7 - Ombre che camminano
Le urla dell'altra me ci riempiono le orecchie come farebbe dell'acqua in un bicchiere. Rimango atterrita nel bel mezzo della strada, con i miei amici accanto ed Erwood che spara all'impazzata. Ma la ragazza è scomparsa, nel nulla, come dissolta nell'aria. Pouf. Non c'è più, e io rimango allibita di fronte all'evento. Ci è baluginata per una decina di secondi davanti agli occhi. Un susseguirsi di clangori acuti fa capolino nel mio cervello, e mi copro le orecchie con le mani, mentre Mariangel mi tira per il braccio urlandomi di seguirla.
Siamo diretti alla stazione di Peckham, e sinceramente non so il perché. Se non eravamo al sicuro dentro il KFC, non lo saremo nemmeno nemmeno là dentro. Il fumo e i demoni alle nostre spalle sembrano essere spariti, e non c'è più traccia delle luci della macchina della polizia.
«Seguitemi.» Ordina Erwood posandosi il kalashnikov sulla spalla e guardando stordito il punto in cui è sparita l'altra me. Sembra concentrarsi sulle varie ipotesi di come possa essersene andata, ma il suo sguardo è un insieme di punti interrogativi. Lo seguiamo camminando all'interno della stazione, mentre sento le prime persone urlare nella strada principale che abbiamo percorso correndo. Gli spari nel ristorante devono aver svegliato tutte le abitazioni che si trovano sopra i negozi.
«I cancelli della stazione sono chiusi.» Dice la ragazza sconosciuta sbattendo leggermente i cancelli arrugginiti alti all'incirca tre metri.
Dusnatt la scansa senza esitazione e punta il revolver sul lucchetto che tiene legati i due cancelli. Con un solo colpo, il ferro a forma di arco del lucchetto si spezza a metà, e subito dopo qualche secondo ci ritroviamo tutti e sei dentro la stazione dei treni di Peckham.
«Oh diamine...» Ansima Erwood buttandosi praticamente a terra e appoggiando la testa contro il muro alle sue spalle. Noi ragazze lo imitiamo, mentre Dusnatt e Danielius si mettono davanti a noi, seduti a gambe incrociate, i revolver carichi pronti a tutto. Se ricordo bene, questa dovrebbe essere una delle poche stazioni del sud priva di telecamere di sorveglianza.
«Ma cosa diavolo erano...» Comincia la ragazza sconosciuta riprendendo un po' di fiato. È vestita di un leggins e di una giacca di pelle nera molto piccola, visto che ha l'ombelico scoperto.
«Diavoli! Cosa potevano essere? Ma non li hai visti? Avevano le ali!» Conviene Mariangel asciugandosi la fronte arrossata con il braccio, prima di continuare. Sembra un pomodoro.
«Stai zitta! Certo che li ho visti, non sono mica cieca.» La rimprovera la ragazza, abbastanza irritata da tutto ciò.
«Cavolo, certo che mi sto zitta, lo faccio sempre! Ma non dopo quello che è successo! Potevamo morire.»
«No, ma davvero? E io credevo che potessimo giocare a Forza Quattro con loro...»
«State zitte un attimo» Le interrompe il mio migliore amico sbottonandosi di poco la camicia a quadri bianca e nera, cercando di non far attaccar loro bega. «Voglio sapere chi ha assistito per bene all'esplosione. Qualcuno ha visto da cosa è stata... generata?»
«Amico, certo che no. Nessuno ha visto niente. È stata improvvisa! Boom!» Danielius mima un'esplosione con le mani. Ha le labbra così fine che pare che non ce l'abbia. «E quel cavolo di fumo nero! L'odore di benzina che emana mi fa vomitare...»
«Di benzina?» Gli dico, alquanto confusa. «Tu senti odore di benzina? Io sento fumo e fragola mischiati..."
«Ma di che cazzo parlate? Io sento l'odore del mare! E stop!» La voce di Dusnatt sovrasta la mia. Riesco a vedere anche con gli occhi socchiusi le fronte aggrottate dei miei amici.
«Di mare? Di fumo e fragola? Di benzina?» Ora è la voce di Mariangel a dominare. «Io ho sentito... odore di fiori.»
«E io di merda. Ve lo giuro» Annuncia Erwood abbozzando un sorriso. «Non sto scherzando, sento l'odore di escrementi appena sfornati dal culo di un elefante.»
«Buon per te.» Se la ride Danielius. Ma io non rido, e vedo che non lo sta facendo nemmeno Dusnatt. La mia mente è concentrata sulla questione degli odori del fumo nero. Ognuno di noi ne percepisce uno diverso. E chissà da cosa dipende. Questa cosa non mi quadra per niente.
«Forse eravamo tutti troppi fatti per odorare bene.» Dico sperando che sia così.
«Può essere. Io mi sono fatto due spinelli alla festa. E Dusnatt pure. Danielius ha solo bevuto...»
«La festa!» Trilla improvvisamente Mariangel. Le sue guance arrossate ora sembrano due mele. «Tutte quelle persone morte... cosa succederà?»
«Sinceramente, non me ne frega niente di quel che succederà, del futuro. A me interessa soltanto il presente, e il fatto che dobbiamo ragionare sul passato.» Borbotta Erwood. Poi guarda Dusnatt, come per lasciargli la parola.
«Non so cosa sia successo. Con le esplosioni e con il fumo. Veramente. Qualcuno dovrebbe aver messo una fila di esplosivi per la casa e rilasciato sostanze tossiche tramite il fumo nero. So che è impossibile...»
«Con quel qualcuno intendi umani o mostri? No, perché se credi che siano stati gli umani a farti esplodere casa e ad uccidere più di cinquanta ragazzi ad una festa, allora sei davvero uno scemo!» Dice accigliata la ragazza sconosciuta dai capelli bianchi.
«Non sto affatto dicendo che sono stati degli umani a farci questo, Cristo Santo. Ma cazzo, se sono stati quei mostri figli di una buona donna, allora mi chiedo: perché?»
«Ottima domanda, amico» Dice Erwood gelido. I suoi occhi color senape saettano su ognuno di noi. «Perché?»
«Perché?» Ripetiamo tutti a bassa voce, sussurri destinati a far parte del silenzio di questa stazione fuligginosa e deserta.
«Non posso credere che siano tutti morti...»
Ecco. Ora Dusnatt sta cominciando a realizzare.
«Il vecchio Christoph, l'ho visto con gli occhi infossati e del tutto neri, inghiottito da quel fumo... E Tessa... Cazzo, lei proprio no!»
«Forse non sono morti...» Tenta di dire Danielius, ma viene subito interrotto da Dusnatt.
«Diamine, come fai a dire che non sono morti? Io li ho visti. Avevano gli occhi neri, il petto fermo, delle cazzo di linee nere intorno agli occhi e tutti ammassati a terra come bestiame da macello!» Ruggisce Dusnatt. «Oh, sono morti eccome! Uccisi da fenomeni paranormali! Bufali, demoni del cazzo, mostri bestie assassine!»
Vorrei condividere tutto lo sfogo che ho dentro di me con Mister Cazzo, ma non ci riesco, perché sono come incollata a terra. Le ferite dietro la testa ora mi pulsano più che mai e sento le prime vesciche formarsi sui miei poveri piedi. Il dolore all'osso sacro è così forte che si riversa lungo tutta la spina dorsale, causandomi dei pruriti alla zona del midollo.
«Qualunque cosa fossero, e qualunque cosa volessero, è lei che volevano» La ragazza coi capelli bianchi mi indica tremante. «L'hanno ben rincorsa e trovata nel KFC, e poi ne hanno fatto una copia fantasma identica che può scomparire appena le si spara.»
«Ehi frena frena frena. Quello della copia di lei non riesco a spiegarmelo davvero. Insomma, che razza di stregoneria è mai questa?»
«Forse non hai capito bene, Danielius.» Interviene il mio migliore amico. «Questa notte siamo stati fottuti da un branco di demoni che sanno fare magie, ecco qua.»
Mariangel scoppia in una risata, piegando la testa all'indietro. Poi, dopo aver ripreso fiato, parla. «E se fossimo tutti maledettamente fatti davvero? Insomma, forse ci stiamo immaginando tutto e le nostre menti sono del tutto controllate dall'erba.»
«Come spieghi allora..." Le risponde Erwood «...tutte le ferite che mi sono procurato?"
«Diamine, se fossimo fatti adesso saremmo a contare i centimetri dei peni di quei demoni!" Ruggisce Mariangel.
«Esatto, e non solo i peni." Approva Danielius sarcastico.
E poi mi balenano nel cervello le immagini dell'uomo bieco che mi stava fissando a casa di Erwood. Potrei collegarlo a quello che è successo pochi minuti fa? Forse lui potrebbe esserne stato l'artefice. Forse lui è, che so, il capo del branco di quei demoni? Non riesco a immaginare altre ipotesi, visto che non può essere una coincidenza che un uomo sudicio dalla postura strana e gli occhi rossi mi guardi intensamente e qualche ora dopo degli uomini neri, nudi e alati cercano di ammazzare me e i miei amici. Ci dev'essere per forza qualche collegamento, ma ho la mente troppo smossa per cercare di ragionare per bene. Non mi reggo nemmeno in piedi. La corsa dal KFC alla stazione mi ha letteralmente steso a terra. E io sono un tipo che dopo duecento metri non ce la fa più.
Cosa volevano quelle creature? Da dove sono state create? Chi le ha mandate? Sono demoni che vogliono soltanto divertirsi un po'? Satana in persona ha comandato loro di uccidere una cinquantina di ragazzi? Per un momento l'idea che quell'uomo in mezzo alla strada fosse Satana governa a lungo nella mia mente contorta, ma poi scaccio via l'idea.
Per quale fottuto motivo Satana dovrebbe guardarmi mentre mi trucco? E veramente ho appena detto la parola "fottuto"? Di solito non dico parolacce. Giusto qualche volta. Ma non quando mi arrabbio. Quando mi arrabbio mi comporto molto diversamente dagli altri, che si sfogano urlando parolacce.
E la copia di me stessa. Sembro incapace di scacciare via l'immagine di Erwood che le spara con il kalashnikov e lei che scompare di colpo, come se fosse stata fatta di vapore. E il mio nome sussurrato infinite volte in questa notte...
«Ho la milza che è un budino...»
«Non dirlo a me.» Er sembra sul punto di addormentarsi e non svegliarsi più, ma tiene gli occhi ben aperti, l'arma pesante tra le mani. Si guarda intorno come se si aspettasse che succeda qualcosa di strano da qui a qualche minuto. E io non posso dargli che retta, quindi mi guardo intorno anche io. La stazione è deserta, ed ora tutto intorno è silenzioso. Non c'è più alcun bisbiglio, e nessuno chiama più il mio nome. Finalmente, cavolo.
«Amici miei, ce la siamo cavati con le pistole di mio padre.» Ansima Dusnatt. Lui sembra il meno stanco di tutti, sebbene abbia un corpo secco e privo di muscoli. Quando lo guardo con aria confusa, lui aggiunge di fretta: «Tiene una collezione di armi da set cinematografici sotto il pavimento del salotto. Non ho esitato un momento a prenderle. A proposito...» Si infila una mano nell'enorme tasca destra del suo pantalone largo sopra e stretto in basso: un luccichio argenteo mi suggerisce che Dusnatt mi sta dando una pistola.
«Lei con le pistole è come Jennifer Lawrence con le scale, Dusnatt!» Si intromette Erwood rifilandomi uno sguardo divertito.
«Ma falla finita.» Gli dico mentre prendo la pistola che mi porge Dusnatt con delicatezza. Il mio braccio va all'ingiù appena la prendo. È abbastanza pesante.
«Ci farai l'abitudine, tesoro.» Mi dice Dusnatt mentre mi fa l'occhiolino, aggiungendo anche che l'arma è una Walther P99, ma nel suo sguardo noto un pizzico di tristezza. Lo vedo dare due coltelli a Mariangel e alla ragazza sconosciuta, che stanno cercando di dare un nome alle creature che ci hanno assalito.
Stamattina mi sono svegliata col pensiero che oggi avrei passato una rilassante, serena giornata con il mio migliore amico, e che dopo saremmo andati da quello stupido di Dusnatt a farci due bicchierini. Scontato dire che non mi sarei mai minimamente immaginata che fosse perfino esploso qualcosa.
E mentre maneggio la Walther P99 - molto compatta e colorata di blu sporco e di un marrone tendente al grigio, usata per Il domani non muore mai - della collezione da set cinematografico del padre di Dusnatt, sobbalzo quando per sbaglio sparo. Ma poi mi accorgo che non ho premuto il grilletto, perché ho entrambe le mani sulla punta dell'arma. Infatti non sono stata io a sparare.
Erwood si alza di colpo insieme a Danielius, puntando le armi contro i cancelli della stazione, da cui di sicuro sta arrivando qualcuno. E non so chi, visto che l'intera sagoma del presunto umano è in penombra.
E quando sembra che sia solo un sopravvissuto all'esplosione della festa, la figura scompare allo stesso modo dell'altra me a un colpo di proiettile sparato fuori dalla stazione.
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