14 - Il sangue della natura
Avete presente il famoso stadio di calcio Maracanã, in Brasile? Bene. Prendetelo e moltiplicatelo per ben cento volte. Ma no, per mille: questa è la misura della Poctilla. E avete presente anche il cielo di notte più bello che abbiate mai visto, quello con milioni e milioni di stelle che vi accecano? Okay. Questo è il soffitto della Poctilla. Se poi ci aggiungete i raggi di sole più potenti e più caldi dell'universo, be', vi siete fatti un'idea chiara di come questo posto possa essere.
Ci troviamo su un precipizio alla fine della galleria, e sotto i miei occhi una grande scogliera di roccia di granito si tuffa ferocemente su un lago di acqua blu limpida, increspato da onde alte quasi tre metri che si infrangono sulla roccia e che rilasciano l'odore di acqua salata che si mischia a quello della natura più pura al mondo. Infatti il lago è costeggiato dagli alberi più grandi che abbia mai visto. Sono così alti che raggiungono quasi la sporgenza di roccia dove ci troviamo io e i miei amici, e le foglie di ciascuna bestia sono color verde pastello, con le striature d'oro. Sì, avete capito bene: d'oro! I tronchi si immergono in un terriccio coperto da un prato appena tagliato e le radici creano varie collinette sulla distesa d'erba, quest'ultima che si estende subito dopo il lago e gli enormi alberi. Vi prenderei in giro se vi dicessi che è una semplice radura: campi e campi di un verde pulitissimo e invitante si allungano fino ad un enorme palazzo, più largo che alto, di un bianco più luminoso che mai, posizionato esattamente al centro del posto. Forse sembra così bianco a causa dei potentissimi raggi del sole che non so da dove vengano, visto che il cielo è notturno e fa da culla a milioni di puntini luminosi, ma a me sembra che il cemento con cui è stato costruito quell'edificio abbia qualche impianto, che so, che sappia rilasciare luce. Dietro il maestoso palazzo, non riesco a vedere nulla.
Mi trovo sotto terra? Com'è possibile che un cielo si trovi sotto la terra? Forse quando abbiamo camminato nella galleria siamo saliti in superficie. Ma è impossibile: a Elephant and Castle non esiste un posto del genere. Non c'è nemmeno sulla mappa.
È difficile a crederci, ma appena i miei occhi si staccano finalmente dall'immenso palazzo si posano sulle pareti della Poctilla.
Okay. Ora direte: questa è drogata. Oppure: questa deve fumare di meno. Ma è la verità e, che ci crediate o no, questo è ciò che sto vedendo in questo momento. Le pareti non sono di roccia, né tantomeno di cemento o di qualche altra cosa che possa costituire una parete: sono fatte di immense cascate, alte quanto quelle del Niagara, che si generano dal nulla del buio del cielo e si infrangono su un lungo fiume che solca la terra di tutto il perimetro del grande ovale, che sarebbe la forma della Poctilla.
Okay. Cosa c'è di male, vi starete chiedendo? Be', non vi ho detto ancora di cosa sono fatte le cascate. Di una sostanza rossa. Molto rossa. E dallo sguardo che mi sta affliggendo Vectis, capisco che sta confermando quello che la mia mente sta pensando. Sì. Quelle cascate sono fatte di sangue. Enormi cascate di sangue che si estendono per tutto il perimetro del posto, e che si infrangono sui bordi dell'ovale costituito da un fiume, anch'esso fatto di sangue. La cosa buffa è che anche il lago sotto di noi dovrebbe essere rosso, visto che alla fine le due corsie del fiume si riuniscono qui, ma non lo è. Rimane di un blu limpido e fresco, che sa di pulito e di purezza. Ho quasi la tentazione di tuffarmici dentro, ma sarebbe un bel volo: ad occhio e croce, potrebbero essere duecento metri, e il solo contatto con l'acqua mi ridurrebbe in cibo per gatti.
«Ma che cavolo...»
Ecco. Mi pareva strano che Dusnatt non lo avesse ancora detto (anzi, mi sembra strano che non abbia usato un'altra parola). La sua pistola gli casca dalla mano e batte sulla roccia sottostante con un tonfo sordo. Non riesco a guardare i volti dei miei amici, però mi giro e alzo lo sguardo: la parete qui è fatta di roccia.
Okay. La Poctilla è a forma di ovale. Noi ci troviamo su una delle due estremità dell'ovale, che è l'unica estremità ad avere la roccia come parete. Tutto il resto è fatto di un'infinita cascata di sangue. E noi ci troviamo su un piccolo buco scavato nella roccia. E che buco. Questo buco ci permette di avere una visuale completa del "centro del tutto", come aveva detto il Cavaliere Oscuro.
Fantastico, no?
Mariangel non vuole smettere di pensare alla "teoria dell'erba", che sarebbe la sua fantastica esposizione in cui noi siamo soltanto delle pedine comandate dagli spinelli della festa. Riassumendo il tutto: secondo lei siamo tutti fatti e ubriachi, come lo scrittore di Alice nel Paese delle Meraviglie, Lewis Carroll, che si drogava per scrivere tutta quella roba. Non la sapevate? Be', non ditemi che vi ho rovinato l'infanzia, questa la sapeva pure Dusnatt!
Dopo tutta l'oscurità, la brutalità, e la paura in cui siamo passati nelle passate due ore, ora stare qui in cima ad una scogliera di granito a guardare tutto questo ben di Dio sembra una barzelletta. Solo, non mi tornano tre cose: il cielo notturno (siamo sotto terra?), i raggi di sole provenienti dal nulla e le cascate di sangue.
Ma cosa ho appena detto? A me non torna tutto! Tutto questo non può essere vero, però lo è, e io so che non siamo fatti. Chissà a cosa sta pensando Erwood. Oddio. Vorrei proprio sbirciare nei suoi pensieri. Forse nel suo mondo così fico sta vedendo coniglietti assassini che saltellano dalla cima di un albero all'altro, con una mega carota ficcata in gola. Oppure sta vedendo Mariangel che fa arti marziali sul ciglio della scogliera. Certo, pure io mica scherzo con i film mentali!
Rimaniamo più di cinque minuti, se non dieci, immobili in piedi. Il bagliore d'oro del posto sembra una grande corona che fa di questo luogo il re del mondo. Solo che... quelle cascate di sangue... un dettaglio così inquietante. Così... contrastante. Non voglio minimamente immaginare di chi sia il sangue. Il tanfo non si sente nemmeno: l'odore della natura e dell'acqua salata domina su tutto. Se ci fosse Chelsea qui con me, credo morirebbe dalla voglia di buttarsi in acqua. Lui ama l'acqua.
Penso che se uno di voi vedesse questo posto sverrebbe all'istante e si risveglierebbe con la consapevolezza che è stato tutto un sogno, ma io e gli altri ragazzi stiamo in piedi soltanto per una cosa: siamo stati sorpresi altre volte, questa notte. Diciamo che quasi è una cosa graduale. L'esplosione, la fuga, la comparsa di una donna sconosciuta, la decapitazione di Corbin, il tornado che aveva generato Marjoire per intrappolare chissà chi (o cosa), il cuore di uno sconosciuto strappato dalla dea della bellezza mutatasi in un uccello gigante con le ali nere, il braccio che aveva strangolato Mariangel, il viaggio contro le leggi della fisica per Elephant and Castle, il grattacielo... A ripensarci ora, sembra di stare in un racconto fantasy. Però è la realtà. Devo mettermelo in testa, anche se è molto, molto difficile. Devo far gabellare il tutto.
Proprio mentre mi chiedo perché non ci sia niente su tutti questi campi d'erba che cominciano subito dopo il lago e gli altissimi alberi, un lampo di luce nera mi passa davanti agli occhi e sento all'istante un lieve bruciore alle punte degli occhi, come se avessi letto un libro per ore, come la scorsa mattina prima di prendere il bus numero quattrocento cinquantatré per Peckham. Sembra passata una vita, eppure eccomi qui, viva ma distrutta.
Alzo d'istinto la pistola con la mano sinistra, la mano che uso per fare quasi tutto (se scopro che avete pensato a qualcosa di insolito vi taglio la gola con un coltello da burro!). Sono pronta a sparare, ma la Walther P99 mi viene letteralmente strappata di mano, e i miei occhi catturano un altro lampo nero. Non so se essere sorpresa o spaventata.
«Gordon. Loro sono a posto.»
La voce rassicurante e profonda di Vectis risuona nelle mie orecchie, e la eco che si genera sembra far tremare le rocce ai miei piedi. Poi aggiunge:«Sono dei... tu-sai-cosa-sono. Tutti quanti.»
Strizzo gli occhi per mettere a fuoco la persona che mi sta davanti, che sta in una posizione tipo alla Cristiano Ronaldo quando calcia le punizioni. Le sue braccia muscolose sono tese come spessi fili di rame e la sua t-shirt bluastra lascia scoperti i bicipiti scolpiti alla perfezione, percorsi da vene stranamente messe in disordine. Indossa un pantalone di lino bianco, con i risvolti che scoprono un piccolo pezzo delle caviglie e tutti i piedi nudi, che sembrano due piccole rocce. È un semplice adolescente mozzafiato. Ha il viso fresco e pulito e i suoi occhi tirati ai lati gli danno un'aria divertente. Una spruzzata di lentiggini sulle guance gli colora un po' il viso, visto che è bianco quanto me.
Avevo detto che è un semplice adolescente? Scusate. Mi sono sbagliata.
Ero talmente assorbita dai suoi lineamenti che non mi ero accorta che ha degli enormi triangoli ossuti e perfettamente bianchi dietro la schiena. Due triangoli scaleni con le punte rivolte verso l'alto. È come un'ala di un grosso uccello senza carne: soltanto ossa.
Per fortuna avevo già visto Marjoire sguainare le sue ali nere come delle spade mentre piombava a terra per strappare il cuore a quel corpo a me sconosciuto, quindi non mi sorprendo molto del fatto che il tizio che mi sta davanti possa avere le ali. L'unica cosa che mi chiedo è: come fanno due triangoli di sole ossa sostenere tutto quel bellissimo sistema muscolare e farlo volare?
Gordon sembra avere pochi anni in più di me. Ha un principio di barbetta sotto il mento e un grande orecchino blu a forma di spirale sull'orecchio sinistro. Gli occhi sembrano una sfumatura confusa di azzurro, verde e marrone chiaro, qualcosa di glauco e opaco.
I miei amici sono troppo sbalorditi per parlare. Deve essere un colpo forte vedere la Poctilla e poi un ragazzo con ali morte. Dovrebbe essere un colpo forte anche per me. Ma non lo è.
Dopo un minuto di silenzio, il nuovo arrivato chiede:«Degli io-so-cosa-sono? E sono sopravvissuti in...» Segue con gli occhi tutti noi. «...sei?»
Vectis gli risponde subito:«Erano in sette. C'era un traditore, un Vostra Altezza...»
«Un Vostra Altezza? Ma mi prendi in giro?» Solamente ora mi accorgo che il ragazzo ha due cuffiette bianche conficcate nell'orecchio. Se le toglie, le arrotola in un groviglio disordinato e se le infila nella tasca del pantalone bianco. Noto nei suoi occhi un guizzo di incredulità.
«Un Vostro Altezza Comandato.»
«Comandato?!» Ripete Gordon. Ha i piedi sul ciglio della scogliera. «Un Vostro Altezza Comandato? E chi mai doveva uccidere?»
«Me» Sussurro prima di tutti. Capisco di aver sorpreso il Cavaliere Oscuro, perché sul suo viso si fa strada un senso di sorpresa. «E non chiedermi il perché. Lo devo ancora scoprire.»
Gordon mi rifila un'occhiata confusa. Mi guarda da capo a piedi, soffermandosi intensamente sulle mie labbra. Poi si volta di nuovo verso Vectis. «Dov'è il Comandato ora?»
«Marjoire l'ha decapitato nell'Amante.»
«Marjoire?» Nell'udire questo nome, Gordon allarga il petto e viene scosso da un leggero tremito. «Come mai non è con voi?»
«Ha avuto da fare. Tornerà a momenti.»
«Cosa mi dici delle pistole dei ragazzi?» Cambia argomento Gordon. I miei occhi si posano e rimangono intrappolati sui suoi bicipiti coperti dalle vene sparpagliate a caso.
«Gordon» Il tono di voce di Vectis sembra voler mettere fine alla questione. «Perché non andiamo al Golden Globe a bere una tazza di tè e a dare una sistemata a questi ragazzi?»
➰➰➰
Ci sono gli appartamenti lussuosi. Poi ci sono i palazzi lussuosi. E dopo i palazzi ci sono le cattedrali. Dopodiché esiste il Golden Globe. Se dovesse mai capitarvi di scegliere di andare ad uno di questi, optate per l'ultimo.
Ho scoperto che alla fine il Golden Globe è nientemeno che quel luminosissimo palazzo bianco. Visto da vicino, sembra ancora più grande. È alto circa duecento metri e largo mezzo migliaio, e questo lo rende la costruzione più grande che io abbia mai visto, perfino più grosso dei grattacieli della Macchia del Nord che vedevo con Erwood quando andavo al Crepato, il confine delimitato dal Tamigi. Ha centinaia di finestre grandi quanto una classica villetta a schiera londinese poste ognuna ad una decina di metri di distanza e altre più piccole. Non c'è un portone principale, poiché ce ne sono circa una ventina disposti su tutto il perimetro dell'edificio, anche dietro e ai lati, come mi ha detto Gordon.
Ora. Vi starete chiedendo perché una costruzione gigantesca nel bel mezzo della fantasia pura si chiami come i premi per il cinema e per la televisione, no? Bene. Me lo sto chiedendo anch'io.
Siamo arrivati qui proprio accanto ad una porta grazie alla Prima Fase Temporale, quella che ti permette di far materializzare il posto che vuoi davanti agli occhi. La porta è di un legno tendente al rosso alta il triplo di Erwood (lui misura sul metro e novanta) e ha strani blasoni tagliuzzati qua e là. La maniglia d'ottone è a forma di spirale, proprio come l'orecchino di Gordon. Gordon mi sta accanto, e mi sorride, fissandomi le labbra. I suoi piedi nudi sono appoggiati sull'erba fresca e asciutta dell'immensa distesa della Poctilla. Ora che mi giro, vedo il panorama da una prospettiva diversa rispetto a quella di prima: i campi si allungano fino agli alberi, e del lago non c'è traccia, visto che siamo molto lontani e al suo stesso livello, però riesco a vedere alla perfezione la fine della galleria da cui siamo spuntanti prima. Visto da qui è un piccolo buco nero e argento scolpito al centro dell'imponente parete rocciosa che si estende per centinaia di metri prima di sparire nel cielo stellato. Anche qui, sotto il Golden Globe splendente, i raggi-di-sole-che-non-so-da-dove-provengano mi pungono dolcemente la pelle, massaggiandomi le piccole ferite che ho sparse per il corpo.
Quando attraversiamo la porta, un odore di sangue e cioccolata mi invade le narici. Cavolo... prima era il fumo e la fragola, ora il sangue e il cioccolato! Non capisco.
Mi spazio lentamente con la testa, raccogliendo i dettagli del posto con la bocca aperta. Danielius si lascia sfuggire un piccolo gemito. Ci troviamo in un cortissimo corridoio che si infrange in una sala grande quanto una chiesa. Un'enorme tappeto con disegni di arte tradizionale è calpestato da un gigantesco tavolo di acciaio nero rotondo, circondato non da sedie, ma da poltrone nere con i cuscini rosso cremisi. Oltre il tavolo, c'è addossata la libreria più grande che abbia mai visto. Il legno è ricoperto di vernice dorata, e i libri sono tutti rilegati in pelle. Ai lati della libreria, invece, due statue d'argento identiche mi fissano come se fossero vere. Dalla postazione che hanno, sembra che camminino, e in mano tengono un cuscinetto coperto da piccole gocce, tutto fatto di pietra. I loro fisici scolpiti mi ricordano le statue di Leonardo Da Vinci. Qualcosa, in queste sculture, mi solletica la memoria con inquietante familiarità.
Alle pareti laterali, quelle che io considero quella sinistra e quella destra, cola indisturbato acqua dorata glitterata. Non prendetemi per pazza, ma è quello che sto vedendo. Niente quadri, niente mobili. C'è questo liquido, che copre del tutto le pareti laterali, come una piccola cascata che poi si infrange nel battiscopa esplodendo in polvere dorata. Sì. Il liquido, al solo contatto con il battiscopa, diventa polvere. Brillantini dorati che si disperdono nell'aria e poi spariscono.
Okay. Sono veramente fuori di testa.
Quando sento ridere qualcuno alle mie spalle, mi volto. Avevo recuperato la pistola sù alla fine della galleria, quindi la tengo stretta in mano. So che è carica, quindi decido di poterla usare quando voglio. Accanto a me, Erwood scuote il kalashnikov. Dusnatt e Danielius, invece, si voltano senza levare le armi. Sono confusi. E anche le ragazze. Vectis e Gordon si limitano a sorridere.
Mi viene quasi voglia di prendermi a pizze quando vedo Marjoire del tutto spoglia e coperta di sangue davanti la porta chiusa alle sue spalle, il codino castano splendente che spezza su tutto quel rosso e la pelle color miele splendente. So che Erwood è intrappolato con gli occhi in parti del corpo della donna che io nemmeno mi sono degnata a guardare. Perché non riesco a smettere di fissare il cuore pulsante e gocciolante di sangue stretto nelle sue mani.
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