15. Legami e Stranezze
Levi girò le chiavi nella toppa, entrando nel proprio appartamento tristemente vuoto. Si era liberato del cellulare – tanto non gli sarebbe servito – e si era diretto verso il bagno per una doccia.
Non sapeva quanta acqua avesse sprecato. Rimase sotto il getto freddo per tanto, troppo tempo a giudicare dal modo in cui non percepiva più il proprio corpo. O forse era solo colpa del suo animo, così ferito da renderlo insensibile agli stimoli esterni.
Quella che avrebbe dovuto essere una serata piacevole si era trasformata in un disastro. Aveva discusso con Eren, senza la possibilità di alcun chiarimento a causa della presenza di Kirschtein e compagnia al seguito.
Un gusto amaro gli pervadeva la bocca, dandogli quasi la nausea. Era andato tutto a puttane. Aprì la credenza alla ricerca di un cracker, qualcosa di secco con cui magari placare quel malessere subdolo, ed eccolo in bella vista: un grosso pacco di biscotti al cioccolato, la marca preferita di Eren; li aveva comprati per invogliarlo a mangiare, durante le lunghe sessioni notturne di lavoro. Lo stomaco si aggrovigliò su sé stesso, facendolo piegare in avanti.
Cazzo, cazzo, cazzo...!
Il campanello prese a suonare come impazzito e, contrariato, si trascinò all'ingresso, aprendo la porta.
Sbattè le palpebre, la confusione palese sul suo viso solitamente austero.
Non poteva essere lì, giusto? Si trovava a decine di chilometri, in un locale pieno di uomini e donne ed alcol e...
La bocca di Eren coprì la sua, le braccia gli avvolsero il collo. Entrò in casa del corvino senza nemmeno aspettare il consenso, rischiando, giocandosi il tutto per tutto.
Nel sentire il suo calore, le sue mani scorrergli tra i capelli, le sue labbra muoversi disperate sulle proprie, Levi si spezzò. Andò letteralmente in frantumi, schiacciato dal bisogno di percepire Eren ovunque fosse umanamente concesso e anche di più. Le ghiandole pulsavano dolorosamente, invocando un marchio che non sarebbe giunto, così come lui non avrebbe impresso il proprio. Faceva male, ma il ragazzo era lì: nonostante le incomprensioni, nonostante le difficoltà, era corso da lui, e nient'altro importava.
«Ti amo, Eren» biascicò tra un bacio e l'altro, stringendolo a sua volta. «Ti aspetterei per sempre.»
La porta sbattè alle spalle del giovane avvocato.
Levi lo sollevò senza fatica, schiacciandovelo contro e gemette quando sentì le sue cosce stringersi attorno ai suoi fianchi ed i tacchi delle sue pregiate scarpe affondare nei glutei.
Quando furono rimasti senza fiato, per un attimo ebbri l'uno dell'altro, Alpha ed Omega si trascinarono avvinti fin sul divano, il primo "nido" morbido e confortevole che la coppia aveva percepito nelle vicinanze. L'unico in grado di corrispondere al loro bisogno di sicurezza e comodità, mentre i corpi si scaldavano in modo anomalo. Nessuno dei due ci fece caso.
Eren afferrò le mani dell'uomo ed aprì le gambe, lasciandosi toccare e guaendo quando le sue unghie affondarono nelle cosce.
«Marchiami, Levi.»
Gli sembrò che le orecchie gli dolessero, tanta fu la velocità con cui assorbirono quelle parole tanto inaspettate quanto sconvolgenti; gli sfrecciarono dentro con millimetrica precisione, affondando al pari di una lama nel suo cuore già provato da tanto attendere.
«Cosa...?»
Era inverosimile, impossibile che Eren lo stesse invitando a compiere un gesto che lo avrebbe irrimediabilmente esposto agli occhi di tutti, costandogli anni di sacrifici e silente lotta. Il ragazzo doveva essere ubriaco, eppure non vi era odore né sapore di alcol a suffragare tale ipotesi.
Al pari della bocca di una bestia, quella dell'Alpha si riempì di saliva, pregustando l'attimo in cui i propri denti sarebbero affondati in quella carne morbida e succulenta, imprimendovi la loro forma e lasciando che la sua inconfondibile essenza penetrasse in profondità; una rivendicazione sull'Omega, che in quel momento faceva sfregare incessantemente i propri palmi sopra la stoffa dei suoi pantaloni, ansimando in risposta.
«Non puoi essere serio...» aggiunse.
Appannato dalla prospettiva di apporre un sigillo al loro rapporto, Levi deglutì vistosamente suscitando in Eren un sorrisetto compiaciuto.
«Mai stato più serio in tutta la mia vita» rispose, portando autonomamente una mano ai propri pantaloni, per iniziare a slacciarli. L'altra sfiorò il viso dell'Alpha, dalla tempia alla punta del mento. «Levi Ackerman, noi non possiamo stare insieme... Non ancora... Ma ho odiato scoprire i tuoi dubbi su di noi e la tua paura che nessuna promessa possa avverarsi mai...»
L'uomo seguì quella carezza, anelando il suo tocco e tutto ciò che Eren poteva offrirgli in quel momento.
«Non voglio che domattina, nel guardarti il collo o sfregarti i polsi, tu rimpianga questa decisione.»
«Non lo farò, perché non ci sarà niente lì da toccare.»
Levi parve confuso dall'evidente contraddizione d'intenti del ragazzo, ed Eren divaricò le gambe ancor di più, suggerendogli la sola zona che non avesse nominato e che poteva esser segnata senza il rischio di esser vista.
Un marchio parziale sull'interno delle cosce, un bond incompleto che li avrebbe connessi senza però mettere a repentaglio la sua copertura.
«Non sei costretto a farlo, Eren.»
«Lo so. So che se ora ti chiedessi di fermarti, lo faresti. Se chiedessi di aspettarmi, aspetteresti...»
Era sempre più difficile non concentrarsi solo sul movimento delle labbra dell'Omega, così invitanti da farlo quasi tremare.
Eren finì disteso sul divano, con l'Alpha che lo liberava in un solo gesto di ogni indumento che ricoprisse la parte inferiore del suo corpo. Pantaloni ed intimo finirono abbandonati sul pavimento, le cosce scure dell'Omega spalancate mettendo in mostra ogni cosa.
Le iridi gelide di Levi erano sparite, due pozzi neri che non vedevano altro se non la propria metà concedergli un dono, quello di imprimere la propria forma nella sua carne per la vita.
Quando si chinò, avido, su quella porzione di pelle tanto ambita, non fece caso al fatto che il corpo del giovane sembrasse già richiamarlo, iniziando a lubrificarsi.
«Lo farei, Eren. Perciò dimmelo adesso, prima che sia troppo tardi...»
Le mani dell'Omega si intrecciarono tra le ciocche corvine, guidandolo verso la prima delle due ghiandole che gli stava offrendo e con esse la prova di appartenergli, anche se non completamente.
Basta ostacoli.
Basta aspettare.
«Mordimi. Ora.»
I denti incisero la carne e il sangue pervase la bocca dell'Alpha che, aggrappato alla coscia dell'amante come un leone che agguanta la sua preda, si inebriò della sua essenza che gli bagnò il palato. Il respiro si spezzò mentre il proprio cuore pompava furioso, cercando di mettersi al pari di quello per cui e con cui avrebbe battuto da lì in avanti.
Il latrato che lasciò la gola di Eren era sofferenza e soddisfazione insieme, un verso che Levi avrebbe ricordato negli anni a venire con lucida costanza, quasi quel suono fosse stato assorbito dal proprio corpo come nutrimento di cui beneficiare. Coi denti macchiati di cremisi ed olio profumato, si gettò sulla ghiandola gemella rimasta ancora intoccata, riservandole lo stesso feroce quanto agognato trattamento. Il guaito di Eren fu la dolce ricompensa.
Alpha ed uomo osservarono la propria opera, un segno irregolare e parimenti perfetto che nessun altro avrebbe mai potuto replicare. Lo leccò, portando sollievo alla preziosa creatura che aveva scelto in qualità di compagno, mate fino al loro ultimo respiro.
L'Omega trasformò i lamenti in un basso suono di fusa. I loro corpi si mossero sui cuscini, ricercando una migliore posizione, adattandosi l'uno all'altro finché membra e busti furono uniti, come pezzi di un puzzle. Si strinsero a lungo, baciandosi nonostante il sapore del sangue e degli umori che entrambi non potevano fare a meno di produrre.
Levi attese, facendosi forza, che fosse il suo compagno a fare la prima mossa. Doveva sentirsi pronto, sicuro. Doveva volerlo e quando lo sentì tirargli via i pantaloni, scoprendo le cosce bianche ed intoccate, si stese sulla schiena e prese un lungo e profondo respiro.
In vita sua non aveva mai creduto che avrebbe desiderato tanto ardentemente provare sofferenza, invece quei denti appuntiti nella carne li accolse come un morente accoglie un miracolo. Le sue unghie strapparono il divano, là dove la forza di Eren non era stata sufficiente a farlo e la sua erezione si gonfiò in fretta, pulsando, aggiungendo dolore al dolore.
Un secondo squarcio e gli sembrò di venire. Il suo corpo però non lo permise. L'Alpha proteggeva il proprio seme, conservandolo per quando avesse avuto modo di possedere il corpo del proprio amante e depositarlo nell'unico posto in cui era destinato ad essere.
Cosa che avvenne quando, pochi secondi più tardi, Eren sollevò il viso dalle sue cosce e si strappò di dosso gli abiti rimasti a fasciargli il petto. Le mani prepotenti dell'Alpha percorsero le sue gambe, su fino alle natiche e guidarono quel corpo stupendo e perfetto sopra di sé e poi giù, per farsi infine strada tra quelle carni che si sorprese di trovare già morbide, bagnate ed accoglienti.
Il modo in cui Eren si muoveva, su di lui, era pura estasi. Lo cavalcava, avido e sinuoso, gemendo senza sosta mentre gli schiocchi dovuti all'intensità con cui cercava il compagno riempivano la stanza.
Levi, la fronte aggrottata e il volto imperlato di sudore, non riusciva a far altro che guardarlo adorante: in quell'istante unico, era lui a farsi possedere dall'Omega, lasciandogli pieno comando su quanto piacere prendersi e come farlo; era talmente appagato da quella visione celestiale, da non sentire l'Alpha scalpitare alla ricerca di un controllo che l'uomo invece non desiderava.
Le mani del corvino risalirono le cosce scure del ragazzo, accarezzandole. Sentiva lo stomaco contrarsi ogni qualvolta Eren si calava su di lui, fagocitandolo senza pietà. Era bello da togliere il fiato, sublime nel suo essere famelico e voglioso, assecondando un istinto antico quanto il mondo: voleva Levi – il suo Alpha, il suo mate –, e tutto ciò che aveva da offrirgli.
I loro palmi si unirono, le dita si intrecciarono, ed il giovane fece leva aumentando la potenza con cui si appropriava del poco raziocinio rimasto all'altro.
Eren era carnefice e succube al tempo stesso.
Gocce di sperma tiepido cominciarono a colare sullo stomaco dell'Alpha, che le raccolse nel palmo della mano e le usò come un lubrificante naturale. Avvolse la virilità del più giovane, pompandola a ritmo finché non lo sentì ululare e contrarsi, tremare ed infine abbandonarsi a qualcosa che non poteva controllare, inarcando sensibilmente la schiena.
Le braccia del corvino accorsero a dargli sostegno mentre si liberava a propria volta nel corpo dell'Omega, le iridi verdi spalancate fisse sul soffitto.
Eren non vedeva nulla: percepiva il calore di Levi, il suo respiro affannoso e il suo odore forte giungergli alle narici; sentiva il suo sperma riempirlo fino all'orlo, e lo knot gonfiarsi per intrappolarlo lì, reazione spontanea dopo quel rituale di accoppiamento così sentito. Ma in quell'unione, c'era molto di più del solo istinto di perpetrare la specie.
L'Alpha, col ragazzo ancora tremante seduto in grembo, leccava e baciava il collo dell'amante, dando tormento e sollievo insieme alla ghiandola rimasta immacolata e in spasmodica attesa del marchio. Coi palmi candidi ben aperti sulla schiena del giovane, sua ancora di salvezza, lo teneva saldo a sé, gorgogliando soddisfatto. Le dita dell'Omega lasciarono la presa sui suoi avambracci, andando a scivolare tra le ciocche corvine del compagno in muto apprezzamento per quelle coccole tanto gradite. Fusa, uggiolii e piccoli versi si riverberavano dalla gola del castano, il quale strofinava il naso sul viso del proprio mate.
Quei suoni dicevano molto più di quanto le parole avrebbero mai potuto fare. Quella notte fu quieta testimone di effusioni, la cui natura si modificava di continuo. Desiderio, tenerezza, bisogno, dolcezza, cura, passione. E amore. Amore, ancora amore. Un rumore bianco, sottofondo di ogni momento, che non cessò di vibrare neanche quando per primo l'Omega crollò addormentato, esausto, lasciando alla propria metà il compito di occuparsi di lui. Tra le sue braccia, scaldato dalle sue attenzioni, non c'era niente di cui potesse aver timore.
* * * * *
Levi si sentiva leggero.
Quella notte aveva fatto l'amore con Eren più volte, e ognuna di esse era stata unica e speciale. Quando il compagno, esausto, si era assopito tra le sue braccia, lo aveva pulito come meglio poteva prima di crollare accanto a lui, nel letto. Il loro letto.
Ogni preoccupazione era svanita e con esse il senso di incertezza, la frustrazione dovuta all'attesa: Eren era lì, con i segni dei suoi denti tra le cosce, così come lui portava quelli del ragazzo a propria volta. Persino nel sonno, tale consapevolezza lo rasserenava.
Perciò l'improvviso peso sul petto lo stranì al punto da destarlo lentamente. Un profumo dolce gli giunse alle narici, denso come miele, seguito da fusa e tenere carezze. Eren, seduto sul suo grembo, strofinava il viso contro il suo collo, richiamando la sua attenzione. Era bollente, sudato, lubrificato.
Il calore.
L'Alpha spalancò gli occhi, reagendo immediatamente alle necessità del proprio mate. Prese ad accarezzarlo, sorridendo tra i suoi capelli.
«Perciò era questo il motivo di tante coccole, ieri...?» lo stuzzicò.
«È terribile...» fu il guaito di risposta. La disperazione nella sua voce stonava con le fusa che l'Omega produceva. «Non doveva iniziare oggi... I miei giorni di permesso cominciano solo domani...»
L'Alpha gli leccò il viso, cercando di consolarlo e compiacerlo insieme. Prese a massaggiargli la schiena, producendo ringhi soffusi in risposta ai suoi rombi delicati e bisognosi.
«Chiama l'ufficio del personale, di' che hai bisogno di anticiparlo» suggerì, tentando di non soccombere all'istinto che gli implorava di affondare dentro di lui senza esitazione alcuna.
«Chiederanno il perché.»
«E gli dirai di farsi i cazzi loro.»
«Non è così che fun– ouf!»
Le proteste vennero messe, temporaneamente, a tacere quando l'Alpha lo spinse contro al materasso, bloccandolo col proprio peso sotto di sé.
«Lavoreremo da casa. Lo facciamo sempre...» sussurrava, percorrendo la sua gola con le labbra, in cerca del punto migliore in cui affondare i denti. Tra le cosce Eren era già caldo e bagnato al punto da non sentire alcuna resistenza, quando portò i loro corpi a fondersi senza troppe cerimonie.
«A-ah! Sì...»
Non avrebbe dovuto essere così smanioso, dopo la notte appena trascorsa, eppure si sentiva alla stregua di un affamato a cui viene offerta la cena con tanto di dessert dopo un lungo digiuno. Levi lo morse, succhiando la porzione di pelle scelta facendo ansimare l'altro in risposta, le dita scure che graffiavano le spalle candide, già disseminate di lividi e succhiotti.
Si spingeva dentro di lui a ritmo sostenuto, le cosce di Eren che lo tenevano ancorato lì con prepotenza, mentre le loro bocche si incontravano e divoravano senza sosta. Levi percepiva le proprie ghiandole – quelle già marchiate – bruciare all'unisono con quelle del compagno, un legame a doppio filo che li univa, irreparabile.
Entrambi chiamarono l'ufficio, alcune ore più tardi, quando le voci non tremavano più e i corpi si furono raffreddati.
L'umore di Eren era divenuto pessimo, infastidito da quell'imprevisto che scombinava tutti i suoi piani, tuttavia la colazione portatagli dall'Alpha riuscì a distrarlo e togliergli il broncio dalle labbra.
«Ti piace?»
Era un mistero come l'uomo, nonostante la mole di lavoro che lo tratteneva intere giornate in ufficio, riuscisse ad avere sempre della frutta fresca e succosa. Eren iniziava a pensare che andasse a coglierla di notte, in qualche giardino sperduto chissà dove ai danni del povero contadino.
«Molto» rispose frettolosamente, ingoiando un pezzo di anguria rosso e succoso.
Levi raccolse dalla ciotola, già vuota per metà, una grossa fragola matura. Gliela portò alle labbra, invogliandolo a schiuderle.
«Ne vuoi ancora?»
Eren la sentì accarezzargli le labbra, come fosse un rossetto. Quel sapore vi sarebbe rimasto impresso a lungo e forse l'Alpha aveva agito così di proposito. Forse l'aveva fatto proprio per rendere i successivi baci un po' diversi, un po' speciali.
Morse il frutto, sfiorando la punta delle dita del corvino coi denti. Si guardavano negli occhi, come se si parlassero in una lingua per la quale non occorrevano sillabe e suoni.
L'altro si sporse quanto bastava per gustare la sua bocca, morbida e squisita, mordendola piano. Sapeva che il suo Omega doveva mangiare, idratarsi, riposare. Ma il marchio, pulsante, lo avvertì ancor prima dell'odore che una nuova vampata era in arrivo, e Levi era più che disposto a sedarla nel più piacevole dei modi.
La ciotola sparì, poggiata sul comodino, mentre assaliva dolcemente il giovane facendolo distendere tra le lenzuola stropicciate.
* * * * *
Il sesso, durante il calore di una coppia, era senz'altro una sensazione senza paragoni. Qualcosa di impossibile da descrivere a parole, ma di cui gemiti e marchi di varie sfumature, dal rosso al viola, sapevano dare una realistica interpretazione.
E poi c'era qualcos'altro, che per Levi era da considerarsi senza paragoni: i momenti di riposo.
Quando la vampata passava ed entrambi restavano senza fiato ed energie per fare qualsiasi cosa. Quando anche bere era un'impresa apocalittica e l'idea di cambiare posizione nel letto una vera utopia. Ed allora Eren si raggomitolava contro il suo corpo, incurante di umori e sudore, faceva le fusa e lì si addormentava, ciecamente fiducioso che l'Alpha avrebbe protetto lui ed il loro nido, durante quei suoi momenti di debolezza.
Levi amava sapere la vita di Eren nelle proprie mani, e che fosse stato proprio il giovane a consegnargliela. E Dio, lui l'avrebbe difesa. In ogni modo, contro chiunque, in qualsiasi circostanza, niente e nessuno avrebbe potuto avvicinarsi alla creatura che riposava tra le sue braccia.
Per cui, quando il campanello suonò, i suoi sensi scattarono all'unisono percependo un possibile pericolo, un'intrusione nella loro intimitá.
Tentò di ignorare l'impellente bisogno di aggredire lo scocciatore, limitandosi a ringhiare debolmente mentre stringeva Eren a sé con maggior forza. Lo sconosciuto sembrava per nulla intenzionato a demordere, col dito incollato sul campanello.
«Levi...»
La voce di Eren, il segnale che il suo sacro riposo era stato interrotto, non fecero che aumentare il volume di quei ringhi. In realtà l'Omega non avrebbe trovato poi così fastidioso quel suono squillante, se non fosse stato influenzato dall'odore che lo travolgeva, intenso e impossibile da ignorare, del corpo del suo Alpha. La sua aggressività gli ispirò paura ed un guaito, un suono che Levi poteva udire solo per tre giorni ogni novanta.
La furia crebbe, lenta e inesorabile, annebbiando qualunque pensiero razionale. Il mondo sarebbe potuto finire in quel preciso istante, ma per l'Alpha l'unica cosa che contava era proteggere il proprio Omega, e di tutto il resto non gliene fregava un cazzo.
«Non muoverti.»
Pronunciare quelle parole gli costò immensa fatica, così come l'abbandonare il suo corpo bollente lì, nel loro letto. Il mugolio di disappunto di Eren servì solo ad aumentare la sua collera, mentre a passo di marcia andava a spalancare l'ingresso.
Il povero malcapitato, sul pianerottolo, lo sentì arrivare ancor prima che l'uscio si aprisse: l'odore dell'Alpha, forte e pungente, fuoriusciva dalle intercapedini della porta, denso come fosse fumo. Quando se lo trovò davanti, prese a tremare dalla testa ai piedi.
Il volto di Levi era scuro, i suoi tratti tirati in un'espressione aggressiva e i suoi occhi infuocati come tizzoni ardenti. Come se il suo ringhio ferale non fosse bastato ad incutergli, già da solo, puro terrore.
«M-mi s-s-scusi, la s-sua se-segretaria lemandaquestifascicoli!» sputò tutto d'un fiato, lanciandogli la busta sigillata tra le mani neanche stesse nutrendo una fiera selvatica.
Il corvino afferrò l'oggetto, fissando il corriere e desiderando ardentemente di lanciarlo giù per le scale. I guaiti dell'Omega, lontano dal suo mate troppo a lungo, si fecero più insistenti.
«Sparisci.»
Un ordine a cui l'altro obbedì di buon grado, fuggendo come se avesse alle calcagna Lucifero in persona. Sarebbe stato persino meglio.
Quando il fattorino, ormai al sicuro, udì la porta sbattere un paio di piani più sopra, si attaccò alla parete in cerca di sostegno, le gambe ridotte a gelatina.
Chi l'avrebbe detto che il freddo e solitario Ackerman, nemico giurato di qualunque interazione sociale non strettamente necessaria, fosse in piena fase di accoppiamento con un Omega in calore. Nonostante la profumazione sgradevole che l'uomo aveva emanato in difesa del territorio, infatti, gli era stato impossibile non percepire la nota dolce tipica di quella dinamica che lo ricopriva da capo a piedi.
Un pettegolezzo che avrebbe fatto presto il giro di ogni ufficio dello studio.
Quell'intrusione costò all'Alpha un'immediata richiesta di attenzioni che impiegò alcune ore a soddisfare. Una volta calmatisi gli animi di entrambi, però, l'arrivo di quello sfortunato stagista fu positivamente rivalutato.
I documenti che aveva consegnato vennero letti ed usati, studiati nel loro ambiente preferito, tanto comodo tanto quanto poco professionale. Eren si domandava cosa avrebbe detto Smith nel sapere che lavorava al centro di un confortevole nido, nudo ed imboccato di piccoli pezzi di frutta dalle dita delicate dell'Alpha.
Levi, i fogli ormai sparpagliati un po' ovunque nella stanza, annusava la nuca dell'Omega strofinandovi delicatamente il naso.
Eren, steso sulla pancia, sorrideva, lasciandosi docilmente coccolare.
Si sentiva sicuro, protetto. Si sentiva bene. Si sentiva...
«Eren, non scotti.»
Le parole dell'Alpha diedero voce al sentore che qualcosa, in quel calore, non andasse. Gli toccò la fronte, perplesso: la febbre era passata in poco meno di ventiquattr'ore, eppure l'odore era rimasto dolce ed immutato, così come il bisogno impellente di avere il compagno lì, nel loro piccolo rifugio.
Il giovane Omega sgranò gli occhi, guardandolo con pura sorpresa. Spostò la mano di Levi per toccarsi la fronte a sua volta, ma non aveva bisogno di quello per rendersi conto che si sentiva bene.
Bene come non avrebbe mai dovuto stare, al primo giorno di calore.
E se l'Alpha lo guardava ora con un misto di confusione e preoccupazione, Eren invece sentì il cuore schizzare in gola per la gioia.
«Sto bene... Wow... È... Meraviglioso!»
«Dici? Perché io non ne sono così sicuro... Non è normale, Eren. Hai dolori, qualche fastidio insolito, sei–»
Le labbra dell'Omega lo zittirono nel più dolce dei modi, modellandosi sulle sue per poi leccarle piano. Il suo odore, zuccherino e intossicante, avvolse l'uomo insieme alle sue cosce, intrappolandolo lì, sopra di sé.
«Mai stato meglio in vita mia...» sussurrò piano, accarezzandogli i capelli corvini.
Levi era certo che Eren fosse sincero, che non mentisse per dissimulare qualche sintomo insolito, eppure non riusciva a non sentirsi turbato. Scrutò le sue iridi smeraldine trovandole limpide come non mai, e il ragazzo si accoccolò contro il suo petto pallido.
«Forse è merito del bond» azzardò il giovane, tuttavia l'Alpha non riusciva a trovare quella spiegazione plausibile.
Il suo scetticismo gli si leggeva in faccia, ma Eren non aveva voglia di riflettere. Si spinse coi gomiti verso l'alto, verso la gola macchiata da innumerevoli lividi e ne aggiunse un ennesimo. Dolore e piacere andarono a formare una barriera tra la ragione ed istinto, tra Levi e l'Alpha che chiuse le braccia attorno al giovane compagno.
«Qualunque cosa sia, possiamo pensarci dopo? Per favore...» fece le fusa, risalendo fino all'orecchio. L'uomo calò le palpebre, assorbendo i suoni prodotti dall'Omega come fossero miele denso che andava a colare dritto sul suo cuore. Rispose a quel richiamo, basse vibrazioni nel profondo della gola, lasciando che il compagno lo irretisse in quella trappola composta dal suo dolce aroma, il quale lo supplicava di dedicarsi esclusivamente a lui, e la sua voce pericolosamente bisognosa di attenzioni.
L'Alpha escluse qualunque pensiero affliggesse il corvino, dando priorità al proprio mate: sentiva il bisogno di prendersene cura – ora più che mai –, di custodirlo come il più prezioso dei tesori; la necessità impellente di percepire il suo tepore, il suo tocco delicato, la morbidezza della sua pelle.
Cambiarono posizione nel letto almeno una decina di volte, prima di trovarne una che soddisfacesse sia il bisogno di comodità di Eren, che quello di tener stretto a sé il più giovane. Il calore di fatto era scomparso, ma il profumo di Omega era rimasto intoccato, risparmiato per ora dai cambiamenti che il cocktail di soppressori lo costringeva a subire.
Levi adorava Eren, dal modo in cui la sua bocca si curvava andando a formare quel sorriso saccente e sfacciato di cui si era invaghito, al modo in cui arricciava il naso quando qualcosa lo infastidiva. Quel momento, quell'istante prezioso, era quasi una benedizione: un assaggio di una giornata qualunque in compagnia del suo Omega, fatta di tenerezze e coccole, morsi giocosi e languide provocazioni; solo la voglia di stare insieme e godere di quella vicinanza, nient'altro.
«Amo il tuo profumo, mi fa impazzire...» disse, dando voce a quell'intima confidenza mentre le sue labbra scorrevano delicatamente sulla sua gota scura, accarezzandolo piano e senza alcuna fretta.
«Sento il tuo cuore battere. Sembra un uccellino che si agita...» rispose, quasi come se non l'avesse minimamente sentito. Le sue mani, entrambe, erano premute palmo a pelle, contro il petto dell'uomo. Non per respingerlo, no, non per tenerlo a distanza, ma per accarezzare il luogo in cui quel cuore era custodito, quasi a volerlo sfiorare e rivendicarne così il possesso.
Levi si sentiva bene come non mai. Nonostante tutti gli amplessi consumati nell'arco di quei mesi, sia durante il calore che solo per la voglia di toccarsi, quello era ciò che più apprezzava degli istanti trascorsi nel letto. Ne avevano vissuti sempre troppo pochi, entrambi guidati dalla frenesia degli ormoni oppure privati della gioia di esplorarsi seguendo la loro reale dinamica.
Il marchio tra le cosce del corvino pizzicava appena, stimolato dall'odore del compagno, e l'Alpha prese a gustare una piccola porzione di pelle sul suo collo.
«Mio...» mormorò, succhiando e muovendosi piano per meglio assaporare quel momento.
Col capo piegato a fargli spazio, i loro corpi aderivano e si completavano alla perfezione. «Ah... Ah, confesso che davvero il calore non mi mancherà questo mese... E neanche tutti gli altri, se solo fossi sempre così fortunato...» disse, muovendo pigramente le dita tra le ciocche setose dell'altro.
Levi sentì il petto stringersi, a quelle parole. Per l'Alpha, quel periodo aveva una valenza particolare: significava poter abbracciare il vero Eren, colui che desiderava avere accanto per la vita; nessun filtro, nessun inganno.
«Se solo fosse tutto più semplice...» L'uomo sollevò il volto, andando a baciare dolcemente la sua bocca rossa e turgida. «Non avresti bisogno di niente. Ti darei tutto ciò che ho, Eren, ancor prima che tu lo chieda. Il mondo non sarebbe abbastanza. Lasciati viziare, solo per ora...»
Con la lingua andò a leccare le sue labbra, sentendolo tremare in risposta. Era così sensibile, a quelle attenzioni, e desideroso di riceverle.
Ogni sua voglia di replicare si estinse lì, in quel momento. Eren schiuse le proprie, andando ad incontrare le gemelle a metà strada. Quei baci lenti e pigri erano quelli che preferiva.
Il borbottio del suo stomaco mise però fine all'idillio. L'Alpha ridacchiò sulla sua bocca, divertito da quella muta richiesta di un vizio a cui poco prima aveva fatto riferimento, senza pensarci davvero.
Si alzò, lasciandogli un ultimo bacio sul viso.
«Preparo da mangiare. Vuoi qualcosa in particolare...?»
«Pizza. Facciamoci portare una pizza...» rispose, rotolandosi pigramente tra le lenzuola che gli avvolgevano il corpo come una tunica.
Levi non riuscì a fare a meno di sorridere, a quella vista.
«Va bene. Magari, cerchiamo di non aggredire anche questo fattorino...»
Eren lo guardò in quel modo, innocente e peccaminoso insieme, curvando le labbra all'insù.
«Suggerimenti?»
Le iridi del corvino brillarono.
«Lascio a te il compito di trovare una soluzione accettabile» e uscì dalla stanza.
«Non sei in grado di darti una regolata? Devo metterti una museruola?» lo prese in giro, scivolando giù dal letto con tutta la calma del mondo.
Si stiracchiò, guardandosi riflesso nello specchio appeso ad una delle pareti. La sua pelle scura segnata dai lividi che lo reclamavano. «Tu la paghi, io la ritiro. Potrebbe andar bene?»
Levi, oltre la parete, gli rispose piccato.
«Certo, se vuoi mandarlo in ospedale e farmi avere una denuncia per aggressione, va benissimo.»
«Chiedi un Omega, testone» specificò, mentre cercava in giro dei vestiti adatti a lui.
Risolse il problema impadronendosi di un accappatoio, nel quale si avvolse prima di uscire dalla camera da letto e fermarsi nel corridoio.
«Andrò ad aprire io e sarà tutto a posto.»
L'Alpha, cellulare alla mano, sollevò lo sguardo. Non gli piaceva vederlo coperto ma, ovviamente, era il requisito fondamentale in caso avesse accolto lui la consegna.
«Come vuoi» bofonchiò, spuntando nell'applicazione la preferenza per la dinamica. Pagò il conto e ripose il telefono sul tavolo. «Speravo in una dose extra di coccole, comunque...»
«Come scusa? Non ho sentito...»
Ridacchiando, l'Omega si avvicinò al corvino che non perse tempo a sollevarlo tra le braccia. Le gambe magre si strinsero attorno ai suoi fianchi per aiutarlo a sostenersi, mentre le mani scivolavano dalle spalle ai capelli.
«Abbiamo tempo per la doccia? Ne sento un disperato bisogno...»
«Circa un quarto d'ora» rispose, annusando l'aria. «Hai ragione, devi assolutamente lavarti: non sento bene il tuo profumo.»
Il tratto che separava il bagno dal salotto fu percorso velocemente, per evitare di perdere istanti preziosi.
«Non lo senti perché addosso ho solo il tuo» replicò, mostrandogli la lingua per dispetto.
L'accappatoio venne abbandonato in un angolo, mentre entrambi entravano nel cubicolo ampio della doccia.
L'Alpha lavò il suo Omega, accarezzandolo senza sosta e insaponandolo con cura. Non perdeva occasione per strofinare il naso ovunque potesse, alla stregua di un gatto che fa le fusa. Eren rispondeva con mugolii soddisfatti, stringendolo a sé in attesa di poter ricambiare tali attenzioni.
Ogni odore venne lavato via dal suo corpo, ad eccezione di quello di Levi che rimaneva intenso e persistente, emanato dai marchi sulle sue cosce. Il profumo dolce di Omega si fuse con quello del bagnoschiuma; non c'era traccia di calore, ormai, non più.
Lavarsi per Levi fu decisamente più complicato. Eren, ormai pulito, non abbandonò la doccia, preferendo restargli addosso, baciarlo e leccar via l'acqua che gli scorreva lungo il collo con la naturale conseguenza del perdere molto, decisamente troppo tempo.
Quando il fattorino suonò alla porta, infatti, nessuno dei due si era ancora rivestito, i capelli gocciolavano acqua sulle spalle, le mani indagavano la resistenza dei nodi degli accappatoio, le bocche si sfioravano indecise se sorridersi o baciarsi.
La fame spinse Eren ad abbandonare in bagno il corvino, il quale rimase a ringhiare sottovoce, frustrato, mentre la porta veniva aperta e la cena ritirata. Fu felice tuttavia, quando pochi minuti dopo lo raggiunse, di trovarlo già con una fetta di pizza in bocca, il sugo sulle labbra. Veder Eren mangiare gli provocava sempre un'innaturale gioia e soddisfazione.
Il ragazzo gli sorrise, lasciandosi avvolgere dal suo abbraccio mentre ogni traccia di salsa veniva leccata via dall'Alpha.
«Ce n'è anche per te, se vuoi» lo prese in giro, senza però sottrarsi a quella piacevole operazione di "pulizia".
«Preferisco assaggiare da qui...»
La tentazione divenne ben presto un bacio, a cui nessuno dei due seppe resistere. Sembrava che, nell'aria, non vi fosse ossigeno da respirare bensì pura felicità, che si irradiava nei loro corpi insinuandosi in ogni angolo accessibile.
Raggiunsero il salotto a tentoni, mordicchiando pizza e labbra in un'alternanza continua, finché non decisero di sedersi sul divano e consumare il loro meritato pasto.
«Ti rendi conto di quanto mi rendi difficile mangiare, quando sei vicino a me?» Eren rise, mettendogli le gambe in grembo. Una scusa, in parte, per tenerlo buono e fermo al proprio posto e guadagnarsi una manciata di minuti per finire di mangiare il proprio pasto e riempirsi lo stomaco che brontolava rumorosamente.
«Chi, io? Ma se pagherei per vederti mangiare così tutti i giorni...!»
Il corvino addentò la propria fetta, senza distogliere lo sguardo dal compagno che si nutriva con innegabile gusto.
«E leccarmi la faccia nel frattempo...»
Gli occhi di Levi brillarono mentre osservava l'Omega assaporare ogni boccone, immaginando di usarlo come piatto da portata.
«Come se ti dispiacesse...!» ridacchiò il corvino.
«È così che sarebbe?» chiese d'un tratto, spegnendo il sorriso sulle labbra di Levi. «Questo. Sarebbe così la nostra vita?»
L'Alpha, per un istante, non seppe cosa rispondere, completamente spiazzato da quel repentino cambio di rotta.
Dire che non aveva mai pensato a un loro futuro insieme, come coppia, sarebbe stata un'enorme bugia: negli ultimi mesi aveva sognato quell'eventualità così tante volte, da darsi del pazzo da solo; si faceva del male, immaginando qualcosa che forse non sarebbe mai accaduta. Eppure ora, su quel divano e coi segni dei morsi impressi nella tenera carne delle cosce, tutto pareva diverso. Più concreto. Finalmente, a portata di mano.
«Credo di sì. Ti dispiacerebbe...?
Eren scosse la testa, lentamente. Resse il suo sguardo, per una volta, invece di distoglierlo perché troppo imbarazzato o in colpa.
«Non credo di aver mai saputo come fosse... Come potrebbe essere.»
«Io non ci avevo mai riflettuto, prima» confessò l'uomo. «Sai meglio di me che non volevo una relazione, che la prospettiva di un legame mi era tanto lontana quanto sgradita... Ora invece non faccio altro che chiedermi se ciò che ho da offrirti sia effettivamente abbastanza, perché credo di aver ricevuto più di quanto sia in grado di dare.»
Le insicurezze di Levi, i suoi dubbi e timori, le paure pregne d'amore che celava nel proprio animo, arrivarono all'Omega chiare e dirette. L'odore che giunse alle sue narici era segno inconfutabile di quel disagio, eppure Eren avrebbe comunque capito quanto si sentisse intimamente turbato: i suoi occhi, all'apparenza freddi e indifferenti al mondo, avevano parlato direttamente al suo cuore senza filtri; veri, sinceri.
I giorni in cui a malapena riuscivano a tollerare la reciproca presenza parevano così lontani, ora che non riuscivano più a fare a meno neanche di guardarsi.
«Non so cosa ci aspetta domani, Eren, ma so per certo che farei di tutto per proteggerti, per renderti felice. Il tuo sorriso è tutto ciò che voglio.»
* * * * *
Con la fine improvvisa del suo calore, non ci fu alcun modo per Levi di trattenere il giovane Omega a casa a riposare. Quell'occasione che capitava loro ogni tre mesi, saltò un turno, soprattutto a causa del loro costante ed unico pensiero fisso: il caso Miller.
Eren gli sembrava raggiante. Nonostante le notti in bianco, le corse in tribunale, gli archivi polverosi dentro cui si chiudeva per ore, i pasti saltati – non senza conseguenze, quando l'Alpha lo veniva a sapere.
«È quasi finita. Ancora poco. Ancora poco, Levi» ripeteva sempre, contrastando i suoi tentativi di farlo riposare almeno il minimo necessario a non sembrare appena uscito da "The Walking Dead".
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