bacio. Natasha si avvinghia immediatamente alle mie spalle, iniziando a strusciarsi contro il mio corpo. È travolgente, calda, ed è tutto quello di cui ho bisogno ora. La sento stringere la stoffa della mia camicia, per poi infilarmi le dita tra i capelli e tirarli.
Il cuore mi salta un battito.
Angel.
Il modo che aveva lei di accarezzarmi i capelli, di tirarli, quel ricordo, mi provoca una fitta al centro del petto. Ma non è lei quella che sto baciando ora, è un'altra e non posso permettere ad Angel di vincere, di rovinarmi anche questo momento. Voglio scacciarla dalla mia mente in ogni modo possibile, ci devo riuscire ad ogni costo.
Arpiono i capelli di Natasha, mentre le avvolgo la vita con un braccio, stringendola ancor più a me e aumentando la pressione di quel bacio.
"Sai cos'altro mi fa impazzire? Tu."
Mi stacco da Natasha, un peso che mi opprime sul petto e pare quasi impedirmi di respirare.
Dio, non ci riesco.
Non riesco a smettere di pensarla.
Anche se non è qui presente accanto a me, è come se fosse qui, fissa nella mia mente, nelle mie parole, nei miei gesti, nei miei respiri.
<<Tutto bene?>> mi chiede Natasha, chinandosi di poco verso di me.
<<Sì...tutto bene. Avevo...solo bisogno di prendere un po' d'aria.>>
La vedo accennare un sorriso, mentre sbatte le palpebre. Torno a baciarla, più risoluto di prima.
Mi sento all'improvviso ridicolo.
Mi sto comportando come se volessi dimostrare ad Angel qualcosa, quando lei non è neppure qui, e se anche lo fosse, mi sentirei doppiamente ridicolo.
Ho la risolutezza del volerle dimostrare che sto benissimo senza di lei, che posso andare avanti benissimo senza di lei, che se lei non mi vuole, ovunque io vada, ci sono ragazze che mi vogliono, pronte a cadere ai miei piedi.
Ma è una bugia.
Perché sto uno schifo senza di lei e anche se riesco ad andare avanti benissimo senza di lei, non mi piace vivere senza averla nella mia vita.
Il ricordo di come mi ha stretto a sé quella notte durante il nostro weekend a Tossa de Mar appare davanti ai miei occhi come un flash. Il suo prendermi il viso tra le mani per continuare a tenermi vicino a sé e baciarmi, quella intensità e tenerezza struggente, torna a scaldarmi il cuore esattamente come quella notte.
<<Che ne dici di continuare altrove?>>
Sento sussurrare Natasha sulle mie labbra, mentre inizia a sbottonarmi la camicia. Il mio ego lo vorrebbe eccome, ma mi sento improvvisamente bloccato.
Non riesco più a baciarla, a toccarla, dopo aver ricordato come mi baciava Angel, come mi toccava lei, cosa mi faceva provare. Mentre la mia mente ripete di buttarmi, che tra le mie braccia c'è una seducente ragazza che mi desidera, il mio cuore non ci riesce.
<<Scusami, io...non ci riesco.>> Mi alzo e lascio la zona del privè, attraversando la pista da ballo. La gente, la musica ad alto volume, tutto mi infastidisce.
<<Marc, ma dove stai andando?>> Alex mi segue all'esterno del locale.
<<Me ne vado. Non riesco più a stare in quel casino.>>
<<Ma...e la tipa che avevi rimorchiato?>>
<<Non ci riesco!>> Esplodo, fermandomi in mezzo al parcheggio.
<<...Credimi Alex, io avrei voluto davvero, davvero andare avanti con quella ragazza ma ti giuro...ora come ora non riuscirei neppure a baciarla. Per quanto lo voglia sono letteralmente bloccato e non capisco perché. Me ne torno a casa che è meglio, voglio solo dormire, così smetto di pensare almeno per un po'. Tu torni a casa con gli altri, magari?>> Alex si limita ad annuire. Gli volto le spalle e salgo in macchina.
Devo solo resistere.
So che col tempo inizierà a fare meno male e io tornerò a stare meglio, tornerò ad essere il Marc di sempre.
Devo solo resistere, un giorno alla volta.
[Angel]
Il giorno seguente mi sveglio presto per il turno mattutino al bar. La domenica ultimamente ha per me un sapore agrodolce. Devo ancora riabituarmi a quei ritmi che sono stati miei per anni.
<<Buongiorno, è possibile avere un cappuccino?>> Alzo la testa di scatto quando riconosco la sua voce.
<<Joan! Buongiorno anche a te.>> Lo vedo sporgersi verso di me, oltre il bancone del bar e io gli vado incontro per agevolarlo. Mi posa un bacio sulla guancia e gli rivolgo un largo sorriso.
<<Il cappuccino arriva subito.>>
<<Grazie, scricciolo.>>
Mia madre, nonostante sia indaffarata come me, ci lancia ogni tanto delle occhiate furtive.
<<Non ti aspettavo qui, così presto per giunta.>>
<<Sono mattiniero, lo sai. E diciamo che le 10 per me è un orario perfetto per la colazione. E poi volevo vederti.>> Sorrido, mentre sento qualcosa pizzicarmi al centro del petto.
<<Mi ha fatto piacere che sei venuto. Ci vediamo più tardi, magari?>>
<<Se vuoi, Joan, puoi venire a pranzo da noi.>> Interviene mia madre. Mi volto a guardarla, sorridendole. Un lampo attraversa lo sguardo di Joan, mentre un largo sorriso si dipinge sulle sue labbra.
<<Certo, mi farebbe davvero tanto piacere, signora. Grazie per l'invito.>> Mi lancia un bacio e dopo aver salutato anche mia madre, esce dal bar.
<<Grazie per averlo invitato a pranzo a casa nostra, mamma.>>
<<È venuto qui per te e ti vuole veramente bene, è naturale che io lo inviti a pranzo.>>
Non appena arriva l'orario di chiusura salgo di corsa in casa e faccio una doccia veloce. Recupero poi un paio di morbidi pantaloncini corti e una delle mie vecchie magliette slavate. Controllo poi che la stanza sia in completo ordine. Noto che una delle ante dell'armadio non è chiusa bene, come se ci fosse qualcosa che glielo impedisse.
Prendo un respiro profondo.
È lo scomparto dove ho sistemato tutte le cose che mi ha regalato Marc.
Lo apro e scopro che era un lembo di una delle maglie celebrative dei mondiali a lasciarlo socchiuso.
Duchessa improvvisamente sgattaiola tra le mie gambe e si getta tra la pila di vestiti e oggetti.
<<Duchessa, vieni fuori immediatamente!>> Non ho più idea di dove sia. Inizio a rovistare all'interno dell'armadio per tirarla fuori, ma lei continua a sfuggirmi.
<<Sei una brutta gattaccia!>> Esclamo, non appena riesco ad afferrarla e a tirarla fuori. <<Ecco, guarda cosa hai combinato!>> La sgrido, notando il cumulo di indumenti ai miei piedi. In quel momento sento suonare il citofono e scuoto la testa, sospirando. Attraverso il corridoio, gettando un'occhiata alla cucina da cui arriva un profumino invitante.
<<Joan, sali!>>
Lascio la porta socchiusa e quando sento i suoi passi sul pianerottolo la apro.
<<Ciao!>> Lo saluto.
<<Ciao!>> Si china verso di me per posarmi un bacio sulla guancia. <<Volevi essere sicura che salutassi anche la tua gatta?>> Chiede, ironico e solo ora mi accorgo di tenere ancora Duchessa in braccio.
<<No, volevo solo assicurarmi che questa gattaccia non tornasse nella mia camera dopo il disastro che ha combinato.>>
<<Cosa ha combinato?>> Mi chiede, mentre porto Duchessa sul balcone.
<<Questo.>> Gli mostro con un gesto quello che ha combinato Duchessa.
<<Accidenti, è un bel po' di roba.>>
<<Esatto. Sistemo tutto in un battibaleno, promesso.>> Sistemo la pila di vestiti nell'armadio, fino a quando qualcosa non attira l'attenzione di Joan.
<<Ehi, quella è una maglia della Juve!>>
La afferra da terra, rigirandola tra le mani.
<<Ma è autografata da Dybala?!>> chiede, incredulo.
<<"Ad Angel, la mia più grande fan, sperando di vederti presto allo Stadium. Un abbraccio, Paulo Dybala.">> Alza lo sguardo su di me. <<Ma è fantastico, quando lo hai incontrato?>>
<<Ecco...>> Non so cosa dire. Non voglio nominare Marc ma ho paura che mi si legga in faccia. Vedo Joan assottigliare appena lo sguardo e inclinare il capo.
<<Marc, vero?>>
<<Non ho incontrato Paulo, Marc mi ha...semplicemente fatto autografare la maglia e me l'ha regalata.>> Spiego, mentre Joan annuisce e me la porge.
<<Beh, ti ha fatto un regalo molto bello.>>
Accenno un sorriso e la infilo nell'armadio assieme a tutto il resto.
<<Sì, è stato un bel pensiero.>> Ci guardiamo per qualche istante negli occhi e non posso fare a meno di pensare a quanto Joan senta il confronto con Marc.
<<Tra poco il pranzo sarà pronto, vieni, andiamo ad apparecchiare.>> gli dico, facendogli cenno di seguirmi.
Dopo pranzo decidiamo di fare una passeggiata. Camminiamo l'uno accanto all'altro, in silenzio.
Ho ripensato più e più volte a quello che mi ha detto ieri sera. Ho rotto la nostra relazione in un momento di impulsività che non mi appartiene. Ma stavamo davvero bene insieme.
Davvero.
Mi volto a guardarlo, osservando il suo profilo perfetto, la punta del naso leggermente all'insù, la striscia bionda centrale ormai quasi del tutto sparita.
È così carino oltre che adorabile, ha tutto quello che io ho sempre desiderato. C'è stato qualcosa di veramente speciale tra di noi, si dal primo istante in cui ci siamo incontrati e non posso ignorarlo. Non posso perderlo.
Allungo la mano verso la sua e gli sfioro la punta delle dita. Lo vedo spalancare gli occhi e si volta a guardarmi. Si ferma di colpo e così anche io. Abbassa il capo, lo sguardo puntato verso le nostre dita che si sfiorano. Torna poi a guardarmi e io non posso fare a meno di sorridergli. Ricambia immediatamente il mio sorriso e fa intrecciare le dita delle nostre mani.
Stringe forte la mia mano, mentre continua a scrutarmi il viso con trepidazione. Vedo il suo torace sollevarsi e abbassarsi rapidamente, a causa del respiro accelerato. So che sta aspettando che io gli dica qualcosa, che io faccia qualcosa.
<<Potremmo riprovarci, se vuoi. Che ne pensi?>>
Joan sgrana appena gli occhi, mentre si morde il labbro inferiore. Resta per qualche istante immobile a fissarmi, come se non credesse a quello che gli ho appena detto, poi, con uno scatto, mi attira verso di sé e posa le labbra sulle mie.
Mi sollevo sulla punta dei piedi per avvicinarmi di più a lui e gli poso una mano sulla guancia. Lo sento sorridere contro le mie labbra, mentre avvolge un braccio intorno alla mia vita per attirarmi ancor più a sé.
<<Lo hai detto davvero?>> mi chiede, non appena si allontana da me, chinando il capo in modo da posare la fronte contro la mia.
Sogghigno.
<<Direi di sì.>>
<<Oh, Angel...>> Mormora, prendendomi il viso tra le mani. <<Non hai idea di quanto io sia felice in questo momento.>>
<<Lo sento, però.>> Replico, posandogli una mano sul petto, per sentire il battito frenetico del suo cuore. Lo vedo arrossire.
<<Ora mi dà ancora più fastidio dover tornare a casa. Come faccio a separarmi da te, in questo momento?>> Piagnucola, stringendomi in un abbraccio. <<Vieni con me, alla prossima gara.>> Mi stacco da lui per poterlo guardare in viso.
<<No Joan, io...preferisco di no. Ma ti aspetterò qui, domenica sera, se vorrai venire.>>
<<Certo che verrò, non vedrò l'ora di tornare da te.>> Si china verso di me e mi bacia nuovamente. <<Oh, a proposito, devo darti una notizia.>>
<<Ovvero?>>
<<Correrò per la Suzuki il prossimo anno.>>
<<Non potevi fare scelta migliore, Joan!>> Lo abbraccio. <<Tra l'altro, secondo me, l'azzurro ti dona parecchio.>>
<<Dici?>>
<<Oh sì.>>
Sicuramente molto meglio dell'arancione.
<<A che ora hai il treno?>>
<<Tra un'ora.>> Sospira Joan, dopo aver controllato l'orologio.
<<Abbiamo tempo per un gelato?>>
<<Assolutamente sì!>> Replica Joan, con un largo sorriso.
<<Andiamo, allora.>> Lo prendo nuovamente per mano, e ci avviamo verso la mia gelateria preferita.
[Marc]
<<E se andassimo al Golden, stasera?>> mi chiede Alex, senza staccare lo sguardo dal televisore, muovendo velocemente le dita sul joystick. Prima di rispondere, lascio che i magici piedi di Lionel Messi gli rifilino un gol.
<<Accidenti.>> borbotta Alex.
<<Non lo so. Ci sono tanti altri posti in cui possiamo andare, perché proprio al Golden?>>
<<Perché è uno dei nostri posti preferiti qui a Cervera. Avanti, temi di incontrare Angel?>>
<<Perché, dici che è una cosa impossibile?>>
<<No, non sto dicendo questo, voglio solo dire che...avanti, perché dovrebbe andarci proprio stasera?>>
<<Già, alla fine non mi è mai capitato di ritrovarmela davanti per puro caso.>> replico, ironico. Alex mi lancia una lunga occhiata.
<<Hai ragione. Allora...proponi tu, dove preferiresti andare? No, restare a casa non è contemplato.>> Sbuffo, gettando il joystick di lato e lasciandomi cadere sul letto.
<<Va bene. Andiamo al Golden. Non voglio dovermi limitare o cambiare i miei piani a causa di Angel. Se...se dovessi incontrarla o vederla, farei...semplicemente finta di niente. Come, in fondo, farebbe anche lei.>>
<<Sicuro?>>
<<Più che sicuro.>> Esclamo, risoluto, alzandomi in piedi. <<Ci divertiremo tantissimo, vedrai.>>
Quando varchiamo la soglia del Golden, le note di una canzone reggaeton ci accolgono.
<<Questa avresti potuto benissimo sceglierla tu.>> Sogghigna Alex, mentre ci avviamo al tavolo.
Sbuffo una risata ma mi blocco non appena noto che l'unico posto libero è quello vicino al jukebox.
Il posto preferito di Angel.
Mi mordo il labbro inferiore e scuoto il capo, risoluto. Raggiungiamo il tavolo e dopo qualche minuto, un cameriere viene a prendere il nostro ordine.
<<Buonasera, ragazzi.>>
<<Ciao, Santiago.>> Lo saluto, non appena la sua figura appare alla nostra vista.
<<Stasera voi e ieri sera Angel, ero abituato a vedervi sempre insieme.>>
Alex davanti a me sgrana appena gli occhi, mentre si porta una mano alla fronte.
Cerco di mostrare il minimo interesse.
<<Ah sì? Angel è venuta qui, ieri sera?>>
So che sarebbe stato meglio glissare, ignorare l'amo che mi ha lanciato Santiago inconsapevolmente, ma non ci riesco. È più forte di me.
<<Sì, con un tipo che non avevo mai visto prima.>>
Sento una fitta alla bocca dello stomaco.
<<E...com'era questo..."tipo"?>> Sento Alex colpirmi al piede sotto il tavolo, ma lo ignoro.
<<Alto...con i capelli scuri ma...dalle punte bionde al centro della testa.>>
Conoscevo già la risposta, eppure fa male.
<<Erano seduti proprio qui, a questo tavolo, e ovviamente non ho idea di che cosa parlassero, però ad un certo punto lui le ha preso le mani, sembrava quasi in preghiera.>>
Erano seduti a questo tavolo, mentre lui la pregava di tornare insieme. Perché è sicuramente questo quello che è successo.
Mi viene da piangere per la rabbia, e afferro il bordo del tavolo, stringendolo con tutta la forza di cui sono a disposizione.
<<Santiago, vorrei una bella bistecca, cottura media. E una birra, la più grande che hai.>> Alex mi guarda come se mi fossero spuntate tre teste.
<<Si era detto che non avremmo bevuto niente, stasera...>>
<<Veramente tu lo hai detto e dunque tu non berrai niente. Io ho bisogno di bere e anche tanto. Grazie, Santiago.>> Gli rivolgo un sorriso tirato mentre gli porgo il menù, il suo sguardo stranito su di me.
<<D'accordo. Tu, Alex?>>
<<Una caesar salad e una bottiglia d'acqua naturale, grazie.>>
Non appena Santiago si allontana, Alex mi fulmina con lo sguardo.
<<Ma che ti dice il cervello!? Che diavolo vuoi fare?>>
<<Ubriacarmi. Devo forse chiederti il permesso, fratello?>>
<<Sì, se poi toccherà a me riportarti di peso a casa.>> Sospira, scuotendo il capo. <<Marc, non risolvi niente ubriacandoti.>>
<<Per favore Alex, lasciami fare quello che voglio. Ho voglia di ubriacarmi anche se poi domattima starò male.>>
Che alla fine, è la perfetta sintesi della mia relazione con Angel.
Sapevo che riavvicinarmi a lei in quel modo mi avrebbe nuovamente distrutto, eppure, non avevo arretrato di un passo. Anzi, avevo fatto di tutto per potermi riavvicinare a lei.
Quando Santiago ci serve i piatti che abbiamo ordinato, Alex strabuzza gli occhi non appena posa gli occhi sulla mia birra.
<<Buon appetito, fratellino.>> Cinguetto, mentre afferro la mia birra per berne un lungo sorso. <<Deliziosa.>> Commento, facendo schioccare la lingua.
<<Tu sei tutto pazzo.>> Sospira Alex, prendendo un boccone della sua insalata.
<<Questo è poco ma sicuro.>> concordo, per poi prendere un altro sorso di birra. Adoro il modo in cui mi fa pizzicare la lingua. A poco a poco, inizio a sentirmi come se qualcuno mi stesse cullando e una sensazione di benessere si fa strada nelle mie vene. E il pensiero di Angel inizia a farsi lentamente più lontano.
[Angel]
Il suono del citofono mi fa svegliare di soprassalto. Mi porto una mano al viso, mentre mi metto a sedere sul letto. Controllo l'ora sul telefono posato sul comodino.
Mezzanotte in punto.
Ma chi diavolo sarà a quest'ora?
Apro la porta della mia stanza e mia madre è già in corridoio, davanti al videocitofono. Probabilmente deve essersi svegliata di soprassalto anche lei.
<<Mamma, chi è?>> Lei mi osserva per qualche istante.
<<Marc.>> Strabuzzo gli occhi.
<<Cosa!? Stai scherzando?>> le chiedo, la voce più alta di un'ottava, mentre avanzo verso di lei. Riconosco Marc dalla nuca, perché in questo momento, quello che vedo attraverso il videocitofono, è solo una scena confusa. Riconosco la voce di Alex che cerca di trascinare via Marc che invece, continua a opporre resistenza.
<<Alex?>> Lo chiamo e vedo il viso di Marc illuminarsi completamente e attaccarsi letteralmente al citofono.
<<Angel, aprimi, ti prego!>>
<<Vorrai scherzare! Fila a casa, che sei completamente ubriaco!>>
<<Angel, ti prego, ho bisogno di dirti una cosa!>> Grida, con fare disperato. Alex gli tira un ceffone sulla nuca.
<<Smettila di gridare, idiota che non sei altro! Sveglierai tutto il quartiere!>>
<<Se Angel non mi apre sveglierò davvero tutto il quartiere!>> Marc continua a gridare e Alex cerca in tutti i modi di farlo zittire.
<<Angel, Dina, scusatelo, si è scolato una birra enorme al Golden, mi dispiace davvero per il disturbo che ->>
<<Angel, ti prego, aprimi per favore, ho bisogno di vederti, ti imploro!>> Marc inizia a piagnucolare e io non ho idea di cosa fare.
<<Aprigli, avanti.>> dice mia madre, voltandosi a guardarmi.
<<Mamma, ma...>>
<<Anche da ubriaco ha un modo adorabile di dimostrare il fatto che gli manchi e ha bisogno di te. Avanti, aprigli quella porta. Vuole solo vederti, Angel. E forse, dopo, riusciremo ad andare a dormire.>> Conclude, scuotendo il capo e sollevando gli occhi al cielo.
Sospiro.
Non volevo rivedere Marc così presto, anzi, avrei decisamente preferito non rivederlo, ma, in un modo o nell'altro, devo sempre ritrovarmelo fra i piedi.
<<Alex, fallo salire.>> Non appena Marc sente il rumore del portone che si apre sobbalza per la sorpresa e si getta letteralmente verso le scale.
<<Aiutalo ti prego, o si sfracellerà sulle scale!>> grido al citofono, sperando che Alex mi abbia sentito.
Apro la porta e quando Marc mi vede, in piedi ad aspettarlo, si ferma per un istante, barcollando all'indietro, gli occhi lucidi fissi su di me. Alex lo tiene per le spalle, borbottando qualcosa.
<<Angel.>> soffia Marc, poi si getta verso di me, travolgendomi letteralmente. Quando le sue braccia mi avvolgono, stringendomi forte, sento tutto il peso del suo corpo caldo contro il mio. Arretro di qualche passo, il viso di Marc completamente affondato tra i miei capelli.
Resto immobile, le braccia lungo i fianchi, imponendomi di non abbracciarlo, di non toccarlo. Gli occhi chiusi, per evitare di guardarlo.
Ma lo sento.
Il suo respiro al mio orecchio e il suo corpo contro il mio.
<<Mi angelito.>> mormora e sento cedere le mie ginocchia.
<<Avanti, Marc, andiamo. L'hai vista, l'hai abbracciata, ora torniamo a casa e andiamo a dormire.>> Alex avanza verso di noi e Marc scuote il capo con veemenza.
<<Non dovevi dirmi qualcosa?>> Gli ricordo, voltandomi a guardarlo e incrociare i suoi occhi, così vicini ai miei, mi fa saltare un battito.
I suoi occhi si fanno sofferenti, più cupi e lucidi. Mi rivolge un sorriso triste e pieno di amarezza.
<<Solo che ti amo, mio piccolo angelo. Che mi manchi, mi manchi da impazzire, come se mi mancasse un pezzo di me. Che mi manca prendere il telefono e vedere un tuo messaggio, che mi manca passare del tempo con te, che mi manca discutere con te, che mi manca fare l'amore con te, che mi manca stringerti tra le mie braccia e vederti con gli occhi grandi e pieni di me quando ritorno da un weekend di gara. Che mi distrugge il fatto che sono qui ma è come se tu non mi vedessi, che tu non mi credi, che non credi ad una sola mia parola. Che evito di andare in certi posti perché potrei incontrarti, ma so bene che non riuscirò mai a smettere di cercarti. Che non riuscirò mai a smettere di volerti. Perché il mio cuore ti appartiene Angel, e sai che ti aspetterò sempre. Ecco, è questo che volevo dirti. Volevo che sapessi che ti aspetterò per sempre.>>
Sento di essere sul punto di piangere. Il suo viso è così vicino al mio, il battito frenetico del suo cuore contro il mio petto, le sue mani che mi tengono saldamente.
Dio, ha detto tutto questo davanti a mia madre e ad Alex!
"Che mi manca fare l'amore con te."
Sento di essere arrossita fino alla punta dei capelli.
<<Sei ubriaco, stai solo straparlando...>> replico, ma lui scuote il capo lentamente.
<<Menti sapendo di mentire. Sai benissimo che sono sempre estremamente sincero quando sono ubriaco.>>
Sì, lo so, eccome se lo so.
Posa la testa sulla mia spalla e mi arrendo.
Avvolgo le braccia intorno alle sue spalle e lo sento sorridere.
<<Buenas noches, mi amor. Te amo.>>
Mormora e in quel momento crolla letteralmente addormentato.
Il suo corpo si fa pesante come un macigno su di me e mi sfugge un gridolino.
Alex si getta in avanti e lo afferra, togliendomelo di dosso.
<<Bene, adesso me lo carico in spalla e lo riporto a casa.>>
<<No, Alex, aspetta...>> Lo fermo, dopo aver lanciato un'occhiata a mia madre, che annuisce. <<Lascialo dormire qui, sul divano. Tra l'altro, non voglio che cadiate entrambi dalle scale. Può restare qui.>>
<<Sei sicura?>> mi domanda e io mi limito ad annuire. <<E va bene.>> Alex ritorna sui suoi passi e con la massima delicatezza possibile, posa Marc sul divano. Lo aiuto a farlo stendere e, nel sonno, Marc inizia a borbottare parole sconnesse.
Alex gli toglie le scarpe, poi si tira su.
<<Bene, allora buonanotte fratello.>> Gli augura, un sorrisetto ironico a schiudergli le labbra. <<Buonanotte anche a te, Angel, mi dispiace per il disturbo. Sai quanto è difficile a volte averci a che fare.>>
<<Eccome se lo so. Ma...senti, Alex...quello...quello che ha detto Marc prima...io ti...ecco...>>
<<Ehi, tranquilla.>> Mi interrompe lui, scuotendo il capo. <<Non devi scusarti né sentirti in imbarazzo. Io e Marc comunque parliamo di tutto. È tutto a posto, Angel, davvero.>> Sorrido, inclinando il capo di lato.
<<Grazie, Alex.>> Lui mi posa un bacio sulla guancia per poi salutare mia madre e uscire di casa.
Resto in piedi, accanto al divano, ad osservare Marc per non so quanto tempo, fino a quando non sento mia madre accanto a me.
<<Mettigli questa coperta, avanti.>>
Faccio come dice per poi accarezzargli uno dei ricci sulla fronte. Sento una morsa stringermi il cuore mentre osservo il suo viso. Chissà se riusciremo mai a dare un taglio a questa storia. Gli poso un bacio sulla fronte per poi alzarmi e tornarmene in camera.
Il giorno dopo ho il turno pomeridiano, quindi, posso svegliarmi senza fretta. Quando esco dalla mia stanza e vedo Marc, ancora profondamente addormentato sul divano in salotto, resto per un istante impietrita per la confusione, poi ricordo tutto quello che è successo ieri sera.
<<Sarà meglio svegliarlo.>> Esordisce mia madre non appena entro in cucina.
<<Buongiorno anche a te, mamma.>>
<<Buongiorno, tesoro.>> Mi posa un bacio tra i capelli. <<Devo preparargli qualcosa per colazione...?>> Continua mia madre, incerta.
<<Non serve, mamma. Dubito che riuscirà a mangiare qualcosa dopo la sbornia che ha preso ieri sera. Non ci riesce mai.>>
Non appena finisco di fare colazione vado a lavarmi i denti, poi, non appena mia madre entra in bagno, chiudo la porta del corridoio, prendo un bicchiere d'acqua e mi avvicino a Marc. Mi siedo accanto a lui e lo chiamo diverse volte.
<<Alex...lasciami dormire...>> borbotta, girandosi dalla parte opposta e dandomi le spalle.
<<Certo che ce ne vuole per scambiarmi per Alex.>>
Lo vedo irrigidirsi di colpo al suono della mia voce. Lo sento borbottare qualcosa che non capisco, poi si gira lentamente verso di me. Mi fissa come se fossi frutto della sua immaginazione, poi chiude gli occhi, portandosi una mano alla testa.
<<Cazzo, mi sta scoppiando la testa.>>
<<E ti meravigli, forse? Ti ho portato un bicchiere d'acqua, ti servirà.>> Marc mi osserva ancora per qualche istante, poi beve tutto il contenuto del bicchiere. Ha i capelli scompigliati e gli occhi gonfi e non potrei trovarlo più adorabile di così.
<<Che...che ci faccio qui? Perchè...cos'è successo ieri sera?>>
<<Hai pensato bene di venire a svegliare me e mia madre a mezzanotte passata perché dovevi assolutamente vedermi. Ti abbiamo fatto salire di sopra e mi sei letteralmente crollato addosso. Dato che era impensabile che Alex ti trasportasse giù per le scale, abbiamo deciso di farti restare a dormire qui.>>
Marc si passa le mani sul viso, sospirando.
<<Sono un vero idiota. Mi dispiace, Angel, davvero.>>
<<Già, lo sei.>> Concordo. <<Vuoi mangiare qualcosa?>>
<<Veramente...ho lo stomaco chiuso.>>
<<Sicuro?>>
<<Sì, grazie. Ho dato a te e a Dina anche troppo disturbo. Vi chiedo scusa.>> Sospiro.
<<Perché ti sei ubriacato, ieri sera? Dovevi festeggiare qualcosa?>> gli chiedo, ironica.
<<Non chiedermelo. Non vuoi saperlo davvero.>> replica, scuotendo il capo, portandosi gli indici alle tempie per iniziare a massaggiarle. Lo osservo, confusa e quando rialza lo sguardo su di me, sospira.
<<Va bene, come vuoi.>> Mi alzo, dandogli le spalle e avviandomi verso la cucina.
<<Sei tornata con Joan, non è vero?>>
Mi fermo di colpo.
Come fa a saperlo?
Non lo sa ancora nessuno.
Poi ricordo quello che ha detto Alex ieri sera.
Sono andati al Golden e Santiago deve aver detto loro di avermi visto la sera prima con Joan.
Ma come fa ad affermare con una tale certezza che io e lui siamo tornati insieme?
Mi volto a guardarlo.
Ora è seduto sul divano, la coperta che continua a coprirgli le gambe. Lo sguardo fisso su di me, in attesa della mia risposta.
<<Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda, non te l'hanno insegnato?>> Marc mi lancia un'occhiataccia.
<<Mi sono ubriacato perché volevo smettere di pensarti. Sei contenta?>>
No, non sono contenta. Mi assale un'improvvisa tristezza. Torno lentamente sui miei passi, mentre lui scuote la testa.
<<E perché io e Alex ci siamo seduti proprio al tavolo dove tu e il caro Joan avete trascorso la sera precedente. Dove vi siete chiariti. Perché...perché siete tornati insieme, non è così?>>
<<Come fai ad esserne così sicuro?>>
<<Non lo so. Lo sento e basta. E io ora ho risposto alla tua domanda, tu devi rispondere alla mia.>>
Lo guardo dritto negli occhi e il suo sguardo scuro e penetrante mi toglie il respiro per un istante.
<<Sì.>>
Il suo sguardo trema per un istante, si fa più lucido e un lampo di dolore lo attraversa. Annuisce poi, mentre stringe le labbra.
<<Sapevo che sarebbe andata a finire così.>> dice, a bassa voce, mentre si passa una mano tra i capelli. <<Ora mi sento ancora più stupido ad essere venuto qui ieri sera.>>
<<Marc ->>
<<Cosa?>> Mi interrompe, alzandosi in piedi di scatto.
Cerco di restare calma. Non voglio discutere per l'ennesima volta.
<<Io non voglio diventare un brutto ricordo per te, non riesci proprio a capirlo, vero?>> Mi osserva, con aria confusa.
<<Cosa intendi?>>
<<Che tu non riesci proprio a capire che se ci mettessimo insieme, io ti renderei la vita un inferno, perché non riesco a fidarmi di te. E non sarebbe giusto, né sano, non è così che si vive una relazione. Tu finiresti per odiarmi, per poi diventare un brutto ricordo per te e non è quello che voglio! Io voglio restare nel tuo cuore e nella tua memoria come qualcosa di bello, da non dimenticare mai. Invece se ci mettessimo insieme...non ti lascerei un attimo di respiro. Pensi che sarebbe bello vivere una relazione così? Dove tu devi darmi sempre prove materiali e concrete di quello che stai facendo perché non ti credo? No. Non avrebbe senso stare insieme in questo modo. Non ci può essere relazione senza fiducia. E mi dispiace, mi dispiace vedere la tua sofferenza ora, ma credimi, potrei arrecartene molta di più standoti accanto e non è quello che voglio. Spero che presto tu riesca a capirlo.>>
Marc continua a restare immobile, davanti a me, gli occhi lucidi fissi nei miei.
<<No, io...capisco, Angel.>> Un sorriso amaro gli schiude le labbra. <<Non importa. Aspetterò. Anche dovessi aspettare tutta la vita. Riuscirò a riconquistare la tua fiducia, non so come, ma ci riuscirò.>>
Mi si avvicina, e mi posa un bacio tra i capelli.
<<Perdonami. Non verrò più sotto casa tua ad infastidirti. Ora vado.>>
Duchessa balza verso di lui con un sonoro miagolio. Lui si china a lasciarle una carezza tra le orecchie, sogghignando, per poi sollevarsi e rivolgermi un ultimo sguardo prima di uscire da casa mia.
[Spazio autrice]
ECCOMI FINALMENTE
Scusate scusate SCUSATE
Ormai è diventata una consuetudine scusarmi ma è mio dovere.
Sono finalmente riuscita a completare questo capitolo nonostante il periodo estremamente pesante in cui mi è difficile addirittura mettere due parole in fila per cui, fatemi sapere se questo capitolo è decente o meno per favore 🥲
Non vedo l'ora di pubblicare il prossimo perché è da tanto che lo aspetto e ne ho già buttato giù un bel pezzo SPERO DI RIUSCIRE A PUBBLICARLO PRESTO
Detto questo, mi siete mancate tantissimo, vi voglio bene e niente, fatevi sentire ❤
Un bacio 💋
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