17 - Bacio e cuore
Quindi, ecco qua "la storia" del Giorno Vuoto, vuoto perché appunto nessuno di loro ricorda cos'è accaduto veramente. Un vuoto di memoria.
E non voglio nemmeno più pensarci. Il dolore e la confusione e i ricordi cercherebbero di assalirmi come un animale della savana su una gazzella.
Mezz'ora dopo sono di sopra, sul mio letto, a massaggiarmi il fondoschiena. Sì, proprio quello. Mi fa male. Quando eravamo al KFC uno di quei mostri mi aveva sbattuto su un tavolo e avevo sentito l'osso sacro infiammarsi (non so se avete mai provato una cosa del genere, ma è come se un martello mi stesse ripetutamente infilando un chiodo sull'osso).
Ora profumo come un fiore in primavera. Scelgo un look casual: jeans chiaro con una felpa verde. Sì, nonostante tutto quel ben di Dio di vestiario nei mobili, ho scelto questa roba. Riguardo le scarpe, ho preso delle Jordan bianche con delle strisce nere di una misura in più della mia. Sono talmente comode che dubito sul fatto che me le leverò. Insomma, non ho mai potuto indossare scarpe super comode nella mia vita.
Dopo essermi vestita non mi degno nemmeno di asciugarmi i capelli: li lascio umidi per rinfrescarmi un po'. Mi butto al collo un po' di Acqua di Giò (forse sto esagerando a fare la finta signora) e mi infilo la Walther P99 nella tasca larga e profonda dei jeans. Dusnatt ci aveva detto di prendere le armi, e non posso non dargli ragione: qualunque cosa accada, dobbiamo pur saperci difendere in qualche modo. Siamo sempre nelle mani di sconosciuti, no? E per altro, demoni.
Sono stanchissima. Ho le gambe a pezzi e mi fa male il seno. Ho perso la cognizione del tempo, ma ad occhio e croce posso dedurre che siano le tre di notte passate. Mi domando se il cielo della Poctilla cambi all'alba o rimanga sempre notturno. Vorrei buttarmi sul letto e schiacciare un pisolino, ma credo che se lo facessi non mi rialzerei mai più, e poi fra dieci minuti devo stare giù in quella mezza specie di sala moderna con le pareti fatte a cascata di glitter.
Mi do un ultima guardata ad uno specchio sopra un mobile. I capelli neri sono abbastanza bagnati da lasciarmi delle macchioline sulla felpa verde con scritto I LOVE THE POCTILLA. Le orecchie, che da come dice Erwood mi danno l'aria del personaggio della Disney Dumbo, sono del tutto coperte dalla massa di ciocche scure e le mie guance sono rosse come pomodori, con piccoli accenni di lentiggini, quasi invisibili. Ho le labbra umide e un piccolo graffietto sopra il sopracciglio sinistro. I miei occhi color ambra fiammeggiano come piccoli fuochi di candele, quando qualcuno bussa alla porta. Mi devo ancora abituare a questa stanza: le pareti sono nere, la porta è nera. Come farò a riconoscerla?
Seguo il rumore dei tonfi leggeri e agguanto la maniglia. Sorrido quando vedo Mariangel, anche lei con un look casual: jeans e una maglietta di flanella color caffellatte, il tutto accompagnato da delle ballerine ocra. Ora è tutta pulita e profuma di chewing-gum alla menta, zucchero filato e di qualche profumo costoso...
«Va tutto bene? Com'è la tua stanza?» Chiede, scostandosi una ciocca di capelli biondi dagli occhi blu oceano. In effetti, ogni volta che guardo le sue iridi mi sembra di navigare in un mare dei Caraibi.
Mi volto per dare di nuovo una rapida occhiata alla camera. «È... antica e moderna allo stesso tempo. Il bagno è... non lo so. Non conosco tanti aggettivi per descrivere tutto questo. Sai... noi proveniamo...»
«Dalla Macchia degli Infausti, certo.» finisce la frase al posto mio, sorridendomi. Le sue guance sono sfumate come sempre di rosso e, noto, non ha più le sopracciglia finte. «Be'» aggiunge guardando oltre la mia spalla «non c'è molta differenza dalla mia. Io i mobili ce li ho grandi, non come i tuoi bassi e lunghi.»
«Ah, okay.» le rispondo. Non sempre capita di parlare di mobili dentro una palazzo chiamato Golden Globe.
«Hai paura?»
Gli chiedo:«Di cosa dovrei avere paura?», mentre a mente elenco una serie di motivi per cui dovrei avere paura. Cento. Mille. Milioni di motivi.
«Di questo. Della Poctilla. Di Marjoire. Qui credo siano tutti assassini...»
«Non ti preoccupare» la interrompo io increspando le labbra in un sorriso ancora più smagliante. «Loro sapranno darci le precise motivazioni. Dobbiamo solo prepararci.»
«Prepararci a cosa?» domanda lei.
«Per tutto quello che ci diranno. Non credo sarà una passeggiata. Parleremo di demoni, no? Di tutta quella roba... E poi preferisco rimanere qui che uscire all'aperto con tutte quelle cose...»
«Esatto» borbotta annuendo Mariangel.
Rimaniamo immobili per quelli che potrebbero essere trenta secondi. I suoi occhi blu mare sono posati sul mio mento. Io la guardo un po' impacciata, un po' imbambolata. Mi è sempre piaciuta questa ragazza. Ricordo come a scuola riusciva sempre a presentarmi qualche ragazzo carino, oppure come una volta diede un calcio nelle palle ad un biondo ossigenato per avermi guardato troppo a lungo. Non la considero una sorella, e nemmeno una migliore amica. Ma per me significa molto. Lei significa la mia adolescenza, vissuta nei più strambi dei modi. È una di quelle persone che si ricorda del Giorno Vuoto.
Quando passa un minuto, in cui io e lei siamo immobili come statue a fissarci l'una con l'altra, lei sbarra gli occhi, rivelando un po' di glitter sulle palpebre. Si avvicina a me, e io non riesco a smettere di guardarle le labbra, che sfiorano la bellezza di quelle di Marjoire. Rimango immobile e stupefatta quando il suo viso si ferma a pochi centimetri dal mio. L'odore di zucchero filato si fa più intenso. E prima che possa solo dirle cosa stia facendo, le sue labbra sfiorano le mie, così lievemente da sembrare il tocco leggero di una piuma, appena un accenno di elettricità che percepisco nell'aria, un mancato bacio che una parte di me stava desiderando. Posso già sentire il sapore delle sue labbra. Ma ora non c'è bisogno di cercare a indovinare, perché non mi sfiora più. Mi tocca. Mi lecca il labbro inferiore e poi mi lascia un bacio a stampo, forse durato due secondi, o forse di più. I miei muscoli si contraggono allo schiocco che fa dopo con le labbra, e le mie rilasciano un odore di dolce che mi fa impazzire. Quando lei si allontana, io le sussurro:«Fallo ancora". Quindi si riavvicina, più velocemente, e stavolta sono in preda alla ferocia di prenderla e sbatterla sul letto, ma quando mi accorgo che si è fermata, mi acciglio. Una porta nera dietro di lei si spalanca. È Erwood.
Sia maledetta la senape.
«Siete pronte?» Sorride come se ci avesse viste baciarci, ma poi scrolla le spalle e ci guarda con un'aria confusa e divertita. «La signorina infernale e i suoi membri ci aspettano.»
Quando prendiamo posto giù intorno all'enorme tavolo rotondo d'acciaio, rabbrividisco al pensiero di dover affrontare un discorso alquanto particolare. So che non sarà affatto una passeggiata, ma una parte di me è pronta a suggerirmi che lo potrà essere. Sono seduta accanto ad Erwood e Mariangel. Dopo il nostro bacio su sulla soglia della porta mi continua a sorridere, come se lo volesse fare di nuovo, ma molto più ferocemente.
Lo ammetto: mi è piaciuto.
Non so nemmeno perché l'abbia fatto, ma non importa. Sono del pensiero che chi bacia solo un sesso non potrà mai essere un tipo fantasioso.
A ripensarci, mi batte forte il cuore.
Il tavolo è apparecchiato con una tovaglia di pizzo con delle scene molto strane di angeli: angeli che si nascondono sotto un letto, che pregano, che accendono l'interruttore della luce. Forse qui queste scene hanno del significato profondo, ma per il momento la mia mente non vuole pensarci. Sopra la tovaglia c'è del tè, dei biscotti di ogni genere e delle fette di torta al cioccolato alla menta. Mi viene l'acquolina solo a sentirne il profumo. So che, da un momento all'altro, quel cibo sarà dentro il mio povero e contorto stomaco che ora è nelle mani dei borborigmi.
Guardo i volti di ogni mio amico: Dusnatt è a braccia conserte, e vedo il bozzo del revolver sulla tasca del jeans. Danielius tiene la schiena dritta ed è composto, mentre cerca di mantenere un'aria piuttosto rilassata, anche se io riesco a percepire la sua lieve ansia. Consuelo e Mariangel sono spaesate, ma l'ultima, ogni volta che i miei occhi incontrano i suoi, mi sorride debolmente. Poi c'è Erwood, che se ne sta come se fosse a casa sua sul divano, una gamba sopra il ginocchio e le mani dietro la testa, senza la minima preoccupazione del fatto che abbia una parte del kalashnikov fuoriuscente dall'enorme tasca della felpa grigia.
Seduti intorno al tavolo, poi, ci sono anche Marjoire e Vectis. Gordon è dovuto andare a terminare il suo lavoro di Guardiano vicino la fine della galleria sulla roccia. Sapete, è un compito "molto importante".
Non lo avevo ancora notato, però, che Marjoire sta mangiando indisturbatamente da un piatto d'oro, con al centro un gran pezzo di carne dalla forma rotonda ma frusta. Taglia la carne tenera con delle posate d'argento, gocciolando il piatto di puro sangue. E ingolla i pezzi come se stesse trangugiando del riso.
Ma quella che sta mangiando non è carne animale.
È sempre quel maledetto cuore crudo.
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