24. Timore e Batticuore
L'arrivo di Levi agli uffici della Reiss fu qualcosa di grandioso.
Il grande evento era stato anticipato a tutti i dipendenti dai bisbigli di corridoio, un continuo rimbalzare di informazioni – più o meno gonfiate – da parte di chi aveva udito la sempre seria dirigente Petra Ral esultare alla notizia. C'era chi giurava di aver sentito chiaramente il suono dei tacchi mentre questa saltellava per il proprio ufficio, protetta dalla porta chiusa e dai vetri opachi che però lasciavano intravedere la sua ombra danzante.
Ackerman aveva fin da subito ottenuto un ufficio personale, accanto a quello che era stato riservato ad Eren. Il ragazzo lo occupava molto poco; fino a quel momento aveva lavorato principalmente da casa, e con il proseguire della gravidanza le assenze sarebbero di certo divenute più frequenti. La sua condizione "a rischio" l'avrebbe fin da subito autorizzato ad assentarsi, ma Eren insisteva nel fare delle piccole apparizioni per mantenere vivida la memoria dei colleghi e al contempo aggiornare Petra sui progressi del proprio lavoro.
Levi però non si era presentato nel nuovo studio a mani vuote: la notizia dell'enorme class-action che stava meticolosamente preparando da settimane fece il giro dell'intero edificio, raccogliendo numerosi consensi e richieste di poter fornire il proprio aiuto e supporto.
Dei tanti che sognavano di lavorare gomito a gomito con una delle leggende del tribunale, solo tre nomi vennero presi in considerazione.
Erd Yin, Gunther Schultz e Auruo Bossard – due Beta ed un Alpha – aspettavano fuori dall'ufficio già all'alba del secondo giorno, e la stessa Ral andò ad aggiungersi a loro poco più tardi. Lo smacco di ricevere una class-action e dover affrontare in tribunale non uno, ma due Omega sarebbe stata un'ulteriore pugnalata per Smith. Così facendo, inoltre, la loro neonata squadra sarebbe stata ben equilibrata tra le varie dinamiche.
Per Eren ci sarebbe voluto ancora un po', prima di poter partecipare attivamente, ma anche il suo momento sarebbe arrivato. Collaborava comunque facendo ricerche, contattando possibili fonti, organizzando gli appuntamenti, svolgendo interviste e scrivendo appunti che il resto del team usava per preparare le proprie arringhe. Anche quando fu costretto a smettere di recarsi in ufficio definitivamente, la sua casella postale inviava e riceveva decine di e-mail ogni giorno e tramite Skype partecipava alle riunioni necessarie a preparare le mosse seguenti, sognando il giorno in cui avrebbe di nuovo messo piede in un'aula, guardando Erwin Smith sottomettersi alla giustizia che per tanti anni aveva scavalcato.
* * * * *
Il caffè nella tazza rischiò di fuoriuscire e macchiare il vetro quando l'avvocato sbatté i fascicoli sulla lastra perfettamente pulita dell'enorme tavolo nella sala riunioni. Li impilò uno per uno – tonfo dopo tonfo, carta su carta – sotto lo sguardo attento dei tre uomini, i quali non riuscivano a fare a meno di scambiarsi occhiate fugaci e apprensive.
Lavorare sotto Ackerman era un privilegio che in pochi avevano mai avuto, considerato il fatto che fosse considerata una vera e propria medaglia al valore: chi sopravviveva al suo perfezionismo e alla sua sete di vittoria, poteva vantarsi al pari di un reduce di guerra.
«Jones. Duval. Madsen. Otero. Delgado. Vi ho affidato cinque nuovi possibili casi da inserire nella class-action, e non avete ottenuto nemmeno la metà delle informazioni che ci occorrono per portarli in tribunale. Cos'è, l'aria di primavera vi causa sonnolenza e fa battere la fiacca?»
Yin, Schulz e Bossard incassarono la testa tra le spalle, pronti a ricevere la sonora lavata di capo che inevitabilmente sarebbe giunta.
Trascorse così mezz'ora, durante la quale Levi si premurò di inculcargli quali fossero le priorità, prima che ognuno potesse tirare un sospiro di sollievo nel tornare alla rispettiva postazione.
L'Alpha aggirò la propria scrivania, lasciandosi cadere scocciato sulla poltrona in pelle. Solo in quell'istante, scorgendolo con la coda dell'occhio, si accorse di aver lasciato lì il cellulare.
'Chiamate perse (2)'
<Eren>
Avviò la telefonata con calma, certo che non fosse nulla di importante, o in caso contrario il compagno lo avrebbe contattato direttamente in ufficio.
La voce di Eren tardò a rispondere di qualche squillo.
«Levi, dove sei? In ufficio?»
«Sì, ancora non sono sceso a comprare il pranzo. Ti serve qualcosa, hai qualche voglia particolare?» chiese, facendo oscillare una penna tra le dita. Non erano state molte – ma neanche così rare – le occasioni in cui Eren era stato tentato da alcuni sapori a orari inusuali, e l'Alpha si era sempre impegnato affinché non patisse alcuna mancanza, pur sciocca che fosse.
«Ahah... Non per ora» rispose il ragazzo con una risatina nervosa. «Ascolta, io sono a casa e ho rotto le acque. Mamma sta già venendo a prendermi, è più vicina di quanto non sia tu. Liberati con calma e raggiungi direttamente l'ospedale rispettando i semafori, Levi. Mi hai sentito? Ti conosco. C'è ancora tempo, ho a malapena le contrazioni.»
'Ho rotto le acque.'
Era quello l'istante esatto in cui la mente dell'uomo aveva smesso definitivamente di funzionare con tanto di encefalogramma piatto, e il suo cuore aveva invece iniziato a battere all'impazzata, pompando adrenalina al posto del sangue.
«Va bene» rispose, in modo talmente meccanico da suonare strano persino a sé stesso. «Sistemo tutto e arrivo, nel frattempo tu resta calmo.»
«Oh, ma io sono–»
Levi poté sentire chiaramente lo squillo del citofono, che interruppe le parole di Eren.
«Devo andare, mamma è qui. Ho preso io la borsa con tutto l'occorrente, non preoccuparti. Ci vediamo in ospedale, a dopo.»
«A dopo.»
La linea cadde e lui si ritrovò a fissare lo schermo nero dello smartphone, congelato in quella posizione. Eren stava per partorire. I loro piccoli sarebbero venuti presto al mondo e lui aveva ancora il culo su quella cazzo di poltrona...!
Si alzò come un automa, comunicando in volata alla segretaria di cancellare tutti gli impegni che lo vedevano coinvolto e di avvisare Petra della propria assenza. Le parole del partner Omega si accavallavano nella sua testa senza un ordine preciso. Superò un incrocio col giallo, ricordando solo dopo le raccomandazioni del proprio mate. Parcheggiò in poche manovre e si avviò verso l'accettazione, i passi lunghi e veloci, sperando di non essere in ritardo.
«Salve, vorrei sapere in che stanza è ricoverato Eren Jaeger.»
L'infermiera digitò sulla tastiera, aggrottando la fronte subito dopo nel leggere i risultati della propria ricerca.
«Non risulta nessun Eren Jaeger, signore, è certo che sia–»
«Levi!»
L'Alpha si voltò, trovando il giovane che lo fissava con una mano sul pancione mentre fuori Carla pagava il conducente del taxi, trasportando la tracolla contenente l'occorrente per la degenza.
«Eren?»
«Come fai ad essere già qui?! L'ufficio è dall'altra parte del mondo!» gli disse il ragazzo, mettendo le mani sui fianchi. «Hai corso con la macchina, non è così? Ah! Se non avessi altro da fare, in questo momento, ti picchierei, stupido bastardo incosciente» gli soffiò addosso Eren, gli occhi severi e pieni di disappunto. «Buongiorno. Ho rotto le acque» disse poi alla povera incaricata dell'accettazione, che aveva dovuto seguire la conversazione e provato quasi pietà per quel povero Alpha, ora con la coda tra le gambe.
Levi non proferì parola, alternando lo sguardo tra il suo volto indispettito, il piede che batteva veloce sul linoleum e il ventre prominente che metteva distanza tra il corpo del compagno ed il bancone.
«Ho mantenuto una velocità moderata.»
«Ah sì?»
«Sì... Credo.» L'autovelox non era in cima alle sue priorità, ecco.
«Io invece credo di no.»
Il bisticcio venne sedato dall'arrivo di Carla, borsa in spalla, e dall'infermiera che si sporse per avvolgere intorno al polso di Eren il bracciale di riconoscimento per il suo ricovero.
«Ha bisogno di una sedia a rotelle?»
«No, posso camminare... Non fa così male.»
«Aspetta e vedrai.»
«Oh, grazie mille, mamma. Al prossimo parto, in ospedale, ci vengo da solo.»
L'Alpha in Levi non colse l'ironia e già scalpitava al pensiero di altri cuccioli da accudire e proteggere, mentre l'uomo considerava un traguardo già sopravvivere a quello, di parto – e non era certo lui a dover fare il grosso del lavoro.
«Sei sicuro di non volerti sedere?»
«Voglio solo andare in camera e togliermi i pantaloni» rispose il ragazzo, avviandosi dietro l'infermiera che li guidava verso la camera assegnata.
Levi venne fermato subito prima di accedere al reparto, costretto ad inghiottire un blando soppressore e a coprire con uno spray appiccicoso tutte le ghiandole, che fossero nascoste dai vestiti o meno.
Stava per entrare in una zona dell'ospedale piena di neonati, Omega indeboliti dal parto e dei loro compagni, i quali avevano a loro volta subito lo stesso preventivo trattamento.
Quando lo raggiunse in camera, Eren aveva già indossato la camicia dell'ospedale e passeggiava in giro, tenendosi al braccio di Carla che respirava insieme a lui.
«Non dovrebbe stare a riposo?» chiese Levi, evitando comunque di intralciare il loro cammino.
«Un po' di movimento non gli fa male, anzi» sorrise la donna, guardando le forme generose del figlio. «Potrebbe addirittura avviare il parto.»
L'Alpha sembrava piuttosto scettico, al riguardo: aveva letto decine di libri sull'argomento, e nessuno aveva menzionato una cosa simile. D'altro canto lei aveva messo una creatura al mondo e lui no, di certo parlava con cognizione di causa.
«Proprio non me la sento di stare immobile» intervenne Eren, insofferente, fermandosi ai piedi del letto.
Un'infermiera entrò nella stanza, sorridendo ai presenti.
«Signor Jaeger, può seguirmi? Eseguiremo un tracciato per verificare che tutto proceda bene» disse, invitandolo a raggiungerla.
«Posso venire anche io?» domandò Carla.
«Sarebbe preferibile che i parenti attendano qui. Non si preoccupi, lui e i suoi piccoli sono in buone mani.»
«Non può venire nemmeno Levi?» chiese l'Omega, avvicinandosi all'appendiabiti dove avevano lasciato la vestaglia che si era portato, per risparmiarsi il fastidio di girare in ospedale con quelle ridicole camicione a pois. «È il padre dei bambini.»
«Mi dispiace ma, se lui è d'accordo, potrà certamente assistere al parto.»
L'Alpha annuì. In fondo non ci aveva messo troppe speranze, consapevole che il reparto fosse un luogo piuttosto concitato e che i pazienti avessero la massima priorità su minuzie come quella.
«Vai, Eren. Sarò qui ad aspettarti.»
Eren, guardando verso il compagno, annuì e annodò velocemente la vestaglia. Man mano che i minuti passavano il suo corpo iniziava a mandargli sempre più segnali di disagio, che non avrebbe potuto ignorare ancora per molto tempo.
«Torno presto, credo.»
Salutò Carla e Levi, ognuno con un bacio ed una rapida carezza, prima di seguire l'infermiera che gli offrì gentilmente un braccio a sostegno.
Passò il tempo, trascorse quasi un'ora e di Eren nessuna traccia. Levi cominciava a sentirsi inquieto, una strana sensazione allo stomaco che non trovava alcun sollievo nel vedere Carla, accanto alla finestra, altrettanto rigida.
Finalmente, dopo quell'infinita attesa, arrivò il medico – lo stesso che aveva seguito Eren negli ultimi mesi di gestazione – che con sguardo grave studiò i loro volti, come se le sue parole dipendessero da quanto fossero sulle spine e non dalla realtà dei fatti.
«Dottore,» iniziò Carla, «dov'è mio figlio?»
«Il Signor Jaeger sta tornando adesso dall'ecografia.»
«Ecografia? Non doveva fare solo un tracciato?» Nella voce dell'Alpha era palpabile tutta la tensione.
«Non voglio girarci intorno, signori. Il tracciato non era lineare e ci ha messi in allerta. Abbiamo ritenuto opportuno effettuare un'ecografia, per accertarci che i feti stessero bene, ma–»
«Cos'hanno? Voglio vedere Eren, adesso.» Levi non riuscì a trattenere in gola il proprio ruggito. Pericolo. Avevano bisogno di lui e non c'era.
«Si calmi, la prego. La situazione al momento è sotto controllo, tuttavia è impossibile che il Signor Jaeger affronti un parto naturale. Uno dei feti non è in posizione.»
«Capisco, capisco» mormorò Carla, tormentandosi le mani. In un certo senso, quella notizia la confortava; che importava non poter avere un parto naturale, c'erano altri modi per mettere al mondo un bambino. «Posso vedere mio figlio, prima?»
«Lo stanno preparando. Potete seguirmi, vi porterò in sala pre-operatoria, ma solo per pochi minuti. Inizieremo a breve.»
Levi e Carla seguirono in religioso silenzio il medico, persi nei loro pensieri e timori.
La gravidanza di Eren non era iniziata nel migliore dei modi, e sin dal primo momento aveva richiesto particolari attenzioni per svariati motivi: era avvenuta nel periodo di maggior stress per l'Omega, già debilitato da anni di soppressori e scarsa cura di sé stesso; il suo fisico aveva trattenuto a stento i feti – come se uno non fosse già sufficiente per mandarlo sotto sforzo –, troppo stremato per poter nutrire anche loro, mettendo a repentaglio la vita di tutti e tre.
Era impensabile quindi che, nonostante i progressi fatti e l'incredibile cautela con cui la coppia aveva affrontato un percorso tanto delicato, alla fine tutto si risolvesse nella maniera più semplice.
Vennero fatti vestire con camici usa e getta di un verde che a Levi diede immediatamente la nausea. O forse era il forte odore di disinfettante a corrodergli la gola.
Eren li aspettava steso su un lettino, con una coperta tirata su fino alla pancia.
«Ciao. Vi hanno già spiegato?»
«Sì, ce l'hanno detto. Tu come ti senti, caro?»
«Oh, io bene. Mi hanno fatto l'epidurale, quindi le contrazioni non sono più così fastidiose. Sarebbero comunque inutili, visto che devo fare il cesareo.»
Con le dita, Levi cercò la mano di Eren. Si strinsero in un intreccio spontaneo, adattandosi alla rispettiva forma e calore come ormai facevano da tempo.
«Oi...»
L'uomo aveva dipinta in viso, come un affresco dalle tinte cupe, tutta la preoccupazione che custodiva nel petto. Era un'operazione piuttosto frequente – alcuni partorienti, anzi, la preferivano al parto naturale –, eppure quella sensazione d'angoscia non voleva abbandonarlo un solo istante. Ogni respiro gli congelava i polmoni e bruciava il cervello, rendendolo meno lucido di quanto avrebbe voluto essere.
«Ciao anche a te» gli rispose Eren, girando la testa nella sua direzione. Poi, sostenendosi col braccio, si sporse in avanti per chiedere e ricevere un bacio che non tardò ad arrivare. «Sei più pallido del solito.»
«Sono le luci al neon. Credo sia una tecnica per rendere tutto più bianco di quanto non sia. Ottima strategia di marketing» provò a sdrammatizzare, ma sapeva di non poter nascondere nulla allo sguardo attento dell'Omega. Non che Eren avesse davvero bisogno di fissarlo negli occhi, per capire; gli bastava prestare attenzione al filo che li legava attraverso il bond: a seconda di quanto vibrasse, del modo in cui gli solleticava i marchi oppure dalla forza con cui si tendeva in petto, il compagno conosceva perfettamente il suo stato d'animo nonostante gli odori in quel momento non potessero aiutarlo in un simile compito.
Eren scosse la testa e si lasciò ricadere sul cuscino.
«Stronzate. Ti ho visto in aula, sai mentire molto meglio di così» lo rimbeccò, alzando le sopracciglia. «Non farlo, comunque. Non preoccuparti. È tutto okay.»
«Io... Vorrei solo poter fare qualcosa, mi sento impotente.»
Immediatamente il ragazzo sentì quella familiare stretta intorno al cuore – il filo rosso che vi si annodava con meticolosa dolcezza – che sapeva di protezione, di amore e di casa.
«Non solo tu...»
Eren strinse le labbra in una piccola smorfia.
Levi guardò prima Carla, chiedendole un tacito permesso, infine il medico lì accanto. «Vorrei essere comunque presente al parto. Sarebbe possibile?»
L'espressione dell'altro infranse istantaneamente ogni sua speranza.
«Mi dispiace, non posso consentire l'ingresso a un altro dominante in sala operatoria. Il chirurgo è un Alpha e, come può ben immaginare, non è auspicabile un eventuale conflitto in una situazione tanto delicata. L'istinto di protezione in frangenti simili è molto forte e il massimo che posso fare è lasciarla assistere alla procedura nella saletta adiacente. Il suo compagno è in buone mani, glielo assicuro.»
Non avrebbe voluto lasciarlo. Mai, per nulla al mondo. Aveva già compiuto quell'errore in passato, e per pagarne il prezzo aveva quasi perso tutto.
Tuttavia non ebbe scelta. L'Omega annuiva lentamente, d'accordo col medico e con le regole della struttura. Eren Jeager che difendeva il regolamento, sarebbe stato comico se l'ansia non gli avesse stretto le viscere.
Dopo un ultimo, lieve bacio, lo lasciò andare. Lo guardò sparire oltre la porta tagliafuoco, e seguì poi il personale che condusse lui e Carla nella piccola sala d'attesa.
Non ci sarebbero volute più di un paio d'ore, gli avevano detto. Poteva solo sperare fosse vero.
Le luci bianche posizionate sul soffitto, immediatamente sopra la barella, accecarono Eren per qualche istante, costringendolo a serrare le palpebre in attesa che il riverbero luminoso smettesse di tormentarlo. Circondato da tutti quei macchinari che coi loro bip intermittenti creavano una melodia sgraziata, l'odore pungente del disinfettante con cui l'intera sala era stata accuratamente lavata giunse alle sue narici.
Un uomo – di cui poteva scorgere a stento gli occhi, coperti da lenti protettive, sopra la mascherina – gli si affiancò con fare rassicurante.
«Andrà tutto bene, Signor Jaeger. Presto potrà stringere i suoi piccoli tra le braccia. Adesso le farò l'anestesia, ci vorranno alcuni minuti prima che perda sensibilità alla zona inferiore del corpo, d'accordo?»
Eren annuì, prendendo un bel respiro profondo mentre l'equipe medica iniziava a ronzargli intorno, sistemando tutto in modo che non potesse vedere direttamente il chirurgo operare.
Nella sala accanto, nel frattempo, Levi camminava avanti e indietro senza distogliere lo sguardo dal proprio Omega nemmeno un secondo. Gli sembrava tranquillo, per quanto potesse realmente esserlo in un simile stato di allerta. Inspirò, espirò. Doveva restare calmo, concentrato.
Riusciva a vederlo attraverso una vetrata, posizionata in modo che la squadra medica potesse lavorare senza mostrarsi. Non sentiva nulla, ma non importava. Era con lui, in qualche modo, in uno dei giorni più importanti delle loro vite.
Quando il chirurgo, fedelmente assistito, impugnò uno dei numerosi strumenti, Levi ebbe la devastante certezza che ogni cosa sarebbe cambiata di lì a poco. Mentre Carla manteneva una parvenza di serenità, seduta e composta, l'Alpha stava sudando persino l'anima nel sapere che presto le loro creature sarebbero venute alla luce.
Venti minuti dopo, il primo dei due venne sollevato con cura, sporco di sangue e con un sottile strato bianco a ricoprirne la pelle tenera. 'Nato con la camicia', come si soleva dire.
Eren se lo vide arrivare tra le braccia, quel minuscolo fagotto che tanto aveva scalciato nel suo ventre, con gli occhioni neri spalancati; lo fissava intensamente, quasi lo stesse studiando per valutare se fosse giunto nel posto giusto o qualcuno gli avesse fatto sbagliare destinazione. Infine, pianse. Così tanto, così sonoramente che l'Omega, inizialmente rigido sotto di lui, scoppiò a ridere nell'appurare quanto forte fosse la sua voglia di farsi udire.
Quel suo primo nato gli venne portato via quasi subito. C'era una routine di controlli e verifiche da eseguire che non poteva aspettare, per non parlare della necessità di lavarlo e rivestirlo con una delle tutine che si erano portati in ospedale.
Non passò molto tempo prima della nascita anche dell'altra bambina.
Eren iniziava a sentirsi debole e, nonostante l'adrenalina e l'eccitazione di vedere per la prima volta i propri figli, era forte anche la necessità di chiudere gli occhi, smettere di vedere tutte quelle luci, sentire tutte quelle voci, percepire tutte quelle mani e strumenti – sul e dentro – il proprio corpo. Ora che erano nati, voleva solo che tutto finisse.
Un'infermiera uscì dalla sala operatoria per poter comunicare ai familiari la fine dell'intervento.
«Ci vorrà un'ora prima che lo riportino in camera, e una settimana per la dimissione. I bambini stanno bene, li stanno pesando e pulendo. Una collega li porterà qui appena possibile, poi potrete accompagnarli alla nursery. Se ne occuperanno i nostri paramedici fino al risveglio della madre."
Per Levi il tempo prese a scorrere in maniera surreale. Vedeva tutti muoversi rapidamente avanti e indietro, spostando strumenti e ciò che andava invece gettato dentro appositi contenitori, lasciandosi alle spalle una scia sbiadita del loro passaggio. Veloci e lenti, un connubio impossibile.
Infine, la porta venne di nuovo aperta e due culle trasparenti spinte verso di lui. Una manina sbucò fuori da una copertina rosa, e l'Alpha inalò immediatamente il profumo – per gli altri neutro – della propria prole.
Due bimbi rossi, avvolti in colorati bozzoli, se ne stavano sdraiati nel centro delle rispettive culle, gli occhi serrati, le labbra socchiuse per respirare meglio. Le operatrici, una per ciascun bimbo, aiutarono Levi e Carla a prendere in braccio i neonati.
Per l'Alpha era la prima volta in assoluto che aveva a che fare con qualcosa di così piccolo, fragile e delicato, mentre per Carla era passato troppo tempo, ed il timore di fare qualcosa di sbagliato la rendeva insicura come al principio.
Incerto su come reggerlo, Levi tentò di accomodarlo meglio tra le proprie braccia con tutta la delicatezza di cui era capace. Il tessuto seguì quel movimento, restando intrappolato nella piega del gomito, e quando quel piccolo volto in penombra venne chiaramente alla luce, l'uomo smise di respirare.
Per un secondo, gli sembrò di rivivere quella sensazione di profonda connessione che aveva sperimentato con Eren, il giorno del marchio, dove tutto perde importanza e conta solo chi hai di fronte. Eppure, era anche totalmente diversa.
Il sentimento che lo legava all'Omega aveva avuto origine nella propria mente per poi scendere giù fino al cuore, dove avrebbe albergato per sempre. Ciò che lo univa al minuscolo fagotto, stretto al proprio petto, era puro istinto: viscerale, incredibilmente primitivo, un attaccamento tra Alpha e progenie... Tra padre e figlio.
Il bimbo fece una smorfia e il suo visino già rugoso divenne una prugna secca. Un filo diverso da quello rosso che teneva legati lui ed Eren si protese, allacciandosi alla fragile vita che gorgogliava tranquilla. Un cordoncino dorato, brillante, indistruttibile.
La sua attenzione era fissa sul bimbo che se ne stava beatamente immobile, coccolato dal suo respiro, e solo l'acuto mugolio dell'altra neonata seppe fargli girare lo sguardo. Era più attiva, già sveglia e agitava le piccole mani in quel poco spazio che le era concesso, sotto gli occhi lucidi di Carla, che la cullava con un lento movimento del busto.
Lo sguardo della donna si spostava dalla nipote al figlio che, dopo aver visto i due bambini, si era addormentato, troppo stremato per resistere ancora.
Levi osservò la scena, un moto di incredulità che cresceva dentro di lui mentre il pensiero che quella felicità fosse troppo immensa per essere reale attecchiva con le sue radici adunche.
Poi tutto sbiadì, gli occhi presero a pizzicare e imprecò contro le soluzioni disinfettanti che nebulizzavano a ciclo continuo per rendere l'ambiente sicuro e sterile. Quando andò a strofinarli col dorso della mano, la pelle si bagnò inaspettatamente, lasciandolo per un attimo stordito.
Lacrime. Cristalline, devote, incredibilmente grate per il dono che Eren gli aveva fatto senza realmente capire quanto immenso fosse.
Una famiglia. Per la prima volta in vita sua, Levi aveva una famiglia da cui tornare, da proteggere, da amare fino al suo ultimo respiro.
* * * * *
Il fastidio al ventre fu la prima cosa che percepì, aprendo gli occhi. Mugolò, muovendo le braccia, che sentì subito tirare per le flebo.
Mettere a fuoco l'ambiente fu più difficile del previsto, la coscienza ancora intorpidita dall'anestesia e un retrogusto acido sul palato che lo infastidì immediatamente.
Dita delicate furono subito tra i suoi capelli, spostando la frangia da parte per liberargli la vista.
«Tesoro mio» disse la voce dolce di Carla. «Come ti senti?»
«Ah... Non benissimo...»
«Non preoccuparti. È perfettamente normale, ci vorrà qualche giorno. Non sederti, resta giù.»
Eren non aveva bisogno di farselo dire. Il solo pensiero di muovere i muscoli che avrebbe dovuto usare lo terrorizzava.
«Sto comodo qui... I bambini?»
L'ombra della madre si allontanò dal suo letto e prima che potesse aggiungere altro a quella domanda, delle labbra fresche si posarono sulle proprie labbra, ammorbidendole dalla secchezza.
I suoi sensi erano offuscati dai medicinali che il corpo ancora non aveva smaltito, l'ambiente reso inodore per garantire la giusta serenità a tutti i pazienti, ma Eren avrebbe potuto riconoscere Levi semplicemente dal sapore della sua bocca.
«Ehi...» mormorò l'Alpha, strofinando il naso sul suo con affetto. «Sei stato magnifico. Sono fiero di te.»
«Non credo di aver fatto molto, a parte restarmene sdraiato...» rispose a voce bassa, cercando il suo sguardo oltre le ciocche di capelli neri che gli piovevano sugli occhi mentre era chinato in avanti.
«Hai fatto ben più di quello, Eren: li hai portati in grembo, nutriti, protetti... Se la perfezione avesse forma, sarebbe la loro.»
«Li hai visti? A me li hanno mostrati solo per un secondo.»
L'uomo si spostò di qualche passo, andando a raccogliere un fagotto caldo e morbido che gli posò delicatamente sul torace, facendo attenzione alla flebo.
Eren sentiva quel piccolo, dolce peso lì sul cuore. La bambina stava stesa a pancia in giù, il visino su un lato e un pugnetto chiuso alle labbra sottili.
«Guardala. È spettacolare, come sua madre.»
Poteva vederla a malapena, ma riusciva a sentirla e la sua mano andò a sostituire quella di Levi per sorreggerla lì dove si trovava, al centro del proprio petto.
«Ti abbiamo raggiunto non appena sei uscito dalla sala operatoria. Sono stati puliti e rifocillati» lo informò il compagno.
«Sono così... silenziosi. Non immaginavo nemmeno che fossero in camera con noi...»
«Li avessi sentiti urlare, prima di ricevere la poppata, avresti pensato tutto eccetto silenziosi» aggiunse, intimamente soddisfatto da tanta vivacità.
Levi fece cenno a Carla di avvicinarsi, il maschietto avvolto in una copertina tra le sue braccia. «Vuoi tenere anche l'altro? Ce la fai?»
«Ci posso provare.»
Con l'aiuto dell'Alpha, Eren aggiunse un cuscino dietro la testa che lo aiutò a sollevarsi un po' di più, il tanto sufficiente a poter vedere la bambina dalla cima della testa alle punte dei piedi, avvolti nella tutina. L'epidurale contrastava ancora parte dei dolori post-operatori e gli permise di stendere un braccio, accogliendo su di sé anche l'altro figlio.
«Sono... piccoli.»
«I gemelli lo sono sempre.»
Li aveva portati in grembo per nove mesi. Sapeva perfettamente cosa li infastidisse, quale musica gli piacesse ascoltare attraverso il pancione, il momento della giornata in cui preferivano ricevere le coccole – e coincideva, stranamente, col ritorno a casa di Levi. Erano stati parte di sé a lungo, tuttavia gli sembrava surreale averli tra le proprie braccia. Estranei, eppure indiscutibilmente suoi.
«Ci sono i moduli da compilare, serve la tua firma.»
Eren osservò i polsi minuscoli dei bambini, notando che sui braccialetti fosse annotato solo il cognome.
«Non hai dato i nomi alle infermiere?»
L'uomo scosse la testa. «No. Ho lasciato a te questo onore.»
«Oh...» Eren mosse le dita delle mani, accarezzando le coperte in cui i bambini erano avvolti. «D'accordo. Grazie... Potete prenderli? Non riesco a muovermi bene.»
Carla e Levi raccolsero tra le braccia i due gemelli ed entrambi si lamentarono, infastiditi da tutti quei continui spostamenti. Al posto loro, sul grembo ora libero di Eren, vennero posati i due fascicoli dell'anagrafe ed una penna che il ragazzo si girò tra le dita.
Sapeva già quali nomi scrivere nello spazio bianco, li avevano decisi insieme mesi prima, ma era in qualche modo strano metterlo nero su bianco, indelebile.
Carla si sporse, curiosa, sbirciando il figlio che toglieva il tappo dalla biro e piegava le gambe – pentendosene subito dopo a causa della ferita fresca – per darsi un appoggio.
Leo Ackerman-Jaeger.
Hope Ackerman-Jaeger.
«Bene... Ora è ufficiale» disse studiando, forse per deformazione professionale, i vari campi presenti sui moduli che Levi aveva già provveduto a riempire interamente.
«Sì, lo è.»
Un paio di secondi dopo i fogli erano spariti, le labbra dell'Alpha su quelle dell'Omega mentre i piccoli, cullati dalla nonna, iniziavano a piangere alla ricerca di attenzioni.
Eren e Levi si guardarono, le fronti unite, e sorrisero.
Era l'inizio di un nuovo viaggio lungo una vita, ed erano insieme.
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