Capitolo 12
~ Cris ~
È proprio ora di partire, saliamo sulla jeep e la mia avventura ha inizio. Anna mi guarda in modo materno, mi trasmette molta serenità il modo in cui lo fa. Ci addentriamo nella foresta seguendo una strada sterrata in mezzo agli alberi. Mi guardo intorno notando animali che saltano da un albero all'altro, non li conosco, non so se sono scimmie o altro. Tutto ciò che mi circonda mi incuriosisce, è tutto davvero molto strano.
La macchina si ferma, prendiamo i nostri zaini e cominciamo il nostro cammino. Seguo il consiglio di Anna, mi concentro sul percorso, seguendo con attenzione Cesare e Jessy che fanno da apri pista, mentre Anna mi cammina accanto o dietro quando il percorso si restringe. Devo fare attenzione a dove metto i piedi, per non calpestare nulla e come sposto i rami che ostruiscono il mio cammino, non devo danneggiare nulla. La scorsa settimana mi hanno mostrato come muovermi per evitare di alterare in qualsiasi modo questo mondo che sembra proprio come Dio lo ha creato. Non c'è nessun segno di civiltà e per quanto strano ha un fascino unico.
Durante il cammino non possiamo parlare, ma solo usare i gesti per comunicare tra di noi, non ho capito il perché, ma mi limito a imitare le mie esperte guide.
Cesare si ferma notando un grosso serpente per terra, si gira facendo segno di passare con attenzione per non urtarlo, lo guardo impaurita e lui mi rassicura facendo uno strano gesto con la mano che prima poggia sul petto e poi muove aperta verso di me, questo gesto indica che non c'è pericolo, mi giro a guardare Anna e lei mi sorride rassicurandomi ulteriormente.
Per la prima volta in vita mia scavalco un serpente di cui non ho visto né la testa né la coda, ma solo il diametro, che è più grande della mia coscia. Credo che l'adrenalina nel mio corpo sia a livelli altissimi in questo momento, non so da quanto camminiamo, ma non sento la stanchezza.
Camminiamo tutto il giorno facendo solo due brevi pause, la prima per bere e riposare le gambe mentre durante la seconda ci fermiamo di fronte ad un grosso tronco, Cesare fa cenno di disporci tutti intorno. Sul tronco vi è del cocco già privo del guscio, che è stato usato come ciotole per contenerne il succo, delle banane e un altro frutto che non so se sia la papaya o cos'altro.
È come se qualcuno le avesse messe lì per noi, un segno di benvenuto forse.
Non potendo parlare seguo i gesti che fanno gli altri, chiniamo il capo di fronte al tronco con il cibo, stendiamo le braccia lungo il corpo per poi alzare il sinistro a mezz'aria, muovendo le dita lentamente. Anna mi sorride, mi fa cenno di sì con la testa e mi passa la ciotola con il succo. Mangiamo in silenzio godendo dei suoni di questo luogo che mi sembra incantato, non mi spiace rimanere in silenzio, le nostre voci sarebbero davvero dei suoni molesti.
Proseguiamo il nostro cammino fino al tramonto e siamo quasi ai piedi di una grossa montagna. Cesare ci indica la montagna e si incammina verso di lei, spero che non dobbiamo scalarla, non credo di avere un fisico adatto a farlo e non mi hanno detto nulla a riguardo.
La luce del sole ormai ci sta abbandonando, Anna mi fa segno di guardare davanti a me e noto del fumo salire in mezzo agli alberi dove noi ci stiamo dirigendo. Poi avvicinandoci, scorgo qualcosa di luminoso, è un fuoco e delle torce poggiate sulle rocce. Raggiungiamo il posto e sembra tutto così strano, mi guardo intorno per vedere se c'è qualcuno, perché davanti a noi non c'è solo della frutta, ma un vero banchetto di un cibo sconosciuto.
Cesare ci fa segno di togliere gli zaini dalle spalle e metterli di fianco ad una roccia, poi ci mettiamo intorno alla roccia bassa dove è ben disposto il cibo ripetendo il gesto di prima, ci sediamo e Anna ne fa uno nuovo. Porta la mano aperta vicino alla bocca per poi muoverla verso di me con il palmo rivolto verso l'alto, lo faccio anch'io anche se non ne ricordo il significato e dopo anche Cesare e Jessy.
«Buona cena» dice sottovoce Anna, e poi gli altri.
«Buona cena» rispondo, sentendo il tono della mia voce come se fosse la prima volta.
Cesare comincia a passarmi del cibo. «Ricorda, non chiedere cos'è e mangia pensando che è ciò che ti piace di più.»
«Sì ricordo» gli rispondo, anche se l'aspetto di ciò che ho davanti non è molto invitante. Sono delle strisce di qualcosa, sembra carne a prima vista, con sopra una salsa molto densa, marrone scuro quasi nera.
«Sei stata davvero molto brava Cris, non hai fatto nessun errore.» Si complimenta Anna.
«Grazie, ho fatto molta attenzione, ero tesissima.»
«Adesso puoi rilassarti» mi dice sorridendo.
Faccio un lungo respiro e inizio a mangiare, il gusto è molto strano, ma non cattivo.
Quando finiamo di mangiare, Cesare sposta i lunghi rami che scendono dalla parete della montagna, scoprendo l'entrata di una caverna. Prediamo le torce accese ed entriamo. È fantastico, è una piccola caverna con dei cristalli che scendono dal soffitto, non molto alta, ma si può stare in piedi, noto che su entrambi i lati per terra vi sono due grandi avvallamenti, quasi fossero stati scavati sul pavimento, con del fogliame dentro.
«Questi sono i nostri letti, puoi metterci dentro il materassino e il sacco a pelo se hai freddo» mi spiega Anna.
Lo faccio, notando che lo fanno anche loro, mi stendo sentendo una stanchezza pazzesca avvolgere il mio corpo e istintivamente dico: «Ringrazio Dio per questo letto.»
Mi sveglio sentendo dei rumori strani fuori, apro gli occhi intravedendo la luce entrare dagli spazi fra i rami che chiudono la grotta, vedo qualcuno muoversi fuori, attorno alla roccia bassa dove abbiamo cenato, sollevo la testa per vedere meglio. L'uomo si avvicina ai rami, sembra un ragazzo dalla pelle olivastra, mi guarda con occhi gentili, ricambio il suo sguardo e gli sorrido. Lui abbassa lievemente la testa, solleva la mano e muove lentamente le dita, lo imito facendolo sorridere, poi si allontana lentamente.
Anna si sveglia poco dopo. «Buongiorno», la saluto sorridendo. Non so perché, ma quello strano incontro mi ha messo di buon umore.
«Buongiorno a te, che bel sorriso che hai stamattina.»
«Sarà che dormire in questa sorta di buca non mi ha fatto rotolare» le rispondo scherzando.
Ci alziamo e la guardo decisamente in difficoltà. «Cos'hai?» mi chiede non capendo cosa mi disturba.
«Sento la mancanza di un water» le confesso imbarazzata.
Lei scoppia a ridere e mi risponde: «Abituati, e occhio alle foglie che usi per pulirti.» Non le rispondo e afflitta mi dirigo dietro un albero.
Facciamo colazione a base di frutta, poi ci prepariamo per rimetterci in cammino, Cesare chiede ad Anna: «Quindi procediamo esternamente?»
«Sì. Cris deve fare delle foto.»
Mi passa la macchina fotografica e io chiedo: «Cosa devo fotografare?»
«Non appena dovrai farlo ti farò segno e mi raccomando, mantieni il sangue freddo, niente reazioni brusche nel caso vedi qualcosa che può sembrarti pericoloso. Ricordati, qui noi siamo sempre al sicuro» mi rassicura Anna con tono molto serio, le faccio cenno d'aver capito, iniziando a concentrarmi per il cammino, so già di doverlo fare di nuovo in perfetto silenzio, con tutta l'attenzione che ho usato ieri.
Procediamo inizialmente costeggiando la montagna, per poi addentrarci nella foresta, man mano procediamo si fa più fitta, gli alberi non lasciano passare molto sole, c'è un'umidità fastidiosa e gli insetti iniziano a farsi sentire.
Ad un tratto Cesare si ferma, alza la mano e Anna mi fa cenno di tenere pronta la macchina fotografica, ci fermiamo dietro un lungo tronco di un albero, steso per terra. Sento uno strano mugolio, ma lo sono di più i suoni che vengono dall'alto, sembra siano gli alberi a produrli. Anna mi fa cenno con la mano di mantenere la calma. La guardo tranquilla, poi torno con l'occhio al mio obbiettivo, sento che non siamo soli.
Dal mio obbiettivo intravedo qualcosa muoversi tra gli alberi, mi avvicino con l'obbiettivo per vedere meglio. Non so che animale sia, è tutto beige molto grande mettendolo in rapporto con il tronco dell'albero a cui è vicino, aspetto che si giri per vederlo bene. Uno strano suono lo incuriosisce facendogli alzare la testa, sembra un grosso gatto. Non ne capisco molto di animali, non ricordo se il puma quello maculato o è il giaguaro.
I suoni lo spingono verso di noi, resto calma, inizio a scattare, lui procede lentamente nella nostra direzione, mentre quegli strani suoni, misti a dei fruscii lo spingono al centro davanti a noi. L'animale si muove sospettoso, come se sapesse già che sarà presto attaccato.
È un secondo, un battito di ciglia, un uomo gli si avventa sulla schiena come se piovesse dal cielo. Io scatto senza fermarmi, l'animale si gira per morderlo e lui prontamente gli mette in bocca qualcosa, simile ad una palla da rugby con delle corde che fuoriescono dalle estremità, le afferra immediatamente e gliele lega dietro la testa. È una lotta veloce, che termina dopo pochi istanti con l'animale che stramazza a terra e l'uomo resta sempre sul suo dorso.
Sposto il mio obbiettivo sul viso dell'uomo, non ha l'espressione fiera del cacciatore vincitore, ma è quasi triste mentre scende dal suo dorso, si pone davanti all'animale accarezzandolo. Poi china la testa, la tiene ferma a pochi centimetri da quella della sua preda e le sue mani iniziano a massaggiarla. Dagli alberi arrivano altri uomini, si avvicinano lentamente, i loro passi sono leggeri, non si sentono sul suolo, si pongono attorno all'animale mettendosi in ginocchio, stendono le braccia verso lui e pian piano iniziano uno strano mugolio, è un crescendo, trasformandosi in un suono leggero e piacevole.
Il tutto dura qualche minuto, dopo di che con delle corde legano le zampe della loro preda, passano un lungo asse sotto le corde e lo sollevano portandolo via.
Ho concentrato molto la mia attenzione sui volti di questi cacciatori gentili, le loro espressioni erano rilassate e un po' tristi, come chi fa qualcosa perché deve farlo, e quando legavano le sue zampe l'uomo che lo ha ucciso è rimasto ad accarezzare la sua testa, come se volesse consolarlo e ringraziarlo allo stesso tempo.
Gli hanno dato una morte veloce e credo indolore, non ho visto l'animale soffrire, non ho mai assistito ad una scena di caccia simile. Hanno fatto tutto con un grande rispetto e direi devozione nei confronti di quella preda e tutto mi è sembrato quasi irreale.
Cesare ci fa segno di rimetterci in marcia, Anna mi guarda e mi sorride, ricambio il suo sorriso ancora incredula di ciò che ho visto.
Proseguiamo il cammino per tutta la mattina, e nel silenzio di questa foresta, inizio ad individuare i vari suoni: non sono tutti versi di animali, alcuni vengono dagli alberi, come se fossero loro a produrli e poi vi è un leggero fruscio, quasi impercettibile che ci segue, ma è anche davanti a noi e ai lati. Non siamo soli, abbiamo una folta scorta a proteggerci e a controllare che non rechiamo danno a nulla.
È una sensazione rassicurante, mi fa sentire responsabile di ogni muscolo che muovo, è come se sentissi il bisogno di proteggere chi mi protegge.
Ci fermiamo di nuovo quando il sole è dritto sulle nostre teste, vi sono pochi raggi che riescono a passare dai folti rami degli alberi, ci mettiamo a cerchio attorno ad una roccia con sopra il nostro pasto, molto simile a quello di ieri. Ripetiamo quei gesti di ringraziamento che iniziano a piacermi, per poi sederci e mangiare. Abbiamo quasi terminato l'acqua, ma credo che ormai non manchi molto, Anna e gli altri non mi sembrano preoccupati. Mi allontano un po' da loro e ne approfitto per fargli qualche foto a loro insaputa, mi piace la loro espressione serena. Per quanto siamo stanchi, mi rendo conto che abbiamo dentro una leggerezza e oserei definire una pace nuova, che ci fa vedere tutto sotto un profilo diverso.
Anna si accorge che la sto fotografando, mi sorride e mi lascia fare. È una donna straordinaria, non so dove prenda tutta la forza che serve per affrontare tutto questo, ha una determinazione negli occhi che le invidio e mi rassicura allo stesso tempo.
Riprendiamo il cammino, le mie gambe iniziano a sentire la stanchezza, questi scarponi sono pesantissimi e mi fanno un male pazzesco ai piedi, non so più se li poggio a terra lentamente per paura di pestare qualcosa o per il dolore che provo ogni volta che lo faccio. Cesare nota la mia espressione forse troppo evidente di sofferenza e mi fa cenno che manca poco, lo spero davvero, non so per quanto riuscirò a farcela. Dopo un paio d'ore di cammino gli alberi davanti a noi sono disposti tutti su file rette, non più a caso come prima. Sembra che qualcuno li abbia messi lì secondo un ordine ben preciso. Cesare alza mano facendoci segno di fermarci, poi la muove in avanti, per far capire a me e Anna di metterci accanto a lui e Jessy.
«Da qui possiamo ricominciare a parlare, ma sempre sottovoce» mi dice Anna, io annuisco e lei mi spiega: «adesso attendiamo che vengano a riceverci, quando lo faranno rispondi al loro saluto mettendo le mani aperte davanti a te, con i pollici rivolti verso l'alto e muovi lentamente le dita, è il loro modo per dirti che sono felici di conoscerti.»
«Va bene» le rispondo sentendomi emozionata, è una bella sensazione, adesso capisco cosa mi ha detto quel ragazzo questa mattina.
Dopo poco iniziano di nuovo quei suoni provenienti dagli alberi, è una melodia molto delicata, alzo gli occhi vedendo diverse persone, uomini e donne del tutto nudi, le loro teste sono piene di treccine lunghe e sottili, i loro corpi molto snelli e aggraziati, si muovono tra i rami con una naturalezza impressionante, venendo verso di noi. Non hanno armi, ma solo delle corde o delle fasce messe a tracollo sulla spalla sinistra. Giungono quasi sulle nostre teste e si lasciano cadere giù, come se volassero, tenendo le braccia aperte, arrivando al suolo in piedi. Si dispongono in due gruppi per poi abbassarsi lentamente poggiando il ginocchio destro per terra, mantengono lo sguardo fisso su di noi sorridendoci, dopo abbassano la testa portano le braccia in avanti e iniziano a muovere le dita.
Io guardo Anna per capire se devo farlo anch'io, ma lei e gli altri sono immobili.
«Questo è il gruppo dei cacciatori che ci ha seguiti e protetti fin qui. Appena si rialzano noi li salutiamo allo stesso modo» mi spiega lei.
«Ok», le rispondo sottovoce, ho quasi paura di parlare.
I cacciatori si alzano e noi lentamente ci inginocchiamo davanti a loro allo stesso modo, mi accorgo che dal mio lato c'è quel ragazzo che ho visto stamattina, così guardo lui e gli sorrido mentre mi abbasso, poi chino la testa, stendo le braccia e muovo le dita, mi diverto e emoziono molto.
Ci rialziamo sentendo una melodia più corposa avvicinarsi a noi, i due gruppi di cacciatori si spostano indietro lasciando libero il passaggio e vedo un folto gruppo di persone, anch'essi nudi, venirci incontro. Anna mi si avvicina un po' sussurrando al mio orecchio. «Le uniche distinzioni che vedrai tra loro sono tre diverse acconciature per i capelli, li differisce per fasce di età. Gli uomini anziani o adulti sono del tutto calvi, le donne della loro stessa età tengono i capelli tutti raccolti sulla testa, i giovani in età da matrimonio sia maschi che femmine hanno solo due lunghe trecce che partono da sopra la fronte, scendendo dietro le orecchie, per unirsi dietro la nuca e i più piccoli hanno i capelli più o meno lunghi lasciati sciolti.»
Il gruppo si avvicina a noi, intonano una melodia diversa, non so come producano quei suoni, le loro labbra si muovono appena, è come se sentissi cantare gli angeli, è decisamente una cosa molto suggestiva.
«Non appena finiranno il canto si avvicineranno a darci il benvenuto, ma non devi inginocchiarti a loro, resta in piedi e ricambia il loro saluto» mi spiega Anna, faccio cenno di sì con la testa e lei aggiunge, «alla fine ci doneranno delle collane, chi te la donerà ti dirà "kymala" che significa "fai parte di noi", tu rispondi "lamaky", che significa "mi prenderò cura di voi".» Annuisco affascinata da ciò che sto vivendo. Poi riprende, «Tu fai delle foto quando doneranno le collane a noi e poi dai a me la macchina fotografica così la farò a te, ma prima, appena si avvicinano, fai un passo avanti, metti la mano sinistra al centro del petto e presentati, poi mostra loro la macchina fotografica, mettendola bene in vista, ricordi cosa devi dire?»
«Sì», le rispondo sempre più emozionata. È l'unica frase che ricordo di quelle che mi ha insegnato a Roma.
Finiscono il canto, le loro labbra si rilassano in un sorriso contagioso e ci danno il benvenuto muovendo le mani, lo facciamo anche noi. Pian piano le persone delle prime file si spostano sui lati lasciandoci salutare tutti, infine ci vengono incontro quattro di loro, Anna mi fa cenno che è il momento di fare il mio passo avanti e presentarmi. Mi sposto in avanti, sperando di dire ogni parola nel modo corretto, e quando finisco, vedendoli annuire, faccio un sospiro di sollievo, temevo di dire qualcosa di sbagliato e offenderli.
Un uomo adulto mette al collo di Anna una collana fatta con una strana corda con diversi nodi. «Kymala nu Tesò.» Anche lui la chiama tesò, quindi forse Cesare la chiama così per via dei Kubut.
Lei risponde: «Lamaky nu Ghibu.»
Una donna giovane mette una collana con due nodi al collo di Jessy, un uomo giovane la mette al collo di Cesare, la sua con tanti nodi quanti su quella di Anna. Fotografo ogni momento con molta emozione, poi do la macchina fotografica ad Anna vedendo davanti a me farsi avanti una bimba di sette anni circa, si porta la mano al petto e si presenta: «Mo Limun.»
Mi abbasso sorridendole per farmi mettere la collana al collo, nella mia vi è un solo nodo, lei ricambia il mio sorriso e mi dà il benvenuto. «Kymala nu Cris.»
«Lamaky nu Limun.»
Mi rialzo, la piccola mi prende per mano e ci incamminiamo, seguendo Anna che tiene la mano di Ghibu e gli altri dietro di noi. Seguiamo un sentiero che ci riporta a costeggiare la montagna, fino ad arrivare al villaggio, dove vi è un altro gruppo di persone molto più numeroso di quello che è venuto a riceverci. Appena ci vedono arrivare si mettono in piedi interrompendo il loro lavoro. Ghibu si pone tra noi e loro, alza la mano dicendo ad alta voce: «Cona kubut, nut Cris Kymala.»
Tutti in coro rispondono muovendo le mani in segno di saluto. «Kymala nu Cris!»
Anna mi guarda e mi dice sottovoce: «Salutali presentandoti a loro.»
Faccio un passo avanti e dico con voce chiara muovendo le mani: «Lamaky cona Kubut.»
So che anche a loro devo mostrare la macchina fotografica, così la tolgo dal collo, la alzo ben in vista e dico: «Simaco dirir pokù.» che se non ricordo male vuol dire, "Con questa racconterò di voi."
Ghibu ci fa segno di seguirlo, facendoci strada in mezzo al suo popolo, è davvero molto numeroso. Sulla parete della montagna due uomini aprono le liane che la coprono per farci entrare nella caverna, molto simile a quella dove abbiamo dormito la sera prima. Non appena entriamo ci togliamo di dosso i pesanti zaini, Anna mi guarda e dice: «Adesso spero ti vada un bel bagno.»
«Certo che mi va, puzzo da morire» le rispondo esausta.
«Bene allora togliti i vestiti e andiamo.»
«Andiamo fuori del tutto nudi in mezzo ai Kubut?» le chiedo imbarazzata.
«Sì, qui sono tutti nudi, devi mostrare il tuo corpo per dimostrargli la tua fiducia, ma non preoccuparti, per loro non sarà una novità, non vedranno nulla che non hanno ogni minuto sotto gli occhi» mi spiega seria.
«Dobbiamo stare sempre nudi?» le chiedo per capire che senso aveva la scommessa di Casare.
«No, dopo il bagno quando torneremo qui potrai vestirti se vuoi. Loro sanno che le nostre usanze sono diverse e le rispettano, come noi rispettiamo le loro uscendo nudi in mezzo a loro.»
«Va bene» le rispondo, non so perché ma improvvisamente mi sento a mio agio.
Ci spogliamo del tutto e usciamo, mi accorgo che nonostante non indosso vestiti tutti guardano solo il mio viso e cercano di incontrare il mio sguardo.
Mi sembra molto strano, nella civiltà, come la definiamo noi, in questo momento tutti mi guarderebbero ovunque, ma di certo non negli occhi.
Dei bambini ci aspettano fuori per accompagnarci a fare il bagno e ci conducono lungo un viale cosparso di foglie, non c'è nulla che possa farmi male ai piedi, i quali non sentono nessuna mancanza degli scarponi.
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