On my mind
<<"È assurdo", dice la ragione.
"È quel che è", dice l'amore.">>
Erich Fried
[Marc]
[Novembre 2012]
"Angel, vieni da me?"
Alla fine, sono riuscito ad inviarle quel messaggio.
Continuavo a ripetermi che mi avrebbe risposto con il suo solito sarcasmo, e quindi, avevo passato il pomeriggio a rimandare il momento in cui le avrei scritto. Non stavo bene, e non avevo voglia di uscire, ma volevo vederla, perché, nonostante ci fossimo visti il giorno prima, mi mancava. Avevo sempre bisogno di vederla.
La sua risposta arriva dopo qualche minuto.
"Non sei con Laia?"
Oh.
Perché non ho pensato di chiedere a lei di venire da me, è la mia ragazza che diamine!
Ci siamo sentiti questa mattina e sembrava piuttosto indaffarata, forse è per questo che ho pensato subito ad Angel.
"No, lei...ha un impegno."
Le scrivo subito, anche se non ho idea se abbia effettivamente un impegno o meno. Ma il fatto che non si sia fatta sentire per tutto il giorno non mi invoglia a cercarla.
Angel > "Sono trenta euro. E ti ho fatto anche uno sconto." Osservo la sua risposta con aria confusa. Sono trenta euro per cosa?
Marc > "Per cosa, scusa?"
Angel > "Per farti da babysitter, stasera. Devo chiederli a Roser o me li dai tu?"
Questa mi è nuova, decisamente.
Amo la sua ironia, anche se a volte sa essere molto tagliente con quella lingua. Almeno, spero che ora sia ironica.
Marc > "Quindi, dovrei pagarti per trascorrere la serata con me?"
Angel > "E va bene, per stasera passi, verrò da te gratis. Mi farò dare umo strappo da mamma, fa freddo e non mi piace andare a piedi con il buio e nessuno per strada."
Onestamente, l'idea di saperla per strada da sola, dopo le otto e trenta, non mi piaceva per niente. Era ingiusto dover avere paura anche di fare un breve tratto di strada da sole solo perché donne, Angel mi aveva parlato spesso di questa cosa, e sapevo che ne soffriva.
Avrei voluto dirle che Cervera era esente da questo pericolo, ma sarebbe stata una bugia. Era un posto tranquillo, certo, era casa mia, ma non era diverso da qualunque altro posto sulla faccia della terra. I pericoli erano gli stessi.
Marc > "Se vuoi, vengo a prenderti io..."
Angel > "Scherzi? Stai lì, buono. Comunque, voglio farti presente che verrò ad una sola condizione."
Marc > "Ossia?" le chiedo, incuriosito.
Angel > "Se potrò guardare Sherlock in santa pace."
Marc > "Ma...non puoi guardarlo un'altra volta?"
Angel > "Bene Marc, divertiti stasera." Sbuffo e digito velocemente la mia risposta.
Marc > "Scusa, scusami, guarderemo tutto quello che vuoi, va bene? Basta che vieni qui e...e stai con me."
Angel > "Allora, siamo d'accordo, verrò al più presto. Anzi, ti va una pizza? Passo a prenderle, magari."
Prima voleva trenta euro per stare con me e ora si offre di comprare le pizze. Penso di non aver mai adorato così tanto qualcuno in vita mia.
Marc > "Va bene. Una classica per me andrà benissimo."
Angel > "Perfetto, allora. A più tardi."
Marc > "A più tardi."
I miei escono per andare a cena verso le otto e trenta, Alex invece, è ancora sotto la doccia. Raggiungerà alcuni amici nella piazza principale, mentre io rimarrò qui, ancora febbricitante.
Il campanello suona del tutto improvvisamente, e quasi sobbalzo per lo spavento. Corro ad aprire e la figura minuta di Angel, che regge due cartoni di pizza, appare in fondo alle scale.
<<Ben arrivata! Mi sei mancata.>> ammetto, candidamente, guardandola mentre sale le scale.
<<Anche tu mi sei mancato, impiastro. Anche se ci siamo visti ieri, praticamente.>> replica, ironica, mentre io la raggiungo per prendere le pizze dalle sue mani.
<<Ma lo sai che tu mi manchi sempre, quando non ci sei.>> continuo, e lei, non appena mi raggiunge, mi posa una mano sulla fronte.
<<Quando hai misurato la febbre l'ultima volta?>>
<<Dieci minuti fa. È scesa sotto il 38, comunque.>> sorrido, e lei fa un cenno col capo sorridendo.
<<Meglio.>>
Entriamo in salotto, e Angel si toglie la giacca, lasciandola sull'attaccapanni accanto all'ingresso.
<<Verrà a prendermi mia zia, verso le undici e trenta, e solo perché andrà a cena con delle amiche, altrimenti sarei stata costretta a restare a dormire qui.>>
<<Mi avrebbe fatto piacere...>> sussurro, e Angel si volta a guardarmi.
<<Come?>>
<<Niente. Parlavo di Alex. È ancora di sopra.>> spiego subito, rivolgendole un sorriso nervoso.
Proprio in quel momento Alex appare in salotto, lo sguardo basso verso la sua felpa grigio chiaro.
<<Allora il piccolo Márquez esce stasera, eh?>>
Alex solleva la testa di scatto non appena sente la voce di Angel, e noto le sue guance imporporarsi quando i suoi occhi si posano su di lei.
<<Sì, anzi, sono anche in ritardo. Mi staranno aspettando.>> esordisce, grattandosi la nuca, mentre avanza nella stanza.
<<Mi raccomando Alex, non bere troppo, sei ancora piccolo.>> continua Angel, con tono carezzevole, accarezzandogli i capelli sulla fronte.
<<Senti chi parla.>> ribatte Alex, guardandola dall'alto.
<<Io resto comunque più grande di te, è inutile che mi guardi dai tuoi venticinque e passa centimetri in più.>> replica Angel, inarcando un sopracciglio.
<<Di appena un anno, Angel! Più grande di un anno!>> piagnucola Alex. <<C'è più differenza di età tra te e Marc che tra me e te.>> fa notare, socchiudendo gli occhi e inarcando le sopracciglia.
<<In competizione anche per questo, ora? Non riuscite proprio a stare tranquilli.>> sogghigna Angel, per poi posare una mano sul braccio di Alex. <<Divertiti, Alex.>>
<<Se sapevo che saresti venuta sarei rimasto a casa. Quello che si divertirà di più tra me e Marc è sicuramente lui.>> ribatte, guardandomi e io, per tutta risposta, gli faccio la linguaccia. <<Ma...perchè non passiamo una serata, una volta, noi ->> lo sguardo di Alex saetta su di me <<Noi tre, insieme?>>
Sento qualcosa pungermi alla bocca dello stomaco, al sentire le parole di Alex, e non ne capisco il motivo.
<<Ma certo, piccolo Alex!>> esclama Angel, abbracciandolo, e Alex si china verso di lei, per stringerla a sé. Mi volto dall'altra parte, perché vederli abbracciati in quel modo sembra quasi...infastidirmi. E mi sento un cretino, oltre a non capire che diavolo mi stia succedendo.
Forse è la febbre.
<<Beh, allora io vado. A più tardi, Marc.>>
<<A dopo, e mi raccomando!>> esclamo, mentre lui è già sulle scale.
La porta si apre, per poi chiudersi, e lasciare me ed Angel soli, immersi nel silenzio.
<<Bene, Marquez>> esclama Angel, strofinando le mani una contro l'altra <<vai di sopra a prendere il pc, io prendo da bere. Cosa vuoi? Acqua, vero?>> la osservo, perplesso, mentre si dirige verso la cucina.
<<Veramente vorrei ->>
<<Dell'acqua, vero?>> ripete, con lo stesso tono che non ammette repliche. Sospiro, arrendendomi.
<<Sì, grazie.>> Angel mi rivolge un sorriso soddisfatto ed entra in cucina, mentre io salgo al piano di sopra per recuperare il pc.
<<Ci mettiamo sul divano?>> le chiedo, non appena torno in salotto.
<<Dove preferisci. Sicuramente sul divano stiamo più comodi, e possiamo mettere tutto sul tavolino.>> osserva Angel, e io annuisco. Raggiungiamo il divano e ci sediamo l'uno accanto all'altro.
Dopo aver afferrato uno spicchio di pizza, Angel inizia ad armeggiare con il mio pc.
Un ampio sorriso si apre sulle sue labbra, quando sullo schermo appare una piscina.
<<Allora...cosa stiamo per guardare?>>
<<Te l'ho detto, Sherlock.>>
<<Un film, quindi?>>
<<Una serie tv. Questo è il primo episodio della seconda stagione. Ho passato le ultime tre serate a guardare i tre episodi della prima stagione, e ora, devo recuperare quelli della seconda che è uscita ad inizio anno.>> spiega, con il viso rivolto verso di me, ma lo sguardo fisso sul pc posato sulle mie gambe.
<<Puoi staccare lo sguardo dal pc, Angel, ti assicuro che puoi farlo. Sembri drogata.>> sogghigno, prendendo un sorso d'acqua.
<<Sono innamorata, è diverso.>>
Quasi non mi strozzo con l'acqua e il pc non mi casca dalle ginocchia.
<<Ehi, ma che ti prende!?>> esclama Angel, afferrando il pc con la mano libera.
<<Cosa hai detto?>>
<<Niente. Avanti Marc, fammi sentire, non sto capendo niente!>> piagnucola Angel, e io, per tutta risposta, metto in pausa l'episodio.
<<Marc, hai voglia di morire, stasera?>>
<<Se mi rispondi non ti disturberò più, lo prometto.>>
<<Così incredulo, ma non sono sorpresa. Purtroppo anche io sono stata colpita dalle frecce di Cupido.>>
Resto a fissarla, letteralmente senza parole. La nonchalance con cui me l'ha detto mi sconvolge. Sento solo uno strano peso al centro del petto che non riesco a comprendere. Ero convinto che non sarebbe mai successo, o meglio, che sarebbe successo un giorno molto lontano, anche se speravo di no, e non so spiegarmi il motivo.
Ma in fondo, era inevitabile.
<<Oh...>> mi schiarisco la voce <<e chi sarebbe? Lo conosco? È un cliente del bar?>> cerco di mantenere il tono della voce più inespressivo possibile.
<<Magari!>> sogghigna Angel, scuotendo la testa, e sento una fitta allo stomaco, il cuore che batte come un pazzo nel mio petto. <<Ma ho capito, purtroppo, che se qualcuno ti prende di testa, sei fottuto. E solo uno con un cervello del genere potrebbe farmi impazzire.>> la osservo, sempre più confuso e ormai con lo stomaco chiuso.
<<Scusami, non sto capendo.>> Angel sospira.
<<Marc, mi sono presa una cotta pazzesca per un tipo alto, dai ricci neri, pelle diafana, occhi di ghiaccio, che va perennemente in giro con un lungo cappotto nero, un consulente investigativo geniale, sociopatico, tossicodipendente, che spara al muro quando si annoia.>>
Sono sconcertato.
Quando è successo, e perché io non ne so niente? E soprattutto, da dove sbuca un tizio del genere?
<<Un tizio del genere a Cervera?!>> balbetto, sconvolto. Angel, invece, scoppia a ridere.
<<Buonasera Marc, sto parlando di Sherlock!>>
Angel fa partire nuovamente l'episodio, mentre io sento quel peso opprimente sul mio petto, sparire del tutto improvvisamente.
Viene quasi da ridere anche a me, per il modo in cui mi sento sollevato.
<<Oh...mi pareva strano.>> replico, e lei mi guarda male.
<<Guarda che, nonostante non mi interessi avere nessun tipo di rapporto romantico, intimo, e tutto il resto, con un maschio, questo non significa che non possa prendermi cotte platoniche per qualcuno, soprattutto se questo qualcuno è un personaggio fittizio di un libro o una serie tv. In questo caso ho capito comunque che ho un debole per i geni. Marc ti giuro>> Angel si volta verso di me, più seria che mai <<se lui esistesse davvero>> e indica il tizio che in questo momento ha in mano una pistola <<io sarei davvero messa male, perché quest'uomo mi è proprio entrato nel cervello. Ed è proprio vero che di una bella testa non ti liberi neppure quando chiudi gli occhi. Sai come la penso, te l'ho detto pochi istanti fa, fuggire o ignorare un sorriso o un bel viso è facile, ma da una testa...da un tratto della personalità, da quello non puoi scappare. Spero solo che riuscirò sempre a non cedere, a restare ferma e salda sui miei principi.>>
Vedo un lampo di paura attraversare l'oscurità del suo sguardo, e capisco che ora il discorso si è fatto serio. Le scosto una ciocca di capelli dal viso, sorridendo.
<<Non ti preoccupare, Angel. Andrà tutto bene. E, nel caso, ci sarò io a darti una mano, ma fatico ad immaginare la regina dei ghiacci che perde la testa per qualcuno.>> sogghigno, e lei mi guarda male. <<Avanti, non pensare più a niente e goditi il tuo preferito. Ma viene sempre dopo di me, vero?>> Angel solleva gli occhi al cielo.
<<Marc, non metterti vicino a Sherlock, ti prego, lui viene sempre prima.>>
<<Ah sì?>> replico, mettendo il broncio. Angel scoppia a ridere e si sporge per lasciarmi un bacio sulla guancia.
<<Scherzo. Tu sei fuori classifica perché occupi un posto inarrivabile per chiunque.>> mi volto a guardarla e la stringo forte a me.
<< Vale lo stesso per te.>> mormoro, e lei posa la testa sulla mia spalla. Si concentra poi sullo schermo del pc e non proferisce parola per le due ore seguenti. Penso che potrebbe anche crollare il tetto di casa, non se ne accorgerebbe minimamente.
<<Allora, lo hai visto? Hai visto che meraviglia? Non ce la faccio.>> esordisce, voltandosi verso di me con gli occhi che brillano come due stelle.
<<Beh, sicuramente è un tipo particolare. Non potevi sicuramente prenderti una cotta per un tipo normale, anonimo, con un bel faccino, o i classici bad boy. Tu quelli li detesti.>>
<<Già. Ma lo hai sentito? Hai avvertito la sua potenza? Lo "scontro" finale con la Adler..."I sentimenti sono un difetto chimico della parte che perde".>> recita Angel, inarcando un sopracciglio, perché in fondo, quello che è uno dei suoi personaggi fittizi preferiti, ha dato voce a quello che anche lei pensa.
<<Ti sei già imparata le battute a memoria?>> la canzono, mentre poso il pc sul tavolino.
<<Sorpreso, eh? Ma ero letteralmente rapita da lui. "Immagino che Watson pensi che l'amore sia un mistero per me, ma la chimica è molto semplice e davvero distruttiva.">> continua, fieramente. <<"Ho sempre sostenuto che l'amore fosse uno svantaggio pericoloso, grazie per avermene dato prova".>>
<<Quasi vi assomigliate su questo.>> Angel sogghigna.
<<È un personaggio così complesso, in realtà...secondo me c'è molto di più dietro. Una spessa corazza che riveste un animo sensibile.>> replica, aggrottando le sopracciglia con fare pensieroso.
<<Dici? E da cosa l'hai capito?>>
<<Indizi qua e là...una frase di Moriarty nell'ultimo episodio della prima serie, che ho visto ieri sera. Ma magari avessi la sua testa. Unica cosa che abbiamo in comune, oltre questa, è il segno zodiacale. Lui è un tossico, io ho un disturbo ossessivo-compulsivo...>> mormora, a bassa voce, guardandosi il dorso delle mani. Non devo farla pensare a questo, non devo assolutamente permettere che torni ad ascoltare la parte oscura della sua mente. Devo distrarla, anche se questo significa sentirla parlare di un personaggio di una serie tv per due ore di seguito.
<<Ehi, guarda che sto iniziando a diventare geloso!>> esclamo, fingendo di guardarla male. Angel solleva la testa e inarca un sopracciglio, un angolo delle labbra tirato verso l'alto.
<<Geloso? E di cosa?>>
<<Te l'ho già detto.>>
<<Oh, Marc, smettila! La gelosia non ti appartiene, ed è stupida.>>
Ne ero convinto anche io, fino a quando lei non è entrata nella mia vita. Eppure, ho dato un immagine di me incapace di provare gelosia per i propri affetti, quando non è così, perché mi sono accorto di essere molto geloso della mia amicizia con Angel. E so che è un sentimento stupido e subdolo, ma non penso sia il mio caso. Penso sia normale provare gelosia per le persone che ami, non troppa ovviamente, ma quel pizzico che sta semplicemente a significare che tieni a quella persona e temi di perderla.
<<Beh...penso che in quantità normali non sia stupida. È una conseguenza naturale se vuoi bene a qualcuno. La gelosia patologica è tutta un'altra cosa ovviamente, ed è estremamente pericolosa, ma ora sto parlando di una "sana" gelosia. Ci fa sentire esposti e fragili, vulnerabili. Ma se ami qualcuno, è così che diventi, no? Fragile e vulnerabile.>>
<<È per questo che io non ho intenzione di provare questo brivido.>> cinguetta Angel, posandosi contro lo schienale del divano.
<<Non sei mai stata gelosa di nessuno?>>
<<Marc, io non sono una persona gelosa!>> sogghigna Angel, scuotendo la testa.
<<Tranne che dei tuoi libri.>> le faccio notare.
<<E va bene>> alza le mani <<dei miei libri lo sono. Ma perché odio che li si tocchino, li si rovinino...sono i miei libri. E la gente rovina sempre tutto. Ma, tolti i libri, non ho mai provato gelosia per niente e nessuno. Tu...?>>
<<Neppure io, finora!>> replico subito, sogghignando nervosamente. <<Prima scherzavo, lo sai, Angel.>>
<<Certo che lo so, impiastro!>>
Mi posa una mano sulla fronte, per poi sorridere.
<<Mi sembra che tu stia molto meglio.>>
<<È vero, ed è solo merito tuo.>>
<<Sì, certo, Márquez.>> ribatte Angel, poco convinta.
In quel momento, il campanello suona, e sento una stretta al cuore.
<<Questa deve essere mia zia.>> si alza, per andare in cucina e guardare fuori dalla finestra. <<Sì, è proprio lei.>>
<<Così presto...>> soffio, deluso, ed Angel mi sente mentre mi passa davanti.
<<Oh Marc, siamo stati insieme tutta la sera! Volevi forse che restassi con te tutta la vita?>> sogghigna, e mi posa un bacio sulla guancia. Poggio una mano sulla sua schiena e l'avvicino di più a me.
<<Non ti piacerebbe restare con me per sempre?>> le chiedo, un sopracciglio inarcato.
<<Oh sì, sarebbe proprio un sogno, guarda!>> Angel scoppia a ridere, posandomi una mano sulla guancia. <<Mi è piaciuto così tanto stare con te, stasera.>>
<<Con "te" intendi me o Sherlock?>> la punzecchio, e lei mi mostra il dito medio, mentre si allontana. <<Irene Adler non è l'unica Sherlock-bloccata!>>
<<Purtroppo no.>> conferma, in un sospiro, mentre indossa la sua giacca. <<Come vorrei avere una felpa o qualcosa del genere con scritto quella frase. Vorrei gridarlo a tutti.>>
<<Magari esiste, che ne sai? Comunque, scrivimi appena arrivi a casa.>>
<<Ossia, fra cinque minuti.>> replica, con aria ironica. <<Buonanotte, Marc. Ci vediamo domani.>> la raggiungo e le poso un bacio sulla guancia.
<<A domani, Angel.>>
La osservo mentre scende le scale, salutarmi, e uscire da casa mia. Torno a sedere sul divano, e dopo qualche minuto il cellulare mi vibra tra le mani.
Angel > "Appena arrivata, Marquez. Ora, vai a dormire e fai bei sogni."
Sorrido, mentre leggo il suo messaggio. Le rispondo subito.
Marc > "Vado immediatamente. Vai a letto anche tu e mi raccomando, sognami."
Angel > "Vai a fanculo. Buonanotte.>>
Scoppio in una risata fragorosa, e sento la porta d'ingresso aprirsi.
<<Cosa fai, ridi da solo?>> mi chiede Alex, non appena entra in salotto, dopo aver notato che non c'è nessun altro in casa. Poi lo vedo avvicinarsi e sporgersi verso il cellulare.
<<Che fai?>>
<<Ora è tutto chiaro.>> si limita a dire.
<<Scusami?>>
<<Stai parlando con Angel. Ti rincitrullisci sempre, quando c'è di mezzo lei.>> lo sento dire qualcos'altro a bassa voce, che non capisco.
<<A me non sembra.>> replico, confuso.
<<Tranquillo Marc, scherzavo. Come stai? È andata bene la serata?>>
<<Tutto benissimo e mi sento molto meglio, sì. Tu?>>
<<Mi sono divertito, sì, ma ora sono stanchissimo. Corro sotto le coperte, tu?>>
<<Anch'io, ti raggiungo subito.>> Alex sale al piano di sopra, e sento le ultime parole di Angel frullarmi nel cervello.
Avrò bisogno di fare qualche ricerca su internet.
~·~
Ho passato tutto il giorno a Barcellona per un'intervista e uno shooting fotografico, e ora, finalmente, sto tornando a casa.
Mancano pochi chilometri a Cervera, quando il cellulare mi vibra nella tasca dei jeans.
Angel > "Marc, puoi passare da me appena arrivi, per favore?"
Che sarà successo?
Inizio subito a pensare che sia successo qualcosa.
Le rispondo subito dicendole che sto per arrivare.
<<José, possiamo fermarci un attimo da Angel? Mi ha chiesto di andare da lei, temo sia successo qualcosa.>>
<<Perché?>>
<<Perché mi ha scritto semplicemente di passare da lei senza aggiungere nulla, tutto qui.>>
<<Va bene.>> José si ferma sotto il palazzo di Angel, e, approfittando del portone lasciato aperto, salgo al primo piano e busso contro la porta.
Dopo qualche istante, la figura di Angel appare ai miei occhi e sento il cuore allargarsi nel petto, come ogni volta in cui la vedo con indosso quelle maglie lunghe, le calze al ginocchio e i capelli legati.
<<Che succede, stai bene?>> le chiedo subito, entrando in casa.
<<Marc...tu sei pazzo.>> esordisce, dandomi le spalle.
<<Perché?>> continuo, confuso.
Entra in salotto, ed io la seguo. Sul tavolino davanti al divano è posata una scatola aperta, ed Angel ne afferra il contenuto.
<<Dove accidenti l'hai scovata, ora me lo devi spiegare!>> esclama, voltandosi verso di me, mentre cerca di trattenere un sorriso, una felpa nera stretta tra le sue mani.
La preoccupazione svanisce in un istante, e tiro un sospiro di sollievo. Le mostro un largo sorriso.
<<Oh, finalmente è arrivata. Ti piace?>>
<<Se mi piace?!>> Angel allunga le braccia davanti a sé per poter ammirare meglio la felpa. Ha sul davanti, all'altezza del petto, una semplice ma eloquente frase:
"I'm Sherlocked".
Osservo il suo sorriso e sento qualcosa pungermi allo stomaco.
<<È bellissima, grazie, grazie! Sei il migliore amico migliore del mondo!>> esclama, con le lacrime agli occhi, gettandomi le braccia al collo. La stringo forte, affondando il viso tra i suoi capelli, mentre la tiro su.
<<Vederti felice è la cosa più importante per me, Angel.>> mormoro al suo orecchio e la sento tremare contro di me.
<<Sei meraviglioso, Marc. Cosa farei senza di te?>> la sento dire, e la stringo ancora più forte, mentre il cuore mi si accartoccia nel petto.
<<E cosa farei io senza di te, angelo?>> soffio, e lei mi porta una mano tra i capelli.
<<Ma tu sarai stanchissimo, sei stato in giro tutto il giorno!>> esclama, staccandosi da me.
<<In effetti...>> non posso fare a meno di ammettere.
<<Fila a casa, avanti. La indosserò molto presto.>> mi informa, lanciando un'occhiata alla felpa, per poi posarmi un bacio lento sulla guancia. Mi si chiudono gli occhi, e sento il sangue nelle mie vene riempirsi di tante piccole scosse elettriche.
<<A domani, Marc. Ti voglio bene.>> mi saluta Angel, sorridendomi.
<<Ti voglio bene anch'io, Angel. A domani.>> mi chiudo la porta del suo appartamento alle spalle, per poi restarvi appoggiato contro.
Com'è possibile provare delle sensazioni così forti per un semplice bacio sulla guancia?
E perché non ho mai provato queste cose con Laia?
Perché con Angel?
Scuoto la testa, cercando di riprendermi.
È tardi e non posso più ritardare.
Mi aspettano a casa.
~·~
Quanto dolore può provare un cuore che è già stato spezzato più e più volte?
Io ormai non riuscivo più a quantificarlo, ma ogni volta pareva diventare più forte delle volte precedenti.
Mai come in questi giorni mi è stata sbattuta in faccia l'evidenza di quanto Angel e il suo ragazzo perfetto fossero in sintonia.
Vederli insieme, vedere il modo in cui lui la teneva vicina a sé, stretta a sé, i sorrisi che si scambiavano, i loro sguardi luminosi, ogni cosa mi uccideva.
Ma il dolore più grande era stato sentirla chiamare Joan "tesoro". Sentire quella parola uscire dalle sue labbra, con quel tono dolce e languido, sentirla chiamare un altro in quel modo, un altro che non ero io, mi aveva letteralmente strappato via il cuore dal petto.
La testa pesante che mi doleva come se qualcuno stesse suonando una batteria nella mia scatola cranica, il corpo dolorante a causa della febbre alta, tutto era sparito non appena avevo sentito quella parola. Il dolore fisico che stavo provando era niente in confronto.
Eppure, quella sera mi era quasi sembrato di essere riuscito a fare dei passi verso di lei. Avevo riconosciuto la sua voce urlare parole indefinite nel bel mezzo del paddock e temevo che le stesse capitando qualcosa. Mi ero alzato di corsa dal letto, nonostante il corpo mi pregasse di tornarci, mi ero infilato i primi vestiti che avevo trovato e cercando di non farmi sentire da Alex, ero corso da lei.
Mi si era sciolto il cuore quando l'avevo vista in ginocchio davanti a quel gattino, il viso rosso e pieno di dolore, gli occhi grandi e colmi di lacrime.
Aveva bisogno di me e non potevo lasciarla sola.
Il modo in cui si era buttata tra le mie braccia, con quel sospiro, in quell'abbraccio così stretto in cui io avrei voluto perdermi per sempre, aveva fatto nascere un barlume di speranza nel mio cuore, alimentato ancora di più dal vederla preoccupata per me, quando si era accorta che non stavo bene.
Forse potevamo ancora rimettere insieme i pezzi della nostra storia e ricominciare.
Rivolevo indietro quello che avevamo vissuto in quel mese e mezzo da sogno, lo volevo con ogni fibra del mio cuore, ma era stata solo un illusione.
Quella telefonata da parte di Joan e quel modo tenero di chiamarlo, mi avevano riportato alla realtà.
Io la volevo ancora, ma lei non mi voleva più.
Lei ora voleva un altro.
Così come il fatto che non era davvero preoccupata per me perché provava ancora qualcosa per me, ma solo per la sua semplice umanità, nel vedere qualcuno stare male. Se ci fosse stato qualcun altro al posto mio, si sarebbe comportata allo stesso modo.
E l'unico pensiero che aveva attraversato la mia mente era stato quello di allontanarmi il più possibile da lei, di evitare di cercare un contatto con lei, di cercare di incrociarla nella zona privata. Non potevo farla uscire dalla mia testa, ma potevo provare a starle alla larga.
Andare a cena con Paola mi era parsa un'ottima idea dopo la gara a dir poco disastrosa che avevo disputato, per di più al Mugello.
Avevo bisogno di distrarmi, anche se mentre parlava, io pensavo a tutt'altro. Avrei voluto passare direttamente al dopo cena, e il modo in cui lei faceva scorrere gli occhi su di me, mi bastava per capire che probabilmente era quello che voleva anche lei.
Il sesso con Paola o qualunque altra, era estremamente piacevole, anzi, era enormemente piacevole, ma non poteva essere minimamente paragonato a quello che mi faceva provare Angel quando facevamo l'amore. Mi ero accorto che quello che avevo provato prima con le altre non era niente a confronto. Perché era così diverso con lei? Io volevo provare quello che avevo provato con lei per il resto della mia vita, e volevo viverlo con lei e soltanto con lei.
E alla fine, era stata ancora una volta lei a venire da me, complice Paola che, come al solito, non riusciva a non richiamare l'attenzione su di sé almeno per un istante.
Quella settimana avevo visto Angel più di quanto l'avessi vista in tutti quei sei mesi appena trascorsi messi insieme.
Avevo trattenuto a fatica il desiderio di ribaltare il tavolo, perché, nonostante tutto, non volevo che mi vedesse con Paola, non volevo che mi vedesse in compagnia dell'ennesima ragazza che era tutto l'opposto di quello che era lei, perché non avevo mai dimenticato quel lampo di dolore che le avevo visto negli occhi quando Paola, a settembre del 2014, era venuta a Cervera per farmi una sorpresa, che, tra parentesi, io non avevo gradito per niente. Non avevo dimenticato quel nomignolo che le aveva affibbiato. E immaginavo benissimo cosa avrebbe pensato se mi avesse visto in sua compagnia per l'ennesima volta. E le sue parole di un'ora più tardi, me lo hanno confermato.
L'atteggiamento di Paola mi aveva fatto imbestialire. Sembrava volermi stuzzicare in qualche modo, da quando aveva sentito il nome di Angel.
E una parte di me sapeva perché.
Sembrava quasi divertirsi un mondo mentre, con le sue domande, mi sbatteva in faccia quanto quei due fossero felici insieme.
La voglia di trascorrere con lei il resto della serata era finita sotto zero e la rabbia mi aveva annebbiato la vista. Volevo solo gridare ad Angel tutto il mio dolore.
Perché non meritavo di essere torturato in quel modo.
E quando l'avevo vista uscire fuori dal ristorante, ne avevo approfittato, perché in fondo, era vero.
Era vero che avrei preferito passare il mio tempo a litigare con lei piuttosto che passarlo a fare sesso con Paola o qualunque altra.
Potevo anche provare a starle lontano o a chiederle di non toccarmi come avevo fatto quel pomeriggio, solo che poi il mio cuore mi riportava da lei, ogni fibra del mio corpo e della mia anima mi riportava a lei.
Io avevo bisogno del suo tocco, della sua vicinanza, dei suoi occhi su di me, dei miei occhi su di lei. Anche se alla fine poi, si rivelava una tortura, io avevo bisogno anche di quel poco, anche se questo significava non riuscire ad uscirne, non riuscire a dimenticarla.
Quando l'ho vista darmi le spalle del tutto improvvisamente, chinare il capo e portare una mano contro il muro accanto a lei, sono rimasto sorpreso in un primo momento, perché non era da lei ritrarsi in quel modo durante una discussione.
Un ricordo dei primi tempi in cui era arrivata a Cervera aveva attraversato la mia mente, e l'avevo raggiunta, restando a debita distanza, per poi prenderle una mano. Avevo cercato di aiutarla a riprendere il controllo, anche se era come se non mi vedesse.
Vederla così, con gli occhi pieni di terrore, le pupille dilatate, aveva scatenato il panico dentro di me. Temevo di essere stato io la causa di quell'attacco. Mi pareva quasi di poter percepire il suo cuore che batteva a mille all'ora nel suo petto. Avrei voluto stringerla a me e non lasciarla andare mai più, coccolarla e cercare di farle arrivare tutto il mio amore; avrei voluto proteggerla da tutto.
Poi ho capito.
Ho capito che ero di troppo, che ormai nella sua vita c'era qualcun altro che mi aveva sostituito, che non ero più io quello che cercava, quello che voleva.
Quando la voce preoccupata di Joan aveva raggiunto le mie orecchie, e lo avevo visto raggiungerci e prenderle l'altra mano, avevo realizzato in un istante che lui sapeva dei suoi attacchi di panico, che lui sapeva che erano tornati a tormentarla, che lui sapeva, al contrario di me, quello che stava succedendo nella sua vita.
Angel aveva ragione, io non sapevo più niente di quello che le stava accadendo, perché lei mi aveva fatto fuori dalla sua vita.
Quando aveva riaperto gli occhi, per andare a posarli subito su Joan, mi sono sentito morire.
Avevo capito di averla persa irrimediabilmente, e il senso di disperazione che mi stava letteralmente dilaniando l'anima, mi stava portando alle lacrime.
Mentre lui si avvicinava per posarle un bacio sulla testa, non ho potuto fare a meno di guardarli, per un istante, per poi chinare il capo, e stringerle la mano più forte, prima di lasciarla.
E mi era parsa la cosa più giusta dirle addio con una carezza leggera sulla guancia, e chiederle scusa.
Perché avrei dovuto farmi da parte come desiderava, anche se solo il pensiero mi annientava completamente.
Avrei dovuto lasciarla andare, vivere quella nuova vita che voleva, lontana da me.
L'odio per lei era svanito, anzi, non c'era mai stato.
L'unica che odiavo era Linda, perché aveva mandato in frantumi la cosa più preziosa della mia vita, per una copertina, per un briciolo di fama in più che non le sarebbe mai servita, arida com'era.
E curiosamente, l'unica che forse avrebbe potuto sistemare le cose tra me e Angel era soltanto lei, ma sapevo che non avrebbe mai fatto una cosa del genere, ed Angel non le avrebbe giustamente mai creduto.
Ero rientrato nel ristorante, e li avevo visti, attraverso le vetrate, stretti in un abbraccio. Angel non mi sarebbe venuta dietro, per cercare di fermarmi o di concludere in modo diverso quella storia, e aveva ragione.
Ora non ero io la cosa più importante, era lei e il suo cercare di riprendersi in pieno, e se Joan era la persona giusta per questo, allora andava tutto bene.
Anche se stavo soffrendo come un cane, io non potevo fare a meno di pensare che volevo vederla felice, con o senza di me, nonostante una parte di me fosse convinta che non avrebbe mai trovato con nessun altro quello che aveva con me.
Avevo raggiunto le scale che portavano al piano inferiore, dove si trovavano i bagni, e mi ero seduto su uno scalino, per cercare di riprendermi. Non volevo tornare da Paola in quello stato, perché ero un libro aperto, e non volevo che mi riempisse di domande.
Avevo atteso che gli occhi smettessero di bruciarmi, e dopo essere andato a pagare, ero tornato al tavolo.
Ovviamente, mi aveva riempito di domande su dove fossi stato, dato che la mia sosta al bagno sembrava essere durata troppo a lungo.
E ora, siamo in auto diretti verso il suo hotel, poco distante dal circuito. Mi fermo davanti all'entrata, attendendo che scenda.
Si volta subito a guardarmi quando nota che non ho intenzione di fermarmi e scendere con lei.
<<Non vieni?>> mi chiede, il tono di voce che lascia trasparire tutta la sua confusione.
<<No, sono stanco e domattina devo svegliarmi presto, ho un aereo per l'Austria.>> replico, secco. Martedì proverò per la prima volta una F1. Praticamente, la mia passione per tutto ciò che ha un motore, è al momento l'unica cosa che mi mantiene in piedi.
<<Non eri stanco un'ora e mezza fa?>> ribatte, piccata, girandosi verso di me e guardandomi con un sorrisetto ironico dipinto sulle labbra.
<<Lo ero, sì, ma avevo voglia comunque, peccato però che il tuo punzecchiarmi ad un certo punto mi abbia letteralmente fatto cambiare idea.>> le rivolgo lo stesso sorriso ironico, cercando di lasciar trasparire al minimo la mia rabbia. Al momento vorrei solo restare solo.
<<Punzecchiarti? E quando lo avrei fatto?>> sbatte le palpebre con aria innocente, ma quel sorriso resta lì, sulle sue labbra.
<<Non fare la finta tonta, sai benissimo quando.>> sibilo, a denti stretti. La sento sogghignare qualche istante più tardi.
<<Ti sei sentito attaccato quando parlavo con la coppietta felice?>> stringo più forte la presa sul volante, per la rabbia che continua a bruciare sotto la cenere. Non voglio parlare di loro, non voglio pensare a quei due. Vorrei dimenticarli almeno per qualche minuto. <<Tu non hai detto neppure una parola, hai semplicemente fatto i complimenti a Joan e basta. Sembrava quasi che ti urtassero quei due.>>
<<Sai che non mi riferisco a quello.>>
<<Oh.>> soffia Paola, tirando su un angolo delle labbra, per poi chinare il capo. <<È lei, vero?>>
Resto con lo sguardo fisso sulla strada davanti a me, trattenendo il respiro per un istante.
<<...Cosa?>> chiedo, schiarendomi la voce.
<<Angel. È lei, vero? La tua Angel, quella di cui sussurravi il nome fino a due mesi fa.>>
<<Sai quante Angel esistono al mondo?>> sogghigno, cercando di non far trasparire il mio nervosismo.
<<Non è un nome così comune, in realtà. Ma soprattutto, non tutti gli angioletti hanno i suoi tratti, i suoi capelli e il suo fisico minuto.>>
Mi volto a guardarla, lentamente, il suo sguardo, pieno di sicurezza, già posato su di me.
<<Ricordavo di aver visto una ragazza minuta farti da ombrellina ad Aragon, un anno e mezzo fa, come ricordavo di averla intravista a Cervera nel 2014, quando ero venuta da quelle parti, per farti una visita. Stava servendo un caffè a tuo fratello.>>
Mi mordo il labbro inferiore quasi a sangue e scuoto la testa, mentre lei sogghigna nuovamente.
<<Capisco perché sei così furioso, ti ha preferito Mir, eh? Ti starà bruciando tantissimo, immagino. Ma non puoi biasimarla...>>
<<Ti diverte ridurre tutto alla mera competizione, vero?>> esclamo, furioso, per poi mordermi nuovamente le labbra quando incrocio il suo sguardo interrogativo. <<Paola, per favore. Avrei fretta.>> aggiungo, secco.
<<Sei solo uno stronzo.>> sibila, piena di rabbia, prima di aprire la portiera dell'auto e richiuderla con violenza.
<<Già...sono solo uno stronzo.>> mormoro, tra me e me, nel silenzio dell'abitacolo, in un sospiro. Poi, parto, diretto verso il circuito.
~·~
[Angel]
Io e Joan siamo partiti molto presto. I colori dell'alba tingevano il cielo di tonalità pastello, e io, come al mio solito, sono rimasta ad ammirare quel capolavoro della natura per minuti che mi sono parsi infiniti. Rimirare la natura fa bene alla mia anima, al mio animo che è preda costante del tormento.
Mi ero seduta lì, sugli scalini che portavano al motorhome, le valigie poste qualche gradino più in basso. Avevo sentito le lacrime pungermi agli angoli degli occhi mentre ammiravo quello spettacolo, perché l'alba, al contrario del tramonto, era davvero per pochi.
E avevo sentito una fitta al cuore quando avevo realizzato con chi, avrei voluto ammirare l'inizio di quel nuovo giorno. Una persona che forse era distante pochi metri da dove mi trovavo io, o forse, più probabilmente, nella stanza di albergo di un'altra.
Avevo posato la testa contro la parete accanto a me, e avevo sentito uno strano senso di disperazione prendermi al cuore.
Non era il massimo iniziare quei tre giorni che io e Joan avremmo trascorso insieme, in quel modo.
Soprattutto perché non capivo perché mi sentissi in quel modo.
Avrei voluto raggiungere il suo motorhome, bussare alla porta e vederlo. Avrei voluto abbracciarlo esattamente come avevo fatto mercoledì sera, stringerlo forte e respirare il suo profumo.
Mi ero accorta che mi mancava la sua voce, mi mancava sentirla, mi mancava quella sensazione che provocava in me, la sensazione di essere avvolta da qualcosa di caldo, mentre un senso di tranquillità scendeva sulla mia anima.
La voce di Marc per me era sempre stata casa.
E da quando non la sentivo più, era come se fossi persa.
Joan era arrivato dopo qualche istante, a bordo dell'auto, e avevamo caricato le valigie nel bagagliaio. Ero poi rimasta lì, ferma, immobile, con la scusa di quegli ultimi stralci di cielo dipinto di rosa tenue, a guardare di sottecchi il motorhome di Marc, così imponente, così scuro, che si stagliava contro i primi raggi dorati del sole. Magari lui non era neppure lì, ma con Paola gambe lunghe. Aveva detto che dopo di me, non riusciva più a dormire con nessun'altra, ma a me sembrava un qualcosa di così assurdo, un qualcosa a cui non riuscivo a credere. Vederlo con lei mi aveva ferito enormemente, anche se non avrei dovuto provare niente. Avrebbe dovuto lasciarmi totalmente indifferente.
Invece, vederli insieme era stato come ricevere uno schiaffo in pieno viso. Puntualmente, era Paola quella che tornava a "frequentare". A fasi alterne, Paola tornava continuamente.
Doveva piacergli veramente tanto.
Eppure, nonostante questo, lo sguardo che mi aveva rivolto ieri sera mi era rimasto impresso dietro le palpebre. Non avevo pensato ad altro, per tutta la notte.
Quella carezza leggera che mi aveva lasciato prima di andarsene, quegli occhi così pieni di disperazione e dolore, mi avevano letteralmente spezzato il cuore.
Poi, Joan mi aveva preso per mano, e mi ero svegliata dai miei pensieri.
Eravamo saliti in macchina e ci eravamo allontanati dal circuito.
Avevo riempito subito il silenzio con la musica, perché avevo quasi il bisogno fisico di sentirla.
La musica era l'unico modo che conoscevo per calmare e riempire il mio dolore.
E ora, dopo esserci fermati a fare colazione in un adorabile bar trovato lungo la strada, riprendiamo il nostro viaggio, diretti verso Venezia.
Apro il finestrino e lascio che questa brezza di inizio giugno mi accarezzi i capelli e il viso.
Mi sento un po' stanca, è come se l'attacco di panico di ieri sera mi avesse tolto ogni forza, soprattutto a livello mentale.
Marc non sapeva nulla del fatto che i miei attacchi di panico fossero ritornati, ora invece, purtroppo, lo sa. Ho odiato il modo in cui avere un attacco di panico davanti a lui mentre stavamo discutendo, mi avesse fatto sentire debole e vulnerabile, perché io non lo ero.
Io non ero debole, né vulnerabile.
Non potevo esserlo.
<<Scricciolo, come stai?>> Joan mi scosta una ciocca di capelli dal viso, e mi lancia una tenera occhiata.
Dio, è così dolce, non me lo merito.
<<Esausta. Senza forze. E mi dispiace di questo, perché vorrei godermi al massimo questi giorni con te in una delle città più belle del mondo.>>
<<La cosa più importante sei tu mi luz, ieri mi hai fatto spaventare. E oggi sei così silenziosa. Mi piace vederti cantare a squarciagola le tue canzoni preferite, ridere, sorridere.>> mi sporgo verso di lui e gli poso un bacio sulla guancia, per poi posare la testa sulla sua spalla, così come la mano sulla sua.
<<Tesoro, prometto che cercherò di riprendermi in fretta. Anche io detesto sentirmi così, e non avrei mai voluto farti preoccupare, davvero.>> Joan sorride, e mi posa un bacio sulla fronte.
<<Stanotte non hai dormito molto. Vuoi provare a recuperare un'oretta di sonno? Dovremmo arrivare a destinazione tra due ore, più o meno.>>
<<Dubito di riuscirci.>> sospiro, mentre torno al mio posto, accoccolandomi contro il sedile.
Joan fa intrecciare le dita delle nostre mani e sento le farfalle allo stomaco. Amo l'effetto che mi fa. Mi fa sentire come se fossi brilla, ma non del tutto ubriaca, ed è perfetto per me. Era proprio quello che desideravo.
<<Ormai io non so più niente di te, non è così?>>
Spalanco gli occhi, quando sento la sua voce attraversare la mia mente come una lama di luce.
<<Voglio solo che tu stia bene, e scusami, per tutto.>>
Stringo il bracciolo dell'auto con tutta la forza che ho in corpo e sento che sono sul punto di piangere. Quello sguardo, il suo sguardo, riappare dietro le mie palpebre e il cuore si stringe in una morsa nel mio petto.
Per quanto ci provi, non riesco a smettere di pensarci, non riesco a smettere di pensare a lui.
Non ci riesco.
È come se quello sguardo mi parlasse, è come se riuscissi ad avvertire tutto il dolore che si cela dietro quegli occhi.
In quei sei anni avevo imparare a conoscere Marc, mi bastava guardarlo per capire a cosa stava pensando o cosa stava per dire.
E quello sguardo, solo pensarci fa spezzare il mio cuore.
Your song di Elton John riempie l'abitacolo, e chiudo gli occhi.
Poso lo sguardo sulla vita che scorre fuori dall'auto, palazzi, campi sconfinati, colline e città, cercando di pensare ad altro, ma questa è la canzone peggiore da ascoltare in un momento del genere.
Frantuma la mia anima in tanti piccoli frammenti, dilania il mio cuore, lo uccide, lo annienta, perché inevitabilmente, ogni parola di questa opera d'arte, porta la mia mente verso una sola persona, la più sbagliata che esista.
<<I sat on the roof and kicked off the moss
Well a few of the verses, well they’ve got me quite cross
But the sun’s been quite kind
While I wrote this song
It’s for people like you that keep it turned on.>>
Soffio, e la mia voce non riesce neppure a lasciare le mie labbra, mentre dietro le mie palpebre rivedo il viso di Marc, il suo ampio e luminoso sorriso, quello che per me è il sorriso più bello del mondo, le sue fossette agli angoli delle labbra, il suo modo di inarcare le sopracciglia.
<<Anyway the thing is, what I really mean
Yours are the sweetest eyes I’ve ever seen.>>
Ed eccoli lì.
I suoi occhi caldi, scuri, profondi si piantano nel mio cervello e il mio cuore salta un battito. Il mio corpo diventa un brivido e sollevo le palpebre, il fiato che mi si spezza in gola.
I suoi occhi.
Letteralmente, il luogo in cui mi sono persa da un tempo indefinito.
<<And you can tell everybody
This is your song
It may be quite simple, but now that it’s done
I hope you don’t mind
I hope you don’t mind
That I put down in the words
How wonderful life is while you’re in the world.>>
Canto, in un sussurro, chiudendo gli occhi.
Mi porto una mano al viso, e sento che mi sta per venire da piangere, e non so neppure io il perché.
Perché quello sguardo di Marc mi è rimasto così tanto impresso nella testa?
Perché solo pensarci mi fa cadere nella più completa disperazione?
Perché la avverto come un peso sul mio cuore?
Una lacrima mi scorre lungo la guancia e mi sento uno schifo. Perché ho Joan con me, la persona che più mi è stata vicino in questi mesi, il ragazzo perfetto, che voglio al mio fianco e che mi fa venire le farfalle allo stomaco.
Perché dovrei volere uno come Marc?
Dopo tutto quello che è successo, dopo quello che ha fatto?
Perché inizio a sentire questa strana sensazione al centro del petto, quando penso a lui, ora?
Mi sento così confusa, mi pare di non riuscire a capire più nulla.
Non riesco a credere che una persona da cui traspare una simile disperazione e dedizione per qualcuno che dice di amare, sia capace di ferire e tradire la persona che ama.
<<Angel?>>
Scuoto la testa, e poso gli occhi sul viso dolce di Joan.
<<Siamo arrivati.>> annuncia, rivolgendomi un largo sorriso. Non mi sono neppure accorta che ci siamo fermati. <<C'è il vaporetto che ci aspetta.>>
Lo osservo, e mi sento in colpa.
È un ragazzo meraviglioso, e io sto qui a pensare a colui che mi ha spezzato il cuore.
Accidenti, sono davvero una cretina.
<<Angel, cosa c'è? Perché mi guardi così? Ti senti male?>> mi prende il viso tra le mani, mentre gli occhi gli si riempiono di preoccupazione. Scuoto la testa, e poso una mano sulla sua.
<<No, assolutamente. Stavo solo ammirando il viso del mio adorabile ragazzo. Sei così prezioso, Joan, tu non hai idea di quanto io ->> mi blocco, mordendomi il labbro inferiore e vedo un lampo passare nei suoi occhi, mentre un sorriso si disegna sulle sue labbra.
<<Non dire più nulla, scricciolo. Ho capito.>> mormora, per poi posarmi un bacio sulla fronte.
Scendiamo dall'auto e raggiungiamo il vaporetto.
E grazie ad esso, oggi, ho scoperto che soffro il mal di mare.
Sullo yacht che Marc affittò quando andammo in vacanza tutti insieme, non avvertì quasi il movimento dell'acqua, ora mi sembra di essere finita sulle giostre e sono sul punto di vomitare.
<<Bene!>> esclamo, non appena mettiamo piede sul terreno. <<Ora, oltre ad aver paura dell'acqua, ho appena scoperto di soffrire il mal di mare!>> mi piego in due sulle ginocchia, e scommetto di avere un colorito verde, in viso. Joan mi raggiunge e mi posa una mano sulla fronte.
<<Angel, devi vomitare?>> mi chiede, il tono trafelato. Lo sto facendo preoccupare troppo da ieri. Prendo lunghi respiri e mi tiro su, accennando un sorriso.
<<No tesoro, sta iniziando a passare. Mi sento un po' meglio.>> ammetto, respirando a pieni polmoni. <<Probabilmente, sarà meglio che io passi in farmacia a comprare qualcosa per il mal di mare, dato che in questi giorni dovremo prendere spesso quel...quel mezzo infernale.>> dico, lanciando uno sguardo al vaporetto che si allontana.
<<Dai qua>> dice, afferrando la mia valigia <<l'hotel non è molto lontano.>>
Non ho idea di dove ci troviamo, so solo che l'idea di essere circondata dall'acqua non mi fa impazzire, ma sognavo di andare a Venezia da così tanto tempo, che posso sopportare un po' d'acqua per qualche giorno.
L'hotel che ha scelto Joan affaccia su un piccolo canaletto molto suggestivo e romantico, devo ammetterlo, gerani variopinti pendono dai balconcini dei palazzi che circondano l'hotel.
Dopo aver lasciato i nostri bagagli usciamo, e andiamo alla scoperta di Venezia. Raggiungiamo subito piazza San Marco, e resto letteralmente senza fiato davanti all'omonima basilica.
<<Ti rendi conto che tutta questa bellezza esiste veramente? Sono senza parole. Esiste qualcosa di più bello dell'arte, Joan?>> lo sento abbracciarmi da dietro.
<<I tuoi occhi mentre guardi ciò che ami, forse. Il tuo viso ha ripreso colore, e sei incantevole, mi luz. È bellissimo vedere l'effetto che hanno su di te le arti, in ogni loro genere.>> arrossisco.
<<Andiamo a visitare Palazzo Ducale?>> gli chiedo, voltandomi a guardarlo e posando le mani sul suo petto.
Mi porto una mano sul cappello a tesa larga che ho indossato per ripararmi dal sole, per evitare che cada a terra. Joan sogghigna, sfiorandomi la punta del naso con l'indice.
<<Che ne diresti di pranzare, prima? Sto letteralmente morendo di fame!>>
<<Hai ragione, accidenti, come ho fatto a dimenticarmi di dover mangiare?>> esclamo, sorpresa. <<Ma qui in piazza San Marco che sia un caffè o un pranzo costa tutto un botto, ti va un trancio di pizza?>> Joan scoppia a ridere e mi circonda le spalle con un braccio. Non abbiamo letteralmente idea di dove andare e stiamo girando alla cieca, ma è così bello ed elettrizzante, per una come me che deve avere tutto sotto controllo.
Alla fine, dopo essere riusciti a mangiare qualcosa, visitiamo il Palazzo Ducale, il ponte di Rialto e la basilica dei Frari.
Lo stesso facciamo il giorno dopo, visitando la scuola grande di San Rocco e il ponte dei sospiri.
Ho scattato così tante foto che ho poi sfoggiato su instagram perché tale bellezza non può non essere condivisa.
Sono così felice quando sono circondata da tutto ciò che ha a che fare con l'arte.
Tra le diverse foto che ho scelto di pubblicare in un post, ce n'è una bellissima di me e Joan con alle spalle la basilica di San Marco. È così tenera e dolce che non ho resistito.
<<Oh Joan, sono stati tre giorni meravigliosi!>> esclamo, non appena rientriamo nella nostra stanza, girando su me stessa. Questa è l'ultima sera che trascorreremo qui a Venezia e un po' mi dispiace. Vorrei non dover tornare alla realtà, alla vita vera e a tutta l'ansia e agitazione che mi porta.
Mi volto a guardarlo, lì, in piedi davanti alla porta, e gli corro incontro, abbracciandolo.
<<Sei tutto ciò che desideravo, Joan, davvero. A volte ti guardo e mi chiedo come ci sei riuscito.>>
<<A fare cosa?>> mi chiede, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, un sopracciglio inarcato e un angolo delle labbra tirate verso l'alto.
<<A conquistarmi in così poco tempo.>> Joan si china verso di me, posandomi un bacio leggero sulle labbra.
<<Forse perché sono quello giusto per te, scricciolo, come tu sei quella giusta per me.>> soffia, toccando le mie labbra.
Sento una fitta al cuore al sentire quelle parole. Punto gli occhi nei suoi e vorrei semplicemente che tutto fosse più facile, che ogni cosa diventasse più semplice, che tutto ciò che riguarda sempre la stessa persona, venisse cancellato dalla mia mente con la stessa facilità con cui si cancellano i segni di una matita su un foglio bianco.
Invece, pare essere impossibile.
<<Comunque, ho intenzione di portarti a cena in uno dei ristoranti migliori di Venezia!>> esclama, schioccandomi poi un sonoro bacio sulle labbra.
<<Joan?! Stai scherzando, vero?>>
<<Assolutamente no. Lo so mio tesoro, sono il migliore.>> gongola, ed io per tutta risposta gli lancio un'occhiataccia.
Decido comunque di prendermela comoda e per cominciare, mi faccio una bella doccia e do una sistemata ai capelli e alla frangetta. Poi mi trucco un po', giusto una passata di ombretto e il mascara, e per finire, il lucidalabbra. Mentre Joan è in bagno mi vesto, e indosso un vestitino nero, semplice, dallo scollo dritto e due sottili spalline, che mi arriva di diversi centimetri sopra il ginocchio.
Mentre aspetto Joan, recupero il telefono e noto che sono arrivate diverse notifiche. I ragazzi e Domizia hanno lasciato un like sul mio ultimo post, e rispondo subito al commento di quest'ultima, un "bellissimi", che mi fa sorridere. Le rispondo con un cuore, poi noto che anche Rafi ha lasciato un like, e sento una stretta al cuore, perché mi manca.
Le mie dita si muovono da sole, e finisco sul profilo di Marc, che ho bloccato a novembre.
Osservo la sua foto profilo, poi, senza un motivo, lo sblocco. O forse, so benissimo il motivo. Ho bisogno di vedere il suo viso almeno per un istante. Apro l'ultimo post che ha pubblicato, un video. Ha provato una F1, e sembra felice come un bambino. Sento le mie labbra sollevarsi istintivamente verso l'alto, quando i miei occhi si posano su di lui, e quando lo realizzo, lo blocco nuovamente e lancio il telefono sul letto.
Non mi piace questa cosa.
Non mi piace per niente questa cosa perché non posso iniziare a cedere, non posso per nessuna ragione farlo. Io non mi faccio sopraffare dai "sentimenti", come potrebbero fare le altre. Io non mi piego, perché so che l'amore e il rispetto per me stessa vengono prima di qualsiasi cosa.
Soprattutto, prima di un ragazzo.
<<Diosa.>>
Mi volto verso il bagno, e Joan è in piedi a pochi passi dal letto, un asciugamano stretto intorno ai fianchi. Sorrido, mentre sento le spalle rilassarsi non appena poso gli occhi su di lui e abbassando lo sguardo, avanzo verso di lui.
<<Una dea con il suo dio.>> mormoro, sollevandomi sulle punte dei piedi per posargli un bacio sulle labbra. Nonostante i tacchi, ci separano ancora molti centimetri.
<<In effetti, siamo proprio belli insieme.>> concorda Joan, sollevando il mento, ed io scoppio a ridere.
<<Avanti, vestiti, sirenetto.>>
<<Sirenetto? Che significa?>> mi chiede, guardandomi confuso, mentre indossa i pantaloni.
<<Hai presente Ariel, la Sirenetta? Ecco, la sua versione maschile!>>
<<Mi piace sirenetto. Calza a pennello per me, che amo il mare.>>
<<Ma io continuerò comunque a chiamarti biondino.>> replico e lo sento piagnucolare.
Usciamo al tramonto, e mi fermo ad ammirare i colori del cielo in fiamme che si riflettono sull'acqua del canal grande, e sui palazzi che vi si affacciano. Mi sento così viva, così felice.
Raggiungiamo poi il ristorante che Joan ha scelto per la cena di questa sera.
<<Tu sei uscito di testa.>> sogghigno, mentre ci dirigiamo verso l'entrata. Questo ristorante urla ricchezza da ogni angolo.
<<Dal primo istante in cui ti ho visto davanti alla porta del mio motorhome.>> mormora, per poi aprirmi la porta.
È meraviglioso, è come essere proiettati nella Venezia del 1500.
Le pareti dorate e damascate, i preziosi lampadari che pendono dal soffitto affrescato.
Joan ha deciso di spendere tutti i soldi che ha guadagnato da quando è arrivato nel campionato mondiale. Amo tutta questa eleganza, ma al tempo stesso, mi sento un po' a disagio. Mi sento stranamente più a mio agio nei locali rustici e con poche pretese.
Un cameriere ci fa accomodare, e dalle ampie vetrate si gode una vista spettacolare sul canal grande.
<<Joan, io...non so più cosa dire.>>
<<Mi basta ammirare il tuo viso, scricciolo. Non potevo non concludere in bellezza questi tre giorni magnifici trascorsi con te.>> replica, posando il viso contro il pugno chiuso della mano.
<<Sono stati davvero meravigliosi, Joan. Grazie per la spensieratezza che mi porti. Sei adorabile e ogni giorno mi conquisti un po' di più.>>
<<Lo dicevo io.>> dice, tronfio. Inarco un sopracciglio.
<<Come, scusa?>>
<<Che era solo questione di tempo. Che sarei riuscito a conquistarti, e che anche tu, presto, saresti stata pazza di me.>>
<<Oh, come dimenticare la tua sfacciataggine! Ma è una delle cose che mi piacciono di più, di te.>>
Un cameriere ci interrompe giusto per prendere i nostri ordini, poi, torniamo a guardarci, occhi negli occhi.
<<Angel...sai benissimo quello che provo per te, quanto tu...quanto tu abbia letteralmente sconvolto il mio mondo. Ho capito che eri la ragazza che sognavo da sempre, sin dalla prima volta in cui ci siamo parlati, un anno fa.>> mi prende una mano, e me la stringe, ed io ricambio. <<E ora stai con me. Posso dire che questo sia uno dei più grandi successi della mia vita.>> scoppio a ridere, e scuoto la testa, per poi alzarmi e posargli un bacio sulle labbra.
<<Hai tutto quello che cercavo, Joan, tutto quello che desideravo. Grazie di essere quello che sei, e di essermi stato accanto in questi mesi.>> mormoro, sulle sue labbra, guardandolo negli occhi.
<<Non avrei potuto fare altrimenti. Sei una calamita per me, devo esserci per te.>> replica, facendo sfiorare la punta dei nostri nasi.
Quando con la coda dell'occhio ricordo in che tipo di ristorante ci troviamo torno al mio posto, rossa in viso e gli mando un bacio.
<<Penso che sia il momento perfetto per farti sapere una cosa.>> dice Joan, poco prima che ci venga servito il dessert.
<<Devo preoccuparmi?>>
<<Assolutamente no!>> sogghigna lui, scuotendo la testa. <<Sarò in MotoGP il prossimo anno.>> spalanco gli occhi, e sorrido, prendendogli una mano.
<<Davvero? Non stai scherzando?>>
<<No, per niente!>> replica lui, felice.
<<Oh tesoro!>> gli stringo la mano, scuotendo il capo. <<Sono così felice per te, te lo meriti! E per chi correrai?>>
<<Ho diverse offerte sul piatto.>> dice, bevendo un sorso d'acqua. <<Due per l'esattezza. Una dalla Suzuki e una dalla Honda.>>
<<Dalla...Honda?>> chiedo, sorpresa.
<<Sì, a quanto pare ai vertici stanno iniziando a pensare di sostituire Pedrosa.>>
<<Ma...quello è il dream team. Il mio dream team. Non riesco ad immaginare Pedrosa lontano dalla Honda, con Marc forma una squadra...fantastica.>> replico, poi mi rendo conto che sto pensando ad alta voce, e che è il cuore a parlare. Mi sono legata molto a Dani, e provo un grande affetto per lui. Scuoto la testa, e accenno un sorriso.
<<Tu verso quale delle due offerte sei più portato?>>
<<Non c'è molta differenza sul piano del denaro, non è a questo che sto pensando ora. In Suzuki c'è voglia di tornare ai vertici, c'è voglia di tornare a vincere un mondiale, è una bella sfida, da motivazione. Dall'altra parte però c'è la Honda, ma c'è anche Marquez. E sappiamo bene il peso che ha Marc in quel box, sappiamo bene quanto sembri in grado solo lui di portare quella moto alla vittoria. Certo, potrebbe rivelarsi un fallimento affiancarlo, il rischio di essere distrutto ogni weekend dal proprio compagno di squadra non mi fa impazzire onestamente. Ma perché non pensare che possa accadere anche il contrario?>>
Il cameriere interrompe il discorso di Joan, servendoci i nostri dessert, e io lo ringrazio a malapena. Sono troppo concentrata sul discorso di Joan, voglio che vada avanti.
<<Il contrario?>>
<<Certo! Arrivare in Honda, sulla sua Honda e batterlo, a parità di mezzo, distruggerlo in pista. Riesci ad immaginare cosa significherebbe? Metterei la firma solo per questo. E tu saresti in prima fila per festeggiare le mie vittorie.>> conclude, languido, uno scintillio nello sguardo, mentre tende la mano verso di me.
Sento una fitta al cuore alle parole di Joan e non so perché. Non ha detto nulla di strano, ha parlato da pilota ora. Eppure, lo scenario che ha disegnato non mi piace per niente. Stringo la sua mano, per poi tornare a prendere il cucchiaio, lo sguardo puntato sul mio dessert al cioccolato.
<<Riesci ad immaginarlo, Angel? Non ti piace l'idea? So che avevi smesso di guardare le gare della classe regina, ma ora avrai un motivo per tornare a guardarle, il tuo pilota che va a vincere.>>
Lo guardo, inclinando il capo.
<<Le gare mi piacciono ancora, Joan, solo che...non riuscivo più a guardarle.>> borbotto, abbassando lo sguardo. <<Io voglio vederti conquistare successi in MotoGP, ma...il mio pilota è uno, e nonostante quello che è successo, continuerà ad essere lui. Farò il tifo per te, ma...è Marc quello che voglio vedere davanti a tutti, sempre. Sai che sono sempre sincera, e devo esserlo anche ora.>>
Joan mi osserva, sorpreso. Sembra sconvolto dalle mie parole, come se non se le aspettasse.
<<Sempre...lui?>> chiede, in un sussurro.
<<Il tifo non lo puoi scegliere, Joan. Ho conosciuto Marc ed è stato lui a farmi innamorare delle corse, di tutto ciò che ha un motore, è stato lui a farmi appassionare persino al calcio. Non posso smettere di tifarlo, non posso smettere di provare tutte quelle emozioni quando lo vedo in pista, sulla sua moto. Avrà sempre il mio sostegno, i fatti personali non contano. Lui per me viene prima di tutti. Mi dispiace, ma così stanno le cose. E probabilmente non potrai neppure capirlo, ma...>>
<<Viene prima di tutti solo in pista?>> replica Joan, mostrandomi un sorrisetto nervoso.
<<Come?>> gli chiedo, confusa e allo stesso tempo sorpresa per quella domanda. Lo vedo scuotere la testa e portarsi le mani al viso.
<<Joan?>> lo chiamo, preoccupata. Lui sospira, scostando poi le mani dal viso.
<<Scusami tesoro, scusami. Sono stato un idiota. Non posso chiederti di cancellare questi anni, non posso pretendere questo, ti chiedo scusa. Non mi interessa della pista, l'importante è che vuoi me fuori da essa.>> esclama, prendendomi una mano. Sorrido, annuendo.
<<Sai che è così.>> mi limito a dire.
Dopo aver pagato facciamo un'ultima passeggiata ammirando la luna veneziana che si diverte a specchiarsi sull'acqua della laguna.
<<Mi farà piacere rivedere i tuoi nonni. In quest'ultimo mese li ho visti pochissimo.>> dice ad un tratto, Joan, ed io gli accarezzo il braccio a cui sono appoggiata.
<<Anche io non vedo l'ora di rivederli, ma sarà per poco. Sabato devo andare a Cervera, o meglio, a Lleida.>>
<<Perché?>> mi chiede, voltandosi a guardarmi.
<<Devo andare in ospedale per...per una visita dermatologica.>> replico, con la prima cosa che mi è venuta in mente.
<<Dermatologica? Hai qualche problema?>>
<<Tranquillo Joan, niente di che. Solo una visita di controllo.>> lo rassicuro, accennando un sorriso.
<<Posso accompagnarti, se vuoi.>>
<<Non voglio togliere tempo al tuo allenamento, in più, verrò subito da te, mi manca Maiorca e mi manca anche Dakota.>> Joan sorride, e si china a baciarmi.
<<Come vuoi, scricciolo. Allora ti aspetterò impaziente.>>
Raggiungiamo la nostra stanza e non facciamo in tempo ad entrare che Joan mi bacia, con voracità, ed io mi aggrappo alle sue spalle, tenendolo stretto a me. Sento le farfalle nello stomaco, quello strano pizzicore al centro del petto ogni volta che ci tocchiamo, ogni volta che sento la sua pelle contro la mia.
È tutta un'altra cosa da Marc, perché con lui ogni volta era come un incendio che divampava nel mio cuore e nel mio sangue, un calore che mi toglieva il respiro, un'intensità che mi portava alle lacrime e una tenerezza che mi faceva galleggiare su una nuvola sospesa in aria.
Ma io non ho bisogno di tutto questo.
Soprattutto se penso ai rischi che può portare il fuoco, l'intensità e la tenerezza.
Joan mi sfila il vestito, e io faccio lo stesso con la sua camicia bianca, poi con i suoi pantaloni. Finiamo sul letto, mentre scende a baciarmi sul collo.
"Dí che sei mia."
Mi si smorza il respiro in gola quando sento la sua voce attraversare la mia mente del tutto improvvisamente. Spalanco gli occhi, mentre serro la presa intorno alle spalle di Joan. Chiudo gli occhi, mentre i brividi causati dalla sua voce vibrano in ogni più piccola parte del mio corpo. Bacio Joan e affondo le dita tra i suoi capelli e potrei persino illudermi che si tratti di Marc, di star baciando lui, ma il fatto è che ogni cosa mi ricorda che non è lui. Marc mi toccava in un modo completamente diverso, mi baciava in tutt'altro modo, il suo corpo aveva cicatrici che conoscevo alla perfezione, cicatrici che amavo e veneravo, persino il sapore di Joan mi ricorda che sto baciando un altro.
"Sono tuo, anima e corpo, tutto tuo. Lo sai."
Prendo il viso di Joan tra le mie mani mentre sento di essere sul punto di piangere.
"Te quiero, Angel."
Mi stacco da Joan, il fiato corto e la testa che gira. Mi scappa un singhiozzo e mi porto una mano alla testa.
<<Angel, che succede? Non ti senti bene?>> Joan mi prende il viso tra le mani e mi osserva preoccupato, come mi ha osservato troppo spesso in questi giorni.
<<La testa mi gira...>>
Riesco solo a dire, mentre una lacrima mi scorre lungo la guancia.
<<Apro la finestra, un po' d'aria ti farà bene.>> subito dopo aver aperto la finestra mi porge la maglia che indosso come pigiama, e mi aiuta ad alzarmi, portandomi al balconcino.
<<Scusami tesoro, in questi giorni non so cosa mi stia succedendo...>> singhiozzo, e lui mi asciuga una lacrima.
<<Ma cosa dici, scricciolo? Non devi chiedermi scusa, assolutamente, anzi. Vedrai che ora passa.>> mi rincuora, accarezzandomi una guancia.
Solo che io ho la sensazione che invece, non passerà mai.
[Spazio Autrice]
ALLELUIA 🎉🎉🎉🎉
Finalmente, sono riuscita a pubblicare!
Vi chiedo immensamente scusa, ma è stato un periodo strano, ad un certo punto mi sono bloccata e non riuscivo ad andare avanti, nonostante avessi tutto in testa.
Vi chiedo anche scusa perché so che non è un granché questo capitolo e me ne dispiace, spero che lo abbiate gradito comunque.
Fatemi sapere che ne pensate e cosa accadrà secondo voi nei prossimi capitoli 👀
Vi voglio bene, davvero tanto 💘
Spero di riuscire a pubblicare il prossimo il prima possibile, vi ringrazio ancora per il vostro sostegno 💘
Un bacio 💋
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