13 - Luci e smeraldi
Non so il perché, e forse non lo scoprirò mai, ma improvvisamente mi baluginano in mente le immagini del volto di mia madre, come in una visione onirica. La Bastarda, quella che è morta trovata nell'entrata della metropolitana di Kennington, senza ferite mortali o sostanze illegali ingerite. Il suo naso piccolo e sempre rosso, anche se faceva caldo; i suoi occhi profondi color caramello, e le sue labbra fine. La sua postura diritta e il corpo esile, i capelli biondi che le coprivano metà schiena. La vedo sorridere, e mi saluta, come se fosse felice, ed è in quel momento che mi si apre un cratere nel petto, innocentemente consapevole che non potrò mai vederla, se non nei sogni o nei ricordi. Mariangel mi piace anche per questo: mi ricorda lontanamente mia madre. Entrambe belle, magre, bionde e con belle forme. Un giorno quando abbracciai Mary mi venne quasi da piangere, perché nel mio profondo sapevo di poter immaginare che quella fosse mia madre, e non una ragazzina compagna di banco.
Quando scendo dalla macchina, mi accorgo di tenere in mano una pistola. Ma cosa diavolo...? Ma sì. Certo. La Walther P99 che mi ha dato Dusnatt alla stazione di Peckham. Ma come diavolo ho fatto a dimenticarmene? Nel tragitto me l'ero tenuta in mezzo alle gambe, e me l'ero praticamente scordata. E poi, come diavolo ha fatto a rimanere incastrata nelle mie gambe dopo l'incidente che ci ha fatto fatto mille e quattrocento trentatré capriole in aria? Oh, povera me, sono stata troppo assorbita dai fatti di questa notte. E in aggiunta a questi, ora ci sono anche le immagini di mia madre.
Dopo minuti di silenzio in cui Vectis percepisce che c'è qualcosa che non va nel mio sguardo - sospetto anche che sappia che questo cosiddetto Presagio mi sia apparso mentre mi truccavo a casa di Erwood -, ci troviamo nella piazzetta buia e deserta. Ho gli occhi abbacinati dalla luce, e non mi sono ancora bene abituata al buio, ma riesco a scorgere in lontananza delle basse villette stile vittoriano. L'autista ha deciso di tenere il corpo di Corbin dentro la limousine "volante", l'Amante. Tutti i miei amici sono inzuppati di sangue e sudore e sporco. Io, invece, solo di sangue: sudo raramente, come vi ho già accennato. E non ho nemmeno sudato alla spiegazione di Vectis di cosa sia un Presagio. Sono tesa, certo, ma anche asciutta come un fiore, e puzzo come un cane bagnato. Sono asciutta, ma bagnata come un cane. Oddio, ma cosa sto dicendo? Ha senso? Ora sono solo presa dal posto dove ci sta portando il Cavaliere Oscuro - questo è il suo soprannome per me, aggiudicato, non fatevi domande -.
Stringo forte la pistola massiccia usata nel set de Il domani non muore mai di 007, e mi faccio strada nella piazzetta. Il freddo mi sta congelando sia il sangue che mi scorre nelle vene, sia il sangue che ho sparso per tutto il corpo, scacciando il pensiero del Presagio. Non voglio nemmeno farci teorie.
«Allora? Dov'è questo super sicurissimo posto chiamato Poctilla?» Sento una nota di sarcasmo nella voce del mio migliore amico, che tiene ancora il kalashnikov con due mani.
«Ci stiamo andando. Se pazienti ancora per un po', lo scoprirai esattamente tra due minuti.»
«Ci sarà Marjoire?» Chiede ancora Erwood. Il suo codino laccato ora sempre stato colpito da piccoli fulmini.
«Arriverà anche lei.» Gli risponde sorridendo Vectis.
Dopo questa risposta, segue un silenzio assurdo. Il vento che ci soffia contro sembra aver perso forza. Al centro della piazzetta, il Cavaliere Oscuro si ferma. Poi, come se stesse accendendo un'abat-jour automatica, batte le mani due volte.
Il fiato mi si ferma in un punto imprecisato nei polmoni.
È come se un gigante di cento metri stesse sostituendo il paesaggio intorno a noi con un altro. Le case, l'asfalto e perfino l'Amante ruotano mentre il cielo si trasforma in un vortice di colori oscuri. Piccoli punti scoppiano dentro la mia testa, causandomi dolori lancinanti lungo il cervelletto. È come se un enorme vortice avesse strappato tutta la materia da questo posto, e la stesse facendo ruotare velocissima, per confonderla con altri migliaia di colori. Poi, tutto questo ruotare si ferma di colpo, lasciandomi stordita e alquanto spaventata. Le case non ci sono più, e nemmeno le basse villette stile vittoriano. Al posto delle casette, ora si erge un grattacielo di vetro bluastro, con la cima bucata da tre grossi cerchi. Riconosco immediatamente lo Strata Tower, un bestione di centocinquanta metri, nonché la costruzione principale della zona di Elephant and Castle. Intorno ad esso, altri grattacieli minori e bassi edifici di vetro tutti ridotti a macerie si estendono per qualche centinaio di metri. Il cielo ora è del tutto nuvoloso, ancora un po' illuminato dal bagliore che emana la città.
Okay, questa mossa di Vectis mi ha completamente rasa al suolo. Possibile che ci abbia fatto spostare in un'altra zona, a molti chilometri di distanza, almeno credo, solamente battendo le mani? E come possono tutti quegli edifici intorno alla piazzetta roteare come trottole? È una cosa troppo farraginosa.
Ditemi che sono finita nel film Inception. Vi prego. Almeno posso immaginare un grosso aeroplano e scappare via da tutto questo (oltre a farmela con quel ben di Dio di DiCaprio).
«Questa era la Prima Fase Temporale» Annuncia Vectis tranquillo. Ci troviamo di fronte ad una rampa di scalette che scende giù nell'oscurità di una metropolitana. «che ti consente di far materializzare il posto che desideri davanti a te.»
Tutti sono troppo sbalorditi per dire qualcosa, ma l'unico che inizia a sussurrare qualcosa che mi sembra "che roba" è Erwood.
Ci troviamo esattamente nel cuore della zona, che ospita varie entrate della metropolitana, ma noi siamo vicino a quella ad un centro commerciale. Inutile dire che il volto di mia mamma sta colpendo gli angoli del mio cervello in continuazione.
«Elephant and Castle, Vectis?» Fiata Ciuffo Viola, rompendo finalmente il silenzio che sembrava non voler finire mai.
«Esatto. Elephant and Castle. Scusate per non avervi avvertito del... piccolo viaggio inaspettato, ma non volevo gettarvi nel panico.»
«E l'Amante? Non dirmi che l'hai lasciata lì nella piazza...»
«L'Amante è venuta con noi, ragazzo.» Il Cavaliere Oscuro alza il braccio e indica la strada deserta - che non dovrebbe ospitare veicoli -, e i miei occhi si posano subito sulla limousine bianca e imbrattata di sangue sul fianco appena sotto il finestrino sinistro di dietro.
Poi parla Mariangel, e mi sorprende così tanto che sono sul punto di darle ragione. «Signore, mica ci ha drogato per caso? No, perché se mi sta dicendo che Elephant and Castle si è appena materializzata davanti ai nostri occhi, temo che lei sia un grande spacciatore e abile nel drogare ragazzini.»
Il mio istinto mi sta dicendo che devo dar retta a quello che è successo, che è tutto reale, ma una piccola parte di me, forse un mio io profondissimo e nascosto negli abissi del mio cervello, mi suggerisce che Vectis ci ha drogati davvero. Insomma, vi sfido a credere a tutte le cose che sono successe nelle passate due ore. Siamo ragazzini, sì, e le nostre menti sono molto vulnerabili. Siamo molto tendenti a credere a quello che ci piazzano davanti, ma io non oserei tanto giocare con la fantasia. Sono pallida e infreddolita, e questo non aiuta per niente a farmi ragionare come si deve. Quando sono pallida mi devo mettere seduta e mangiare qualcosa (robe da niente, tipo cereali o acqua).
Il vento mi punge sulla pelle come schizzi d'acqua gelata, e un rumore lontanissimo di un clacson mi fa gemere. La strada è deserta, così come il grattacielo alla nostra destra: tutte le luci sono spente. Ma certo, chi mai dovrebbe essere sveglio a quest'ora?
Forse non lo dovevo pensare. Non lo dovevo proprio pensare.
Come se lo Strata Tower avesse ascoltato i miei pensieri, tutte le luci esplodono nel buio. La struttura si illumina di un bianco sfumato di giallo in un paio di secondi, e un rumore che mi fa accapponare la pelle risuona per tutta la zona. È fortissimo, come se fosse amplificato con delle casse enormi: il suono di una leva arrugginita che si abbassa di botto. Ma questo è niente in confronto a quello che succede un millesimo di secondo dopo: un boato di vetri rotti mi fa ricordare che devo respirare. I miei occhi brillano davanti alle tonnellate di pezzi di vetro che si staccano dal grattacielo e si riversano contro di noi, come milioni di api giganti.
Ma è contro le leggi della fisica!
«Questo non doveva accadere.» Dice Vectis afferrandomi per una spalla e trascinandomi giù per le scalette. Sento i passi affrettati dei miei amici dietro di noi e il rumore della pioggia di frantumi di vetro che graffia l'aria echeggiare perfino oltre la rampa di scale che superiamo in un paio di secondi.
Non c'è tempo nemmeno per guardarsi dietro: so che devo correre, che devo seguire Vectis, perché lui mi trasmette tranquillità. Il suo sguardo deciso e i suoi occhi gialli mi dicono che la cosa dei vetri è stato davvero un brutto episodio. Abbiamo lasciato l'Amante lì in mezzo alla strada, e se i vetri la colpiranno non ci sarà più nessuna corsa con il Cavaliere Oscuro, forse. Subito dopo la rampa di scale, percorriamo un ampio corridoio lungo una decina di metri. Dopo il corridoio si allungano per una ventina di metri i macchinari dei biglietti e gli sportelli per far passare la gente, ma ormai sono fuori uso: nessuno usa più la metropolitana. I motivi? Perché non passano mai treni e perché sono quasi tutte occupate dai molti senzatetto della Macchia del Sud. Gli sportelli sono tutti aperti, e quindi li superiamo in un battibaleno.
«Seguitemi e non fate domande.» Dice Vectis allungando il passo. Non stiamo correndo, ma camminiamo molto veloci, come se stessimo partecipando ad una marcia. Nel momento esatto in cui mettiamo piede sulle scale mobili rotte e consunte, il boato di vetri infranti sulla strada fa sparare per sbaglio Danielius, che balza e casca all'indietro.
«Avanti! Non c'è tempo per spaventarsi!» Lo incoraggia Vectis scendendo due scale alla volta. Le luci al neon sopra di noi funzionano ancora, ringraziando il cielo.
Ora che ci penso, perché non ci sono senzatetto a dormire qui giù? Dovrebbero essercene a bizzeffe. Ricordo un giorno quando andai a Balham: ce n'erano a migliaia, tutti sdraiati a terra attrezzati con piccoli mobiletti e cuscini.
Sono terrorizzata da tutto questo mistero. Non ce la faccio più. Troppe domande senza risposta, per il momento. Troppi avvenimenti inconcepibili per ragazzi di diciassette anni. Troppe cose contro la leggi della fisica. Il tornado che aveva cambiato colore... il fumo con le braccia di fuori... ed ora l'esplosione di tutte le finestre dello Strata Tower...
«Qual è la via più rapida per risalire in superficie?» Chiede Daniuelius con calma. E che calma. Una calma che ingannerebbe anche l'uomo più calmo del mondo.
La risposta di Vectis mi allarma un po' «Non si risale in superficie, ragazzo. Dobbiamo penetrare in profondità.»
Svoltiamo a sinistra dopo aver percorso tutte le scale mobili e proseguiamo diritti, in un corridoio che sembra non avere fine, il fiato corto che mi sega dolorosamente i polmoni.
Cosa vuole dire Vectis che dobbiamo penetrare in profondità? Questo posto sicuro che si chiama Poctilla si trova giù nell'Underground? E poi, veramente stiamo andando in questo posto? E se Vectis fosse un demone come quelli che ci hanno inseguito a Peckham? Ma no... è praticamente impossibile. Ci avrebbe già uccisi. E lui mi sa troppo di buona persona. Le sue guance morbide non potrebbero mai nascondere un assassino. E io so che devo seguirlo e basta.
«Cosa? Non dirmi mica che la Potilla si trova...»
«Poctilla. È facile da dire. Poc-til-la. E sì, si trova sotto terra, ma non proprio sotto terra... insomma... Bah! Capirai quando ci arriveremo!» Abbaia ridendo Vectis mentre arriviamo finalmente alla fine del corridoio. Non riesco più a sentire i piedi. Credo di avere più tagli sui piedi che sulle mani. E fidatevi, sulle mani ho moltissime cicatrici.
Un vento alle nostre spalle mi fa rabbrividire. So che devo tranquillizzarmi, o magari pensare a qualcosa di buffo per non far sopraffare la paura di aver paura, come aveva detto Corbin Harper appena arrivato alla stazione. Ho la sensazione che qualcuno ci stia seguendo, qualcuno o perfino qualcosa. Qualcosa di paranormale, di inspiegabile. Possibile che io senta migliaia di rumori alle mie spalle? Passi... il suono che produce l'acqua quando viene scossa... e perfino bisbigli. Ma no, me lo sto solamente immaginando. Okay, Colleen Hardy, devi darti una calmata, assolutamente.
Vi sfido a restare calmi di fronte a tutto ciò.
Svoltiamo a sinistra e finalmente ci troviamo nel binario del treno, anche questo desolato, come se dei fantasmi ci fossero passati sopra. Le luci al neon qui sono più deboli, ma riescono comunque ad illuminare sufficientemente il posto.
Ora, per chi non fosse mai stato a Londra, ovviamente prima del Giorno Vuoto, visto che dopo quel giorno le "vacanze a Londra" non esistono più, deve sapere che una galleria della metropolitana consunta dal tempo, piena zeppa di polvere e totalmente deserta mette molta più paura di quando te ne possa trasmettere Hannibal Lecter.
Quando arriviamo alla fine del binario, Vectis ci fa fare l'unica cosa che non avrei mai pensato di fare in vita mia: scendere e camminare sulla ferrovia.
«Ma che diavolo... quella cosa si trova nella gallerie della metropolitana?» Mariangel si blocca di colpo, mentre si tira giù con la mano rossa come un peperone il vestitino blu elettrico per coprirsi le cosce. «Mi spiace, ma io non verrò mai lì dentro. Non dopo quello che è successo.»
«Concordo con lei» Si intromette la ragazza senza nome. «Non camminerò mai nella ferrovia della Tube al buio.»
Non lo avessero mai detto.
Dopo una mezza litigata, uno schiaffo in faccia ad Erwood ed uno spintone a Dusnatt, ci troviamo tutti e sette sulla striscia di metallo della ferrovia, tenendoci in equilibrio. Le facce infuriate delle due ragazze sembrano poter esplodere da un momento all'altro. Ci stiamo immergendo sempre di più nel buio, ma fortuna che il Cavaliere Oscuro ha una torcia elettrica che sfonderebbe anche il petto di Sylvester Stallone. Il fiotto di luce che ne fuoriesce dalla punta si allunga per moltissimi metri, e dopo aver camminato sull'acciaio, nel buio, per circa tre minuti, Vectis ci fa fermare, schioccando le dita. I suoi occhi color sole a mezzogiorno splendono come quelli di un gatto. Punta la torcia su un cubo di cemento posto alla nostra sinistra, oltre la ferrovia. Parrebbe del tutto normale, se non fosse per la botola di legno che ha sulla cima.
Ebbene sì. Io e i miei amici, seppur esitanti, la attraversiamo, finendo in uno stanzino ancora più sotterraneo umido e riempito fino al soffitto di sporcizia bagnata, da lenzuoli ingialliti a varie cartelle d'ufficio incrostate e graffiate. Uno strano strato di polvere domina su tutti gli oggetti sparsi per la stanza, segno che qui non ci passa nessuno da parecchio tempo.
Ma chi me lo sta facendo fare? Non posso continuare. Devo tornare indietro. Questo posto mi mette i brividi. Davvero sto seguendo uno sconosciuto in un luogo che nemmeno conosco, probabilmente sottoterra?
Ma no. Non potrei mai dubitare di Vectis. Lui è il Cavaliere Oscuro. Lui mi salverà. E il mio istinto continua a ripetermi di seguirlo. Devo assolutamente sapere cosa è questa maledetta Poctilla.
«Siamo arrivati?» Chiede sussurrando Danielius. Ha la pistola agganciata alla cintura bianca che tiene stretta sui jeans attillati e strappati. I suoi capelli lunghi e neri sembrano anche loro invasi dalla polvere, ma poi mi rendo conto che sono solamente le strane luci che danno a tutti un aria un po'... sinistra. Perfino Erwood, se guardato di spalle in questa stanzetta, col buio e la luce di una torcia, potrebbe sembrare un Presagio, la creatura che mi aveva fissato mentre mi truccavo... che mi era venuta ad avvertire della mia... non riesco nemmeno a concludere la frase. Non ha senso. Niente di tutto questo ha senso.
«Ci siamo.» Risponde Vectis. Arriva in fondo alla stanza e, scostando un lenzuolo pieno di macchie marroni, scopre una grande porta di pietra massiccia a forma circolare.
«Ma che ficata!» Sussurra eccitato Erwood. Ma quando mai la finirà di fare così?
«Oh, e lo sarà molto di più quando arriverai alla fine.» Vectis gli fa l'occhiolino e apre la porta, che produce un rumore molto simile a quello di una forchetta che riga una padella: insopportabile. E io, ovviamente ancora troppo scioccata, collego il rumore all'esplosione di vetri dello Strata Tower... milioni di schegge scintillanti pronte ad uccidere me e i miei amici... squarciarci la pelle come se fossimo fatti di gomma... Scuoto la testa e mando a quel paese questi pensieri. Non devo aumentare la dose di paura che so di aver in abbondanza nel corpo. Sarà tutto okay.
➰➰➰
Stiamo camminando da ben cinque minuti dentro un'altra galleria, ma stavolta una galleria scolpita in una roccia argentata: il luccichio di piccoli smeraldi crea uno strano gioco di ombre. Abbiamo lasciato lo stanzino e ci siamo incamminati in questa galleria mozzafiato che si allunga subito dopo quella porta circolare di pietra. Sembra uscita da una pubblicità di profumi. È alta circa cinque metri e larga il doppio. Danielius, Mariangel e la ragazza con i capelli bianchi non fanno altro che guardarsi alle spalle: dalle loro espressioni capisco che non hanno assolutamente voglia di stare qui. Be', voi cosa fareste dopo aver rischiato la vita più di tre volte? Dopo aver visto cose che nemmeno nei film degli antichi dei dell'Olimpo ci sono? Il cuore mi sale fino alla punta della lingua quando finalmente scorgo un bagliore d'oro inusitato alla fine della galleria argentata. È così potente che mi copro gli occhi con le mie lunga dita. Possibile che sia giorno e che siamo usciti da sotto terra?
«Ma cosa c'è lì in fondo...?» Chiede ansioso Dusnatt levando di scatto la pistola. So che dobbiamo difenderci per qualunque cosa accada, quindi stringo la mia Walther P99 e la carico. Sento Erwood scuotere il kalashnikov e le due ragazze alle mie spalle tendere le mani con i coltelli.
«Cosa c'è lì infondo, dici?» Se la ride Vectis facendo cenno con la mano di abbassare le armi, ora sorprendentemente più calmo rispetto a pochi minuti fa. Nel suo sguardo c'è qualcosa che mi tranquillizza all'istante. «Be', lì c'è il centro del tutto. La Poctilla.»
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