Capitolo 18
~ Cris ~
Sono trascorsi diversi giorni da quando la coppia che ha chiesto l'unione kibin ha lasciato il villaggio, e ancora nessuno dei due è tornato dal viaggio di esplorazione. A sera Anna, non appena ci sediamo ai piedi del grande albero a fumare, non perde tempo per farmelo notare. «Vedi, non sono tornati, e non solo uno ma entrambi. Il viaggio di conoscenza spesso apre gli occhi e scioglie legami forse mai stretti.»
«Questo non significa che il mio con Roby non fosse vero.»
«Non conosco molto la vostra storia, non so per esempio se avete fatto entrambe un buon viaggio di conoscenza.»
«Io di sicuro, lei no, sono stata la prima. Lei prima di conoscermi rifiutava la sua omosessualità, era stata solo con uomini.»
«Bene, vedi, questo è già un nodo mancante.»
«È lo stesso nodo che mancava a te e tuo marito, eppure siete stati insieme tutta la vita» le rispondo decisa.
«Sei dura tu! Non ti arrendi mai?»
«Io mi sono sempre arresa, era lei quella che non si arrendeva mai e adesso ha solo perso l'equilibrio, devo essere io a non arrendermi per entrambe» le rispondo con una sicurezza che non riconosco in me. Il sentirmi provocata da Anna, il suo dubitare del mio legame con Roby, mi sprona. Forse lei pensa di scoraggiarmi, invece ottiene l'effetto contrario, io non dubiterò mai di Roby.
«Cris non puoi tenere in piedi da sola un rapporto, non sai se lei sta già pensando a qualcun'altra» mi dice ferendomi, ma sfilo subito quella freccia, non lasciandola penetrare in fondo.
«Probabilmente adesso farà il suo viaggio di esplorazione, come è giusto che sia, per quanto mi fa male pensarla con un'altra, ma ho la certezza che tornerà da me. Non so se troverà la forza di perdonarmi, o se guardandomi davvero capirà da sola la verità, ma so che il nostro legame è sempre stato vero, noi siamo unite da qualcosa di più grande di un semplice sentimento.» le dico con estrema certezza.
«Ruma guardami e dimmi sinceramente, l'hai tradita?»
La guardo come forse ancora non ho mai fatto. «No, non riuscirei mai a toccare un'altra donna. Non so da dove sia entrato il male, che ci ha colpite con tanta forza da farci cadere, ma ci rialzeremo, non so ancora come, ma ci rialzeremo insieme.»
«Va bene ti credo, ma non chiedermi di fare le prove kibin, non ti darò mai il permesso.»
«Perché no? Ho bisogno di risposte, mi hai detto tu stessa che facendole hai avuto le certezze che ti servivano per andare avanti.»
«Ruma se le fai, dentro di te qualcosa si legherà a lei per sempre, non è un rito magico, ma il superare te stessa per lei, tenendola stretta a te mentre le farai, in un modo tale che dopo non andrà più via. Non so come spiegartelo, ma ciò che ti succederà dentro non potrai più controllarlo, non riuscirai più a vedere un'altra donna né a toccarla. Se Roby non è il tuo kibin ti condannerei ad una vita di solitudine come la mia.»
«Tu ti sei pentita di averlo fatto?» le chiedo sentendola parlare di condanne.
«No, mai. Ma io e Gianni abbiamo vissuto insieme trentasei anni, è una vita intera, abbiamo cresciuto un figlio insieme quando ancora eravamo due ragazzini, anche se non avessi fatto le prove, non riuscirei mai a stare con un altro. Tu invece sei stata con lei solo tre anni, sono pochi per poter definire il vostro rapporto un kibin» mi spiega abbracciandomi. Non replico, non perché le do ragione, ma perché in questo momento non riesco a farlo, non ne ho la forza.
Stasera non ho voglia di fumare, non voglio rilassarmi e abbandonarmi ai ricordi per stare bene, sento solo una voglia di reagire, di fare qualcosa che mi aiuti ad uscire da questa confusione.
Quale nodo non era stretto? Devo trovarlo, perché a noi non mancava nulla! Non ho tradito Roby, ma mi sento in colpa, è un'angoscia che in questi giorni mi ha torturato. Cosa ho sbagliato, qual è la mia colpa.
Rimango in silenzio ascoltando il rumore dell'acqua che scende dalla cascata riempiendo il lago, per poi fluire lentamente lungo il fiumiciattolo che costeggia il villaggio. Lo seguo con lo sguardo, soffermandomi sugli uomini e le donne che puliscono le pentole e le giare con l'acqua del fiume e noto poco distante chi sistema la zona dove si prepara il cibo. Accanto a loro il kubut che passerà la notte a vegliare il fuoco per non farlo spegnere, per essere sempre pronto in caso si debba preparare un unguento per qualcuno che si ammala o si ferisce. Alzo gli occhi guardando il cielo e tra i rami in fondo vi è un cacciatore di guardia al villaggio. È tutto così perfetto, un equilibrio così preciso grazie alla collaborazione di tutti. Alcuni di loro tornano adesso dalla foresta, sono il gruppo che fanno l'ultimo controllo delle piante curative, portano loro l'acqua e tolgono le formiche che scavano i formicai sotto le loro radici, ogni sera tornano con dei recipienti pieni di insetti vari. Non so cosa ne facciano.
«A cosa pensi?» mi chiede Anna con tono affettuoso.
«Guardavo la perfezione di questo posto.»
«Non vuoi fumare stasera?»
«No, Tesò, stasera non ho bisogno di rilassarmi» le dico istintivamente sentendo forte quella voglia di agire, anche se non so come in questo momento.
«Di cosa hai bisogno?»
«Non lo so.»
«Andiamo a dormire, una buona notte di sonno ti aiuterà a scoprirlo» mi consiglia sorridendo.
Andiamo nella caverna, mi stendo nel mio letto e, per quanto sia confortevole e la sua forma a guscio che mi avvolge mi fa sentire protetta, stasera non riesco a dormire, resto sveglia pur chiudendo gli occhi, rivedo quelli di Roby e le chiedo: "Cosa ho sbagliato Amore? Da cosa non ti ho protetta? Cosa non ti ho dato perché tu mi credessi?".
Sento il peso di questa rottura tutto sulle mie spalle, non riesco a biasimarla per non avermi creduto, anche se mi fa male sapere che non lo ha fatto.
Il sonno stasera non riesce a trovarmi, non sono stanca, anzi ho un'energia dentro che mi fa venire voglia di alzarmi, ma non so se posso farlo. Non ho mai girato nel villaggio di notte, ma non riesco a dormire e stare stesa qui mi sta facendo impazzire. Guardo Anna, Cesare e Jessy dormire, mi chiedo se li sveglierei alzandomi. Mi muovo lentamente, pensando a come fanno i cacciatori, senza staccare i piedi e le mani da terra, ma lasciandoli scivolare lentamente al suolo per spostarmi fino ad uscire dalla caverna.
Non c'è nessuno, il silenzio è totale, anche il vento stasera fa tacere gli alberi, alzo gli occhi vedendo il cacciatore di guardia fermo con lo sguardo verso la foresta, sembra una statua.
Vado lentamente verso il lago, passando davanti al kubut che governa il fuoco, è seduto e concentrato a guardare il fuoco che non si accorge nemmeno della mia presenza.
Mi piace camminare nuda al buio di questa foresta, è una strana sensazione, mi fa sentire viva.
Mi fermo davanti al lago illuminato dal pallore della luna, è così bella stasera così piena e tonda, carica di luce da giungere qui rendendo tutto affascinante. Mi sento come lei, carica di energia, vorrei solo poterla usare. Soffermo i miei occhi sulla cascata e mi torna in mente, "Acqua che bagna e disseta" è come se mi chiamasse, se ci fosse una forza ad attirarmi verso lei.
Mi guardo attorno e noto la caraffa con il tappo di legno, voglio farlo, ho bisogno di farlo, l'acqua mi chiama, io devo farlo anche se Anna non lo capisce.
Prendo la caraffa, entro in acqua facendo piano, mi immergo del tutto e sento dentro una voce, "Sono acqua che bagna" e subito dopo la mia energia cresce quasi ad esplodere facendo muovere le mie gambe e le mie braccia. Arrivo alla cascata, tolgo il tappo dalla caraffa e con entrambe le mani la reggo per riempirla, stendendo bene le braccia davanti a me fino a raggiungere l'acqua.
Finalmente ho uno scopo, un motivo per esserci, per stare in questo mondo, "Sono acqua che disseta". Metto il tappo alla caraffa e torno indietro. Ho sempre pensato fosse pesante portare la caraffa piena d'acqua; invece, adesso mi accorgo che è come se fosse l'acqua del lago a reggerla. Torno indietro uscendo lentamente dal lago, arrivo alle giare e scoprendone una verso dentro l'acqua, sentendo un appagamento di cui avevo bisogno. Ripeto ciò che ho fatto ancora, ancora e ancora, non riesco a fermarmi, le mie gambe si muovono da sole, le mie braccia si alzano con fierezza davanti alla cascata, le mie mani stringono forte la caraffa come ciò che di più importante ho al mondo.
Ti tengo stretta Amore, non ti lascio andare, sei tu, sei la mia energia, il motivo per cui mi sveglio la mattina, ti tengo Amore, ti porto con me sempre, ovunque andrò. Mi sento libera solo con te Amore, mi rendi forte, capace di fare tutto. Ti amo.
«Fermati Ruma!» mi dice con tono di rimprovero Anna, risvegliandomi da quello stato idilliaco in cui mi trovo.
«No. Devo farlo Tesò.»
«Fermati, non sai cosa stai facendo.»
«Sì che lo so, la sto amando!» le urlo sentendo così forte l'amore che ho per Roby, è lui che parla per me.
«Hai riempito due giare, fermati adesso» mi dice non più come un rimprovero, ma con affetto.
«Non posso fermarmi adesso, devo riempirle tutte» le dico, accorgendomi che l'acqua che bagna il mio viso non è più quella del lago, ma sono le mie lacrime.
«Fermati Ruma, non farlo, non sai se lei ti ama ancora, se il suo amore è vero.»
«Sì che lo so. Lasciami continuare, ti prego, lasciamelo fare!» affermo sicura.
«Cosa ti da questa certezza?»
«L'ho visto nei suoi occhi, l'ho sentito sulla mia pelle, l'ho respirato fino a sentirlo nell'anima, nessuno mi ha mai dato tutta sé stessa come ha fatto lei. Io e lei ci apparteniamo e sarà sempre così, nonostante la distanza o la direzione che prenderemo, io sarò sempre sua, come lei sarà mia. È lei a darmi la forza di farlo, muove i miei passi e li rende leggeri, lei muove il mio mondo e io ci vivo solo per lei!» le urlo con tutta la forza che ho in corpo.
«Inginocchiati!» mi ordina con tono fermo, la guardo notando che Ghibu si avvicina a noi.
«Cosa?» le chiedo non capendo se mi lascerà continuare.
«Inginocchiati davanti a me e da questo momento parla solo quando te ne darò il permesso» mi risponde con tono materno, annuisco e mi inginocchio. Lei poggia la mano sulla mia testa e dice qualcosa in lingua Kubut a me incomprensibile, mi prende il viso dal mento facendomi sollevare la testa per guardarla, mi bacia la fronte e mi fa cenno di stendermi.
Ghibu le passa una ciotola, lei ci immerge le dita prendendone un liquido dalla consistenza fangosa di colore rosso e mi fa un disegno sul corpo e dice a bassa voce: «Non potrai parlare, bere, mangiare e dormire finché non terminerai le prove, ma puoi fermarti se il peso di queste sarà eccessivo e terminarle, rendendole nulle.»
La guardo sperando lei capisca che ho intenzione di arrivare fino in fondo.
«Quando riterrai che la tua prova dell'acqua sia terminata, torna da me in ginocchio e ti preparerò per la seconda, non sei tenuta a riempire tutte le giare, puoi fermarti anche adesso, è già valida così.»
Le faccio cenno di no e riprendo la caraffa.
Lei mi sorride e mi fa cenno di poter proseguire. Torno in acqua e continuo ancora, sentendo così forte l'amore che ho per Roby da non avvertire la stanchezza, nessun peso. È sempre stato così, non c'è mai stato nulla che ho ritenuto un sacrificio, non ne ho mai fatti, perché tutto ciò che la faceva star bene, faceva star bene me.
Termino di riempire l'ultima giara, mi accorgo che si è fatto giorno e i kubut si sono svegliati. Torno da Anna inginocchiandomi davanti a lei, lei si abbassa e mi chiede: «Stai bene?» annuisco e lei mi fa con del colore nero una linea nello stesso posto dove aveva fatto il disegno che l'acqua ha cancellato, dopo mi fa cenno di sdraiarmi.
Mi fa un altro disegno dicendomi: «Sei terra che nutre e germoglia. Così come hai fatto per la prova dell'acqua, trova il tuo modo di affrontare questa, decidi tu quanto durerà, io mi riserverò di accettarla valida quando tornerai a inginocchiarti a me.» Annuisco rimanendo in silenzio, mi rialzo ripetendomi in mente "Sono terra che nutre e germoglia.".
In questi giorni ho osservato molto i kubut che si occupano delle piante, così mi dirigo nella parte dove ci sono le piante officinali. Un kubut mi segue e mi guarda sorridendo, come se avesse capito quale sia il mio intento, mi fa cenno di seguirlo portandomi poco distante, nella zona dove vi sono le erbe usate per gli infusi. Si china vicino alle piante, ne strappa alcune mostrandomele e subito dopo spezzandole fa cenno di no con la testa e le butta via. Ne prendo una anch'io gliela mostro e mi fa capire che è quella giusta da togliere, la spezzo e la butto via, lui sorride e mi fa segno di proseguire.
Con attenzione cerco le piante infestanti, spostando con cura quelle buone, muovendomi lentamente tra di loro, facendo attenzione a non calpestarle.
Così ti ho sempre protetta, ho sempre fatto attenzione a non farti male, come si fa con i bambini ho sempre messo la mia mano su uno spigolo se ci passavi vicino o le volte che t'abbracciavo baciandoti, ho sempre tenuto le mie braccia dietro le tue spalle per evitare che prese dal nostro fare, potessi spingerti contro qualcosa e farti male. Tra le mie braccia ti ho sempre tenuta al sicuro Amore, ti ho sempre accarezzato con la stessa cura con cui adesso accarezzo queste foglie così esili e tenere, che basterebbe poco per spezzarle.
Il kubut mi avvicina una ciotola con un telo sopra, la chiude come si fa quando si mette un cappello ai barattoli di marmellata. Vi è solo un foro minuscolo al centro, lui prende una formica e la mette dentro, poi un altro insetto di un colore violastro, ma piccolo quanto la formica, ed un altro poco più lungo con la testa piccolissima che non sono sicura sia la testa o lui cammini all'indietro.
Mi fa cenno di continuare, facendomi percorrere la stessa strada che ho fatto strappando via le erbe infestanti. Per fare questo devo muovermi rimanendo sempre chinata, mi muovo lentamente sentendomi una scimmia che spulcia il terreno.
Sono le piccole cose che ho sempre curato, quei piccoli particolari di cui forse non ti sei mai accorta o hai dato per scontato, ma di certo non le avrei mai fatte se non avessi saputo che tu ci tenevi. Come abituarmi a stirare per bene il tubetto del dentifricio, ripiegare i miei vestiti perchè ormai erano anche tuoi, fare attenzione a non macchiare il tavolo usando sempre i sottobicchieri a cui hai sempre tenuto tanto o assicurarmi. Ogni volta che andavamo al sushi, di farti avere un'ampolla di salsa di soia tutta per te, sei sempre stata capace di finirla tutta da sola o ordinarti di nascosto dell'altro sashimi quando vedevo che ne avevi ancora voglia, per poi vedere la tua espressione sorpresa dicendo "Sì ne avevo ancora voglia, pensavo l'avessero già servito tutto."
Mi piaceva farlo, anche se tu non te ne accorgevi, anzi proprio per quello, è sempre stato il mio amarti silenziosa, il mio dare senza aspettare nulla in cambio, come ciò che sto facendo adesso, lo faccio per noi, da sola per resistere e non mi aspetto che tu dall'altra parte del mondo faccia qualcosa di simile. Anche se avessi la certezza che stai facendo l'opposto, io lo farei e con più forza, perché tu mi hai insegnato a lottare Amore, si lotta per Amore e perdonami per non averlo capito prima, per non essere rimasta a lottare per mostrarti la verità o per farti accettare quella che preferisci vedere. Perdonami Amore.
Il kubut che a intermittenza mi ha fatto compagnia, ad un tratto mi ferma, mi fa cenno di alzarmi e mi chiede di dargli la ciotola piena di insetti che stringo in mano. Mi sono lasciata prendere tanto dai miei pensieri da non accorgermi che il sole è già al termine del suo cammino giornaliero, non ho sentito fame, né sete. Tanto meno gli insetti pungere la mia pelle nuda, né le piccole ferite che ho sulla schiena, non so come me le sono fatte. Guardo i miei piedi sporchi, credo di avere dei tagli anche lì, mi sollevo lentamente e sento male a tutte le giunture del mio corpo, la mia schiena è una fascia di dolore e non so come riesca a sostenermi.
Seguo il kubut fino al villaggio, dove Anna mi aspetta preoccupata, mi avvicino a lei sentendomi uno zombi, le vado davanti e mi inginocchio rimanendo in quel silenzio che mi ha fatto compagnia tutto il giorno. Sono sporca, ferita, dolorante, quasi del tutto distrutta, ma sono felice. La guardo con gli stessi occhi con cui ho sempre guardato Roby e le sorrido soddisfatta, con una gioia nel cuore che nessuno può togliermi.
Lei si abbassa di fronte a me e dice: «Tu sei pazza, le prove durano un giorno al massimo e tu sei ancora solo a metà, cosa pensi di dimostrare così? Credi davvero che più soffri e più convinci me, lei o te stessa che il vostro è un vero kibin?»
Dissento scuotendo la testa e continuo a sorridere felice, non sto soffrendo, io sto amando, anche se Anna adesso non lo capisce e Roby forse se n'è scordata e non saprà mai ciò che sto facendo.
Mi fa la linea nera su quel che resta del disegno sporco di sudore e fango e aggiunge: «Vai a stenderti sotto l'albero di Gianni, è ora di cena e non posso farti cominciare l'altra prova, verrò io a dirti quando potrai.»
Mi alzo nonostante le ginocchia sembrino non voler più collaborare e barcollando un po' eseguo i suoi ordini, mi stendo supina rimanendo in attesa del mio terzo simbolo. Ho timore di addormentarmi, non chiudo gli occhi, guardo le foglie sul ramo che mi impediscono di vedere il cielo, il vento le muove, ma loro rimangono attaccate salde al loro ramo, come chi non si arrende, chi non rinuncia. Una volta pensavo di essere una foglia che il vento porta dove vuole a suo piacimento, oggi no. Oggi può scuotermi ma io resto attaccata a ciò che mi tiene in vita, come quel ramo tiene in vita le foglie, l'amore che ho per Roby tiene in vita me e non lo lascio, lo stringo forte, con tutta la forza che ho e ne ho ancora tanta.
Anna torna da me dopo un po', mi porta due ciotole. «Ti concedo di mangiare qualcosa e bere, ciò non renderà nulle le prove, le stai facendo durare troppo, hai bisogno di recuperare le forze per proseguire» lo dice in modo affettuoso, ma io resto immobile, con lo sguardo fisso alle foglie. I miei occhi continuano a risponderle come quando mi sono inginocchiata davanti a lei. Sembro fatta di una strana droga, ma so che è l'unica che mi concederò mai, la sola capace di farmi superare questo cammino e tenermi in vita.
Lei si rialza e va via per tornare quando sento i rumori che fanno le donne riordinando dopo la cena. La sento parlare con Ghibu ma non capisco cosa dicono, qui ho imparato a parlare con lo sguardo e con i gesti, non ho mai fatto caso al loro linguaggio, anche perché osservando i loro volti mentre parlano, li capisco comunque.
Si inginocchia vicino a me facendomi il terzo simbolo sul petto e dice piano: «Sei fuoco che scalda ma non brucia, devi dimostrare di saper accendere un fuoco e prendertene cura per un tempo che deciderai tu e dove vorrai tu. Io mi riserverò di accettare la prova valida quando tornerai ad inginocchiarti da me.»
Annuisco accettando anche queste condizioni, mi alzo sapendo già ciò cosa voglio fare. Ho avuto tutto il tempo per pensarci rimanendo sdraiata ad aspettarla, non pensavo di doverlo accendere, ma so come si fa.
Mi dirigo al fuoco del villaggio, quello che rimane sempre acceso anche di notte, Anna mi guarda e mi ricorda: «Non puoi seguire questo, devi dimostrare di saperlo accendere tu.»
Alzo la mano per fermarla e darmi tempo, mi accovaccio vicino al grande fuoco, prendo un po' di paglia, foglie secche, qualche rametto sottile e le due pietre focaie che usano per accendere il grande fuoco. Come mi ha insegnato Cesare, con calma e una forte pressione, strofino le due pietre fra loro, finché le scintille cadono sulla paglia e iniziano a bruciarla in modo molto timido. La stringo un po', ci soffio abbassandomi più che posso per fa sì che l'aria gli arrivi da sotto ed è fatta, è acceso. Metto le foglie secche sotto, i rametti sopra e il mio piccolo falò prende vita. Mi aiuto con due grosse foglie ancora verdi, per poter raccogliere il mio piccolo fuoco e unirlo a quello grande del villaggio.
«Non farlo» esclama Anna.
È troppo tardi, l'ho già fatto, mi siedo incrociando le gambe davanti al fuoco e tengo in mano il lungo bastone che ogni sera ho visto reggere al kubut di turno al fuoco notturno.
Resto immobile a fissarlo, facendo attenzione che non saltino fuori scintille, aggiungendo la legna quando serve, ma non tanta da far salire troppo le fiamme, né troppo poca rischiando di spegnerlo.
A cosa servi fuoco? Cosa devo imparare da te? Perché adesso non mi sento come nelle altre prove?
Mi prenderò cura di te, ma tu aiutami a capire ciò che mi manca, cosa mi serve. Cosa fai fuoco?
Tu scaldi, ma non bruci.
No, non è vero, ricordo che una volta hai bruciato la caviglia di Roby. Avevamo fatto una grigliata a casa di Pitt e Tommy, e dopo mangiato lei continuava a pensare a te, diceva che ormai ti eri spento, a me sembrava impossibile, i pezzi di carbone se pur non erano più rossi e pieni del tuo ardore, avevano ancora un cuore caldo, troppo per essere tolti dalla brace. Ma lei no, non mi ascoltava, Roby è sempre stata così testarda e nessuno poteva fermarla, doveva sbatterci la testa per dire, "Ho sbagliato scusami." Anche quella volta si incaponì e io ormai la conoscevo e le dissi che se avesse voluto farlo prima avrebbe dovuto darmi il tempo di prendere una cosa. Sono corsa in casa a prendere la pomata per le ustioni, perché se non avessi potuto impedirle di farsi male, quanto meno avrei potuto curarla. E quando sono tornata fuori era già tempo di medicarla.
Aveva fatto cadere un pezzo di carbone ardente sulla caviglia, mi guardava come una bambina dopo aver fatto un danno, mi limitai a metterle la pomata, le diedi un bacio chiedendole il perché dovevo sempre curarla per quelle sciocchezze. Lei mi rispose che succedeva perché mi ero innamorata di una testarda e non potevo difenderla da sé stessa.
Già, non l'ho difesa da te fuoco. Perché gliel'ho lasciato fare? Perché mi sono sempre arresa alla sua testardaggine?
Ti rigiro ogni volta che vedo un tronco pronto a scoppiettare pieno di te, che lo divori e lo consumi, un pezzetto piccolissimo di te, fuoco terribile, va fuori e io ti blocco d'istinto con la mano, ti spengo piccolo ribelle ma tu mi bruci, mi fai male, ed è solo un piccolo puntino sul palmo della mia mano.
Quanto male ti ho lasciato farle? Lì, vicino alla caviglia ne ha ancora la cicatrice.
È vero, ti ha cercato lei, ti ha invitato a bruciarla, ma io? Io non glielo impedito, ho pensato alla cura, non ad evitarlo.
Ho trovato un nodo non stretto Amore, non ho mai saputo difenderti da te stessa, ma so che potevo farlo, se l'amore che provo per te è stato capace di farmi andare avanti e indietro dalla cascata alle giare per una notte intera, impedirti di farti male, scuoterti e farti vedere che avevo ragione sarebbe stata una passeggiata.
Se ti avessi scossa il giorno che mi hai mandato via, se non avessi rinunciato vedendo la tempesta nei tuoi occhi, se mi fossi buttata in quella tempesta con te Amore tu mi avresti vista, mi avresti riconosciuta, non ho lottato Amore, perdonami.
Mi abbandono ad un pianto liberatorio, continuando a governare il fuoco, non gli permetterò mai più di farle del male, non gli permetterò di farne a questo popolo meraviglioso.
Lo nutro mettendo qualche tronco e lo ritrovo amico, non è cattivo se non lo aggredisco, se lo muovo piano, i tronchi bruciano e ogni tanto scoppiettano come per attirare l'attenzione, per dire "Sono qui che ti scaldo, dimmi un grazie ogni tanto", sono gentile nel sistemarlo e curarlo.
Ti perdono fuoco per averle fatto male e scusa se ho lasciato che lei ti disturbasse. Il male viene da noi solo se gli tendiamo la mano, mostrandoci cattivi. Ma tu fuoco sai essere anche gentile con chi si prende cura di te con grazia, ti ho giudicato male, non ti conoscevo abbastanza e mi difendevo da te, anche se tu mi hai sempre scaldato. Non ti ho mai rispettato fuoco, non ho compreso il grande dono che ci fai scaldandoci e cucinando i nostri cibi, ti ho solo visto come un mostro capace di ferire e uccidere. Se solo tutti noi ti usassimo con cura, ti facessimo compagnia come fanno i kubut, di te potremmo vedere e apprezzare solo il meglio.
Sento dei passi vicino a me, tolgo lo sguardo dal fuoco notando che il sole è già nato, quanto tempo sono rimasta qui? Come è possibile che non l'ho sentito passare?
Anna mi poggia la mano sulla spalla e mi sussurra: «Basta così, hai meditato tanto, l'ho visto, adesso alzati.»
Mi alzo sempre più dolorante, stare seduti nella stessa posizione mi ha bloccato le ginocchia, faccio uno sforzo mettendomi in ginocchio davanti ad Anna, lei mi guarda e facendomi la linea nera sul petto mi dice piano: «Sei una pazza Ruma.» Le sorrido guardandola soddisfatta e lei mi chiede: «Ti manca una prova, vuoi fermarti? Ti concedo una pausa se vuoi, non dormi da due notti e non hai mangiato e bevuto ciò che ti ho portato ieri sera.»
Le rispondo sempre con un sorriso, socchiudo gli occhi e mi stendo portando la mano sinistra sul mio petto invitandola a disegnarmi il mio ultimo simbolo.
Lei fa un grosso respiro di rassegnazione, disegna sul mio petto, dicendo: «Sei aria che purifica dal male per far respirare solo amore, alzati solo quando avrai deciso in che modo affrontare questa prova, ne decidi sempre tu il modo e il tempo, io mi riserverò di accettarla valida quando tornerai ad inginocchiarti da me.»
Rimango un attimo stesa, cercando in quel po' di lucidità che mi è rimasta il modo per affrontarla. "Sono aria" mi ripeto in mente, apro gli occhi e vedo i grossi rami degli alberi del villaggio, mi alzo lentamente.
«Cosa vuoi fare?» mi chiede preoccupata Anna, alzo un braccio al cielo indicandogli gli alberi. «No, non ti lascerò salire lassù da sola.»
Le pongo la mano davanti facendole capire che non può impedirmelo, sono io che scelgo il modo. Così mi avvio lentamente verso il centro della foresta, dove ho visto alberi molto grandi, dai grossi tronchi nodosi, mi permetteranno di arrampicarmi con più facilità, lei mi segue spaventata ma io proseguo fino ad arrivare all'albero che ho scelto.
«Lo capisci che non puoi andare lassù da sola, non dormi da due giorni, rischi di addormentarti e cadere giù. Ti annullo la prova se perseveri in questa folle decisione!» mi intima severa.
Mi giro a guardarla scuotendo la testa per dissentire dalla sua minaccia.
Un suono leggero e delicato interrompe la nostra conversazione ed entrambe ci guardiamo intorno, poi il suono si fa più forte e vicino, alzo gli occhi sui rami dell'albero che ho scelto e c'è lui, quel ragazzo che ho visto appena sveglia, tra le liane che chiudevano la nostra grotta, durante il cammino per venire al villaggio.
Lo guardo, lui mi sorride come quel giorno e mi porge la mano. Sorrido ad Anna, le do un bacio sulla guancia e comincio a salire per raggiungerlo, lo osservo mentre sale guardando bene dove mette i piedi per seguire il suo percorso, mi porta quasi in cima, fin dove il tronco è abbastanza robusto da sostenere entrambi.
Lui subito si lega all'albero con una corda e dopo me ne passa una, ma io gli faccio cenno di no. Mi guarda in modo strano, penso mi stia prendendo per matta e credo di esserlo davvero, ma sento il bisogno di non legarmi. Lui mi passa un'asta di legno molto lunga, di cui continua a reggere l'altra estremità, fa scivolare su di essa due corde corte legate separatamente formando due bracciali e muovendo le mani, mi fa capire che devo passarci dentro le mie e legarle all'asta. Sto un attimo a pensarci e lui mi guarda subito male, credo mi stia dicendo, "Se sei davvero matta ti porto giù a suon di calci.". Gli sorrido e lego le mani al bastone, lui soddisfatto ricambia il sorriso, poggia l'asta sulle gambe tenendola sempre tra le mani e si rilassa. Lo faccio anch'io, anche se in questo momento sento tutto il corpo come un unico blocco di dolore.
Guardo il cielo, il sole è appena sorto, la pace che c'è quassù è stupenda e il vento mi accarezza la pelle. Ad un tratto sento il bastone muoversi e di conseguenza le mie mani, lui mi fa segno di guardare giù. Oddio siamo parecchio in alto, ho paura di cadere se lo faccio, se avessi un giramento di testa sarebbe la fine. Resto con lo sguardo fisso davanti a me, ma lui torna ad invitarti a guardare giù, è davvero deciso, non posso rifiutarmi.
Lentamente abbasso lo sguardo, cavolo siamo davvero in alto, più di quanto pensassi, ma non mi gira la testa, fa un po' paura, ma sto bene.
Lui chiude le labbra, fa un lungo respiro ed inizia mugolare una melodia piacevole e mi invita con lo sguardo a unirmi a lui in questo strano canto. Raddrizzo la schiena che spero di avere ancora, faccio un lungo respiro e continuando a guardare in basso mi unisco al suo canto.
Mi fa sentire a disagio ciò che sto facendo, non lo so se ho sbagliato il modo di affrontare questa prova o se sono solo stanca, ma non sto bene come le altre prove. C'è qualcosa che mi costringe a guardarmi dentro, sarà questo suono che emetto, che rimbomba nella mia bocca, è come se lo sentissi prigioniero, ho bisogno di aprire la bocca per lasciarlo uscire, ma non posso perché quel suono cesserebbe di esistere, oppure muterebbe in un suono diverso. Sento la paura di prendere questa stupida decisione.
Mi sento stupida a pensarlo, ma ho davvero paura, ma perché ho paura? Cos'è questo suono davvero? Eppure, è una sensazione che conosco, l'ho già provata, mi assale l'ansia, sento il battito accelerare e di colpo quel ricordo.
"Aiuto" ho pensato, subito dopo che tu eri li Amore, ho avuto paura che non credessi cosa stava succedendo e mi sono giustificata dicendoti: "Amore non... non so che le è successo, stavo solo controllando se c'erano altri capi da fotografare, lei è entrata, mi ha detto di sentirsi male ed è crollata."
Sì, ho avuto paura di perderti Amore, mi sono sentita colpevole solo credendo che tu lo pensassi.
Mi sento colpevole di essere stata con tante donne prima di te, come se questo non mi facesse meritare la tua fiducia, mi sento colpevole di averle usate, di essermi fatta usare, non erano niente, io non ero niente senza di te.
Ho avuto paura di tornare ad essere niente. "So che non è facile stare con una persona che ha un passato come il mio." ti ho detto, lo credo ancora Amore ho paura e non è ingiustificata. Tu non mi hai creduto, anche se io non ho fatto nulla, anche se io ho respinto con tutta me stessa, ogni contatto con chiunque.
Per un attimo mi sento stordita, come se stessi per perdere l'equilibrio, ma lui muove leggermente l'asta, richiamando la mia attenzione. Il suo sguardo è rassicurante, mi sta dicendo di non preoccuparmi, c'è lui a sostenermi, tocca la corda con cui è legato all'albero per darmi la certezza che non mi lascerà cadere giù, gli sorrido ringraziandolo con lo sguardo e scusandomi per avermi dimenticato che lui è lì con me.
Oddio, Amore è quello che ho fatto con te, ti ho tenuta fuori dalle mie paure, avrei dovuto parlartene, sono io il nodo che manca, perdonami Amore.
Tu sei sempre stata perfetta, quella distratta, confusionaria e disordinata sono sempre stata io, non mi sono legata a te, come a questo albero, non pensavo di meritarlo.
Mi sento stanca, mi scoppia la testa è come se mi fossi scontrata contro il peggiore dei mostri di qualunque genere fantasy, come se lo avessi fatto senza armi ne armatura, ma solo con un super potere che all'inizio ho sentito tanto forte e adesso sul finire ho scoperto di averlo reso debole, non fidandomi di lei.
L'asta si muove riportandomi al mondo reale, almeno credo, perché spero sinceramente che l'uomo accanto a me che mi sorride sereno esista davvero, lo guardo stordita dalla stanchezza, non ho la forza di ricambiare il suo sorriso, mi fa cenno di tornare giù. Giù dove?
Guardo in basso e mi chiedo come riuscirò a scendere.
Lui mi fa cenno di precederlo, be' posso capirlo, se casco almeno non gli finisco in testa e non lo porto giù con me di botto.
Mi muovo lentamente, non per osservare chissà quale procedura, ma perché credo di avere la velocità di un bradipo in questo momento, un bradipo stanco per l'esattezza.
Mi accorgo che ho le mani legate al lungo bastone e cerco di liberarmi, lui muove il bastone per attirare la mia attenzione e mi fa segno di non slegare le mani.
Non lo capisco, ma ormai non ho la forza per farlo, mi accingo a scendere poggiando i piedi sui rami e i nodi che vedo via via che scendo, lui mi segue a testa in giù. Mi sento seguita dall'uomo ragno, mi fa sorridere questa cosa, ma lui non può vederlo, il mio volto è incapace di mostrarlo.
Continuo la mia discesa, ho la sensazione che questo albero non finisca più, finché non sento toccarmi i piedi, qualcuno mi sostiene e mi accompagna a raggiungere il suolo, ritrovandomi tra le braccia di Anna, faccio per inginocchiarmi, ma lei mi dice: «Aspetta ti libero dal bastone.»
Non appena le mie mani sono libere le poggio sulle sue spalle, notando che la sto sporcando di rosso, non pensavo di essermi avvicinata tanto a lei da sporcarla con il disegno che ho sul petto.
Mi inginocchio e lei mi fa la linea nera sul petto. Chino la testa esausta, sento che sto per accasciarmi per terra e le sento dire: «Prendila in braccio, dobbiamo riportarla al villaggio.» Qualcuno mi tira su di peso.
Non sono in grado di reggermi in piedi, sento solo l'acqua che bagna il mio corpo, poi il viso e apro gli occhi. «Ti sto lavando Ruma, dopo devo medicarti le ferite.»
Giro lentamente la testa, sentendo una voce dietro di me. «Sono Cesare ti ricordi di me? Ti sto solo reggendo, non pensare male.»
«Puoi parlare adesso» mi dice Anna e se ne avessi la forza lo farei, lei mi guarda preoccupata, mi prende il viso tra le mani, «se mi capisci, dì sì Tesò.» Faccio uno sforzo e glielo borbotto, non voglio spaventarla, sono solo stanca.
È vera quella cosa che dicono sulla mancanza di sonno che ha gli stessi effetti di una sbronza, non ho bevuto mai tanto da ridurmi così, ma adesso credo davvero di essere ubriaca di sonno e stanchezza.
Mi sento sollevare, fino ad uscire dall'acqua, Anna mi massaggia il corpo con l'olio, è così rilassante, più lo fa e più le mie gambe cedono e giuro che vorrei poter stare in piedi.
«Portala sotto l'albero, prendo gli unguenti per le medicazioni e arrivo» Credo lo dica a Cesare.
Apro gli occhi ritrovandomi con la testa poggiata sulle gambe di Anna. È tanto arrabbiata e preoccupata, le sue labbra si muovono ma non capisco cosa dice.
Mi sta facendo qualcosa sulla spalla e appena finisce mi solleva delicatamente e mi tiene tra le braccia. È così confortante sentire il calore del suo corpo, sento le lacrime scendere sul mio viso anche se io non voglio piangere, non le controllo.
Lei le asciuga, mi bacia sulla fronte facendomi sentire una bimba di due anni tra le braccia della mamma e mi dice piano: «Dormi Ruma, non ti lascio, stai tranquilla, dormi.»
Mi sveglio sentendo male alla spalla destra, apro gli occhi mettendoci un po' a capire dove mi trovo.
«Buongiorno», mi dice Anna sedendosi vicino a me.
«Buongiorno, cosa ho alla spalla?» le chiedo preoccupata.
«Ti sei ferita scendendo dall'albero, hai un bel taglio, ma l'ho medicato e guarirà in pochi giorni» mi risponde tenendomi la mano, guardo la spalla vedendola fasciata con delle strane foglie rossastre, lunghe e strette.
«Riesci ad alzarti e venire fuori a mangiare?» mi chiede con tono materno, annuisco sorridendo, lei mi aiuta a farlo e appena in piedi, mi sostengo su di lei per camminare, ho male ad un ginocchio, lo guardo vedendoci sopra qualcosa di biancastro.
«È un unguento per gli ematomi, l'avrai battuto da qualche parte, ma anche questo passerà in fretta»
mi rassicura, scostando le liane per uscire dalla caverna. «Come mi avete portata qui dentro? Ricordo che...» veramente, non so cosa ricordo.
«Così come ti ho portato al villaggio, prendendoti in braccio» mi risponde Cesare seduto davanti l'ingresso della caverna, poi si alza, fa uno strano fischio e noto che tutti i kubut interrompono il loro lavoro, lo strano fischio viene ripetuto da uno di loro e poi da un altro e un altro ancora.
«Che succede?» chiedo ad Anna.
«Si radunano per te.»
«Perché?»
«Per le tue prove.»
«In che senso?»
«Aspetta, adesso verrà Ghibu a spiegarti.»
«Li ho offesi in qualche modo?» le chiedo preoccupata.
«No, affatto» mi risponde fiera.
I kubut si radunano davanti a me, iniziando una melodia leggera, un mugolio forte si unisce a loro, che si spostano dividendosi in due gruppi per far spazio al centro, per far passare Ghibu. Ha degli strani segni sul viso e una fascia di pelle di serpente messa a tracollo, si ferma davanti a me e Anna mi dice sottovoce: «Ti tradurrò ciò che dice.»
«Grazie.» le rispondo mentre lui inizia a parlare troppo veloce per poter capire.
«Il popolo Kubut ti ringrazia per esserti presa cura di noi per due lune, da oggi sei un kubut onorario.» Mi traduce Anna.
«Vari Lamaky.» rispondo sorridendo e chinando la testa. Lui mi mette al collo una collana di corda con legato un osso di non so cosa, dicendo: «Kymalanù.»
Anna continua a tradurmi. «Oggi non possiamo celebrare il consolidamento del tuo kibin, ma so che porterai dentro di te l'acqua, la terra, il fuoco e l'aria con cui lo hai reso forte e vero. Ti dono la corda del tuo kibin, lega la tua mano alla sua quando ti riunirai a lei e mai il vostro equilibrio verrà spezzato.»
Il cacciatore che mi ha aiutato nella prova dell'aria viene davanti a me, si inginocchia e dopo aver chinato il capo, alza le braccia porgendomi la corda, faccio un passo verso di lui, mi inginocchio e gli dico: «Bururù.» mi ringrazia con lo sguardo e io prendo la corda.
Anna mi poggia la mano sulla spalla, invitandomi a tornare al mio posto, ma Ghibu la ferma dicendole qualcos'altro. Mi si avvicina la bimba che mi ha ricevuto quando siamo arrivati al villaggio e Anna mi traduce ancora. «Sarai terra che germoglia, trova il tuo spazio e metti radici per onorare il tuo kibin.»
La piccola subito dopo mi porge una foglia piegata a metà chiusa ai lati con un filo sottile ottenuto dalle foglie di palma.
«Bururù.» rispondo, anche se non ho ben compreso ciò che mi ha dato e soprattutto che significa quello che mi ha tradotto Anna.
Tutti i kubut ritornano ad intonare la melodia di prima, tutti alzano le mani verso di me muovendo le dita, chinando leggermente la testa, lo faccio anch'io.
Anna mi conduce lentamente verso il nostro albero, lì vicino hanno preparato un piccolo banchetto, ho davvero fame, così mi siedo e dopo aver ringraziato inizio a mangiare.
Lei si siede vicino a me. «Vedo che stai bene» mi dice contenta.
«Sì, ho solo qualche dolore sparso per il corpo, ma sto bene, ho trovato le risposte che cercavo.»
«Lo so, me lo hai detto durante il tuo delirio l'altra notte, non so perché mi chiamavi nonna però.»
«Oddio, ero ridotta tanto male? Di solito quando ho la febbre alta mi capita di delirare e a quanto pare parlo con mia nonna» le rispondo imbarazzata.
Lei ride di cuore e risponde scherzando: «Bene, almeno so che non mi vedi tanto vecchia da poter essere tua nonna.» Mi fa sorridere.
Finisco di mangiare e per quanto non so cosa ho ingurgitato, credo sia stato il mio pasto migliore.
Anna mi sorride e mi chiede: «Vuoi vestirti?»
«No, sto bene così.»
«Sei davvero una kubut allora.»
«Forse» le rispondo scherzando, lei mi passa la pipa.
«Ma è mattina, non si fuma solo la sera?»
«In realtà è pomeriggio e a te oggi è concesso fumare tutto il giorno.»
«Wow, posso stonarmi di brutto allora» le dico ridendo.
«Non ti stonerà, ci sono dentro erbe diverse, servono solo a lenire i dolori e rilassarti, hai fatto un grande sforzo durante le prove, non sai quanto mi hai fatto preoccupare.»
«Mi spiace, ma era quello che sentivo di fare.»
Mi passa una ciotola e mi dice: «Bevi questo, ti aiuterà a ritrovare le forze.»
«Ok, grazie.» Lo faccio mio malgrado, è amarissima, poi mi poggio al tronco e inizio a fumare.
«Adesso che hai trovato le risposte che cercavi, come ti senti?» mi chiede con fare materno.
«Un po' confusa, sono io il nodo mancante e non so come rimediare» le rispondo delusa di me stessa.
«Sono sicura che quando tornerai a Milano saprai farlo.» Sembra fiduciosa e mi rincuora la sua espressione.
«Mia nonna diceva sempre che quando rompi un vaso devi cominciare a rimettere i pezzi insieme partendo dalla base, poi aspettare che la colla si asciughi, e solo dopo, sé hai usato la colla giusta, puoi tornare a metterci l'acqua dentro per tenere in vita i fiori.»
«Hai una nonna saggia.»
«Avevo, purtroppo» le dico nostalgica.
«Ce l'hai ancora, è viva in ogni insegnamento che ti ha dato.»
«Già, peccato che non possa esserlo fisicamente, sai come mi urlerebbe adesso, con tutto il casino che ho combinato?» le chiedo scherzando.
«Io al suo posto penso che urlerei di più alla tua Roby.»
«No, lei non ha colpa» le dico convinta.
«Ruma non prenderti tutte le colpe. Ho ascoltato con calma tutto ciò che mi hai detto durante il tuo delirio, ed è vero, le tue paure hanno causato gran parte del danno, ma anche lei si è arresa.»
«No, non posso biasimarla se non ha retto il colpo.»
«Su quell'albero non eri da sola e il tuo non volerti legare al tronco dimostra che nel vostro rapporto tu eri la parte debole per via delle tue paure. Io voglio sperare che Roby invece fosse legata ben stretta a quel tronco e che nella tempesta che vi ha travolto, abbia solo lasciato cadere l'asta di legno a cui ti reggevi e non sia caduta dall'albero insieme a te.»
«Lo spero anch'io. Spero di poter tornare su quell'albero e trovarla ancora legata per poterlo fare anch'io.» le rispondo sentendo un dolore forte al petto. La speranza è qualcosa che sento molto lontana, ma continuo a guardarla, se pur lontana non la perdo di vista.
Superata la stanchezza per le prove, riprendo a godermi la pace di questo posto, riprendo il mio lavoro, cercando di non tralasciare nulla. Fotografo tutti quei piccoli dettagli, le espressioni felici dei bambini che giocano vicino al fiume, i cacciatori fermi sui rami degli alberi, intenti nella loro guardia.
Soprattutto mi dedico ad immortalare i pochi momenti di svago dei kubut, mentre parlano silenziosamente durante i pasti o quando alla sera si siedono sotto gli alberi a fumare, i piccoli gesti affettuosi che le coppie kibin si scambiano coccolandosi dopo una giornata di duro lavoro. Mi piace questo mondo, mi piace l'aria che si respira, non c'è odio e cattiveria che sovrasti il bene, solo piccoli litigi tra i bambini che gli adulti subito gestiscono o qualche malinteso tra i giovani, ma che con il buon senso sanno sempre chiarire.
Domani partiremo e mi spiace davvero tanto lasciare questo posto, questo popolo rimarrà nel mio cuore per sempre, mi hanno insegnato tanto, mi hanno dato tanta pace e spero mi basti per affrontare come devo ciò che mi aspetta lontano da qui, mi hanno dato le risposte che mi servivano per riprendermi la mia vita, sperando che dall'altra parte del mondo ce ne sia ancora una per me.
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