12 - Colui che sapeva
Il proiettile del revolver del falso giapponese finisce conficcato nel gomito del mostro, schivando Erwood di pochissimi centimetri, se non millimetri. E io sono una di quelle persone che non esagera mai. Per esagerazione intendo tipo che quando fai cadere una matita una sola volta a scuola il professore si lamenta dicendo "fai cadere trecentomila matite ogni secondo!", e la tua faccia è molto simile a quella di Frodo del Signore degli Anelli, uno sguardo che riassume tutta la tristezza e la pesantezza di tutti quei compiti che devi portare a termine. Insomma, avete visto la faccia di Elijah Wood? Sembra sempre turbato e sconvolto.
Ma a cosa diavolo penso...
Poi succede tutto in uno spazio minuscolo del mio cervello. È come un lampo di un temporale. Io ed Erwood, ad un off licence di Lewisham, mentre un rapinatore cerca di minacciare il cassiere marocchino. Di conseguenza io che mi avvento sull'attentatore, ed Erwood mi difende e si prende un proiettile nel polpaccio destro... E io so che queste cose non me le posso ricordare, perché... non lo so nemmeno io. È come una piccola sensazione che ho schiacciata in petto. Come se questo episodio con Erwood non fosse mai successo, ma io so di averlo vissuto.
Se non fosse stato per quei pochi centimetri, quella scena si sarebbe ripetuta di nuovo, ma non in un off licence, bensì in una limousine, con sei ragazzi seduti su divanetto di coccodrillo costoso quanto la felicità di un regista che sa fare un piano di sequenza interminabile.
Mariangel fa un balzo in avanti e stiracchia il collo. Sembra così spaventata che le pupille le tremano, un terremoto nell'iridi, quando Vectis preme sull'acceleratore e parte a tutta birra lontano dal turbine di esplosioni e di colori e di scontri.
«Non so se sia più fortunato io o Mariangel.» Ansima Erwood ributtandosi di peso sul divanetto. Il corpo morto di Corbin ai suoi piedi vibra: la limousine ora va velocissima. Danielius ha ancora l'arma alzata, incredulo di quello che è appena accaduto. Certo, che è incredulo. Vi sfido a starvene tranquilli dopo che uno dei vostri migliori amici si scaglia su di voi e voi avete premuto per sbaglio il grilletto di una pistola. Riesco a sentire le emozioni di Danielius: paura, ovviamente, ma anche un po' di confusione. Probabilmente, anzi no, decisamente, gli è andata del tutto a suo favore: il braccio nero non ha preso lui, lui ha potuto scansarsi da esso, e ha mirato con il revolver con una dose di fortuna che nemmeno alla lotteria si può sperare. Niente male per un ragazzino di sedici anni che se ne sta sempre in disparte in situazioni abbastanza caotiche. E forse è questa la cosa che mi piace di lui: sa fare il finto timido quando vuole, con le sue labbra finissime storte in una smorfia buffa.
«Scusa, amico. Non volevo...»
«Acqua passata.» Erwood lancia una mano in aria, per poi farla atterrare pesantemente su una coscia. I suoi pantaloni grigi attillati sono coperti da... indovinate un po'? Esatto. Succo di mela. No, scherzo, ovviamente.
«Vectis!» Urla di colpo Dusnatt, abbassando la mano ancora levata di Danielius. «Marjoire?! Cos'ha fatto... dov'è finita?» La sua voce è intrisa di una finta preoccupazione.
«Non ti preoccupare per lei. Il punto ora è questo: bisogna mettervi al sicuro entro venti minuti diritti nella Poctilla. Non c'è luogo più sicuro, per questa notte. E forse non solo per questa notte.»
Fino a questo momento, non avevo realmente realizzato che Vectis ci stesse portando in un luogo a noi sconosciuto. Anzi, la cosa è del tutto diversa: il mio cervello non ci ha dato peso, dopo tutte le cose che sono accadute questa notte. Sono totalmente ignara della destinazione, visto che non so cosa sia questo luogo.
«E dove si trova questa... Poctilla?»
«Si pronuncia Poctiglia, ragazzo.» Vectis segue una lunga strada che finisce sotto un piccolo grattacielo. «La doppia L è alla spagnola. Si legge come gl di coniglio.»
«E tu pensi che me ne freghi qualcosa ora? Abbiamo i demoni anche dentro al culo. Forse dovrei controllare il mio bell'ano. Non si sa mai.» Sbraita Dusnatt. Ecco. I suoi modi di fare sono sempre i peggiori. Una volta si rivolse a mio padre dicendogli che era un ubriacone. E non ha tutti i torti: mio padre beve molto. Ma sorvoliamo l'argomento: non ha importanza ora.
«Hai ragione, ragazzo. Ma non ti preoccupare, non ci saranno più attacchi. Non questa notte. Stiamo andando al sicuro.» Ribatte paziente Vectis. Le sue mani si stingono attorno al volante e dalle rughe sulla guancia capisco che sta sorridendo.
«E Marjoire? È rimasta indietro? Cosa stava facendo? Quel tornado cosa era, una mezza specie di scorreggia mutante? E hai visto lei alla fine, quando ha stappato il cuore a... a... chi era?» Ora quello più curioso sembra Ciuffo Viola, anche se lui non crede molto a queste cose. Ve lo dico per esperienza: non segue alcuna religione. Erwood rimane in silenzio. Mariangel si massaggia il collo, muta: non ha spiaccicato parola. Forse è traumatizzata. Ma proprio forse eh.
«Marjoire avrà i suoi metodi per raggiungerci. E no, quel tornado non era una scorreggia mutante. Forse sarebbe un po' complicato spiegarvi la faccenda dei Quattro Abissi Temporali. Credevo foste più curiosi sul fatto del cuore strappato dal petto del Presagio.»
«Niente è complicato se detto da un'autista che cerca di salvare dei ragazzi. Saremo molto impegnati nel discutere di cosa siano i Quattro Abissi Temporali e il Presagio.» Dice Erwood, risvegliandosi da uno stato di quella che sembrava agonia. No, forse ho esagerato. È solo un po' stanco. E anche lui traumatizzato. Però è pazzo. È riuscito a passare dal parlare di cose impertinenti a un argomento molto sottile, quello di cui ci aveva accennato Marjoire sul fatto che lei fosse una ex puttanella demone che serviva giovani ragazzi in cambio di favori assassini. «Vectis, so che ci conosciamo da circa... trenta minuti, ma dacci almeno un quadro di tutto ciò. Insomma, siamo stati sparati in aria da una festa e fatti attaccare da esseri demoniaci per ben tre volte!»
Un'ombra di esitazione aleggia per un momento sui lineamenti dell'autista, che ancora non riesco a vedere bene. Poi parla, e io non faccio altro che concentrarmi su quelle parole. O almeno cerco di provarci.
«Oggi è il 21 marzo. Qualche ora fa, alle ventuno e cinquantotto, è iniziato l'equinozio di primavera, e questo, ogni loboto di anno, è il tempo in cui l'Apertura delle Porte si fa sempre più imminente.»
«Aspetta aspetta aspetta» Sibila Danielius «Cos'è un loboto di anno?»
Vectis scoppia a ridere, mentre l'autovettura imbocca una piccola stradina illuminata solamente da un faro lontano, lasciandosi alle spalle il piccolo grattacielo. Mi sembrerebbe del tutto normale, se non fosse che sono stata attaccata tre volte da dei mostri che potrebbero spuntare in qualunque momento. L'oscurità è la reception di questo hotel da incubo.
«Loboto è una definizione che si usa più nelle attività universali, nella Terra di Axiokersos. Qui nei vostri territori non capireste mai. È un dispregiativo, molto alla "perché dovrebbe esistere una cosa come questa? Deve marcire con tutti i morti e soffocato dalle ossa di tutti gli umani". Loboto di anno. In senso che... ogni fottuto-che-deve-andare-a-morire di anno.» Aggiunge frettolosamente. «Così vi è più chiaro.»
«Loboto. Mi piace.» Annuncia la ragazza coi capelli bianchi mentre si esibisce in un grande e dolce massaggio alle spalle di Mariangel, il collo ancora imbrattato della sostanza melmosa del gomito del braccio che l'aveva assalita. «Dicci un po', Vectis, usate tutti termini strani, voi demoni?»
«Non ho mai detto di appartenere ai Figli del Dolore, noti comunemente come demoni.»
«E quindi cosa sei?» Chiedo, ma mi rendo conto che forse "cosa sei" potrebbe risultare un po' sgarbato, quindi mi affretto ad aggiungere:«Ehm... chi sei, di preciso?»
«Io sono solo Vectis Bruce.» Dice lui. Un silenzio assordante domina l'aria per alcuni secondi. Poi riprende. «Credo che Marjoire si sia già presentata. Salvatrice, Custode della Poctilla, Salvatrice dei Tempi e Vostra Bassezza. Una delle poche Salvatrici che ha grandi contatti con Axiokersos. È stata molto in gamba, durante i famosi Tempi. Prima dei Tempi, era una donna... sì, malvagia. Ma ora è Custode della Poctilla, e niente al mondo è più fedele di una Custode della Poctilla.»
«Sì sì, come se noi sapessimo di cosa stai parlando. Ma alla fine, Marjoire è un demone, giusto?» Chiede con un fil di voce Dusnatt. «Noi siamo solo dei ragazzi, Vectis.» Non so perché, ma sentire il nome di Vectis mi inietta nel sangue una piccole dose di tranquillità e sollievo. È un nome piacevole all'ascolto, e in poco più di mezz'ora noi tutti ci siamo imparati a dargli del tu e a chiamarlo per nome, come se fosse un amico. «E scoprire tutte queste cose insieme è...»
«Uno sballo assurdo!» Si intromette Erwood. «È solamente uno sballo assurdo! Donne che volano, teste mozzate, gente trasformata in mostri.» Si guarda intorno, come per valutare se le sue parole ci abbiano dato conforto. Ma non lo sono. Forse per lui è uno sballo. E forse anche per me. Quanto è indefesso! Ma la maggior parte è una questione di sconcerto. Scoprire un mondo, che avevamo appena scoperto sottilmente, del tutto inconcepibile alla mente umana è una cosa assai... particolare. E io, forse, seppur dopo un'ora e mezzo, non riesco a ficcarmelo per interno nella mia capoccia! Forse qualcuno dovrà disegnarmi su dei fogli di carta immagini e scrivere testi da studiare per farmi accettare tutto questo. E siamo solamente all'inizio. Non ci saranno più attacchi, non questa notte, aveva annunciato Vectis. Se non ce ne saranno più questa notte, allora ce ne saranno altri nei giorni a venire? E poi Marjoire... che in qualche modo aveva detto che io ero l'obbiettivo di qualcuno che aveva "mandato" Corbin. Davvero delle puttane demoniache hanno ordinato ad un ragazzo di scortarmi chissà dove? Oppure uccidermi? Non voglio credere che sia vero, ma in un angolo della mia mente un'immagine di me stessa con centinaia di frasi lunghissime illuminate al neon intorno alla mia testa mi fanno un po' sorridere. Le scritte recitano "ragazza con seri problemi di capacità intellettive non riesce ad accettare cose di un altro mondo". Ma forse qualcosa riuscirò a ficcarmi in questa testa. Solamente se qualcuno mi spiegherà per bene.
Come può, una ragazza di appena diciassette anni, essere l'obbiettivo di mostri dell'Inferno?
Forse sono un personaggio di qualche libro fantasy, e l'autore che mi sta comandando vuole farmi vivere avventure spaventose e surreali. Magari chissà, in un futuro imprecisato qualche donna o qualche gentiluomo se ne sta seduto bello e comodo su un computer, a scrivere la mia storia, e io nella vita reale devo seguire ogni singola azione descritta dal soggetto. Uffa, che vita! Sarei come un burattino! Ma comunque, desidererei non scoprirlo mai.
«Ragazzo, sarebbe tutto molto "da sballo" se non ci fosse in mezzo la morte con i suoi loboti di Presagi. Sarebbe divertente, perfino. Ma corre un periodo che segnerà davvero tutta l'umanità...»
«Tipo una catastrofe? Un'apocalisse? Boom?» Sussurra la ragazza sconosciuta. I suoi occhi di Natale color verde pino e bianco neve tremano sotto il bagliore leggero delle lucette sopra di noi.
«Molto più di un'apocalisse, se...» Si ferma. Forse sta valutando se continuare o meno.
«Basta così.» Gli dico io, inghiottendo un gran boccone d'aria. «Abbiamo avuto abbastanza informazioni per farci pensare per i prossimi minuti. Credo che quando andremo in quel posto... la Poctilla... sarà tutto più chiaro. E io non vedo l'ora di sapere.»
«Ben detto.» Vectis schiocca il palato con la lingua, un gesto inaspettato, visto che non l'ho mai visto fare da nessuno. Forse lo facevo io quando ero piccolina. Quando avevo un padre e una madre uniti. Quando ero sotto tutela di due innamorati senza frontiere.
«Vectis, solo, voglio sapere una cosa.» Continuo mentre la limousine si ferma in una piazzetta grande quanto una decina di elicotteri messi insieme.
L'autista preme un paio di bottoni accanto al volante e abbassa una piccola levetta accanto al cambio. Poi si mette a scrutare l'oscurità davanti a noi. La piazzetta è illuminata solamente dalla falce di luna che brilla nel cielo ora nuvoloso.
«Dimmi, Colleen.» Mi fa lui, e da quelle parole so che lui non potrà mai non piacermi. Non ricordo nemmeno se gli ho detto il mio nome.
«Cos'è un Presagio?»
Per la prima volta da quando siamo entrati in questa limousine, Vectis si gira dalla postazione di guida. Ha la testa calva, una decina di ricciolini neri e corti un centimetro qua e là, come se fossero stati incollati. Ha delle guance molto soffici, molto simili a quelle di Mariangel, ma queste sono bucherellate, come se qualcuno si fosse divertito a passare una spillatrice su quei tratti di pelle. I suoi lineamenti suggeriscono un fisico da paura, e i suoi occhi... I suoi occhi sono gialli. Un giallo molto simile al colore del sole a mezzogiorno. E, lo devo ammettere, è proprio un bell'uomo.
«Un Presagio è una creatura. Una creatura molto amica delle Morte, e molto spesso sono esemplari maschi. Sono alti, molto alti, e si vestono come dei barboni. Sono molto noti per i loro visi allungati e pallidi allampanati. I... i loro occhi brillano di rosso intenso. E questi mezzi uomini compaiono agli umani pochi giorni prima la morte di quest'ultimi, di solito in posti lugubri o in mezzo alle strade.»
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