22 - Il sangue della cascata

Lo sguardo di Marjoire rivela un'abbondante dose di incredulità e divertimento. I suoi occhi sono immersi in qualcosa di buffo e allo stesso tempo confuso, come una nebbiolina che ti confonde.

Dopo aver fissato il revolver di Dusnatt per una manciata di secondi, la donna chiede:«Davvero fai tutto questo trambusto per un cane?»

Ciuffo Viola diventa immediatamente rosso. «Non sto facendo tutto questo trambusto per un cane. Sto facendo il giusto per un amico. Quel cane non è un semplice cane.»

«Vi ho mai detto che se mi sparaste non mi succederebbe niente? Solo una pistola in mano di un demone può uccidere un altro demone.» Se la ride Marjoire abbassando lentamente con la mano l'arma di Mister Cazzo. I suoi occhi brillano per un attimo di giallo, come se avessero riflesso quelli di Vectis, accanto a lei immobile e con un accenno di un sorriso stampato sulle labbra scure.

La spiegazione della donna fa diventare viola tutti noi. Abbiamo portato le armi per niente: anche se ci dovessimo difendere, loro non morirebbero. Siamo fregati in qualunque modo, e tutta la faccenda di portiamo-le-armi-e-nascondiamole ora è uno sbuffo di vapore. Dobbiamo essere dei demoni per ucciderli, e noi siamo Nephilim, mezzi angeli e mezzi umani.

«Ma vedo che sareste disposti a fare fuoco contro me, per questo.» sussurra lei alla fine, guardano ciascuno di noi. «Siete piuttosto coraggiosi. Se c'è una cosa che mi piace dei giovani, è che siete dei veri... aggettivo che inizia con la S e finisce con la I. Anche per me è valida la regola delle brutte parole.» Chiude gli occhi, come per dire purtroppo-ci-devo-passare-anche-io.

Il suono che dovrebbe essere una risata che le esce dalla bocca qualche secondo dopo sembra una piccola musica. «Non credete che la mia simpatia possa portare alla conclusione di portare qui il cane. Le regole sono regole.»

«Ci stai dicendo che... tu... insomma, non porterete qui...?» Chiedo io debolmente. Sento le Jordan riscaldarsi, come se di punto in bianco tutto il sangue mi fosse sceso nei piedi.

«Ma...»

«La riunione è finita. Credo abbiate bisogno di riposo. Non è così?» Distoglie lo sguardo dal mio e comincia ad accarezzarsi la coscia con le unghie smaltate ovviamente di rosso.

«Sì, è così.» Per la prima volta in questa lunghissima notte, Erwood le rifila uno sguardo del tipo io-e-te-dovremo-parlare, quindi si gira e mi prende per mano, portandomi verso il portone nero che porta al corridoio delle nostre stanze. «Dormirei per ore, giorni, settimane, se solo i miei sogni non venissero presi d'assalto dalla magia.»

«Dormirai sogni tranquilli, Erwoodier Cascino. Non dovete preoccuparvi.» lo incalza Marjoire da dietro. Io non mi volto e continuo diritto verso la porta, mano nella mano con il mio migliore amico, che sa di sapone al cocco. Appena tocco il portone per aprirlo, sento i passi affrettati dei miei amici dietro di me.

«Ragazzi. A parte il cane, pensateci. Siamo Nephilm.» Sussurra Danielius mentre attraversiamo la soglia. «E, strano ma vero, Dusnatt non ha avuto da ridire su questo.»

In effetti Ciuffo Viola non ha ribattuto sulla notizia che ci ha dato Marjoire. La notizia più importante che ci sia stata mai data. Di solito lui è quello che non crede mai a nulla. Ma proprio nulla. L'unica cosa a cui crede è il pensiero di non dover credere.

«È solo...» bisbiglia lui fermandosi sulla soglia della porta. Noi siamo sul tappeto multicolore ad acqua, quindi ci fermiamo e ci voltiamo a fissarlo.

«È solo che... mi sento come... non lo so, ragazzi. Mi sembra tutto troppo un sogno. E forse tra un paio di ore mi sveglierò a casa mia, con quella pazza di mia madre che mi urla che sono le undici del mattino. E invece sono le sei.»

Trattengo una risata, ma comunque lo guardo dolcemente. Deve essere stato sconcertante per lui - be', per tutti - venire a conoscenza delle attività universali. Attività del cavolo di cui ci ho capito poco e niente.

«Dai, non dobbiamo preoccuparci.» ripeto le parole di Marjoire con lieve sarcasmo, e dicendole mi sento improvvisamente meglio, come rinvigorita. Una piccola scossa mi attraversa il torace, ma poi sento la stanchezza che cerca di chiudermi le palpebre. «Su, Dan, andiamo a farci un bel sonno. Ma prima vorrei parlarvi un po'.»

➰➰➰

E alla fine di tutto, io, Colleen Hardy, sono una Nephilim, una mezza specie di mezzosangue: sangue metà angelico (o demoniaco) e metà umano. E così lo son tutti gli abitanti della Macchia del Sud, i miei amici, i miei genitori, tutte le persone che ho visto dopo il Giorno Vuoto, e a loro insaputa. E tutte le persone nel mondo: nessuna anima normale. Gli angeli e i demoni del Nord vogliono farci morire lentamente: ordini di Dio e di Lucifero, che da quanto ho capito non piacciamo loro tanto. E i membri della Poctilla che cercano di salvarci. La Poctilla è il Purgatorio, il luogo dove il fiume Letè giudica le anime per mandarle o in Paradiso o all'inferno.

Io e gli altri rimaniamo nella stanza di Dusnatt a parlarne per un po' (circa un'ora, che non è poi così poco). La sua stanza è identica alla mia, con migliaia di oggetti sui bassi mobili di legno ai piedi delle pareti.

L'unica cosa di cui sono davvero felice, per così dire, è che finalmente ho scoperto chi è l'artefice della divisione della città. Ho scoperto chi è stato a fare tutto questo male a milioni di persone, e in un certo senso mi sento sollevata, come se mi fossi tolta un grande peso dallo stomaco. Ma resta comunque una cosa a cui devo trovare una risposta: perché tutta la popolazione crede che la divisione e i Deattori ci siano sempre stati mentre io e i miei amici no? Noi siamo gli unici che hanno vissuto il cambiamento! Tutto quel casino da un giorno all'altro... la crisi... e tutto questo perché sono Dio e Lucifero che lo vogliono. Noi Nephilim siamo degli errori. Non dobbiamo esistere. E per ora, non possiamo saperne il motivo.

Sembra che il destino stia giocando le carte contro di me in modo pleonastico.

➰➰➰

«Te lo scordi che ti lascio sola, Dumbetta!» Erwood irrompe nella mia stanza e si scaglia su di me, sul letto, stringendomi in un abbraccio che mi toglie il respiro. Abbiamo finito la nostra piccola riunione-tra-adolescenti giusto una manciata di minuti fa. «Come stai? Ma hai sentito che hanno detto? Dusnatt crede che sia ancora tutto uno stramaledetto sogno...»

«Er... Er! Mi stai facendo male al seno, e alla schiena!» Lo rimprovero, anche se sorridendo. La sua improvvisa dolcezza lo rende un perfetto ragazzetto da sposare. «E comunque sì, certo che ho sentito. Be', stavo cominciando a sospettare...»

«Ma... ripeto: non ci hanno detto come. Insomma, sì, hanno spiegato le varie fasi, ma non come hanno trasportato milioni di persone nel sud e come hanno tolto la memoria a tutti gli altri!»

«Er, sono angeli e demoni! Sono magici! Credo possano fare di tutto, no? Magari con uno schiocco delle dita. O battendo le mani come ha fatto Vectis per andare a Elephant and Castle. Anche le ragazze sono d'accordo su questo.»

Gli occhi senape di lui mi fissano e brillano, come se avessero visto qualcosa di bellissimo. Poi si incupisce, parlando lentamente. «Ci siamo messi in un bel pasticcio. Anche se ci stanno salvando. Ed è una grande ficata.» Il cielo, che solo ora mi accorgo che è su una lieve sfumatura violacea e aranciata, butta nella stanza dei riflessi pazzeschi, colorando gli occhi senape di Erwood così favolosamente che parrebbe un vero e proprio angelo, rimanendo in tema.

«Lo so, lo so. E in aggiunta siamo nel Purgatorio.» concludo svuotando i polmoni. L'aria qui sembra molto più fresca rispetto a quella che respiro ogni giorno nel Sud. Forse perché siamo in un territorio sacro.

«Quel Gordon. Mi sa di simpatico. Cerca di farti dire qualcosa. Vedo che Marjoire e Vectis zittiscono su certe cose.»

«Gordon?» Ripeto accigliata. «Il guardiano del... del precipizio?»

«Sì, lui. Forse può dirti di più su questo posto. Che so, di come è strutturato o come sia possibile che si trovi sotto terra e in superficie nello stesso momento. Può dirti di più sulla divisione della città... insomma, hai capito.»

«Va bene, va bene. Ci parleremo insieme.» Lo rassicuro prendendogli la mano e stringendogliela. È calda come un termosifone. «Tu... trovi ancora tutto questo "fico"?»

«Ma certo, Dumbetta» mi sorride rifilandomi un'occhiata di puro divertimento. «È tutta una ficata! Tranne per il fatto che dei demoni vogliano rapirti e che Dio e Lucifero vogliano eliminarci insieme a tutta la Macchia del Sud. Per il resto, è tutto grandioso!»

Il suo sarcasmo finirà quando George R.R. Martin smetterà di uccidere persone.

Ovvero mai.

«Il sarcasmo è l'ultimo rifugio di chi ha finito tutte le altre idee» mi dice lui, come se mi avesse letto il pensiero.

«Erwood» Sussurro alcuni secondi dopo, e dal mio sguardo lui capisce che c'è qualcosa che non va. Ma nonostante la mia espressione un po' disagiata, continua a sorridere. «Se vuoi andartene... tu... noi... possiamo andare. Posso chiedere a Marjoire di lasciarci liberi...»

«Nemmeno per sogno, Colleen! Hai visto cosa è successo appena abbiamo messo piede a Elephant and Castle? Un grattacielo di centinaia di metri ci è piombato addosso. E prima... be', lo sai! Vectis e Marjoire ci hanno detto che quelle donne ti stanno dando la caccia e che perfino Dio non ne sa il motivo. Se non lo sa nemmeno lui, credo che sia qualcosa di...» si spazia con lo sguardo nella stanza, come se stesse cercando la parola giusta. «impossibile.»

«E se loro due lo sapessero? E se ci spedissero diritto all'inferno da quelle donne che mi vogliono morta? Dai cosiddetti Vostra Altezza?»

«Colleen, non devi dubitare su questo. Marjoire ci sta davvero salvando. Ci avrebbero già spedito all'inferno, sennò! Qui al Golden Globe siamo al sicuro. Io... me lo sento. Non ci hanno fatto del male. Ci hanno portati via da quel branco di demoni alati e ci hanno dato parziali spiegazioni. E hai sentito Mariangel cosa ha detto dieci minuti fa? Anche lei pensa che dobbiamo assolutamente restare.»

Il mio sguardo indugia sul suo per alcuni secondi. Il suo naso perfetto e scolpito come un pezzo di roccia ospita un paio di graffietti, mentre sulla tempia ha un grosso livido violaceo. Le sue sopracciglia dalla peluria fina ma vivace sono accasciate all'ingiù, come tristi. Ma nei suoi occhi di tristezza non ce n'è traccia.

«Ti hanno fatto male quei demoni al KFC, eh?» Gli mormoro baciandogli la fronte.

«Naaah, mi hanno solo quasi rotto il naso. E quasi provocato una commozione cerebrale. E poi ho vinto io. Ho sparato a tutti loro con delle mosse che nemmeno James Bond riuscirebbe a fare.»

«Bravo.» mormoro la parola in italiano. Alzo la mano a mezz'aria e gli do una pacca sulla schiena. Dopo alcuni minuti, o forse secondi, i suoi occhi si chiudono e le sua labbra si aprono leggermente sulla mia spalla nuda.

Si è addormentato, e io non faccio altro che imitarlo.

➰➰➰

I miei sogni vengono del tutto strappati da quello che di solito sognavo regolarmente. Non ne sono sicura, ma nel mio subconscio più profondo riesco a sognare incredibilmente una stanza dalle pareti bianche e lucenti, ma col pavimento coperto di cadaveri grondanti di sangue e con le articolazioni piegate in posizioni innaturali. Mi dimentico di tutto questo quando, da sotto i cadaveri, cominciano a spuntare le teste e le mani dei miei amici: mani grigie, ricoperte da vene nere come la pece, con le unghie spezzate e i calli strappati. E poi mi sveglio, insicura di aver sognato tutto questo.

➰➰➰

Erwood è praticamente con un piede sul mio ombelico e un braccio incastrato sotto la mia schiena.

Ma come diamine ha fatto?

I suoi zigomi scolpiti alla perfezione ora sono rilassati, e il suo petto si alza e si abbassa dolcemente, come se fosse un enorme bambola elettronica.

Mi alzo su a sedere e la prima cosa che sento sono delle dita caldissime che mi toccano dappertutto.

Spaventata, salto su in piedi e gemo, ma quando mi accorgo che non c'è nessuno, assumo un'espressione confusa. Poi però guardo in direzione della finestra. Il panorama lì fuori è come prima che mi addormentassi, tranne per il cielo.

Ora, scommetto che nemmeno il cielo del paradiso sia così bello. E questo la dice tutta. Grossissime nuvole rosse e dorate a forma di spirale si innalzato per centinaia di metri, con lo sfondo di un cielo color azzurro puro, quello che si vede al mare più bello al mondo. Capisco che quelle che mi stavano toccando non erano dita, bensì raggi di sole. Mi incammino ancora di più verso la finestra rettangolare, per guardare il sole. Nel letto, Erwood fa un piccolo verso col naso e poi si gira, pigiando la mano sul ferro battuto della spalliera del matrimoniale. Quando alzo di poco la testa, vedo che non c'è il sole, né una fonte dei quei raggi così abbaglianti da sembrare soffici oggetti nell'aria. Forse il sole sta dall'altra parte del Golden Globe, e ora non lo posso vedere, ma questo sembra improbabile: i raggi non mi raggiungerebbero. Non mi resta che scoprirlo.

Mi infilo le Jordan bianche e mi lavo il viso giù al bagno, facendo attenzione a non toccare il rubinetto a forma di serpente. Il dentifricio mi esplode in bocca come il fuoco.

Ora sembra che io abbia dormito per due giorni, proprio come dopo il risveglio del Giorno Vuoto. Ma questa volta è diverso: mi sento al settimo cielo perché ho dormito per la prima volta su un letto comodissimo. Mi ci devo ancora abituare, ma per come stanno procedendo le cose, il lusso e la comodità mi stanno sfuggendo di mano. Non posso permettermi di meravigliarmi e di godermi tutto: la mia mente è sovraffollata dal mega discorso di... quando? Ieri? Poche ore fa? Quanti giorni sono passati da quando mi sono addormentata? Anche questo è da scoprire. Se il sole dovesse essere sopra di me, dovrebbe essere mezzogiorno.

Ci metto quasi un minuto a cercare la porta della camera, visto che anche le pareti sono nere. Esco di corsa senza preoccuparmi del fatto di Erwood: lui dorme. Le porte sul corridoio sono tutte chiuse, e il tappeto di gomma con l'acqua si illumina per un momento quando, a causa della mia porta aperta, i raggi lo colpiscono. Strizzo gli occhi e mi pizzico le guance. Devo andare da Gordon, il guardiano del precipizio, o almeno questo è quello che io credo che lui sia. Però prima credo che una bella colazione giù nella sala non mi farà male.

Quando scendo giù alla sala dalle pareti glitterate, scopro che il tavolo d'acciaio nero è sovrastato a metà da ogni tipo di cibo per fare colazione.

Ora. L'ultima grande colazione della mia vita l'ho fatta proprio ieri, se non sbaglio con i giorni. Adrianna, la mamma di Erwood, mi aveva preparato un mega piatto colmo di frutta. E ora a guardare tutto questo cibo per una sola colazione mi viene da piangere. Io e Erwood facevamo sempre di tutto per cercare di rimediare un pasto la mattina. Quando lui non poteva permettersela, andavamo a rubare negli off-licence. Lui era, ed è, un maestro nel rubare.

Una mia ultima occhiata al pane tostato mi fa notare una scena che solo in un film di Tarantino potreste vedere. Mi viene la pelle d'oca proprio quando i miei occhi incontrano quelli di una Marjoire senza vita, il collo spezzato e i polsi piegati, appoggiata alla parete come una bambola di pezza, mentre fiumi di sangue la circondano come le cascate della Poctilla.

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