15 - La tana della ricercata

Marjoire continua a sorridermi come se avessi dei pupazzetti appiccicati sul viso. Il sangue che ha sparso sul corpo è del tutto secco, quindi i suoi piedi nudi non lasciano impronte, cosa che invece fanno le gocce che cascano dal cuore pulsante stretto in mano. E io so a chi appartiene quel cuore: all'uomo in nero che ha ucciso. Il problema della nudità sembra superfluo per lei, ed anche per Vectis e Gordon. Le ali nere che le avevo visto prima non ci sono più.

Nonostante il sangue, la sua voce mi coccola dolcemente. «Era il Presagio. Sapeva abbastanza sul Comandato, quindi il pasto dovrà darmi informazioni sul perché Corbin Harper stesse cercando di catturare la qui presente Colleen Hardy.»

«Dovresti farlo davanti ai ragazzi. Esigono spiegazioni.» Suggerisce Vectis sfilandosi la giacca nera di tweed e appoggiandola su un appendiabiti fatto di rami rossi incastrato nella parete del corto corridoio.

«Possiamo dire loro quello che già sappiamo. Poi domani tireremo le somme» gli risponde la donna alzando il mento. Erwood è ancora imbambolato, così come Danielius e Dusnatt. «Però prima gradirei che ci facessimo tutti una doccia.»

➰➰➰

Scopro che la grande libreria dietro il tavolo d'acciaio funge da entrata per una rampa larghissima di scale di cemento.

Seppur tutti un po' esitanti, ci lasciamo convincere del fatto che non dobbiamo più usare le armi. Qui siamo al sicuro, ed ora è tempo solo di lavarsi. Vectis ci conduce su per la rampa di scale, che finisce su un pianerottolo grande quanto l'area di rigore di un campo da calcio. Sulla nostra sinistra c'è un portone del tutto nero, un po' più piccolo rispetto a quello da cui siamo passati per entrare nel Golden Globe. Oltre il portone nero, c'è il corridoio più strano che abbia mai visto: il pavimento è percorso da un lunghissimo tappeto blu scuro di gomma trasparente imbottito d'acqua; il soffitto e le pareti sono del tutto nere come la pece, e le porte sono disposte a dieci metri di distanza l'una con l'altra. Ce ne sono in tutto una decina.

Vectis indica la prima porta alla nostra destra, chiudendosi il portone nero alle spalle. «Ognuno di voi avrà una stanza. Avrete tutto quello di cui avete bisogno: docce, letto, vestiti puliti. Fra un'ora vi vogliamo tutti giù al tavolo. Chi non verrà, non avrà le spiegazioni. Domande?»

La mano di Erwood scatta subito all'insù.

«Cos'è questo? Un albergo? Vectis, devi capire che noi non abbiamo so...»

«Non c'è bisogno dei soldi, ragazzo. Scoprirai tutto dopo.» Con questo, il Cavaliere Oscuro si volta, apre il portone di legno nero e sparisce dalla nostra vista. La ragazza sconosciuta si lascia sfuggire un gemito.

«Siete sicuri di voler rimanere? Insomma... e se ci uccidono?»

«Non fare la sciocca, Consuelo» la rimprovera Erwood. «Questi tizi ci stanno aiutando. Non voglio scappare di qui - e dubito anche che ci riusciremo -. Insomma, guarda cosa è successo! Demoni, tornado e grattacieli! E poi Marjoire dev'essere qualcuno di buono e di importante... no?»

«Intendi che fa parte di una società segreta?» Chiede timido Danielius.

Imitando il tono di voce di Vectis, il mio migliore amico dice «Scoprirai tutto dopo.»

«Bene così. Ora leviamoci tutto questo questo sudiciume che abbiamo dal corpo e vestiamoci, poi scendiamo giù. E ricordate una cosa» aggiunge frettoloso Dusnatt col suo sorriso da pedofilo «Portatevi dietro le armi. Per le emergenze.»

Vedo Erwood fiondarsi nella prima porta, la maniglia di ottone girevole. Gli altri due ragazzi si sistemano nelle due stanze successive. Quando rimaniamo solo noi ragazze, Mariangel mi butta le braccia al collo, ansimando.

«Colleen. Per l'amor del cielo... ho paura.»

«Non eri tu quella che aveva detto che avevamo bisogno di spiegazioni?» Gli sussurro dolcemente. È così calda che sembra una candela gigante, e il volto di mia madre sembra prender forma nelle mie palpebre.

Il suo tono di voce mi spaventa, però mi fa ridere. «Sì ma... Oddio... siamo pure fatti! Le hai viste le cascate di sangue? E... ma siamo sotto terra?»

«Non lo so. Dai, facciamoci una doccia e scendiamo giù. Facciamo... facciamo sistemare tutto al tempo.»

Le accarezzo una guancia e le sorrido buffamente, mentre Consuelo - la ragazza dai capelli bianchi si chiama così - mi lancia un'occhiata confusa e sparisce dietro la terza porta di sinistra del corridoio. Ora che ci penso, il lato destro è stato invaso dai maschi, mentre quello sinistro dalle femmine.

Quando giro la maniglia di ottone nero (lo ammetto: ho fatto fatica a riconoscerla, qui è tutto nero: anche le porte!) spalanco finalmente la porta. Per un momento uno strano presentimento mi dice di andarmene di qui, di trovare una via fuga, ma poi mi rilasso ed entro, pensando a quello che potrei trovare fuori dalla Poctilla, nel cuore della città: altri demoni, altri Presagi, altri grattacieli che mi si riversano contro... E poi come riuscirei a scappare? L'unica uscita che conosco è il buco nella roccia a duecento metri d'altitudine.

Scaccio via quei pensieri facendo un passo avanti. Un'esplosione di modernità e antichità mi si piazza davanti agli occhi. Non è tanto grande, ma vi giuro che se la vendessi a qualcuno ci farei belle ruette. Le pareti e il soffitto sono ovviamente neri.  I lati della stanza sono coperti tutti da mobili di mogano luccicante altri un metro. Cosa c'è sopra? Di tutto. Portacenere d'oro, vassoi di terracotta con strani dipinti, libri, tazzine da tè di tutti i colori, strane statuette d'argento e centralini di pizzo che farebbero invidia alla Regina Elisabetta (sempre se campa ancora! Non si hanno più notizie di lei). I mobili fanno il giro di tutta la stanza, ma lasciando dello spazio per un semplice letto matrimoniale con lo schienale di ferro battuto. Dietro il letto, c'è una finestra a parete che mi toglie il fiato: la vista che si presenta dietro è spettacolare - la campagna, gli alberi e la parete rocciosa -, ma le uniche cose che rovinano il panorama, ahimè, sono le immense cascate di sangue.

Al centro della stanza c'è un piccolo tappeto bianco, con sopra un tavolino da toilette con accessori sia per maschio sia per femmine: lamette, rasoi, trucchi, schiuma da barba, strisce depilatorie, profumi (riconosco un Gucci e un Acqua di Giò), pettini, gel e struccanti (compresi l'acetone e i batuffoli di cotone). Davanti al tavolino c'è una poltrona grigia dall'alto schienale, con un mega cuscino rosso cremisi.

Sì. Qui sono fissati con i colori sadici. Chi mai dipingerebbe le pareti di un corridoio e di una stanza di nero?

Curiosa, mi incammino verso il mobile sulla mia destra e, abbassandomi, apro uno sportello: una pila di vestiti maschili è ben piegata a un lato, mentre dall'altro ci sono sciarpe, guanti e cappelli di lana (come se alla gente qui servissero dato che anche di notte ci sono i raggi del sole). Apro lo sportello accanto e trovo ancora vestiti per uomini: t-shirt, camicie Oxford e di lino, pantaloni e jeans, gilet di lana e lunghe giacche di tweed, tutto piegato con cura. Quindi mi alzo e mi dirigo verso l'altro mobile, dall'altra parte della stanza. Mi abbasso per aprire uno sportello e i miei occhi si dilatano come l'obbiettivo di una macchina fotografica. Completi eleganti da donna mi fanno respirare velocemente. Tailleur, boleri, camicie col colletto spesso, cardigan di tutti i colori sono messi in un ripiano di sopra, mentre in quello di sotto vedo collant, topless, reggiseni, e mutandine (mi viene in mente Marjoire quando ne vedo un paio tutte in pizzo e rosse). Mi sposto velocemente ad un altro sportello e lo apro. Dei lupetti bianchi e neri piegati senza una riga sorreggono un cloche e altri tipi di cappelli. La mia curiosità mi porta a disfare vestaglie, abiti da sera, abiti da cocktail (ne riconosco uno che vidi in un giornale tanto tempo fa) e felpe colorate.

Non avevo mai visto tanti vestiti in vita mia. Nemmeno da H&M o in altri negozi. Ed è tutto mio! Vectis ha detto che abbiamo tutto quello di cui abbiamo bisogno. E non si paga. Oddio. Purtroppo, io non sono un'esperta di moda, quindi mi accontenterò di quello che il mio istinto mi dirà di fare.

Mi sorprendo quando, alzandomi, vedo per la prima volta delle scale che si immergono nell'oscurità dietro il tavolino da toilette, ai piedi del letto. Un po' esitante, le percorro, fino a che la mia testa si ritrova al livello del pavimento della stanza. Spingo l'interruttore alla mia sinistra e le scale si illuminano di colpo: vedo che portano ad un bagno.

Scopro che le scarpe si trovano in una scarpiera altezza uomo al bagno, una stanza grande la metà di quella di sopra. Non c'è nessuna finestra, ma vedo che ci sono vari condotti dell'aria che aspirano le impurità. Un grosso specchio è appeso ad una parete.  Il rubinetto è una statua di un serpente con la bocca aperta.

Signori e signore, benvenuti nella Camera dei Segreti! Sì, ho letto gli otto libri di Harry Potter quando ero piccolina, e mi sono piaciuti un sacco. Un po' meno l'ultimo, che non era un vero e proprio racconto, bensì una sceneggiatura teatrale.

Bei tempi, quelli prima del Giorno Vuoto, in cui si poteva comprare di tutto.

Rabbrividisco al pensiero di dovermi lavare con dell'acqua che esce dalla bocca di un serpente pietrificato. Qui, a dispetto della stanza di sopra, le pareti sono bianche e lucenti, come la piccola piscina che dovrebbe essere la vasca da bagno: è grande quanto un letto matrimoniale, e vedo vari buchi sparsi qua e là. Non ho mai visto una vasca da bagno del genere. Senza pensarci un attimo, mi sfilo il vestitino di Adrianna e lo butto a terra, poi mi levo gli stivaletti con i calzini e la biancheria intima, quindi mi metto seduta sul fondo della vasca e spingo dei bottoni a casaccio su un pannello attaccato alla parete. Spingo più volte il bottone rosso, che credo sia quello dell'acqua calda (a casa mia non esiste nemmeno l'acqua calda), e una volta quello dell'acqua fredda, insieme a bottoni con disegnate bolle e foglie colorate.

Un minuto dopo, la piccola piscina è invasa dall'acqua, e io mi lascio trasportare dal calore e dalle correnti che crea l'aria che esce dai buchi. C'è del sapone e perfino della polvere colorata.

Dentro la mia testa, una vocina mi sussurra: Colleen, svegliati, stai solamente sognando. Tutto questo è finto.

Scuoto la testa e mi tolgo il sangue secco di Corbin dal corpo, massaggiandomi la pelle come se fosse burro. Quasi mi esce un orgasmo. Tutto questo lusso non mi può appartenere. Sono cresciuta praticamente con il freddo e con il secco. Ho indossato felpe sporche per mesi, come la maggior parte di noi. E ringrazio Dio di avermi fatto conoscere Erwood: senza di lui sarei crollata insieme a mio padre. Erwood mi ha sorretta. Mi ha aiutata e mi ha fatta camminare a testa alta. Anche se devo ringraziare il mio cagnone, Chelsea, un Maremmano bianco come la neve. Mi ha sempre tenuto compagnia quando non c'era nessuno, quando non c'era niente. E io lo ringraziavo con lunghissime passeggiate per la Macchia del Sud in compagnia di croccantini rubati. Ed ora tutto questo non ha senso, stare in questa mega vasca con le bollicine e mille colori in un mega palazzo chiamato Golden Globe. Certo, potrei essere anche fatta, o ubriaca, come aveva detto Mariangel. Potrei dare la colpa a tutto l'alcol che ho trangugiato alla festa a casa di Dusnatt. Forse mi sono presa una bella sbronza e sto immaginando tutto. I dubbi ci possono anche stare, però sento che è vero... che la Poctilla esiste... che i demoni hanno la loro parte qui sul pianeta. Non posso sempre dare la colpa alle sostanze stupefacenti. Questa è la realtà. Sì. Devo cercare di farmelo entrare nella testa. Ed ora mi viene in mente il Giorno Vuoto, e di come nessuno può ricordarsi di quello che è accaduto. Sono stati forse le attività paranormali a fare tutto quello che è successo? Forse posso spiegarvelo semplicemente ricordando il prima e il dopo, ma sono sicura che non ci crederete.

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