Mercy
[Ora che fai?
Mi hai fregato così non si era mai sentito
Io dentro la mia testa non ti ho mai invitata
Però mi si ferma il battito
Quando ti incontro per strada sembra un derby di coppa
E c'è una parte di te che è una parte di me
Che non andrà via in un attimo
Ti annoierai
Un giorno proprio quando meno te l'aspetti
Come se togliessi la maschera e tu t'accorgessi
Che a stare vicino vediamo meglio i difetti
E mi dimenticherò e tu ti dimenticherai
Come se tutto tra noi non fosse successo mai
Poi ci penseremo ogni tanto
Io insieme ad un'altra
Tu insieme ad un altro]
[Angel]
No, io torno indietro.
C'è un sole che spacca le pietre, il cielo limpido e terso, e dalla finestra accanto a me si intravedono le mura medievali che circondano Cervera.
Perché dovrei restare chiusa dentro questa sala d'aspetto, mentre fuori c'è una giornata così bella?
<<Io me ne vado.>>
Scrivo ad Andrew, mentre Twist and Shout dei Beatles si sprigiona dalle mie cuffie, ma neppure il ritmo irresistibile di questa canzone riesce a calmarmi.
Il telefono mi vibra subito tra le mani.
Andrew >> "Angel, giuro che salgo in macchina e mi faccio cento chilometri in meno di un'ora giusto per portarti di peso in quel cazzo di studio medico, se non lo fai da sola. Avanti. Andrà tutto bene, non preoccuparti. Sono qui, per qualsiasi cosa."
Sospiro, rileggendo il messaggio di Andrew, mentre mi volto verso la porta che si aprirà da un momento all'altro e da cui uscirà l'ultimo paziente che mi precedeva.
Non faccio in tempo a terminare quel pensiero, che la porta si apre e l'anziana signora che non ha fatto altro che raccontarmi per tutta la mattinata della sua giovinezza trascorsa in giro per la Spagna, esce dall'ufficio della mia dottoressa.
Le rivolgo un sorriso, mentre mi passa accanto, poi, dopo aver preso un profondo respiro, entro.
<<Angel cara, che ci fai qui? Non dirmi che sei tornata!>>
La dottoressa Garcia mi ha in cura sin dal primo mese in cui sono arrivata a Cervera. Mi fa piacere rivederla, anche se avrei preferito farlo in un'altra occasione.
Al bar, magari.
È una donna sulla cinquantina, dai lunghi capelli biondo oro, e occhi azzurri nascosti dietro un paio di occhiali rosa chiaro.
<<Solo per il matrimonio di due miei amici.>> replico, mentre mi siedo di fronte alla sua scrivania.
<<José e Nuria, vero?>> annuisco. <<Ah, quei due sono adorabili.>> dice, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso a patata.
<<Allora, che succede?>>
<<Ecco...>> mi schiarisco la voce. <<Ad inizio mese ho notato che si è gonfiato un linfonodo, qui, sul collo. Non volevo dare molto peso alla cosa all'inizio, volevo fare finta di niente, lo ammetto, ma un amico mi ha letteralmente spinto a venire.>> sottolineo l'ultima parte della frase mentre ripenso al messaggio di Andrew.
<<Un buon amico.>> aggiunge la dottoressa, alzandosi. <<Bene, diamo un'occhiata. Siediti sul lettino.>>
Faccio come dice, e si piazza davanti a me, posandomi due dita ai lati del collo, le sopracciglia aggrottate, lo sguardo attento.
Poi si allontana, tornando verso la scrivania.
<<Sì, in effetti sembra che un linfonodo si sia ingrossato. Dovremo fare un ecografia, per approfondire la cosa e magari anche degli analisi del sangue. Ma...>> solleva lo sguardo su di me. <<Ora tu vivi in Italia. Immagino avrai un medico lì, anche se qui in Spagna sei ancora sotto le mie cure. Hai intenzione di sottoporti ai vari esami qui in Spagna o in Italia?>>
La osservo, ancora incerta.
<<In Italia mi sono appoggiata al medico dei miei nonni, ma...di lei mi fido, mi sento al sicuro con lei. Preferirei fare questi esami qui. Poi, nel caso...si vedrà.>> sospiro, e lei mi lancia uno sguardo.
<<"Nel caso"? A cosa pensi, Angel?>>
<<Al peggio, come al solito.>> replico, scrollando le spalle.
<<So come sei fatta, ma davvero, non ti fasciare la testa prima di rompertela. Aspettiamo di fare l'ecografia e le analisi del sangue, prima. Sarebbe meglio farli il prima possibile, infatti ho sottolineato di darti una priorità, per l'ecografia. Ma, per ora, stai tranquilla, d'accordo?>> cerca di tranquillizzarmi, anche se in fondo sa che non servirà a nulla.
Non posso fermare la mia mente, non posso farci nulla.
Mi limito ad annuire, poi, ci salutiamo e lascio lo studio.
Prendo l'ennesimo, profondo respiro e decido di fare due passi.
Informo Andrew di aver prenotato gli esami, poi, cerco di non pensare a nulla.
Cammino per le strade di Cervera, e la mia mente si riempie di ogni vicenda avvenuta tra le mura di questo paese adagiato sulle colline catalane.
Nonostante abbia sempre sognato di tornare a casa mia presto o tardi, ora che sono lontana, avverto la familiarità di questo luogo.
Conosco ogni strada, ogni angolo, ogni negozio.
Il telefono vibra nella mia mano, e dopo aver sbloccato lo schermo, leggo il messaggio che Joan mi ha appena mandato.
Si tratta di una sua foto, vicino alla sua moto da enduro, il viso arrossato e imperlato di sudore, ma illuminato dal suo dolce sorriso.
<<Non vedo l'ora che arrivi stasera, scricciolo. Mi manchi tantissimo.>>
Sorrido, mordendomi il labbro inferiore, e sento il cuore nel mio petto aumentare i battiti.
Anche a me manca molto, ho bisogno di staccare un po' la mente e di trascorrere più tempo possibile con lui.
Ho voglia di sole, di mare, di Maiorca.
È un luogo così bello, non ha niente a che vedere con Cervera.
È tutta un'altra cosa.
Ed è di questo che ho bisogno, ora.
Osservo la distesa di campi di grano che ricopre l'intera vallata, e non posso fare a meno di tornare a pensare a quello che è successo negli ultimi due giorni.
Non posso fare a meno di pensare a Marc, alle sue parole, la mia mente non riesce a smettere di pensare a lui, al suo viso, alle sue labbra, ai suoi occhi, alla sua voce.
Non riesco a smettere di pensare a lui, e la cosa mi sta facendo impazzire.
Le sue parole di ieri pomeriggio continuano a rimbombarmi nella testa, nonostante abbia fatto di tutto per smettere di pensarci.
Ma dio, se è difficile.
I brividi scorrono lungo la mia schiena ogni volta che sento la sua voce ripetere quelle parole nella mia testa, ogni volta che il suo sguardo ardente e disperato appare davanti ai miei occhi, come se fosse rimasto impresso dietro le mie palpebre.
Per quanto provassi a restare indifferente, ad ignorare le sue parole, ero indifesa contro tutto quello che lo riguardava.
Non poteva essere davvero così, non poteva.
Voleva davvero tutto quello, da me, con me?
Pensava davvero ad una vita con me?
La cosa mi faceva andare nel panico, perché io non riuscivo a pensare ad una cosa del genere, con nessuno. Il solo pensiero mi faceva desiderare di scappare via, perché io volevo solo essere libera.
E una vita condivisa con un'altra persona era un enorme responsabilità.
Eppure, i segnali, in fondo, c'erano stati, in quel mese e mezzo che avevamo trascorso insieme.
Le nostre discussioni, oltre alla gelosia che Marc provava nei confronti di Joan, non erano dovute anche al fatto che Marc fosse molto più avanti di me, in quella relazione appena iniziata?
Lui correva, come era abituato a fare da sempre, io invece avevo bisogno di tempo.
Molto tempo.
Scuoto la testa, e sogghigno, per l'assurdità dei miei pensieri.
Marc è il passato, tutto quello che abbiamo vissuto insieme è finito per sempre.
Nulla potrà cambiare quello che è successo a Valencia, può dire quello che vuole, fare qualsiasi cosa, niente potrà cambiare quello che ho visto.
Perché ho visto le sue labbra contro quelle di lei, le ho viste.
E solo a ripensarci, sento le lacrime pungermi agli angoli degli occhi, una fitta colpirmi al cuore.
E Marc dovrebbe sapere benissimo che dopo una cosa del genere, la mia già scarsa fiducia nel prossimo, svanirebbe come una nuvola di fumo.
Vorrebbe davvero stare con qualcuno che non gli crede, che non si fida di lui, che gli renderebbe la vita un inferno?
Nessuno lo vorrebbe, giustamente, tanto meno lui.
Eppure, in questo momento, in cui mi sento più fragile, più tesa del solito, tutto quello che vorrei, tutto quello di cui avrei bisogno, sarebbe correre dal mio migliore amico e perdermi in un suo abbraccio.
Il mio amico Marc, quello a cui avevo sempre confidato tutto.
Quello di cui avverto tremendamente la mancanza.
Farei di tutto per riavere indietro la nostra amicizia, tornerei indietro e cambierei tutto, tornerei al giorno del mio compleanno e, dopo quel ballo sulle note di Can you feel the love tonight, mi allontanerei da lui per tornare dai ragazzi, al piano di sotto e festeggiare con loro.
Cambierei ogni cosa.
Eviterei il suo sguardo, scapperei, perché da quell'esatto momento, tutto è letteralmente andato in pezzi tra noi.
Abbiamo sacrificato la nostra amicizia per niente, per uno sciocco capriccio.
Mi stringo nelle spalle, mentre porto nuovamente le cuffie alle orecchie, e lascio partire la musica.
Le note de "La Bella e la Bestia" mi colpiscono al cuore, lo avvolgono, come un serpente velenoso, e lo stringono, sempre più forte, fino a che non sento una lacrima rigarmi la guancia.
Non posso fare a meno di ripensare a quell'estate di quasi quattro anni fa, a quella notte di luglio che abbiamo trascorso insieme, prima della sua partenza per Tarifa, a guardare insieme il mio film d'animazione preferito e a ballare insieme, stretti l'uno all'altro sulle note di quella canzone e ricordo esattamente come mi ero sentita in quel momento.
Mi ero chiesta, per la prima volta nella mia vita, se fosse possibile morire di felicità.
Lì, al centro del mio salotto, stretta tra le braccia di Marc, la mia mano intrecciata alla sua, i nostri occhi incatenati, mi era sembrato di essere finita in un sogno.
Avevo sentito il desiderio travolgente di lasciarmi andare, di farmi avvolgere da quella squisita sensazione che avevo sempre sentito con Marc, e che, sin dall'inizio della nostra amicizia, avevo sempre cercato di controllare e dominare.
Per la prima volta, quella notte, dei pensieri assurdi avevano attraversato la mia mente.
Pensieri che ero poi riuscita a scacciare e a rinchiudere in un angolo della mia mente, ma ricordo bene quanto quella sera, il tornare alla realtà, mi aveva colpito come uno schiaffo in pieno viso, come l'essere scaraventati nuovamente sulla terra, senza preavviso, dopo aver provato l'ebbrezza del volo.
Mi ero ricordata cosa voleva Marc veramente, cosa cercava, chi desiderava veramente, e ho provato rabbia per me stessa, per quei pensieri e quelle emozioni assurde, ho cercato di nascondere le lacrime e quel dolore inspiegabile al centro del petto, dietro la mia solita maschera da ragazza fredda e scontrosa, per sentirmi nuovamente forte.
Sapevo cosa cercava Marc, cosa preferiva Marc.
E non era certamente Angel, la ragazzina diversamente alta, esile e minuta, che quando indossava le t-shirt come pigiama non era sexy e irresistibile, ma ricordava più che altro una tredicenne.
Avevo sempre odiato il mio corpo, e in quel momento mi ero fatta così tanto schifo, dal non volermi neppure più guardare in uno specchio a figura intera. Volevo evitare di vedere quel corpo minuto e che non aveva niente di bello, né di sexy o attraente, quel viso pieno di difetti troppo angelico e innocente.
Avrei voluto essere come le altre, avrei voluto essere come le ragazze che Marc guardava e che trovava attraenti e irresistibili.
Invece, ero l'esatto opposto.
E il non poter fare nulla per poter cambiare il mio corpo mi uccideva.
D'improvviso, immaginare Marc con le altre, realizzare che avrebbe sempre desiderato altre ragazze così diverse da me, mi aveva procurato un dolore così forte al centro del petto da non riuscire quasi più a respirare, per un istante.
Avevo provato così tanta rabbia e vergogna per me stessa, perché non potevo sopportare simili cose da parte mia.
Io dovevo essere forte.
Dovevo essere al di sopra di tutto, al di sopra di qualsiasi sentimento.
Dovevo avere il pieno controllo delle mie emozioni, dovevo dominarle ad ogni costo.
Non potevo essere fragile.
Non dovevo essere debole.
Quando però, dopo ogni gara e dopo ogni mondiale vinto, Marc mi stringeva forte a sé, ripetendomi che avrei dovuto essere lì, in circuito con lui, e alle mie sollecitazioni di andare dalla sua famiglia, rispondeva ogni volta "anche tu sei la mia famiglia." mi sentivo una sciocca, perché non capivo il motivo di quelle strane emozioni che si agitavano nel mio cuore.
Io potevo avere il privilegio di stargli accanto, sempre, alla fine della fiera, Marc voleva avere me al suo fianco, assieme al resto dei suoi amici e della sua famiglia.
Cosa poteva interessarmi se non mi avrebbe mai trovata attraente e irresistibile come le ragazze con cui si divertiva?
Come poteva interessarmi una simile sciocchezza, quando io avevo la cosa più importante, potevo averlo accanto a me, sempre?
Strappo letteralmente via le cuffie dalle orecchie, perché neppure la musica oggi ha voglia di collaborare.
Sento, alle mie spalle, una macchina farsi sempre più vicina, fino a che non si ferma al lato del marciapiede dove mi trovo, e mi volto, insospettita.
<<Ciao, pequeñita!>>
<<Rafi! Ciao.>> la saluto, sorpresa.
Ci siamo riviste al matrimonio di José e Nuria, ma non abbiamo parlato moltissimo. Sono stata più che altro sulle mie, come al solito.
<<Ti va di pranzare insieme, da Pepe, magari?>> mi chiede, il braccio che sporge fuori dal finestrino completamente aperto.
<<Oh...ecco, non so, non avrò molto da dedicarti, tra meno di due ore dovrò essere in strada per andare all'aeroporto.>>
<<Tranquilla, ci mangiamo un boccadillo al volo, sempre se ne hai voglia, ovviamente...>>
Io e Rafi non passiamo del tempo insieme da novembre, dal giorno in cui tutto è andato in pezzi. So già che mi sentirò a disagio, ma in fondo, mi piacerebbe stare un po' in sua compagnia, anche se spero che non nomini mai suo cugino.
Sorrido.
<<Ma certo!>>
<<Allora salta a bordo!>> esclama, battendo la mano contro la portiera della sua auto.
Raggiungiamo Pepe, in piazza, e dopo aver comprato i nostri panini, andiamo a sederci su una panchina da cui si ammira la valle inondata dal sole.
Getto un'occhiata oltre il parapetto e intravedo il pied-a-terre di Marc, in lontananza, e un brivido mi saetta lungo la schiena, non appena i ricordi di quello che abbiamo vissuto all'interno di quelle mura attraversano la mia mente.
<<Marc lo ha lasciato a marzo.>> sento dire da Rafi alle mie spalle, lo sguardo che segue il mio.
<<Oh.>> riesco solo a dire, sorpresa. Pensavo che non si sarebbe mai sbarazzato del suo famoso pied-a-terre, lo aveva da anni, e gli garantiva quella privacy che ovviamente in casa, con i suoi genitori, non poteva avere. Ma sono sicura che ne avrà già trovato un altro, giustamente. <<Ha fatto bene.>> aggiungo, sollevando le spalle, con un sorriso ironico.
<<Sono davvero felice di rivederti. Mi manca tanto passare del tempo con te, e mi è dispiaciuto non poterne passare di più sabato, ma sei stata praticamente sempre con Andrew, e non volevo disturbarvi...o meglio, temevo che non avessi voglia di parlarmi.>> spiega, gesticolando. In questo mi ricorda moltissimo Marc, che non riesce a stare fermo un secondo e sente il bisogno di gesticolare sempre mentre parla, al contrario di Alex.
<<Oh Rafi, no, davvero. In realtà volevo stare per conto mio in generale, non ce l'avevo minimamente con te.>>
<<È che non ci sentivamo da novembre, quando mi hai praticamente detto di non cercarti più, quindi...>>
<<Ma sapevi che non avevo nessun tipo di problema, con te. Era solo perché...dovevo staccarmi da tutto ciò che concerneva tu sai chi, anche le persone. Non potevo fare altrimenti, se volevo ricominciare.>>
<<E ci sei riuscita?>> mi chiede, per poi prendere un morso del suo boccadillo.
<<Direi di sì.>> replico, accennando un sorriso.
<<Tu e tesorino, quindi.>> sogghigno, per il suo modo di riferirsi a Joan.
<<Ed è un vero tesorino, puoi dirlo forte.>>
<<Si vedeva che ti piaceva, solo che non pensavo che sarebbe riuscito a conquistarti.>>
<<Sarebbe stato difficile resistergli. Mi ha ricoperto di attenzioni e premure, ha fatto avanti e indietro dalla Spagna all'Italia solo per vedermi, ci sono stati giorni difficili e lui si è precipitato da me nonostante io fossi letteralmente sparita. Ha sciolto le mie difese con una facilità disarmante. Non potevo credere all'esistenza di un simile ragazzo. Non ha un solo difetto.>> sorrido, mordendomi il labbro inferiore, e sento di stare arrossendo. <<Abbiamo tantissimi punti in comune, tutte le qualità che cercavo in una persona, quando ogni tanto mi fermavo a pensarci, un po' per scherzo, dato che io mi sono sempre vista da sola, sono racchiuse in lui. Sto davvero bene con lui, sono felice di stare con lui.>>
Rafi mi osserva, gli occhi verdi stranamente lucidi, il viso contratto. Abbassa poi lo sguardo, portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
<<Beh, ne sono felice. Lui mi sembra molto innamorato. E...se con lui sei felice, allora...questo è l'importante, no?>> accenno un sorriso, annuendo.
<<E tu? Come stai?>>
<<Bene. Niente di nuovo, nella mia vita.>> sospira, posando entrambe le mani sulle ginocchia. <<Una parte di me vorrebbe provare a vivere la sua prima storia seria, ma l'altra ha troppa voglia di divertirsi: e quest'ultima vince ogni volta.>>
<<Fai bene, tesoro, divertiti. Non farti mai prendere da nessuno. Sii libera come l'aria.>> esclamo, posandole una mano sulla spalla.
Rafi inarca un sopracciglio, sorridendo, ironica.
<<Beh, Joan ora non ti ha "preso"?>>
Sorrido, poggiando la schiena contro la panchina dietro di me.
<<Nessuno mi prenderà mai, in realtà. E se c'è una cosa che mi piace di me, è proprio questa.>>
<<Io invece ho capito che l'amore vero, è un'amicizia con momenti erotici.>> replica, gettando l'incarto del suo boccadillo nel cestino lì accanto. <<Ergo, è un qualcosa di più unico che raro, e se hai la fortuna di trovare quella persona con cui si crea una complicità e un'intimità simili, a tal punto da fondervi quasi l'uno con l'altro, non devi fartela scappare. E io spero di riuscire a trovare una cosa del genere, prima o poi.>> replica, e io inarco un sopracciglio, un sorriso sardonico dipinto sulle labbra.
<<Appunto, non devi fartela scappare. Ma a quanto pare è più facile cedere a tutte le varie tentazioni che ci vengono offerte.>>
<<Angel ->>
<<Andiamo?>> dico, alzandomi dalla panchina. Rafi annuisce, sospirando, e saliamo in auto.
Voglio andar via da Cervera il prima possibile.
<<Senti Angel>> inizia Rafi, non appena si ferma davanti al mio palazzo <<ti da fastidio se ogni tanto ti scrivo o ti chiamo?>>
Mi volto a guardarla e sorrido, per poi abbracciarla. In un primo momento resta immobile e rigida, come se non se lo aspettasse, per poi stringermi.
<<Ma certo che puoi. Anzi, devi.>>
La sento sorridere.
<<Lo farò, allora.>>
<<Ci conto.>> replico, per poi scendere dall'auto.
<<Ti voglio bene, Angel. Ti auguro tanta felicità, te la meriti.>> sento una stretta al cuore e gli occhi farsi lucidi.
<<Ti voglio bene anch'io, Rafi. E auguro anche te di essere felice.>>
Osservo mentre si allontana a bordo della sua auto e non appena sparisce dietro l'angolo, tiro fuori il cellulare dalla borsa e scrivo un messaggio a Joan.
<<Stasera saremo di nuovo insieme.>>
~·~
Il giorno dopo, io e Joan andiamo in spiaggia, anche se la cosa inizialmente non mi faceva impazzire. Mi sento sempre in imbarazzo in costume da bagno, soprattutto a causa della mia altezza. O meglio, della mia non altezza.
Mi sembra davvero di essere una bambina, e ogni volta che mi sento a disagio a causa del mio corpo, capisco che non arriverà mai il momento in cui mi apprezzerò.
Resto sulla spiaggia ad osservare Joan mentre entra in acqua per fare una nuotata e mi concentro sulla voce del mare, sulle onde che si infrangono contro gli scogli in lontananza e sulla spiaggia, poco distante dai miei piedi.
Osservo l'infinito e sento un tuffo al cuore, la solita emozione che sento ogni volta al cospetto della natura.
Alla fine, Joan viene a prendermi, e, lentamente, entro in acqua.
<<Forse più che scricciolo dovrei chiamarti gattina.>> sogghigna Joan, riferendosi alla mia paura dell'acqua, e posandomi un bacio sulla testa.
<<Mia madre mi ha sempre chiamato così, in realtà.>> ricordo, avvolgendo le braccia intorno alla sua vita, e sollevando la testa verso di lui.
<<Se mi avessero detto la scorsa estate che un anno dopo saremmo stati così>> ed indica con un dito il modo in cui siamo abbracciati <<Ci avrei creduto.>> scoppio a ridere, scuotendo la testa.
<<Sei tremendo, Joan.>>
<<Sono semplicemente sicuro di me e molto tenace. Ero pazzo di te, e avrei fatto qualunque cosa per conquistarti.>> mormora, sulle mie labbra, per poi baciarmi.
Dopo giorni pieni di tensione e pensieri, ora, tra le braccia del mio meraviglioso ragazzo, sotto questo sole, con questo venticello fresco, e la voce del mare, sento la pace sul mio cuore.
<<Sai di cosa avrei bisogno?>> accenno, mentre ci allontaniamo dalla spiaggia, a cui continuo a lanciare sguardi di sottecchi, come se fosse l'ultima volta che la vedrò. Sento sempre più il bisogno del mare, e la cosa mi sorprende. Ne ho paura, ma ne ho bisogno. Mi basta semplicemente sedermi sulla battigia e stare lì, a fissare l'infinito.
<<Di cosa?>> mi chiede Joan, voltandosi a guardarmi.
<<Di vestitini estivi. Quelli leggeri e fini, che ti fanno sembrare una ninfa. Ho bisogno di trovarne qualcuno che mi stia bene.>>
<<Allora che stiamo aspettando? Andiamo subito per negozi!>> esclama Joan, prendendomi per mano e rivolgendomi un largo sorriso.
<<Adesso?>>
<<Ma certo! Così ->> si blocca, mordendosi il labbro inferiore. Poi si ferma, e mi prende entrambe le mani. <<Angel, ti prego, vieni con me al Mugello. Non dirmi di no, per favore.>>
Lo osservo, non troppo sorpresa. Mi aveva già chiesto di andare con lui ad Jerez, ora che il gran premio d'Italia è alle porte, immaginavo che me lo avrebbe chiesto nuovamente.
Dopo essere tornata in circuito lo scorso mese, sento il desiderio di tornarci di nuovo. Sospiro, e accenno un sorriso.
<<E va bene.>> Joan spalanca gli occhi.
<<Dici davvero?>>
<<Davvero.>> sorrido, e Joan si china verso di me per baciarmi.
<<Non hai idea di quanto mi hai reso felice con questa risposta, mi luz.>> sussurra, prendendomi il viso tra le mani e baciandomi sulle guance. <<Quindi, andiamo subito a scovare tutti i vestiti che desideri, così potrai sfoggiarli nel paddock. Sarai un sogno, come sempre.>>
Joan, ovviamente più esperto della sottoscritta sul luogo, inizia ad addentrarsi per le vie di Palma di Maiorca. Entriamo in decine di negozi, e provo altrettanti vestiti, sotto il suo sguardo attento e carezzevole. Ballo davanti allo specchio e ridiamo insieme, e realizzo che è questa la leggerezza di cui avevo bisogno.
Alla fine acquisto diversi vestitini, e Joan ha insistito per regalarmene qualcuno.
Il giorno dopo partiamo per Firenze, e i ricordi della giornata che io e Alex abbiamo trascorso insieme in giro per la città, riempiono la mia mente.
Sembra passata un'eternità da quel giorno, non semplicemente un anno.
Il Mugello non è molto lontano da qui, dista meno di un'ora di auto.
È una splendida giornata, luminosa e piena di sole, e la campagna toscana è un paradiso.
Solo dopo diversi minuti mi ricordo che non ho fatto partire la musica, per l'ennesima volta.
Joan, in questo, mi fa un effetto strano, che mai nessuno prima aveva avuto su di me.
Collego il telefono all'auto, e faccio partire la mia playlist preferita, dove ho inserito tutte le mie canzoni preferite in assoluto.
Sorrido, mentre Wuthering Heights di Kate Bush riempie l'abitacolo.
Questa canzone ha un che di ipnotizzante. Me ne innamorai da piccola, prima ancora di leggere Cime Tempestose.
Alzo il volume e chiudo gli occhi, mentre la brezza di questa primavera toscana che entra dal finestrino spalancato mi accarezza il volto.
<<Out on the wily, windy moors
We'd roll and fall in green
You had a temper like my jealousy
Too hot, too greedy
How could you leave me
When I needed to possess you?
I hated you, I loved you, too.>>
Canticchio, posando il capo contro il poggiatesta del sedile.
<<Oh, it gets dark, it gets lonely
On the other side from you
I pine a lot, I find the lot
Falls through without you
I'm coming back love
Cruel Heathcliff, my one dream
My only master.>>
Joan si volta a guardarmi e mi sorride, lasciandomi un buffetto sulla guancia.
<<Oh, let me have it
Let me grab your soul away
Ooh, let me have it
Let me grab your soul away
You know it's me, Cathy.>>
L'improvvisa voglia di rileggere Cime Tempestose per l'ennesima volta mi prende tutt'a un tratto e sospiro, non appena la musica finisce.
Raggiungiamo il Mugello in meno di un'ora e non appena varchiamo i cancelli del circuito, ricevo un messaggio da Domizia che mi chiede se io e Joan vogliamo andare a cena con gli altri, stasera.
<<Joan, Domizia mi ha chiesto se vogliamo andare a cena con lei e gli altri stasera. Tu che ne pensi?>> Joan mi circonda le spalle con un braccio e mi attira a sé.
<<Direi che non è male come idea, ma solo se tu sfoggi quel vestitino a fiori che hai comprato ieri.>> sogghigno, scuotendo la testa.
<<Strano, ho pensato di indossare lo stesso vestito giusto un minuto fa.>>
Mi guardo intorno, mentre ci dirigiamo verso il motorhome di Joan. Spero di non incontrare Marc in questi giorni, proprio come il mese scorso.
Ultimamente l'ho incrociato troppo spesso e la cosa non va bene.
<<Scricciolo, va tutto bene?>> mi chiede Joan, chinandosi verso di me.
<<Certo. Sono solo...felice di essere qui, con te.>> mormoro, posandogli un bacio sulla guancia.
Posso evitarlo.
Posso farcela.
~·~
Verso le otto, io e Joan raggiungiamo il ristorante di cui Domizia mi ha dato l'indirizzo oggi pomeriggio.
È una serata limpida e tersa, la luna regna sovrana sulle nostre teste e il cielo è trapunto di stelle.
<<Angel, amore mio!>> mi accoglie Mig, correndo letteralmente verso di me e abbracciandomi. Scoppio a ridere mentre mi solleva.
<<Ciao Andrea, devo dedurre che sei felice di vedermi.>>
<<Molto felice, angelo del circuito.>>
<<Siamo già a questo livello?>> sogghigno, mentre lui mi strappa letteralmente dalla stretta di Joan, che mi aveva preso nuovamente per mano.
<<Assolutamente sì. Onestamente, mi chiedo come tu faccia ancora a resistermi.>> replica, non appena ci fermiamo davanti alla tavolata dove gli altri sono già seduti.
<<Non è così difficile Mig, credimi.>> si intromette Nicco, alzandosi per venire a baciarmi sulla guancia.
<<Ha parlato lui.>> ribatte Andrea, per poi farmi capire che il mio posto a sedere è accanto a lui. Joan viene a sedersi subito accanto a me, mentre Domizia, seduta dal lato opposto, mi stringe una mano.
<<Andrea, lascia perdere, Angel ha un piano in mente, far letteralmente esplodere il box dell'Estrella Galicia, scommetto 50 euro che Joan e Alex finiranno per fare a botte prima della fine della stagione.>> esordisce Pecco, per poi scoppiare a ridere, e io gli faccio il verso.
<<Mi dispiace deluderti, Pecco, io e Alex siamo dei professionisti.>> replica Joan, mostrando un largo sorriso.
<<Ma magari non vi prenderete a sberle nel box ma in privato, chi lo sa.>> continua Diggia, tra le risate.
<<Oh, siete dei cretini.>> esclama Domizia, tirando uno schiaffetto a Pecco, dietro la nuca. <<Angel, lasciati dire che sei un incanto con quel vestitino. Sembri la dea della primavera.>> arrossisco, abbassando lo sguardo.
<<Domi, sei sempre così esagerata. Anche tu sei bellissima, davvero.>>
<<Guardatela bene la mia futura ragazza, potete invidiarmi già da ora!>> Andrea riprende i suoi sproloqui, e io gli tiro il menù in testa.
<<Dovrai prima passare sul mio cadavere.>> replica Joan, e Andrea si volta a guardarlo, sconvolto.
<<Come sei savage, Mir, dietro quel faccino si nasconde un pericolo pubblico! Non dovrò passare sul tuo cadavere, se sarà Angel a scegliermi. Tesoro, ti prego, mollalo subito, presto!>> conclude, voltandosi verso di me, e prendendomi una mano.
<<Temo che ti toccherà aspettare ancora per molto, Andrea.>> sogghigno, scuotendo la testa.
<<Oh, ma basta con questi spagnoli. Prima gli italiani!>> esclama, allargando le braccia, proprio mentre il cameriere si avvicina al tavolo per prendere il nostro ordine.
<<Che idiota sei.>> non posso fare altro che commentare, dopo avergli tirato uno schiaffo dietro la testa.
Torniamo in circuito verso le dieci, e Migno, che afferma di essere leggermente brillo, anche se non noto nessuna differenza con l'Andrea sobrio, mi prende per mano, tirandomi verso il suo motorino che ha lasciato vicino all'ingresso del circuito.
<<Un giretto per le colline toscane su questo bolide, signorina?>> mi chiede, sedendosi e sogghignando.
<<Forse volevi dire per il paddock del circuito del Mugello con un motorino che raggiunge a malapena i venti chilometri all'ora.>> lo correggo, mentre vedo Joan venire verso di noi.
<<La porto io al tuo motorhome, Miraculous, tranquillo!>> esclama, mettendo in moto.
Sobbalzo per lo spavento e gli circondo d'istinto la vita con le braccia, e lui scoppia a ridere.
<<Sapevo che mi amavi, fiorellino!>>
<<In realtà è solo la paura di sfracellarmi sull'asfalto, ma l'importante è crederci, Mig.>>
<<Dammi una mano señorita
Tu puoi cambiare la mia vita!>>
Si mette a gridare nel bel mezzo del paddock, con lo sguardo rivolto alla luna e io gli prendo la testa con una mano e cerco di portare il suo sguardo verso la strada davanti a noi.
<<Non urlare, sveglierai tutti!>>
<<Chi vuoi che dorma a quest'ora, di mercoledì sera, per giunta al Mugello?>> sogghigna lui.
<<Mmh, tutti, nel paddock?>>
<<Tutti tranne me, fiorellino. Ma hai ragione, quella canzone non si adatta a te, ne ho un'altra del grande Vasco che mi fa pensare moltissimo a te.>>
<<Basta che non ti metti ad urlare e puoi cantare anche tutto il suo repertorio.>> replico, sollevando gli occhi al cielo.
<<Respiri piano per non far rumore
Ti addormenti di sera e ti risvegli col sole
Sei chiara come un'alba
Sei fresca come l'aria
Diventi rossa se qualcuno ti guarda
E sei fantastica quando sei assorta
Nei tuoi problemi, nei tuoi pensieri
Ti vesti svogliatamente
Non metti mai niente che possa attirare attenzione
Un particolare, per farti guardare
E quando guardi con quegli occhi grandi
Forse un po' troppo sinceri, sinceri, sì
Si vede quello che pensi, quello che sogni!>>
Canta, fermandosi poco distante dal motorhome di Joan, e voltandosi verso di me, per poi prendermi una mano. Gli faccio un applauso.
<<Bravissimo, se ti andrà male come pilota potrai sempre puntare su una carriera da cantante.>> sogghigno, scuotendo il capo.
<<Io ti faccio una serenata e tu mi liquidi così, mi hai spezzato il cuore.>> Scoppio a ridere e gli poso un bacio sulla guancia.
<<Grazie Mig, sei un tesoro.>>
D'improvviso, oltre il muro che delimita il circuito poco distante da noi, sentiamo degli schiamazzi e gente che intona canzoni e parole che non riesco a capire.
<<Al Mugello non si dorme, fiorellino.>> mi ricorda Migno, facendomi l'occhiolino.
Gli altri ci raggiungono, giusto per salutarci, e Joan mi prende per mano, per aiutarmi a scendere dal motorino di Migno. Nicco e Diggia trascinano letteralmente via Andrea che non ne voleva sapere di andarsene, e restiamo solo io e Joan.
<<Stasera Andrea mi sembrava parecchio scatenato.>> inizia lui, sogghignando.
<<Sai com'è fatto Andrea, è un idiota, anche se un adorabile idiota.>>
<<Lo so bene, infatti non mi preoccupo minimamente di Mig.>> replica, avvolgendomi le spalle con un braccio, e chinandosi verso di me, per posarmi un bacio sulla testa. Saliamo gli scalini del motorhome e, in quel momento, il telefono di Joan inizia a squillare.
Io apro la porta nel frattempo, ed entro. Il motorhome di Joan è decisamente più piccolo di quello di Marc, ed è molto più adatto alla sottoscritta.
<<Tesoro, devo andare un attimo nel motorhome dell'Estrella Galicia, Xavier ha bisogno di me per non so ancora bene cosa. Vengo subito, te lo prometto.>>
<<Oh...okay. A quest'ora?>> riesco solo a dire, mentre lui mi posa un bacio sulla testa, ma si ferma subito.
<<Proprio per questo non ho capito quale sia il problema. Pareva parecchio agitato, preferisco andare a controllare. Comunque>> tira fuori dalla tasca dei jeans una chiave <<ho fatto fare una copia della chiave che apre il motorhome, per te, così non avrai nessun tipo di problema.>> me la porge, con un sorriso, per poi riprendere la sua, ancora infilata nella toppa della porta, e chiudersela alle spalle.
Mi guardo intorno, e osservo il piccolo salotto silenzioso, ma, in questo momento, restare immersa nel silenzio mi procura un peso al centro del petto. Esco dal motorhome e vado a sedermi sulle scale, la confusione in lontananza dei tifosi che arriva fino a qui. Peccato per le luci quasi accecanti del paddock, con un cielo così terso sarebbe stato possibile persino vedere le stelle.
Osservo la luna, fino a quando non sento delle voci oltre il muro davanti alla zona dei paddock.
Da quel poco che riesco a capire, nonostante urlino quasi, i tizi in questione vogliono provare a vedere se riescono a lanciare qualcosa oltre il muro. Ci manca solo di ritrovarsi oggetti o cose varie nella zona privata a causa di quattro deficienti, anche se non ho idea di quanti effettivamente siano.
Dopo diversi minuti, vedo qualcosa oltrepassare il muro e cadere a terra, dopo parecchi metri.
Scuoto la testa, sospirando, mentre i tizi dall'altra parte esultano come se avessero segnato un gol al 90esimo.
Dopo qualche istante però, mi pare quasi di vedere muoversi l'oggetto in questione che quegli individui hanno lanciato in aria. Sento il cuore iniziare a battere per l'agitazione, perché da questa distanza e a causa della mia miopia, non ho idea di che cosa sia. Decido di farmi coraggio e provare ad avvicinarmi. A piccoli passi mi avvicino, fino a quando non sento una fitta al cuore e le ginocchia tremare, mentre l'orrore e il disgusto mi investono.
La cosa in questione non è altro che un gattino che ormai pare non riuscire quasi più a muoversi.
<<Oh mio dio!>> quasi grido, per il dolore che sento al centro del petto. Mi lancio verso di lui, mentre la mia vista si appanna e mi rendo conto di star letteralmente piangendo a dirotto.
<<Che il cielo vi fulmini, esseri disumani!>> urlo, osservando il muro di cemento poco distante da me, per poi singhiozzare.
Cosa posso fare, sembra avere diverse ossa rotte, ma non posso muoverlo o potrei peggiorare la situazione. Mi metto letteralmente a singhiozzare davanti a lui, che sibila un 'miao' strozzato.
Devo fare qualcosa o rischierà di morire davanti ai miei occhi, ma come posso spostarlo con il minimo rischio?
<<Angel!>>
Sollevo la testa di scatto, ma ho gli occhi così pieni di lacrime e la luce fortissima che illumina il paddock che quasi mi acceca.
<<Cosa succede?>>
È Marc.
Singhiozzo e prendo un lembo del vestito per asciugarmi gli occhi.
<<Dei...dei mostri hanno lanciato questo gattino oltre il muro e...dio, guardalo, non si muove quasi più, ma non posso muoverlo o peggiorerò la situazione, io ->>
<<Beh, non è già terribile, la situazione? Se non lo muoviamo morirà qui, se almeno ci proviamo...potremmo dargli una speranza.>> annuisco subito, perché ha ragione.
<<Come possiamo spostarlo?>> gli chiedo, guardandomi intorno. Ho letteralmente dimenticato tutto quello che mi hanno insegnato in canile, e Marc pare capirlo.
<<Mi dicesti che per trasportare un animale ferito o con sospette fratture multiple bisognerebbe posizionarlo su una barella o qualcosa del genere, come un pezzo di cartone, del legno o cose simili e avvolgerlo in una coperta.>> annuisco e inizio a ricordare.
<<E bisogna legarlo delicatamente alla barella se si sospettano fratture alla schiena. Dovrei avere tutto, vengo subito.>> corro verso il motorhome e recupero un pezzo di cartone da uno scatolone colmo di scartoffie in salotto, un asciugamano e il nastro per legare il gatto.
Torno da Marc e poso tutto davanti a me. Prendo un respiro profondo e lo guardo negli occhi, che paiono più lucidi del solito.
<<Prendiamolo insieme, delicatamente. Tu davanti, io dietro, va bene?>> Marc annuisce, e molto delicatamente, facciamo scivolare le mani sotto il corpo del gattino, e lo avvolgiamo nell'asciugamano, per poi spostarlo sul cartone. Sento le dita di Marc, calde, sfiorare le mie, ma non faccio quasi caso a quel brivido che mi scorre lungo la schiena.
<<Ora dovrò portarlo in un centro veterinario notturno, se c'è da queste parti.>> dico, trafelata, dirigendomi verso il motorhome, per recuperare la borsa. Joan ha lasciato qui le chiavi dell'auto, e anche se l'idea di guidare al buio, da sola, in un posto che non conosco non mi faccia impazzire, anzi, mi faccia venire l'ansia, devo farlo.
<<Dovremo, vorrai dire. A quest'ora, da sola, tu non vai da nessuna parte.>>
Marc mi ha seguito, e si ferma lì, sulla soglia della porta d'entrata.
<<Ho cercato su internet e c'è un centro poco lontano da qui, non dovremo metterci molto. Vado a prendere il motorino, vengo subito.>> Marc sparisce dalla mia vista, e io recupero tutto quello di cui ho bisogno, per poi chiudere la porta del motorhome. Forse dovrei avvertire Joan, perché sicuramente, tornerà al motorhome prima di me, ma al momento ho le mani già abbastanza impegnate. La figura di Marc a bordo del motorino con i colori della Honda e il numero 93 si palesa ai miei occhi. Si sposta leggermente in avanti per permettermi di sedermi dietro di lui, e lo raggiungo. Mi porto il gattino al petto, e partiamo. Si ferma accanto a quella che deve essere la sua auto per questa settimana, e usciamo dal circuito.
Accarezzo con un dito la testa del cucciolo, e sento i miei occhi riempirsi nuovamente di lacrime.
Come si può fare una cosa del genere ad una creatura indifesa, che non ti ha fatto niente di male?
Come si può fare del male ad un animale?
Dopo diversi minuti Marc si ferma e sollevo il capo. Leggo subito l'insegna del centro veterinario aperto 24 ore su 24 e scendo dall'auto.
Dobbiamo fare in fretta.
Spalanco la porta e mi lancio letteralmente all'interno.
Un uomo, con indosso un camice bianco, mi viene incontro.
<<Questo gattino...penso che abbia diverse fratture, è stato...è stato lanciato da parecchi metri.>> spiego, in piena agitazione.
<<Ora lo visitiamo subito, non si preoccupi signorina.>> lo seguo, ma resto comunque a debita distanza mentre visita il cucciolo, non vorrei essere di troppo.
<<È stata lei a prestargli soccorso?>> mi chiede, guardandomi attraverso gli occhiali. Mi limito ad annuire, incerta.
Ora mi dirà che ho fatto un disastro.
<<È stata molto brava, complimenti.>>
Socchiudo le labbra, sorpresa, e accenno un sorriso.
<<Grazie, io...facevo la volontaria in canile.>>
<<E tu ti sminuisci sempre.>>
Sobbalzo, quando sento la voce di Marc alle mie spalle. Mi volto a guardarlo.
<<Mi hai fatto prendere un colpo.>>
<<Scusami.>> soffia, gli occhi lucidi e le pupille dilatate.
<<Potete aspettare in sala d'aspetto, se volete.>> ci informa il medico veterinario e annuisco nuovamente, mentre lui viene verso di noi per chiudere la porta.
<<Non avresti dovuto venire. Chissà quanto tempo ci vorrà, e tu non puoi perdere tempo qui, devi tornare in circuito. E anch'io dovrei...>> concludo, a bassa voce, e tiro fuori il telefono dalla borsa. Devo avvertire Joan, dirgli che tornerò presto e non deve preoccuparsi.
<<Tranquilla, non ci vorrà molto. Al limite, puoi lasciare il tuo numero di telefono così ti terranno informata.>> replica Marc, appoggiandosi contro il muro alle sue spalle e infilando le mani nelle tasche dei pantaloncini che indossa.
Abbasso il capo, e sento una fitta allo stomaco nel realizzare quanto starà soffrendo quel cucciolo, a causa di quattro scarti che dovrebbero essere inghiottiti dalla terra.
Singhiozzo, perché odio vedere creature innocenti soffrire.
Mi sento male, sia fisicamente che nel profondo dell'anima.
Riapro gli occhi, e le scarpe di Marc entrano nel mio campo visivo. Sollevo la testa, e lo vedo, in piedi, davanti a me.
Accenna un tenero sorriso, e mi accarezza la guancia con il pollice, asciugandomi una lacrima.
<<Non piangere, Angel. Se la caverà, il cucciolo.>> mi alzo, perché detesto che mi si parli dall'alto, e scuoto la testa.
<<È che...soffro nel vedere queste cose.>>
<<Sì, ti conosco. So chi sei.>> mormora, gli occhi che scrutano intensamente il mio viso.
Lo osservo per diversi istanti, perdendomi nei suoi occhi scuri, così profondi e così belli, e un sospiro mi sale alle labbra.
Lo abbraccio, con uno slancio che sembra dire tutto, o forse niente.
Marc si avvinghia letteralmente a me, fa scorrere le mani lungo la mia vita, per poi serrarle e stringermi talmente forte, da farmi quasi pensare che voglia diventare un tutt'uno con me. Affonda il viso tra i miei capelli e lo sento respirare forte, come se stesse riassaporando dopo mesi il profumo dell'aria, la sensazione di sentirla nuovamente riempire i polmoni.
Mi lascio andare letteralmente contro di lui, e solo dopo diversi istanti mi accorgo di quanto la pelle di Marc sia calda, emana un calore intenso che sembra quasi provenire dal profondo di lui.
Scosto il viso per poterlo guardare e poso entrambe le mani sulle sue guance.
<<Marc, dio, ma tu stai letteralmente bruciando!>> esclamo, sconvolta, toccandogli poi la fronte. Lui sogghigna.
<<Te ne sei accorta solo ora?>>
Ignoro la sua battuta e scuoto la testa.
<<Che diavolo ti è saltato in mente? Tu dovresti essere nel tuo motorhome, nel tuo letto!>>
<<Avevi bisogno di aiuto. Avevo la finestrella aperta e ti ho sentito, e sono venuto da te.>>
Sento qualcosa di caldo avvolgermi il cuore, ma non devo perdere il controllo. Non devo essere debole.
<<Non hai preso niente per far abbassare la febbre?>>
<<In clinica mobile mi hanno dato del paracetamolo. Ne ho presa una prima di cena.>>
<<Non posso crederci, non posso crederci!>> ripeto, alzando la voce. <<Dobbiamo andare via subito, tu devi tornare al motorhome.>> mi avvicino alla saletta dove si trova il medico, e busso contro la porta. La apro poi, piano.
<<Mi dispiace, ma devo scappare. Lascio qui il mio numero>> e lo scrivo velocemente su un pezzo di carta <<per sapere come sta il cucciolo. Grazie infinite e a presto.>> non aspetto neppure che il medico mi risponda, corro da Marc e lo prendo per un braccio.
<<Guarda che so camminare da solo!>> esclama, mentre usciamo dal centro.
<<Taci, sei un incosciente e la cosa mi sorprende! Qui si tratta del tuo lavoro e tu invece di restare sotto le coperte, che fai? Te ne vai in giro. Sali in macchina e non discutere. Guido io.>> mi infilo gli occhiali, e tendo la mano verso di lui, aspettando che mi dia le chiavi dell'auto. Sulle sue labbra si disegna un sorrisino compiaciuto.
<<Mi piace quando mi rimproveri e mi comandi a bacchetta. Mi è sempre piaciuto.>> lo guardo male, continuando a tendere la mano.
<<Qual è la canzone che Migno ti stava cantando? Non ho capito bene le parole, ma una frase mi ha colpito.>>
<<Se te la canto poi sali in macchina?>>
<<Lo prometto.>> replica, portandosi una mano al petto.
Sospiro, poi inizio a canticchiare Albachiara. Sento lo sguardo di Marc su di me, ma io tengo il mio basso, come ogni volta che canto. Quando lo rialzo, all'ultima strofa catturo il momento in cui i suoi occhi scorrono lentamente su di me, mentre si morde il labbro inferiore.
<<No, sbagliavo. Ogni strofa parla di te. Anche se non ti vesti sempre svogliatamente. A volte, hai voglia di mostrare al mondo la tua classe e la tua eleganza.>> allunga una mano verso di me, e mi porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Non riesco a smettere di guardarlo.
<<Ma è vero...quando guardi con quegli occhi così grandi...si vede davvero quello che pensi e che sogni.>>
Un brivido mi scuote tutta e scosto lo sguardo.
<<Le chiavi.>>
Marc mi osserva ancora per qualche istante, per poi infilare una mano in tasca e tirare fuori la chiave, che mi porge.
<<Sei uno schianto con quel vestitino addosso. È dal primo istante in cui ti ho visto che volevo dirtelo.>> dice, guardandomi da sopra il tettuccio dell'auto.
Mi mordo il labbro inferiore e mi sistemo meglio gli occhiali.
<<Grazie.>> soffio, e saliamo in macchina ma proprio nel momento in cui sto per mettere in moto, sento il cellulare suonare, nella borsa. Lo recupero in fretta, e quando leggo il nome di Joan, sospiro.
<<Joan?>> lo chiamo, titubante.
<<Angel, ma dove diavolo sei?>> risponde subito, il tono preoccupato.
<<Davanti al centro veterinario notturno.>>
<<Cosa? Ma...perchè?>>
<<Non appena sei andato via, dei mostri hanno lanciato un gattino oltre il muro che delimita la zona privata, e...l'ho portato qui, di corsa. Ora sto per tornare, sarò lì fra dieci minuti. Mi dispiace di averti fatto preoccupare, tesoro, davvero.>> lo sento sorridere.
<<L'importante è che stai bene, non avevo idea di dove fossi. Ti aspetto.>>
Accenno un sorriso e chiudo la chiamata.
Metto nuovamente in moto, e parto alla volta del circuito. Ricordo la strada che ha fatto Marc all'andata, quindi sono relativamente tranquilla. Il tragitto è silenzioso, Marc non dice una parola, probabilmente starà iniziando a sentirsi peggio.
Varchiamo i cancelli del circuito e parcheggio l'auto al suo posto. Marc sale subito sul suo motorino, e mi aspetta, voltandosi di poco verso di me.
Mi siedo dietro di lui, poggiando una mano sulla sua spalla e raggiungiamo la zona privata. Si ferma davanti al motorhome di Joan.
<<No, Marc, vai avanti, tu devi tornare al tuo motorhome, io tornerò a piedi.>>
<<Il caro Joan perfezione Mir è già in pensiero, non puoi farlo attendere oltre.>> replica, con una punta di acidità nella voce.
Mi mordo la lingua per la voglia di ribattergli a tono, perché non ha nessun diritto di fare il geloso, ma non mi sembra il momento, ora.
<<Due minuti in più o in meno non cambieranno le cose.>>
<<No, Angel, davvero, vai. Ce la faccio a fare dieci metri senza di te, tranquilla.>> replica, senza guardarmi, e decido di ascoltarlo.
Ha cambiato umore, e questo è il suo modo per farmi capire che vuole restare solo. Scendo dal motorino e mi tolgo gli occhiali.
<<Grazie, per tutto. Rimettiti in fretta, domenica c'è la gara.>>
<<Lo farò.>> si limita a dire, per poi riprendere il suo cammino.
Resto lì, in piedi davanti alle scale del motorhome di Joan a fissarlo mentre si allontana e sento un vuoto al centro del petto.
Dovrei semplicemente lasciar andare tutto quanto, farlo uscire dalla mia mente eppure, una parte di me è spaventata da questa eventualità.
È spaventata all'idea di dimenticarlo, di andare avanti senza averlo nella mia vita.
La parte più irrazionale di me non vuole cancellarlo, non vuole dimenticarlo.
Alzo gli occhi al cielo, e cerco di opprimere quella sensazione di disperazione che si agita nel mio petto.
È tempo di andare a dormire, perché il sonno è l'unica cosa che mi permette di smettere di pensare.
~·~
Il giorno dopo faccio il mio solito giro della pista, e, dopo pranzo, vado a sedermi sugli spalti per leggere un po'. Verso le sei del pomeriggio mi arriva un messaggio di Joan che mi chiede di raggiungerlo al prato numero 58.
Quando arrivo, lo trovo seduto a fissare l'orizzonte. Aumento il passo.
<<Scricciolo.>> mormora, non appena mi siedo accanto a lui, posandomi un bacio leggero sulle labbra.
<<Sai che giorno è oggi?>>
<<Mh, il 31 maggio?>> rispondo, titubante. Joan fa roteare gli occhi. <<Sì, e poi?>>
<<Ah già, giovedì 31 maggio 2018.>> preciso, mostrandogli un largo sorriso. Joan sbuffa una risata e scuote la testa.
<<Esattamente un anno fa ci incontravamo su questo prato, e iniziava il mio piano di conquista. E sapevo che presto avrei vinto.>> mi volto a guardarlo, portandomi le mani al viso.
<<Ma certo, è vero! Come ho potuto dimenticarlo? È che io sono una frana con le date e le ricorrenze, scusami biondino. Un anno fa il ragazzo più dolce e sfacciato del mondo entrava nella mia vita e non hai idea di quanto io ne sia felice.>> gli prendo il viso tra le mani e lo bacio, affondando le dita tra i suoi capelli.
<<Finirai per togliermi il fiato del tutto, scricciolo.>> mormora Joan sulle mie labbra. Mi fa sedere sulle sue gambe e mi porge un pacchettino.
<<Dato che questo sarà il nostro primo anniversario di tanti che vivremo insieme, questo è anche il primo regalo per celebrare il giorno in cui ho rivolto la parola per la prima volta alla ragazza della mia vita.>> lo osservo, commossa, e gli poso un bacio sulle labbra.
<<Oh Joan, ma io non ti ho preso niente!>>
<<Non importa, piuttosto, apri il pacchetto.>> faccio come dice e ci trovo un dépliant sulla città di Venezia.
<<Stai cercando di dirmi qualcosa?>> sogghigno, guardandolo confusa. Lui scuote la testa, sorridendo.
<<Ti va di trascorrere tre giorni con me, a Venezia?>>
Sento il mio viso illuminarsi, e gli circondo il collo con le braccia.
<<Venezia, quella Venezia?>>
<<Ne conosci altre?>> ride lui, e io lo abbraccio.
<<Oh tesoro, eccome se voglio! Non vedo l'ora!>> gli ricopro le guance di baci, e lui sogghigna.
<<Mi sembri molto felice.>>
<<Tanto!>> lo stringo ancora più forte e lui si alza in piedi, tenendomi stretta. <<Prima però mi devi regalare una bella gara.>>
Joan si porta una mano al cuore.
<<Sarà fatto. Ma so già che non ti vedrò al box, vero?>>
<<No.>> rispondo subito, scuotendo la testa.<<Non posso farcela, Joan, c'è Alex dall'altra parte. Seguirò tutto dall'hospitality dell'Estrella Galicia. So che avresti voluto vedermi al box, ma ->>
<<Non ha importanza, Angel, davvero. Va bene comunque, anzi. Ho te, mi basta questo.>> replica, posandomi un bacio leggero sulle labbra.
Andrò a Venezia, non posso crederci.
Sono così felice.
~·~
Le qualifiche di Joan non sono andate male. Partirà dalla nona posizione, quindi, posso reputarmi soddisfatta.
Alex invece, partirà dalla terza casella e sono davvero felice per lui. Spero che domani riesca a disputare una bella gara.
Marc invece, partirà dalla sesta casella in griglia di partenza. Questo weekend sembra un po' in difficoltà, chissà se sta ancora poco bene.
Ho pensato tutto il pomeriggio se andare o meno a sapere come sta, con la testa e l'orgoglio che mi urlavano di non farlo e il cuore che invece mi chiedevano di provare ad essere almeno un po' gentile, dopo l'aiuto che mi aveva dato giovedì.
Dopo cena, avverto Joan dicendogli che andrò a fare due passi, ed esco. Mi incammino per l'area privata e inizio a cercare il motorhome di Marc.
Quando lo trovo, resto a bocca aperta.
Non è più quello della scorsa stagione.
Ora è più grande, se possibile, i colori del nero più cupo e il rosso più intenso, e se da un lato c'è il suo numero, in grande, dalla parte opposta c'è quello di Alex.
Mi schiarisco la voce e salgo gli scalini che conducono alla porta.
Sento una strana agitazione al centro del petto, e non posso permettermelo. Non posso sembrare insicura di me.
Busso contro la porta e dopo qualche istante la vedo aprirsi.
<<Angel!>> la voce sorpresa di Alex arriva alle mie orecchie, così come il suo sguardo quasi incredulo.
<<Alex, ciao! Come stai?>> gli chiedo, sinceramente contenta di vederlo.
<<Bene, tu?>>
<<Anch'io, grazie. Oh, complimenti per la prima fila! Sei stato bravissimo, mi raccomando domani.>> Alex annuisce, sorridendo.
<<Vuoi Marc?>> mi chiede, per poi sbattere le palpebre come se si fosse reso conto di aver detto qualcosa di sbagliato. <<Intendevo dire: vuoi parlare con Marc?>>
<<Avevo capito, tranquillo.>> lo rassicuro, arrossendo. <<Volevo solo sapere come stava. Gli è passata la febbre?>> Alex mi guarda, confuso.
<<Come fai a sapere che aveva la febbre?>>
<<Lo avrà sentito da qualcuno, immagino, non è così?>> esordisce Marc, apparendo alle spalle del fratello, che si sposta per far sì che lo affianchi.
Marc mi osserva per diversi istanti, come a volermi far capire che devo assecondare la sua versione.
<<Oh, certo. Sì, stamattina, da due tizi della Honda.>> sogghigno, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
<<Oh, capisco. Beh, vi lascio soli. Grazie per essere passata, Angel.>> Alex sparisce, non prima però di dare un colpetto sulla schiena di Marc.
Restiamo in silenzio per diversi secondi a guardarci, poi abbasso lo sguardo.
<<Come stai?>> gli chiedo.
<<Meglio, grazie. Giovedì ho avuto ancora qualche linea di febbre ma ora sto meglio.>>
<<Sono contenta.>> riesco solo a dire.
<<E il gattino? Hai saputo qualcosa?>>
<<Nessuna lesione alla schiena, per fortuna, ma ha tutte e quattro le zampe rotte. Ma l'importante è che se la caverà.>>
<<Sì, questo è l'importante.>>
<<Ti ringrazio ancora, Marc, per avermi aiutato. Sei stato davvero...sei stato davvero un tesoro.>>
Vedo un lampo passare nel suo sguardo non appena quella parola lascia le mie labbra. I suoi occhi si incupiscono e tremano sotto le ciglia e la sua mascella si contrae.
<<Non ho fatto nulla. Ora scusami, ma...sono un po' stanco.>>
<<Certo. Buona fortuna per la gara di domani.>>
<<Grazie.>> si limita a dire e io distolgo lo sguardo dal suo.
Non ho idea del perché, ma guardarlo mi fa quasi male.
E ora più che mai, lo sento distante, freddo come non è stato mai.
Che forse abbia iniziato a capire che è tutto finito tra noi?
Lo saluto con un cenno della mano e torno sui miei passi.
Accidenti a me, perché sento gli occhi pungermi per le lacrime?
Mi sento una sciocca.
Mi fa così male vedere quanto siamo lontani l'uno dall'altro?
Ma era quello che volevo, è quello che voglio, quello che è giusto.
Probabilmente è normale.
È normale sentire questo vuoto al centro del petto, sentirsi persi, dopo sei anni di amicizia.
È normale dopo aver trascorso praticamente ogni giorno insieme, anche se distanti a causa delle gare.
È normale sentirsi così dopo aver realizzato di aver perso per sempre il proprio migliore amico.
Ma so che passerà.
Deve passare.
~·~
Seguire le gare dall'hospitality è tutta un'altra cosa.
Ma seguirle quando il tuo ragazzo riesce ad arrivare sul podio è anche peggio.
Ora mi toccherà raggiungere il parco chiuso, per festeggiare il primo podio in Moto2 di Joan.
Corro in pitlane e quando Joan mi intravede, mi fa cenno di avvicinarmi al parco chiuso.
Il suo team mi fa passare, e Joan mi abbraccia.
<<Sei venuta per la prima volta con me ad un gran premio e salgo sul podio per la prima volta da quando sono arrivato in Moto2. Sei un portafortuna, scricciolo.>> sussurra, al mio orecchio.
<<Cretino.>> mormoro. <<Sei stato fantastico.>> gli poso un bacio sulla guancia e dopo le interviste al parco chiuso, sale sul podio.
Mentre l'inno portoghese riempie il circuito, inizio a pensare alla gara di MotoGP che partirà tra poco.
La mia solita agitazione inizia a prendermi allo stomaco.
Spero che vada tutto bene per Marc.
Torno poi all'hospitality, e attendo l'inizio della MotoGP.
Il mio sguardo si focalizza su Marc in griglia di partenza, come al solito.
Non posso fare a meno di pensare che ci sono stata io accanto a lui in Asia, poi a Valencia.
Ora, invece, c'è un'altra.
O meglio: ora c'è Paola.
Quella Paola.
Sento il cuore farmi male, la rabbia infiammarmi il sangue.
Dio, perché sto reagendo in questo modo?
Cosa me ne può importare di chi gli tiene l'ombrello in griglia di partenza?
Cosa me ne può importare di lui con lei?
Cerco di reprimere ogni emozione e mi concentro sull'inizio della gara.
Lorenzo parte a razzo, e anche Marc parte bene, conquistando la terza posizione.
Solo che, al quarto giro, scivola nella ghiaia.
Le urla di gioia e gli applausi che si sentono fin qui mi mandano letteralmente in bestia, e auguro mentalmente a tutti un bel cagotto, come al mio solito.
Vedo che Marc riesce a ripartire, e alla fine, conclude la gara in sedicesima posizione.
Sbuffo, ed esco dall'hospitality.
Incontro Domizia nel paddock e restiamo un po' a parlare, poi, verso le cinque, riprendo il mio giro.
Passo vicino alla clinica mobile e noto il motorino di Marc fermo davanti all'ingresso.
Si è fatto male?
O sta solo facendo fisioterapia?
Quando lo vedo uscire, sento un brivido lungo la schiena. Gli occhi di Marc si posano subito su di me e lì rimangono.
Mi avvicino, a piccoli passi.
<<Ti sei fatto male?>> gli chiedo subito e lui solleva le spalle.
<<Più che altro nell'orgoglio.>> replica, ma noto che ha una medicazione sul gomito, e una sul ginocchio.
<<E questo...?>> gli chiedo, sfiorandogli il braccio con la punta delle dita, e lui si ritrae come se scottassi. Inarco un sopracciglio.
<<Gradirei...che tu non mi toccassi.>> dice, lentamente, alzando gli occhi su di me. Lo osservo, sorpresa, e sento una fitta al petto. Sogghigno e mi allontano da lui.
<<Certo, come vuoi, non c'è problema, figurati.>> replico. <<Comunque, mi dispiace per come è finita la gara. Tutto qui.>>
Senza attendere una risposta, mi allontano da lui, la rabbia che mi prende, unito a quel dolore sordo al centro del petto.
Ma va bene così, va decisamente bene così.
Non vuole che lo tocchi?
Perfetto, neppure io gradisco più sentire il suo tocco su di me.
Mi fa infuriare il fatto che io ne soffra, come una stupida.
E provo solo rabbia per me stessa.
~·~
Joan, per festeggiare, ha deciso di andare a cena in un ristorante poco distante da qui, immerso nelle colline toscane.
Il locale è pieno e sembra un posto decisamente accogliente.
Un cameriere viene ad accoglierci all'ingresso, e ci invita a seguirlo, per condurci al tavolo che Joan ha ordinato.
<<Joan Mir! Anche tu qui?>> quando mi volto e scopro a chi appartiene la voce che ha appena parlato, ogni parte del mio corpo si irrigidisce.
Paola gambelunghe.
E quando vedo la persona che è a cena con lei, seduta dal lato opposto, sento il cuore precipitare giù, in un pozzo profondo e le ginocchia paiono quasi cedermi per un istante.
<<Paola, ciao! Sono venuto a cena con la mia ragazza, per festeggiare il primo podio della stagione. Lei è Angel, Angel, questa è Paola, fa l'ombrellina in MotoGP.>>
<<Paola gambe lunghe...>> soffio, a voce così bassa che neppure io stessa riesco a sentirmi.
<<Angel? Interessante, molto interessante...>> cinguetta Paola, lanciando uno sguardo a Marc davanti a lei.
<<Interessante?>> ripeto, inarcando un sopracciglio.
<<Sì, mi ricorda qualcosa, ma in questo momento mi sfugge...ma non importa. Immagino che lui non abbia bisogno di presentazioni...>> e indica Marc con una mano.
<<Ovviamente...>> concordo, ironica, voltandomi a guardarlo. Lo vedo osservare con rabbia Paola, poi alzare lo sguardo su me e Joan.
<<A proposito Marc, dispiace per la gara. Ma vedrai, ti rifarai alla prossima.>> alzo lo sguardo su Joan e stringo più forte la presa sulla sua vita e lui si china a guardarmi, sorridendo e attirandomi più vicino a sé.
<<Cercherò di dare il massimo, sicuramente. Oggi ho fatto uno stupido errore da principiante, chissà che diavolo mi è passato per la testa. Complimenti a te per il tuo podio, invece. Sei stato bravo.>> replica Marc, la voce priva di emozione.
<<Grazie. Diciamo che Angel è stata un ottimo portafortuna. È venuta per la prima volta ad una gara, ed io ho fatto podio!>>
<<Cretino, io non c'entro nulla.>> replico, scuotendo la testa.
<<Oh, ma allora dovrai seguirlo a tutte le gare!>> commenta Paola, scostando una ciocca di capelli biondi.
<<Per me non sarebbe una cattiva idea, anzi...>> accenna Joan, guardandomi di sottecchi.
<<Te lo scordi, Joan.>> ribatto, inarcando le sopracciglia.
<<Già lo sapevo, mi luz, mi bastano i giorni che trascorreremo insieme a Venezia.>> si china verso di me e mi posa un bacio sulla testa.
<<Andate a Venezia?>> chiede Paola.
<<Sì, fino a mercoledì.>> afferma Joan, con un largo sorriso.
<<Beh, allora divertitevi. Siete così carini insieme, non trovi Marc?>> il sorrisetto compiaciuto dipinto sulle labbra di Paola mi colpisce, perché non riesco a interpretare il suo atteggiamento con Marc, ma quando mi volto a guardare quest'ultimo, il suo sguardo si imprime dietro le mie palpebre. Non ho mai visto così tanta rabbia, nei suoi occhi. Sembrano in fiamme, capaci di uccidere qualcuno con una semplice occhiata. Il viso contratto, la mano che stringe il tavolo con così tanta violenza che rimango senza parole.
Pare un felino pronto ad attaccare.
<<Joan, forse sarà meglio andare. Vi stiamo disturbando da troppo tempo. Godetevi il resto della serata.>> esclamo, con un sorriso, e Joan lascia la presa sulla mia spalla giusto per prendermi per mano.
<<Buona serata, ragazzi!>> ci saluta Paola, mentre ci allontaniamo.
Raggiungiamo il nostro tavolo e cerco di non pensare a Marc, a quello sguardo, a quegli occhi, alle sue dita che si tendono per stringere il legno del tavolo.
Cerco di non pensarci e mi godo la serata con Joan.
<<Biondino, ti dispiace se io vado a prendere una boccata d'aria, mentre aspetto che il cameriere ti porti il conto? Non ce la faccio a stare qui dentro, con tutta questa gente.>> affermo, guardandomi intorno, non appena terminiamo la nostra cena.
Conosco quel peso al centro del petto che mi opprime già da diversi minuti, quel nodo alla gola, il batticuore.
Ho bisogno di uscire.
<<Assolutamente, vai, anzi>> tira fuori le chiavi dalla tasca dei jeans <<Se vuoi, aspettami direttamente in macchina. Farò il più presto possibile, scricciolo.>>
Accenno un sorriso, ed esco dal ristorante.
Mi porto una mano al petto e cerco di prendere respiri molto profondi.
Resto ad occhi chiusi e lentamente, riesco a riprendere il controllo di me stessa, anche se quel peso al centro del petto non è ancora svanito.
<<Dov'è finito Perfezione Mir? Se l'è svignata prima della vostra "fuga d'amore"?>>
Cerco di ignorare quella voce, di non pensare alla rabbia che mi prende al sentire quelle parole, ma non ci riesco.
Non ci riesco mai.
<<E tu invece dove hai lasciato Paola gambelunghe? Si starà già preoccupando.>>
<<Almeno non prende la residenza sulla mia spalla come qualcun altro.>>
<<Forse perché preferirebbe prenderla da un'altra parte, Marquez.>> ribatto, rivolgendogli un sorrisetto ironico. <<E, tanto per la cronaca, se a me piace avere le mani di Joan addosso, tu stai muto. La cosa non ti riguarda. Dio, hai anche la faccia tosta di parlare quando dovresti stare zitto. Se siamo a questo punto, è colpa tua. Solo colpa tua. Non puoi mettere bocca in cose che non ti riguardano più. Non hai questo diritto. Non lo avresti avuto neppure se stavi con me, figurati se lo avresti ora, dopo quello che è successo. E ho notato come stai soffrendo, immagino, è una grande sofferenza.>> concludo, inarcando un sopracciglio e sorridendo.
Marc spalanca gli occhi.
<<Fantastico, ora anche questo! Dici che dovrei rinchiudermi in casa a piangere, Angel? Avanti, è questo che vuoi? Perché dopo che mi hai mollato dall'oggi al domani, ci ho messo settimane per provare a cercare di farti uscire dalla mia mente, quando io, io non ti avevo dato il permesso di entrare nella mia fottutissima testa. Ho provato ad odiarti, a cancellarti, ma la realtà mi viene sbattuta in faccia ogni volta che ti vedo e sento il cuore mancare un battito e poi esplodermi nel petto. Cosa vuoi che faccia, di più?>>
<<Nulla. Assolutamente nulla. Non voglio che tu faccia niente. Lasciami in pace e torna da lei. È sempre stata lei quella adatta a te, in fondo. Ti è sempre piaciuta e guarda un po' da chi è che sei tornato, ora? Torni da lei ciclicamente perché lei rappresenta tutto quello che ti piace e desideri davvero. Come puoi non capire che quello che c'è stato tra noi è stato solo...>>
<<Sesso, non è vero? È questo, quello che stavi per dire! Angel, cazzo, tu non hai neppure idea di che cosa significhi fare sesso con qualcuno. Non lo hai mai fatto, come puoi dire cosa è sesso e cosa no? È stato amore per Alex, e lo sarà sicuramente anche per Mir. E lo è stato ancora di più per me. Tu hai sempre e solo fatto l'amore, non puoi conoscere la differenza tra l'amore e il sesso, e credimi, è abissale. È tutta un'altra cosa. E sai perché?>> si avvicina talmente tanto a me, che il suo viso riempie tutto il mio campo visivo.
<<Perché preferirei restare qui a litigare con te, che andare a fare sesso con lei. Perché preferirei di gran lunga discutere con te per ore che fare sesso con chiunque altra. Con chiunque altra che non è te. Lo capisci, Angel? Sei tu l'unica che voglio, l'unica che ho sempre voluto. Sempre.>> soffia, sfiorandomi la punta del naso con la propria, e un brivido mi scuote fin nelle viscere.
<<Pensavo che non volessi che io ti toccassi.>> gli ricordo, ironica e vedo i suoi occhi fremere sotto le ciglia.
<<Solo perché più mi tocchi, e più realizzo che mi riesce sempre più difficile resisterti.>>
Allontano di scatto la testa da lui, sconvolta, e sento d'improvviso il respiro smorzarsi in gola, il cuore rallentare drasticamente i battiti e mi pare di essere sul punto di morire. Gli volto le spalle e cerco di allontanarmi da lui, una mano posata sul muro accanto a me, mentre tento di prendere aria, ma mi sembra di non riuscire più a respirare. Il panico fa accellerare i battiti del mio cuore nella frazione di un secondo e le ginocchia iniziano a tremarmi.
<<Angel, che ti succede?>> sento la voce preoccupata di Marc lontana anni luce, ma non riesco a rispondergli. Lo vedo piazzarsi davanti a me, ma restando a debita distanza.
Ricorda ancora tutto, dunque?
Mi prende una mano, e cerca di aiutarmi a riprendere il controllo, fino a quando non sento la voce di Joan, alle mie spalle.
<<Angel, che hai?>>
Scuoto la testa e lo sento prendermi l'altra mano, mentre inizio a riprendere il controllo. Mi appoggio contro il muro, chiudendo gli occhi e cercando di prendere profondi respiri.
<<Hai di nuovo gli attacchi di panico?>> mi chiede Marc, la voce preoccupata.
<<Marquez, direi che siamo un po' in troppi qui, e lei ha bisogno di aria.>>
<<Ma non dirmelo, davvero? Lo so da prima di te, Mir, ma hai ragione, forse siamo in troppi, qui. Potresti iniziare ad avviarti, che dici?>>
<<Non fate i bambini e smettetela di discutere.>> li riprendo, aprendo gli occhi e fissandoli, stremata.
Mi guardano, preoccupati, e stringo le mani di entrambi.
<<È passato.>> soffio, accennando un sorriso e Joan mi posa un bacio sul capo. Vedo Marc seguirlo con lo sguardo, per poi abbassarlo e stringermi la mano più forte.
<<Non ne avevo idea, Angel, non lo sapevo. Ma ormai io non so più niente di te, non è così?>> mi lascia una carezza sulla guancia, gli occhi lucidi, pieni di disperazione.
<<Voglio solo che tu stia bene, e scusami, per tutto.>> mormora, e mi lascia andare la mano, per poi fare un passo indietro, chinare la testa e allontanarsi.
E non mi sono mai sentita più a pezzi di così.
[Spazio autrice]
Per favore, non mi picchiate!
È vero, vi ho fatto attendere molto per questo capitolo, ma alla fine ne è valsa la pena, che dite?
È il capitolo più lungo che abbia mai scritto, più di undici mila parole e ci ho messo settimane, ma finalmente, sono riuscita a pubblicarlo!
Vi chiedo ancora scusa per l'attesa, mi siete mancate moltissimo, ve lo dico 💔
Ora, veniamo a noi: sono successe molte cose in questo capitolo, che dite?
Fatemi sapere che ne pensate, come al solito, voglio sapere tutto quello che vi passa per la testa.
Un bacio, a presto ❤
(Non ho riletto il capitolo, vi chiedo scusa per eventuali errori)
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