4 - Un gioco di nubi
La mia mano vola verso il suo viso abbronzato prima che io possa veramente accorgermene. Il rumore che produce il palmo sulla guancia del ragazzo - e non sto esagerando - si sente forte e chiaro nonostante la musica elettronica che sfonda l'aria. Il braccio sinistro rimane levato anche dopo aver colpito il soggetto, e non perché sono vergognata o perché mi trovo sotto pressione, ma perché non riesco ad abbassarlo. Come se tutto d'un tratto dei fili trasparenti si fossero legati al mio corpo e allacciati ai lampadari del soffitto. Provo ripetutamente ad abbassarlo, ma niente, rimane lì, sospeso a mezz'aria. Non posso crederci. Nel momento in cui chiudo gli occhi - e stavolta, sì, per la vergogna - sento qualcuno toccarmi il braccio e abbassarmelo. E proprio in quel momento percepisco un tanfo di fumo e fragola. Sì, di fumo e fragola.
Iniziamo bene.
«Stai tranquilla, volevo solo baciarti.»
Apro gli occhi e traggo un enorme sospiro, segno della voglia di rilassarmi. La maggior parte della gente nella sala non si è accorta di me, ma Erwood e Dusnatt hanno gli occhi puntanti sul ragazzo. Mi pare di non averlo mai visto. I suoi capelli spazzolati all'indietro con una grande quantità di gel mostrano una grande fronte quadrata. Le sue folte sopracciglia mi ricordano quelle di un falco, e gli occhi grigi screziati d'arancione gli danno un'aria di assoluta inquietudine.
Ma chi è?
«Tizio, cosa avevi intenzione di farle?» La voce minacciosa ma calma di Erwood mi fa smettere di vibrare. E nemmeno mi ero accorta che stessi vibrando.
Il ragazzo coi capelli neri lucidi gli rifila uno sguardo divertito. Poi guarda Dusnatt.
«Amico, e questi due chi sono? Li vedo abbastanza... turbati.»
«Erwood ed una sua amica.» Risponde semplicemente con una scrollata di spalle.
Per un momento pare che si debbano prendere a cazzotti da un momento all'altro, poi, sorprendendomi, Dusnatt e il ragazzo si danno la mano calorosamente. Il mio migliore amico, invece, è rimasto immobile.
«Cari miei» Inizia Dusnatt, il sorriso stampato in volto. «Lui è Corbin. Un mio amico, e stasera...»
«Dus, lascia fare a me» Il ragazzo si avvicina al mio viso con fare arrogante. Riesco a vedere perfettamente le sfumature arancioni nei suoi occhi grigi. "Volevo solo un bacio, dolcezza."
Come? Sbaglio o mi ha appena chiamato "dolcezza"?
«Chi sei?» Gli chiedo indifferente. Cerco di mantenere un'espressione gelida mentre i suoi occhi si posano intensamente sulle mie labbra. Dal colore della sua pelle, suppongo non sia inglese, bensì di qualche paese del Sudamerica, di cui, almeno qui a Londra, non si hanno novità. Be', direte voi, certo, sei segregata in un cavolo di territorio schiavo e povero! E avete assolutamente ragione, per quanto a volte mi irriti. Ma, come vi avevo detto, mi ci sono abituata.
«Sono Corbin Harper. Volevo ringraziarti per lo schiaffo che mi hai dato. In effetti, mi hai chiarito le idee.»
Gli ho chiarito le idee? Ma di cosa sta parlando? Non faccio neanche in tempo a dirgli qualcosa che Erwood si mette in mezzo, un mezzo sorriso abbozzato sulle labbra rosa-arancioni.
«E questo lo chiami rimorchiare? Ma andiamo, una ragazza si rimorchia così!» I suoi occhi senape saettano per tutta la stanza, poi si fermano proprio dietro di me. Lo vedo incamminarsi verso la mia amica Mariangel, i lunghi capelli biondi che le sfiorano il fondoschiena. Non è più con Danielius, tanto è impegnata a scolarsi una brocca di sidro alla fragola. Mi è sempre piaciuta Mariangel, una sgarzigliona sagittabonda. Le sue guance sembrano fatte di gomma, tutte arrossate e soffici. Usa mettersi delle sopracciglia finte, ma non importa, visto che il suo fisico mi fa morire d'invidia ogni volta che lo guardo. Ha delle forme così attraenti che a volte mi vengono seri dubbi sulla mia eterosessualità. Quando vede Erwood, arrossisce. Li vedo parlare per qualche secondo, poi il mio migliore amico riesce ad avvicinare la testa a quella della mia amica con un atteggiamento alquanto civettuolo, ma non succede ancora niente. O forse. Erwood le infila una mano propria sopra l'incavo del seno, dentro il vestitino blu elettrico attillato. Vedo la sorpresa nel volto della mia amica, l'incredulità è un pizzico di rabbia, ma poi Erwood ritira su la mano e le sventola davanti agli occhi quelle che sembrano venti ruette.
Lo sento sussurrare: «Hai un seno d'oro, Mary, veramente.»
Non posso più trattenermi. La mia risata mi esce dalla bocca così bruscamente che rischio di perdere l'equilibrio. Ma sento la mano del nuovo ragazzo sorreggermi alle mie spalle. Sono sul punto di girarmi e rifilargli un altro schiaffo, ma le parole che dice Mariangel mi sorprendono.
«Conquisti le donne con i soldi, Er?»
«Infatti i soldi me li tengo io. Mi prendo solo il bacio» E i loro visi diventano un'unica cosa. Mi sorprendo quando noto che sto ancora ridendo. Amo Erwood, è un pazzo filosofo matto da legare. Ed ora sta limonando spudoratamente con una mia amica, davanti lo sguardo divertito di questo nuovo Corbin Harper.
Sento Dusnatt applaudire alle mie spalle. E le mie spalle sono circondate dalle mani di Corbin. Con un rapido movimento mi libero dalle sue grinfie e lo guardo negli occhi.
«Chi sei?» Gli ripeto. Qualcosa nel suo sguardo mi turba. Il mio naso ha smetto di catturare quel che di fumo e fragola.
«Sono solo un umano, cosa credi che sia, un mostro? Allora? Ci divertiamo?»
«Che fossi un umano non ne dubitavo, più o meno. Ma penso che dovresti abbassare le penne con me, non sono la classica puttanella che te lo succhia al primo ballo.» Questa frase non sembra tanto sconvolgerlo, e lui non dà segni di irritazione o sorpresa, ha solo uno sguardo divertito e da sapientone.
Sembra uno di quei tanti uomini che si trovano al Crepato, il confine tra la Macchia del Nord e quella del Sud, nonché il tratto d'acqua del Tamigi, che divide la città in due parti quasi uguali. Le pattuglie dei cosiddetti Deattori sono distribuiti in ciascun ponte del fiume, dall'Hammersmith Bridge al Tower Bridge. Ventiquattr'ore su ventiquattro, assicurandosi che nessuno nel sud oltrepassi il Crepato ed entri nel "territorio supremo". E tutto questo, ancora, subito dopo il Giorno Vuoto.
Bevo un bicchierino di vodka alla pesca e butto giù un po' di cioccolatini alla menta. Poi, dopo il piccolo snack, il mio corpo è in balia della tempesta scatenata dalle onde sonore della musica. Mi lascio trasportare, ballando la maggior parte del tempo con Dusnatt ed Erwood, che continua a stare con Mariangel subito dopo essersi liberato di me. Corbin è sparito dalla mia vista, e fa la sua comparsa Danielius. Lui è un tipo abbastanza a posto, anche se è molto, forse troppo, simile ad Erwood. I suoi capelli neri lunghi fino alle spalle lo fanno sembrare un ventenne, sebbene abbia sedici anni. Ha gli occhi così tirati agli angoli che sembra un giapponese, in realtà è di origini siriane, e ha la pelle leggermente brunita. È nato qui, a Londra, e vive con entrambi i genitori. Sebbene abbia un anno in meno di me, è con lui che mi sono presa la prima sbronza.
Alcuni amici di Erwood portano delle scatolette di vetro che se si rompono rilasciando del fumo colorato per tutta la stanza, e quindi tutti ci divertiamo a romperle, chi con la testa, chi con le mani, e chi lanciandole sulle pareti. Dusnatt non si preoccupa affatto delle righe e i solchi che si formano dappertutto, forse perché è troppo ubriaco e forse perché la musica, ora altissima, di Skrillex non gli permette di distrarlo dal ballare.
Il mio naso cattura un che di fumo. La roba di Erwood ha cominciato a girare per la stanza, ma io continuo a ballare e a mangiare quello che mi capita davanti, sfruttando il fatto di potermi ingozzare quanto voglio. Vedo gente che vomita, che twerka al ritmo di musica e che urla come inpazzita, come se fossero sotto tortura. Le feste a casa di Dusnatt hanno sempre quel che di speciale, ed io amo questa cosa. Danielius mi suggerisce di uscire sulla terrazza a prendere un po' d'aria, ma io voglio restare qui, perché questo Skrillex spacca davvero. Quel finto giapponese di Danielius mi lascia da sola, e io rimango in piedi nel bel mezzo della festa, mentre davanti agli occhi mi turbinano mille colori e vortici fatti di persone. Qui la gente si diverte molto. Credo che nella Macchia del Nord non sia così. Loro se devono fare una festa la fanno ber bene e senza cose fuori dal normale, in un appartamento nel grattacielo più alto della città, da veri gentlemen. Le persone del Nord... esseri sconosciuti, potenti, mai visti.
L'odore degli spinelli dei miei amici ora si fa più pesante, tanto da sembrare che fumi anche io. Forse mi sto drogando solo respirando, perché i vortici colorati intorno ai miei occhi si ingigantiscono come fa un palloncino in bocca ad un bambino. I colori si fanno più intensi, più vivaci, più vivi, ed io chiudo gli occhi, mentre sento il mio nome nell'aria pesante e carica di musica. Non posso continuare a dire che me lo sono immaginato, ma forse è così, perché mi sento ubriaca, anche se ho bevuto solo qualche sorso di sidro alla fragola e di vodka alla pesca. Il mal di testa e il dolore ai piedi non fanno che peggiorare la situazione.
«Che la vera festa cominci.»
Queste sono le ultime parole che le mie orecchie riescono a catturare prima che quell'odore di fumo e di fragola mi invada nuovamente le narici. Sbatto le palpebre più forte che posso, mentre un tremito che non posso controllare invade ogni singolo centimetro della mia pelle, dalla punta delle mani a quelle dei piedi. Da questo momento, un suono acuto e infinito mi trafigge i timpani, perché vengo catapultata all'indietro come una bambola di pezza, spazzata via da tutto e da tutti. D'istinto, mi porto le mani sopra la testa e chiudo gli occhi. La mia testa sbatte bruscamente sul vertice di una parete, e il mio corpo collassa a terra, spasimante.
Apro leggermente gli occhi per vedere quello che sta succedendo.
Un fumo nerastro passa indisturbato sotto la fessura di una porta e si avvicina lento e cauto verso ogni presente nella stanza. Ma è inutile dire "ogni presente", perché non c'è quasi nessun presente: quelli che potrebbero essere trenta ragazzi giacciono a terra senza vita, gli occhi immersi in striature nere e quel fumo scuro che esce loro dalla bocca. Il fumo colorato che avevamo fatto uscire dai recipienti di vetro è sparito del tutto, sostituito da quello oscuro, che ora sembra un mostro disintegrato: decine di mani lunghe e secche fuoriescono dall'oscurità del vapore, come se dietro ci fossero delle persone con le braccia tese. Le dita si contraggono e si dimenano come lunghi serpenti, e ora inizio a sentire dei bisbigli. Bisbigli che chiamano il mio nome, insistentemente.
Faccio appena in tempo a muovere di qualche centimetro la testa per scorgere altri morti. Mi viene un colpo al cuore quando vedo me stessa nelle macerie piene di cadaveri.
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