14. Abitudini e Inconvenienti

L'Alpha aprì gli occhi sulla stanza in penombra. La lampada sul comodino dall'altro lato era accesa, ma un cuscino era stato messo dritto in piedi, nel centro del letto, per schermare il suo viso dalla luce diretta. Al di là di quella soffice muraglia, poteva scorgere il corpo del suo compagno, sdraiato a pancia in giù, le gambe sollevate che si dondolavano nell'aria. Sussurrava qualcosa con voce così flebile che neanche Levi riusciva a capirlo, ma a giudicare dal tono basso e dalla cadenza costante, doveva essere concentrato. Si spinse su un gomito, raddrizzando la schiena.

Erano rientrati in città da una settimana, dopo la breve vacanza dal mondo. Tutto pareva essere tornato alla normalità. L'odore neutro di Eren, la loro routine giornaliera, gli impegni lavorativi, le attenzioni superficiali che erano costretti a dedicarsi. Ma non proprio tutto era lo stesso. Qualcosa era cambiato.

Quella notte Eren era rimasto a dormire a casa di Levi, dopo una serata passata a mangiare cinese e rotolarsi tra le lenzuola. La motivazione ufficiale della sua visita erano stati alcuni chiarimenti sul caso Miller, l'unico vero argomento di cui Eren riusciva a parlare in quel periodo, ma l'Alpha era stato capace di distrarre la mente del ragazzo che amava per quasi un'intera ora, trascinandolo nella camera da letto da cui non erano più usciti.

E così ecco spiegato perché, nel bel mezzo nella notte, la lampada in camera di Levi fosse accesa e metà del suo letto invasa da fogli, evidenziatori ed un ragazzo che snocciolava leggi e discorsi come fosse un rosario in chiesa.

«Ma tu non dormi mai?»

«Dormire è una perdita di tempo.»

Non si era neanche girato a guardarlo, quando aveva parlato, segno che era stato ben consapevole che fosse sveglio fin dal principio.

«Se così fosse, l'industria dei materassi sarebbe andata in malora secoli addietro» fu la replica incolore del corvino.

Spostò il guanciale, gettandolo sul fondo e avvicinandosi al compagno, ben attento a non spostare nulla neanche per sbaglio.

Eren non distolse lo sguardo dai fascicoli, concentratissimo, senza degnarlo della propria attenzione.

«Avrai le occhiaie domattina.»

«Tu le hai sempre.»

«Io ho un disturbo del sonno, Eren, tu no.»

«È una gara a chi dorme meno?» sbuffò il castano, scocciato, sollevando finalmente gli occhi sull'Alpha.

«Non è una competizione, il mio è un consiglio. Una mente riposata è una mente lucida, e se vuoi vincere questo caso è esattamente ciò che ti serve.»

Levi gli scompigliò i capelli, guadagnandosi un adorabile broncio con tanto di gote paffute a far da contorno.

«Non guardarmi così.»

Non c'era niente di minaccioso nell'espressione dell'Omega, che si lasciò prendere ed avvicinare al primo tentativo. L'utilità di avere un enorme letto matrimoniale veniva dimenticata quando Levi portava il corpo di Eren direttamente sopra al proprio e ne avvolgeva i fianchi con le braccia.

Nonostante le dolci forme del viso, era così magro e fragile. Forse più di quando l'aveva conosciuto? Non poteva esserne sicuro, ma per l'Alpha questo era una fonte di pensiero e turbamento, qualcosa su cui non poteva fare a meno di rimuginare in continuazione.

Forse per ringraziarlo di quelle parole gentili e incoraggianti, forse per aiutarlo a scacciare i cattivi pensieri, la bocca di Eren occupò la sua, mentre le loro gambe si muovevano, accavallandosi ed intrecciandosi tra loro.

«Lo so che abbiamo pensato a tutto... E che sono in grado di prenderli a calci in culo quanto te... E che non è possibile... Ma vorrei poterti avere in aula, domani...» mormorò sottovoce e dalla sua gola sfuggì un suono dolce e acuto, tipico della sua naturale dinamica; meno per quella attuale, ma Eren non sembrò neanche farci caso.

Levi depositò un dolce bacio sulle sue labbra morbide, accarezzandogli la schiena tentando di non concentrarsi troppo sui propri palmi che percepivano distintamente ogni singola vertebra.

«Anche se non fisicamente, sarò lì con te Eren.»

L'odore dell'Alpha si fece denso, comunicandogli l'immensa fiducia che riponeva in lui e l'infinito amore di cui era capace. Presero a strofinarsi, trasferendo ognuno il proprio profumo sull'altro come una normale coppia nonostante fossero ben lontani dall'esserlo, ma non importava; sentivano la necessità di rassicurarsi a vicenda e, benché sapessero che di lì a qualche ora quel gesto sarebbe scivolato via insieme all'acqua corrente, nulla poteva impedirgli di stringersi e marcare un territorio esclusivo già da tempo.

A fatica, spinti dal bisogno ora condiviso di dormire, riposero i fogli nelle cartelle per poi tornare a stendersi. Subito l'Alpha tese il braccio, invitando il suo compagno a prendere posto il più vicino possibile a lui e così accadde. Col petto, Eren aderì al suo fianco, un mano posata sul suo cuore. Il suo respiro gli soffiava contro il collo, pian piano sempre più lento e regolare.

Si assopirono l'uno tra le braccia dell'altro con la consapevolezza che, al mattino, il giovane Omega avrebbe calpestato il pavimento del tribunale, pronto ad affrontare quella sfida e soprattutto uscirne vincitore.

* * * * *

Sapevano che sarebbe stata dura fin dal principio.

Per settimane, Eren sembrò quasi non esistere più e diverse volte, dal proprio ufficio d'angolo, Levi vide Smith uscire dall'ascensore ed imboccare il corridoio laterale. La destinazione era ovvia, non avrebbe avuto altra motivazione che quella, per scendere al loro piano così spesso.

Eren. Il suo caso.

L'Omega glissava, quando gli chiedeva di quegli incontri, limitandosi ad un semplice: «Roba di lavoro». Ma Levi non era stupido e meglio di tutti sapeva quanto Smith potesse diventare pressante, quando qualcosa lo interessava. Le sue visite erano controlli, ma anche giudizi per Eren che sentiva il peso di quella responsabilità sempre più forte e per non far preoccupare Levi – e forse anche un po' per l'orgoglio di volersela cavare da solo, senza lamentarsi – preferiva tacere.

L'Alpha si sforzava di apparire tranquillo ed ispirare fiducia al compagno nelle sue capacità di realizzare quel progetto ambizioso, tuttavia dentro di sé fremeva: la sua indole animale, in quel momento sopita, nulla poteva contro l'istinto di protezione dell'uomo che vedeva Smith come una vera e propria minaccia; per Eren, per loro.

Levi trovava consolazione nelle piccole cose. Inconsapevolmente, o forse no, ad ogni visita Eren lasciava qualcosa di suo nell'appartamento del corvino: all'inizio solo lo spazzolino, poi la biancheria, infine oggetti e indumenti si erano accumulati in piccole quantità, tali da spingere Levi a liberare per il ragazzo una mensola nel bagno e un cassetto.

Se era vero che in ufficio le interazioni erano poche se non nulle, le notti erano tutt'altra storia. Gli piaceva quella vicinanza, l'intesa, anche se restavano a studiare il caso Miller fino a tardi senza fare altro. Stringersi nel letto, percepire quel calore intossicante, respirare il suo profumo estraneo e familiare insieme, gli bastava. Perché Eren, senza saperlo, per Levi era già tutto.

Non era che non se ne rendesse conto. Anzi, una parte di Eren non riusciva a non pensare al fatto che poco a poco la sua presenza in casa di Levi stesse diventando sempre più un'abitudine. Ormai conosceva la posizione di diversi oggetti nell'appartamento, apriva e chiudeva ante e cassetti con naturalezza e si presentava con poco o nessun preavviso. Quasi come fosse atteso. Sempre.

Lavorava alla scrivania di Levi, mangiava al suo tavolo e faceva l'amore nel suo letto, facendosi stringere e possedere durante i rari momenti in cui decideva di prendersi una pausa dal lavoro e sfogare la tensione accumulata.

Aveva pensato a tutto. Perfino a come incastrare i tre giorni di calore dentro al serrato programma lavorativo che il caso lo costringeva a mantenere. Aveva ceduto tutti i suoi altri progetti, per seguirlo, molti dei quali erano stati presi da Levi stesso.

All'uomo non pesava affatto alleggerire le spalle del compagno, preferendo occuparsi personalmente dei suoi casi rimasti in sospeso piuttosto che lasciarli nelle mani di altri incompetenti. Almeno, il lavoro svolto da Eren fino a quel momento non sarebbe andato sprecato.

Lo stress, comunque, si accumulava per entrambi, ed avevano bisogno di cambiare aria.

Tutto stava nel convincere Eren a staccare la spina, e non era certo impresa facile, cocciuto com'era...

Quella sera, rimasti soli in ufficio per l'ennesima volta, si risolse a fargli quella proposta.

«Che ne dici se stasera ci fermiamo a bere qualcosa?» fece con nonchalance, pregando qualunque santo affinché l'Omega accettasse subito e di buon grado. Ma Levi, lo sapeva, non era mai stato particolarmente fortunato.

Eren non alzò neanche lo sguardo dal fascicolo che stava leggendo, limitandosi a ridacchiare come se l'altro avesse appena fatto una battuta davvero divertente.

«Non affrettarti a rispondere, fai con comodo eh...» lo rimbeccò l'Alpha, tentando di mantenere una parvenza di calma a quello sberleffo bello e buono. Il castano, però, non reagì all'ironia, continuando a mormorare alcune righe che aveva sottolineato.

«Eren...»

Mutismo.

«Eren...?»

Nessuna risposta.

«Eren.»

Levi, delicato ma deciso, gli sollevò il mento costringendolo a fissare gli occhi nei suoi.

«Mh?»

«Abbiamo bisogno di svagarci un po', tu in particolar modo.»

L'espressione piena di sarcasmo del suo ragazzo fece quasi ringhiare l'Alpha.

«Mi trovi teso? Quale sorpresa...» Ma non c'era alcuna traccia di ilarità o cedimento, negli occhi chiari che lo fronteggiavano ed Eren fu costretto a distogliere lo sguardo. «Oh, andiamo... Lo sai bene che non posso andare da nessuna parte.»

«Tu ci vai eccome.»

Levi si alzò dal proprio posto, andando a raccattare i vari plichi sparsi sulla scrivania e ficcandoli nella ventiquattrore di Eren.

«Cosa fai, aspett–»

La protesta gli morì sulle labbra, sostituita da quelle dell'Alpha che, schiacciandolo contro la parete, lo zittì lì e subito. Eren provò a combattere, resistere, ma era da tempo che si era reso conto di quanto fosse divenuto debole alle attenzioni del corvino. Quando lo lasciò libero di respirare ancora, Levi lo fissò con espressione seria.

«Usciamo. C'è aria viziata qui, forza. Raccogli le tue cose, mettile nel portabagagli e cerchiamo un locale non eccessivamente distante dalla città in modo da non rientrare troppo tardi. Va bene?»

Il cuore batteva in gola un po' troppo veloce per i suoi gusti. Si leccò le labbra dalla saliva propria e dell'Alpha, prima di arricciare il naso.

«E se facessimo una cosina veloce qui, sulla scrivania e poi finissimo lo studio di quei casi?»

Un ultimo tentativo non avrebbe fatto male a nessuno, no?

L'Alpha, con un movimento lento e calcolato, arrotolò la stoffa della cravatta allentata di Eren intorno al proprio palmo, tirando il ragazzo un po' più verso di sé.

«O possiamo fare una cosa veloce sulla scrivania e poi uscire a bere qualcosa. Andremo comunque, Eren, sta a te decidere se farlo sulle tue gambe o meno...»

Perché quella minaccia non troppo velata sapeva tanto di promessa?

L'Omega gli sbuffò in viso, ritraendosi e Levi lo lasciò andare, troppo preoccupato che potesse cambiare nuovamente idea per fargli notare che una parte di lui era rimasta davvero delusa dall'occasione mancata di battezzare la scrivania del proprio ufficio come avevano fatto con quella del ragazzo, diversi mesi prima.

«Molto bene» fu la replica scocciata.

Il tragitto fino all'auto fu silenzioso, con Eren che camminava leggermente imbronciato e Levi che nel frattempo rifletteva sulla meta adatta. Solo quando furono nell'abitacolo, il castano sembrò sciogliersi un po'.

«Dove andiamo...?» gli chiese, poggiando un gomito al finestrino e il viso su di un palmo scuro.

«Uno dei miei clienti ha nominato un lounge bar che ha aperto da poco. Lo inserisco nel navigatore e partiamo subito.»

Il tono con cui parlò, la scioltezza dovuta all'abitudine... Pareva quasi che a Levi non pesasse affatto percorrere lunghe distanze, pur di avere una parvenza di normale vita di coppia.

«Parli di questo, coi tuoi – anzi, i miei – clienti? Di locali?» disse, girandosi appena verso di lui mentre la macchina iniziava a muoversi, il motore a rombare facendo vibrare i sedili.

«Non tutte le trattative si svolgono in ufficio o in tribunale, Eren. A volte un approccio soft è più indicato. Ti scoccia che non discuta esclusivamente di lavoro...?» rispose, piegando appena un angolo delle labbra; senza volerlo, aveva dato ad Eren altro a cui pensare.

«Anche io incontro clienti in locali e ristoranti. So come funziona, non sei l'unico a farlo!»

La risposta affrettata e un po' confusionaria diede solo all'Alpha un ulteriore motivo per sorridere. Non vedeva l'ora di parcheggiare quella maledetta auto e godersi un paio d'ore di rilassante appuntamento. Con lui.

Tolse la mano dal cambio e prese quella di Eren, stringendola con delicatezza finché non convinse le sue dita a ricambiarlo. Ed in breve la testa di Eren fu appoggiata sulla sua spalla, per il resto del tragitto.

La vicinanza dell'Omega lo rendeva sereno, nonostante le preoccupazioni e il costante pensiero derivante dal suo fisico eccessivamente asciutto, al punto da chiedersi cosa fosse la strana calma a cui era abituato, prima che il giovane gli stravolgesse la vita.

Fermarono il veicolo, illuminato dall'insegna al neon del locale, per poi entrarvi con disinvoltura. Faceva caldo, e sentivano il bisogno di bere qualcosa di fresco e dissetante.

Gli sgabelli morbidi del bar li accolsero. Levi ordinò per entrambi, mentre il ragazzo abbandonava la testa sul bancone per rinfrescarsi il viso. L'estate era di gran lunga la stagione che più odiava.

Il caldo, maledetto caldo.

«Forse ne avevo bisogno davvero» ammise quando ebbe stretto tra le mani il proprio bicchiere, pieno di cubetti di ghiaccio che sarebbero a breve finiti nella sua bocca.

«Lo so.»

Il corvino sorseggiò la bibita al gusto di limone, che gli diede immediato sollievo dall'arsura. Quell'anno il clima era veramente torrido.

Con la coda dell'occhio osservò il compagno gustare la propria bevanda, trangugiandone buona parte. Il modo in cui il suo pomo d'adamo si muoveva era ipnotico. Era strano come Eren fosse diventato parte del suo quotidiano, rendendosi per lui indispensabile al pari dell'ossigeno o dell'acqua. Ogni minuto in sua compagnia gli era necessario, al punto da renderlo avido: lo voleva per sé, legato indissolubilmente alla propria persona con un marchio che lo avrebbe reso suo per sempre; Levi non desiderava altro che il ragazzo lo reclamasse come mate.

Eren gli mostrò la lingua, prima di afferrare un cubetto tra indice e pollice e spingerselo oltre le labbra. Lo morse, spezzandolo sotto i denti.

«Però lo sai. Più di ogni altro, questo caso è ciò che mi serve per lasciarmi definitivamente alle spalle il piano dei dirigenti junior.»

L'Alpha, tenendo il bicchiere per il bordo, fece oscillare il liquido al suo interno e tintinnare il ghiaccio contro il vetro.

«Sì. Non tutto il male viene per nuocere: ho perso il caso ma, nelle tue mani, è ciò che serve per portarti rapidamente in alto; finalmente potrai dare un taglio ai soppressori e tutto ciò che comportano.»

Non lo aveva detto apertamente, ma l'allusione al suo celarsi in qualità di finto Beta e nascondere la loro relazione a chiunque era piuttosto ovvia.

Eren si leccò le labbra tiepide con la lingua fredda, prendendo tempo prima di rispondere con un mezzo sorriso che non arrivava ad illuminare gli occhi.

«Sì, beh... C'è tempo per quello.»

Levi inarcò un sopracciglio, aggrottando la fronte.

«Tempo...?»

«Sì, tempo. O credi che Smith si farà da parte solo perché ho vinto un caso da un paio di milioni? Oh, andiamo!» Eren scosse la testa, stringendosi nelle spalle ed accavallò le gambe. «Ci vorrà ben altro per riuscire a scalzare quella bestia dal proprio trono. Due milioni lui li guadagna semplicemente alzandosi dal letto la mattina.»

«Credo di non aver capito bene» fece il corvino, voltandosi sullo sgabello quanto bastava per guardarlo dritto negli occhi. «Mi hai sempre detto che si trattava di raggiungere una posizione di prestigio alla quale un Omega non avrebbe mai avuto accesso, all'interno dello studio, non di una scalata al potere. In questo caso le cose sono ben diverse e richiedono–»

La consapevolezza che Eren intendesse affrontare una guerra vera e propria nei riguardi di Smith lo fece schiantare emotivamente contro un muro di cemento armato, che il ragazzo aveva innalzato tra lui e la prospettiva di una vita insieme alla luce del sole.

Poggiò il bicchiere di cristallo sul bancone scuro con più forza di quanto intendesse, ma la rabbia si stava lentamente impossessando di ogni suo pensiero, per scacciare la delusione di venir messo da parte come della semplice corrispondenza che poteva esser letta in un secondo momento.

«Quanto, mh? Quanto ancora devo fingere di non essere nessuno, per te?»

«Oh, andiamo Levi... Non di nuovo questo discorso!» sospirò il ragazzo appoggiando il viso alla mano, il palmo a coprirgli gli occhi e le dita infilate tra le ciocche lunghe della frangetta.

«No, certo che no, tanto parlare è inutile. Troverai sempre qualcos'altro a cui ambire, e magari pensi che io resterò in panchina a guardare come abusi dei farmaci sognando un bond che potrebbe non arrivare mai.»

«Non è affatto così!» esclamò risentito. «Intanto, non abuso di niente. E poi...» la sua voce si abbassò, abbastanza da riportare la conversazione ad essere più confidenziale. «Se non volessi stare... Se io avessi cambiato idea, non saremmo qui a parlare... Io lo voglio, ma dire ora la verità vorrebbe dire scoprire tutte le mie carte prima della fine della partita e–»

Il rumore dello sgabello che si spostava, strisciando sul pavimento, coprì le sue parole. Levi scese, inspirando profondamente.

«Ho bisogno di rinfrescarmi.»

Ma in realtà quella frase voleva dire: Ho bisogno di allontanarmi da qui, da questa discussione e da te. Ed Eren non riuscì a far altro che osservarlo svanire dietro un angolo, col senso di colpa che lentamente gli strisciava sottopelle come un subdolo morbo.

Giunto alla toilette, l'Alpha poggiò i palmi sul lavabo prendendo grosse boccate d'aria come a corto di fiato. Ciò che gli mancava, invece, era la sicurezza che quel momento sarebbe giunto, che le cose avrebbero seguito un certo corso alla fine del quale c'era il fottuto arcobaleno.

Impiegò una decina di minuti, prima di raccogliere la calma necessaria ad appianare un diverbio inutile. Sapeva bene che, in qualunque caso, avrebbe atteso Eren. Non importava per quanto, o a che condizioni: lui era l'unico.

Si sciacquò il viso, tamponandolo con un foglio assorbente, per poi dirigersi nuovamente al bancone. Di certo non si aspettava di trovare ciò che vide.

Invece del ragazzo teso e un po' nervoso che aveva abbandonato a sbollire, poco prima, ora davanti a lui c'era un Eren sorridente, che stringeva un drink completamente diverso nella mano, rispondeva a battute e dava pacche sulle spalle. E tutto intorno a lui, c'erano le cause di quella situazione. Una manciata dei loro colleghi più giovani del lavoro, che per qualche assurdo motivo avevano deciso che i pub della città non erano più sufficienti per le loro serate alcoliche. Riconobbe Kirschtein, Hoover, Springer ed un altro paio di cui neanche conosceva i nomi.

Levi si irrigidì, combattuto: una parte di lui, quella animale, lo incitava a marcare il territorio e uscire allo scoperto, ponendo fine a quella farsa; l'altra, quella razionale invece, era ben cosciente che se avesse ascoltato la controparte avrebbe irrimediabilmente perso Eren, e che doveva battere il ritirata prima che qualcuno di loro lo vedesse.

«Ackerman! Certo che il mondo è piccolo, eh?»

Troppo tardi.

Controvoglia, il corvino salutò il gruppo, il cipiglio serio e l'espressione annoiata. Eren lo osservava con sguardo indecifrabile.

«Così pare. Non siete lontani da casa, mocciosi?»

«Abbiamo ricevuto delle consumazioni in omaggio, non potevamo di certo perdere l'occasione! E tu?» chiese Springer, piuttosto allegro probabilmente per l'alto tasso alcolico già in circolo. In un'altra situazione, altrimenti, non avrebbe mai osato parlargli con una simile confidenza.

«Cercavo un posto per evitare di pensare al lavoro, ma è evidente che non sia quello giusto visto che mi ha seguito fin qui. Vi lascio ai vostri cocktail, buon proseguimento di serata.»

Nel voltarsi, diretto all'uscita, udì distintamente il proprio cuore fare crack, costretto a lasciare lì il compagno. Sarebbe tornato a casa propria in taxi, o con uno dei giovani colleghi.

Non con L'Alpha. Non con Levi.

Sparì oltre l'ingresso, inseguito dal loro chiacchiericcio allegro e con una morsa a stringergli il petto.

* * * * *

Quanto? Quanto ancora devo fingere di non essere nessuno, per te?

Non sentiva le loro parole. L'alcol era insapore. Un peso gli cresceva nel petto. Era apparso quando aveva incrociato lo sguardo di Levi, di ritorno dal bagno, ma si era trasformato in qualcosa di più concreto quando era stato costretto a guardarlo andare via come nulla fosse.

Una manciata di uomini ubriachi ed i loro coupon avevano mandato all'aria i loro piani per la serata. Li avevano divisi.

Li avevano resi estranei, nel giro di un battito di ciglia.

«Assurdo. Jaeger, sapevi che c'era pure quel vecchio cadavere qui?»

L'Omega aveva ringhiato di rabbia ed Eren era stato costretto a soffocarlo. Per un'intera ora, rimase in loro compagnia, presente col corpo, ma non con la mente, controllando un cellulare che restava scuro e silenzioso. Certo, era assurdo pensare che Levi potesse chiamarlo, o anche solo scrivergli un messaggio. Non avrebbe fatto nulla per mettere a rischio la copertura di Eren.

Lo stava proteggendo.

L'aveva sempre fatto.

«Ehi, dove credi di andare?!»

Non perse tempo a rispondere ai colleghi ubriachi. Uscì dal locale, salendo sul primo taxi che trovò parcheggiato in attesa di raccogliere bevitori confusi da condurre alle loro abitazioni, attraverso la strada più lunga.

«Ti pagherò il doppio, se mi fai arrivare a questo indirizzo prima della mezzanotte» disse al tassista e l'automobile partì, col motore che ruggiva e gli pneumatici che stridevano contro l'asfalto.

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