16. Trionfo e Malessere
Il giorno dell'ultimo appello, Levi lo passò rinchiuso in ufficio. Avrebbe dovuto essere lì, in aula. Non solo per Eren, ma anche per sé stesso. Per tutta la fatica spesa per quella causa. Invece Erwin aveva esplicitamente interdetto ogni suo legame con il caso Miller ed anche solo gli aiuti che aveva dato ad Eren erano da considerarsi una violazione delle regole.
Non poteva far altro, quindi, che attendere. Lavorare. E aspettare che qualche stagista del cazzo arrivasse a dirgli cosa fosse successo al compagno in quelle infinite ore.
La matita che stringeva tra le mani – avesse potuto – avrebbe implorato pietà dall'essere brandita in maniera tanto ossessiva. Non fosse stato così fissato con l'igiene, Levi era certo che l'avrebbe irrimediabilmente martoriata a suon di morsi. L'attesa lo stava logorando e a nulla serviva ripetersi che Eren era preparato, più che pronto e perfettamente in grado di incassare la vittoria per cui entrambi avevano tanto faticato.
«Quel figlio di puttana...! Chi lo avrebbe mai detto!»
L'Alpha drizzò le orecchie, sentendo la concitazione nel corridoio. Andò ad aprire la porta, affacciandosi con l'aria più infastidita che era riuscito ad assumere, celando in quel modo la propria impazienza.
«Se è il lavoro che vi manca, non ci metto nulla a spedirvi giù in magazzino a cercare qualche fascicolo risalente al paleolitico...! Si può sapere che diavolo avete da urlare?»
Springer e Blouse si irrigidirono sul posto, fissandolo con aria spaventata.
«C-ci dispiace!» balbettò il primo. «La sentenza per il caso Miller è stata emanata.»
Il corvino sperò che la sua voce suonasse ferma.
«E...? Non ho tutto il giorno, Springer.»
«Jaeger ha vinto. Sta andando da Smith in questo momento.»
La sensazione di trionfo, mista ad orgoglio e sollievo, che si espanse nel suo petto distese immediatamente i suoi lineamenti, dando agli impiegati l'impressione di trovarsi al cospetto di un uomo completamente diverso e non il solito scostante Ackerman. Impressione che durò decisamente poco.
«Buon per lui. Ora trovatevi qualcosa da fare, se non volete che ci pensi io...!» concluse, sbattendo energicamente l'uscio e lasciando basiti i due giovani.
Quando udì i loro passi farsi più lontani, poggiato con la schiena alla superficie liscia della porta, solo allora si concesse di sorridere.
Eren aveva vinto, e non solo il caso: aveva attirato l'attenzione di Smith, guadagnato la sua fiducia, avanzando di un ulteriore gradino verso il suo obiettivo e, se possibile, conquistato un po' più del suo cuore...
* * * * *
Un risultato mai visto prima.
Una professionalità ineccepibile.
Un talento raro.
Erano solo alcune delle cose che Smith aveva detto nella mezz'ora che aveva passato insieme ad Eren, nel proprio ufficio all'ultimo piano del palazzo. Avevano bevuto insieme, celebrando la vittoria ed i soldi che sarebbero entrati grazie a quella conquista. Per Eren il tempo era sembrato muoversi in modo diverso. Innaturale.
Un momento prima era in aula, quello dopo seduto sul divano dell'Alpha biondo, quello dopo ancora in piedi davanti alle porte chiuse di un ascensore.
[19:33] Tra venti minuti, alla tua macchina.
La replica impiegò poco ad arrivare.
[19:38] Datti una mossa, sono già qui.
Quando Eren aprì la portiera dell'auto di Levi, nascosta dietro un'imponente colonna nel silenzio del parcheggio, subito gli giunse alle narici l'odore che aveva sperato di percepire. C'era impazienza, innegabile soddisfazione in quella zaffata intensa e potente, ma soprattutto forte eccitazione.
Il corvino, invece, storse il naso non appena il ragazzo si accomodò sul sedile, raggiante come non mai, portandosi dietro la scia di Smith.
Un altro uomo. Un altro Alpha.
L'istinto di ringhiare e coprire quel profumo sgradito col proprio fu impossibile da combattere, relegando ragione e buon senso in un angolo remoto del suo cervello. Eren era stato molto tempo in quell'ufficio, pregno dell'essenza del suo proprietario, il quale certamente non aveva lesinato strette di mano e pacche sulla spalla. Levi conosceva bene Erwin, i suoi modi di fare, agire, e si figurava benissimo quello scenario. Peccato che il protagonista del suddetto fosse il proprio mate, e la cosa lo rendeva insofferente e oltremodo geloso.
Afferrandolo per le spalle, andò immediatamente a cercare la ghiandola posta sul suo collo con la propria, sfregandole con insistenza. Quel contatto, per quanto i soppressori appannassero la sensazione, fece sospirare il castano, i cui mugolii soffusi vennero messi a tacere poco dopo dalla bocca dell'Alpha.
Solo quando Levi fu certo di aver toccato a sufficienza l'amato, coprendo in parte quel profumo estraneo, permise a entrambi di tornare a respirare. Eren, le spalle contro la portiera chiusa, riprese fiato fissandolo da sotto le lunghe ciglia.
«Dovrei vincere più spesso casi simili, se è questa l'accoglienza...» mormorò sorridendo, e Levi incurvò le labbra.
Un momento più tardi, dopo un non indifferente sforzo per recuperare il controllo del proprio corpo, Eren si staccò per scavalcare la leva del cambio. Levi fu costretto a tirare indietro il sedile, lasciandogli lo spazio necessario a sedersi sulle sue gambe, le braccia a strette al collo.
«Raccontami tutto» mormorò l'Alpha corvino al giovane, il quale non tardò a lanciarsi nella entusiastica narrazione di tutto ciò che era avvenuto quel pomeriggio nell'aula di tribunale.
Sapeva quanto per Levi sarebbe stato importante esserci e fece in modo che le descrizioni fossero il più dettagliate e coinvolgenti possibile, facendo del proprio meglio per evitare di prestare attenzione alle mani dalla presa salda che gli stringevano il sedere.
Sei mesi prima non si sarebbero mai azzardati a comportarsi in quel modo, così vicini al posto di lavoro, praticamente sotto. In quel momento, invece, l'idea di non baciare la sua bocca sottile ad ogni pausa di respiro sembrava quasi illogica. E facendo le fusa gli ricordava che era una vittoria per entrambi.
«Smith non ha fatto altro che tessere le mie lodi» gli disse, orgoglioso per l'obiettivo raggiunto e, al tempo stesso, amareggiato di aver ulteriormente arricchito quell'essere subdolo. Non poteva fare altrimenti, per arrivare al suo scopo.
Levi si irrigidì, massaggiando con possesso i glutei del fidanzato.
«Immagino. E non ha perso occasione per sfiorarti, toccarti, contaminarti col suo odore di maschio dominante per rimarcare la sua posizione in questa cazzo di piramide del potere» borbottò, portando una mano tra le corte ciocche d'ebano sulla sua nuca.
Eren scrollò le spalle, abbandonandosi al contempo a quel tocco deciso ma delicato.
«Se le cose andranno come spero, se la godrà ancora per poco... A proposito di posizioni» disse, sistemandosi meglio sul suo grembo e parlando con aria cospiratoria, «sai cos'altro ha detto?»
«No.»
«Cito, testuali parole: "Ho fatto proprio bene ad affidarti il caso di Ackerman"» lo scimmiottò il ragazzo, imitandone espressione ed intonazione. Levi inarcò un sopracciglio, leggermente indispettito.
«Ah sì?»
«A-ha, ma non è finita qui. Mi ha detto che ultimamente gira voce che tu frequenti un Omega e mi ha chiesto se ne sapessi qualcosa, vista la vicinanza dei nostri uffici...» gli confessò, avvicinandosi maggiormente al suo viso.
«La tua risposta?»
«Gli ho detto: "È certo dell'affidabilità di questa notizia? Perché Ackerman è un tale stronzo che ho seri dubbi al riguardo... Chi lo sopporterebbe di propria iniziativa!"»
Trascorsero alcuni secondi, durante i quali i due si fissarono senza proferire parola. Poi Levi sussultò, incapace di trattenere oltre la risata che, spontanea, risalì dallo stomaco, imitato subito dopo da Eren. Stretti in quell'abbraccio ilare, le loro fronti si toccarono, i marchi tra le cosce che pulsavano appena come a ricordare loro quanto realmente uniti fossero.
L'ombra di quelle risate si trovava ancora sulle loro labbra, quando entrarono nell'appartamento.
Si potevano contare sulle dita di una mano le volte in cui Levi aveva visitato casa di Eren. Era molto più piccola e decisamente meno intima, con le pareti sottili e le finestre che davano sul balcone del palazzo accanto, costringendo tutti gli inquilini all'uso rigoroso di tende per garantirsi la propria privacy.
Ma in quella serata in cui niente era come al solito, quello era anche il luogo più vicino che potessero raggiungere.
«Ho bisogno di cibo» disse il ragazzo, come prima cosa, una volta chiusa la porta.
Mangiare non era mai stata nella lista delle loro priorità, quando avevano la possibilità di restare soli, ma Levi sarebbe stato pazzo a non approfittare dell'occasione per far mangiare qualcosa di sano ed equilibrato al suo incontrollabile compagno.
«Cuciniamo.»
Eren, nell'udire quell'affermazione, si voltò in maniera così repentina che i muscoli del suo collo protestarono immediatamente.
«Eh? Non ordiniamo qualcosa da asporto?» chiese, quasi risentito. Levi inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia subito dopo aver lasciato la giacca sul divano e arrotolato le maniche candide della sua camicia.
«Ti nutri solo di tramezzini, piatti pre-confezionati e cucina asiatica. Direi che ti fa bene variare, ogni tanto. Cos'hai nel frigo?»
Eren incassò la testa tra le spalle a quel non-proprio-velato rimprovero, grattandosi una guancia in preda all'imbarazzo.
«Ehm, e-ecco...»
L'Alpha sbuffò scuotendo la testa, dirigendosi in cucina. Avrebbe impiegato meno tempo controllando di persona. Quando aprì il frigo, però, lo accolse la desolazione più totale: una birra consumata per metà, del vino, qualche cipolla e una testa d'aglio, ketchup, maionese e alcune bustine di salsa non meglio identificata; del piccolo fascio di odori, solo il prezzemolo era sopravvissuto al naturale processo di decomposizione. Richiuse l'anta, andando ad aprire la credenza: qualche pacco di pasta, legumi già lessati, sale, pepe, olio, del peperoncino tritato; toast ammuffiti, una scatoletta di tonno e una busta di caffè stantio.
«Eren...»
«Sì...?»
«Da quanto non fai la spesa?»
«Forse una settimana...? O dieci giorni, non lo so, ero troppo preso dal caso e onestamente riempire i mobili era l'ultimo dei miei pensieri...!» si discolpò il padrone di casa, sporgendo il labbro in un muso offeso. Evitava come la peste gli occhi di Levi, consapevole di essere nel torto e che il corvino non approvava una tale disattenzione. Il corpo è il tempio dell'anima, così diceva, e quello di Eren con molta probabilità somigliava di più alla cucina di un McDonald's.
L'uomo si passò le mani tra i capelli, pensando velocemente a cosa cucinare col poco che c'era. Certo, potevano andare al ristorante, ma non aveva voglia di guidare per un'ora o più. Alla fine, optò per la soluzione più semplice.
«Lava il prezzemolo e passami uno spicchio d'aglio.»
Mezz'ora dopo, in tavola fumava un gustoso piatto di pasta all'aglio, olio e peperoncino. Eren aveva osservato il compagno muoversi nella sua cucina con estrema naturalezza, come se il suo posto fosse sempre stato lì, accanto all'Omega per prendersene cura quando lui stesso non era propenso a farlo.
Per quanto possibile, Eren aveva aiutato. Seguendo gli ordini del suo Alpha, avevano approfittato di quel momento per dare un'accurata pulita agli interni di dispensa e frigorifero. La maggior parte del cibo era stato buttato via, ma Levi era sollevato perché sarebbe potuto tornare a casa tranquillo del fatto che il suo ragazzo non rischiasse di avvelenarsi a causa di qualche muffa cresciuta in un angolo.
Fedele alle proprie parole, Eren divorò due porzioni intere di pasta, dando non poca soddisfazione a Levi che, seduto accanto a lui, preferiva guardare i bocconi sparire dietro quelle labbra arrossate piuttosto che nutrirsi lui stesso.
Ma arrivato quasi alla fine del secondo piatto, ad Eren cadde all'improvviso la forchetta di mano.
«Ah... Scusa io–...» balbettò, prima di schizzare in piedi e fuori dalla cucina.
Levi ebbe a malapena il tempo di registrare la sua scomparsa ed il suono della porta sbattuta del bagno, dietro la quale arrivò il suono inconfondibile di nausea e colpi di tosse.
Seguì Eren, fermandosi fuori il pannello di legno e ascoltando attentamente ogni rumore che proveniva dall'interno.
«Eren, tutto bene?»
«Sì... Dammi solo un attimo... »
Trascorsero una decina di minuti, durante i quali Levi combatté con l'istinto, che gli imponeva di entrare ed appurare le condizioni del compagno, e il buonsenso, il quale invece gli urlava di lasciare al ragazzo privacy e dignità. Finalmente, la serratura scattò ed Eren fece capolino in corridoio, decisamente più pallido e con le ciocche umide lì dove aveva lavato il viso.
L'autocontrollo finì lì. Vedendolo in quello stato, Levi non attese oltre per prendergli il viso tra le mani. L'alito di Eren profumava di dentifricio, ma quell'odore fresco, così intenso, non era sufficiente a cancellare quello di malessere che il corpo del Beta emanava.
«Ehi...»
«Stai uno schifo» sentenziò, ed Eren rise.
«Lo so, ti ringrazio. Scusami per la tua cena... Era davvero buona, giuro...»
«Vuoi che chiami un medico? Ti porto in ospedale se v–»
«Non ce n'è bisogno, davvero. È già capitato qualche altra volta e, come vedi, sono sopravvissuto» si sforzò di sorridere, ma le sue parole fecero suonare nella mente di Levi un campanello d'allarme.
«Intendi ultimamente? Da quanto hai la nausea?»
Eren si lasciò andare contro il suo corpo, cercando appoggio e conforto dopo quell'episodio che lo aveva spossato.
«Qualche settimana, credo, non ci ho fatto troppo caso...» sospirò, strofinando il volto tra le ciocche corvine dell'altro.
«Eren...»
«Mh?»
«Hai pensato che forse sei... Che noi...» Dio, com'era difficile dire una cosa simile ad alta voce.
Ed era ancora più difficile con quei due confusi smeraldi puntati addosso.
«Che noi?»
«Che noi... Che tu sia–...»
Eren lesse quella parola sulle sue labbra ancor prima che Levi la pronunciasse. L'immediata reazione fu di allontanarsi, scuotere la testa e scoppiare a ridere.
«Oh no! No, no! No. Levi non sono... Non c'è nessun–... Ho fatto i test, dopo il calore. Come ogni mese... Tutti negativi. Negativissimi.»
L'Alpha dovette lottare per far sì che Eren non notasse la piccola parte di lui rimasta delusa da quella notizia. Non era certo che avrebbe preso bene la cosa.
«... Sicuro?» chiese solo.
«Al duemila per cento.»
«Okay... Allora, perché stai male?»
«Lo stress del caso, credo... E... Potrei aver saltato qualche pasto, qua e là... E averlo recuperato ad orari... insoliti...»
Lo sguardo dell'Alpha si assottigliò andando a trafiggere il compagno che, solo in quel momento, comprese di aver appena compiuto un passo falso.
«Ho chiuso un occhio sulla qualità dell'alimentazione, ma non sulla quantità, Eren. Mi hai sempre assicurato di aver mangiato regolarmente.»
«Beh, l'ho fatto... Più o meno...»
«Eren...»
«Non facciamola più grave di quel che è, Levi, va bene?» lo implorò il ragazzo. «Può capitare a tutti un periodo dove il lavoro ha la priorità, ed è esattamente quello che è successo. Adesso è tutto finito, ho vinto. Lo abbiamo fatto insieme...»
Le labbra del castano sfiorarono le sue e Levi decise di accettare quella giustificazione, consapevole che fosse ciò che di più vicino al pentimento ci potesse essere.
«È finita. Smith mi fa la corte, ho dato un calcio in culo a chiunque aspirasse ad una promozione entro la fine di quest'anno e probabilmente entro la fine del prossimo potremo fare l'amore sulla scrivania di uno di quegli enormi uffici ad angolo...» Ogni sillaba era una carezza che scivolava contro la bocca di Levi, ammansito dal solo suono della sua voce.
«Sembra allettante... E di chi sarebbe l'ufficio?» gli chiese, spingendolo con delicatezza verso la camera da letto ad ogni passo.
«Il mio, naturalmente. Tu sei troppo occupato a scoparti Omega, per pensare alla carriera.» Indietreggiando, Eren slacciava uno dopo l'altro i bottoni perlati della costosa camicia che copriva il petto dell'Alpha. «Ti farò mangiare la polvere...»
A quell'affermazione, Levi sorrise.
«Posso avere quell'ufficio quando voglio, Eren, e sbatterti lì dentro come e quanto più mi aggrada, perché di Omega ne scopo soltanto uno...»
Le ginocchia del giovane incontrarono l'ostacolo del materasso e un istante dopo si trovò disteso tra le lenzuola sfatte, bloccato dal peso dell'uomo che lo fissava predatore. «... ed è il mio.»
«L'avresti avuto, sì...» replicò il più giovane. Il tono della sua voce era cambiato, diventato più calmo, pacato. L'aria attorno a lui ora aveva il lieve odore fumoso del dispiacere. «... se non ti fossi mezzo di mezzo con Braun. Senza di me, ora saresti il braccio destro di Smith. La sua ombra. La sua arma migliore...»
Incredulità e dolore si fecero largo dentro il petto dell'Alpha nell'udire quelle parole.
«Credi davvero che me ne importi qualcosa? Che avrei dovuto anteporre la carriera a te?» gli chiese, fissando i suoi occhi colmi di tristezza. «Non mi pento delle mie azioni. Di aver perso il caso. Di aver difeso l'unica persona che da vero significato alla mia vita. Vieni prima di ogni altra cosa, Eren, qualunque essa sia.»
Le mani del castano gli circondarono il viso, guidando la sua bocca contro la propria per un lungo, casto bacio. Entrambi chiusero gli occhi e lasciarono che la vicinanza, il contatto ed i gorgoglii delle loro gole parlassero per loro.
Eren odiò non avergli risposto. Odiò non avergli detto: «Anche tu vieni prima di ogni altra cosa» nonostante dentro il proprio cuore riconoscesse ormai che quella fosse l'innegabile realtà.
L'Alpha che aveva scelto per sé, il cui respiro sentiva contro il proprio viso ogni giorno, avrebbe avuto il potere di fargli abbandonare cinque anni di lavoro. E dargli quella consapevolezza sarebbe stata un'arma terribile, contro la quale non avrebbe mai potuto opporsi, ma di cui non era ancora pronto ad accettare l'esistenza.
I cambiamenti sarebbero stati tanti e troppo importanti.
Il disagio di sottofondo che sentiva nel suo odore, il silenzio riempito dai piccoli suoni emessi da entrambi, diedero a Levi il coraggio di fare la prima mossa. Sapeva che, per Eren, sentirsi dire "ti amo" era più problematico di quanto intendesse ammettere. Ciononostante l'uomo non aveva alcuna intenzione di mettere a tacere quel sentimento così forte, di relegarlo in qualche angolo remoto in attesa del momento in cui – finalmente – il compagno avrebbe replicato a quella dolce dichiarazione.
Approfondì il bacio, risalendo con una mano tra i suoi capelli spettinati per stringerli delicatamente tra le dita, parlandogli attraverso i gesti.
Sei mio, ti voglio, sei tutto.
E quando il respiro venne a mancare, strozzando qualunque verso le loro gole volessero emettere, ad Eren sembrò di poter realmente sentire quel che il solo battito forsennato del cuore di Levi voleva comunicargli.
Sono innamorato di te.
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