12. Riconciliazione e Partenza

L'incontro tra loro avrebbe dovuto essere alle otto e un quarto, nel parcheggio sotterraneo di un supermercato affollato ad un paio di isolati dal loro ufficio.

Lì non avrebbero dato nell'occhio, confondendosi tra la folla eppure ugualmente al riparo.

Levi fu puntuale.

Parcheggiò l'auto ed attese. Passò qualche minuto all'interno dell'abitacolo, poi uscì, rientrò, uscì di nuovo. Passeggiò avanti e indietro, tornò a sedersi.

Era nervoso. Spaventato.

Non aveva più visto Eren. Entrare nel suo ufficio avrebbe attirato troppa attenzione, così dopo il rimprovero era andato a prendere le proprie cose ed aveva lasciato il palazzo senza neanche parlargli.

Di mandargli una mail o un messaggio non se ne parlava proprio, per lo stesso identico motivo. Neanche Eren, d'altra parte, si era messo in contatto con lui, però sapeva perfettamente quale sarebbe dovuto essere il luogo del loro incontro. Lo sapeva e per Levi quella era l'unica speranza rimastagli.

La portiera dal lato del passeggero si aprì di colpo, mentre si stava massaggiando gli occhi con le dita, il dorso della mano ferito dai pugni che aveva inferto solo poche ore prima. La abbassò, voltandosi per poter incontrare lo sguardo del suo ospite, ma non poté farlo. Non ne ebbe il tempo.

Un odore caldo e dolce come quello dello zucchero filato riempì l'ambiente, e due braccia gli avvolsero il collo. Spettinate ciocche di capelli castani, che profumavano come neanche il paradiso avrebbe potuto fare, coprirono la sua visuale. Le labbra di una piccola bocca rosata, la cui forma conosceva a memoria, premettero contro il suo collo.

«E-Er–» provò a balbettare, ma la stretta dell'abbraccio lo fermò.

«Credevo che non saresti venuto.»

Quelle erano le ultime parole che si sarebbe aspettato di sentirgli pronunciare. Ed il tono con cui lo fece gli spezzò il cuore: una voce flebile, piena di preoccupazione e incredulità. Per l'Alpha fu una pugnalata il solo pensiero di aver suscitato sensazioni così incerte nell'animo della propria metà.

Levi restò immobile qualche secondo, quasi annichilito dal dubbio che aveva attanagliato il petto di Eren per tutto il giorno. Infine, finalmente, il suo cervello riprese a funzionare correttamente, preceduto dalle sue braccia che senza ricevere alcun ordine dall'organo in comando, lo strinsero forte a sé. Inspirò quell'aroma che sentiva mancargli come l'aria, affondando il naso tra le ciocche d'ebano del compagno.

«Cristo, Eren, questo dovrei dirlo io» schioccò il palato, replicando a quella sciocca affermazione. «L'ora dell'appuntamento è passata da un pezzo, e mi sentivo un povero coglione... Ce l'hai con me?»

«Sì. Da morire. Sei un idiota. Stupido Alpha dalla testa più dura di un muro!» Il viso dell'Omega era ancora nascosto contro il collo del compagno.

«Scusami.»

Le occasioni in cui Levi, nella sua vita, aveva dovuto fare un passo indietro ed ammettere un errore si contavano sulla punta delle dita. Era una persona metodica, riflessiva, che difficilmente agiva d'impulso. Ponderava bene i pro e i contro di ogni situazione, e si comportava di conseguenza.

Quel giorno sapeva benissimo che invischiarsi in quella contesa avrebbe portato più danni che benefici. Eppure, il pensiero di Eren aveva abbattuto qualunque remora e posto in secondo piano la razionalità a favore dell'istinto. Del sentimento.

Quel giorno, Levi Ackerman si trovò a chiedere scusa a un Omega e lo avrebbe fatto altre mille volte, se fosse servito a tenerlo al suo fianco.

Lo trascinò da un sedile all'altro, sopra le proprie gambe. Stringerlo a sé era mille volte meglio. Era rassicurante. Calmante. I finestrini oscurati dell'auto davano ad Eren tutta la sicurezza che gli serviva. Si baciarono lentamente, accarezzandosi il collo ed i capelli.

«Perderemo... l'aereo... Levi...»

«Ne prenderemo un altro, non importa, mi basta che tu sia qui...»

Nell'abitacolo chiuso, l'odore dell'Omega che andava risvegliandosi si unì a quello dell'Alpha. In realtà non avevano poi molto tempo, prima che il calore avesse ufficialmente inizio, ma a Levi premeva sapere da dove scaturisse l'infondato timore che aveva tormentato il ragazzo quel lungo pomeriggio.

«Perché credevi che non mi sarei presentato?»

Un bacio, poi un altro ancora, aspettando un responso che tardava ad arrivare. L'espressione di Eren era quasi impossibile da guardare, troppo preso nel dedicargli quelle tenere attenzioni.

La risposta si fece attendere. Interrompere i baci risultò essere davvero un'impresa.

«Smith è venuto nel mio ufficio... Mi ha... portato il caso Miller...» mormorò, abbassando lo sguardo.

Il suo labbro inferiore sembrava tremare.

Il corvino sbatté le palpebre un paio di volte, elaborando velocemente le informazioni ora in suo possesso e facendo combaciare i pezzi.

«Credevi mi sarei arrabbiato per questo...?»

Il silenzio di Eren fu più che eloquente.

«Cazzo Eren, ne sono persino felice...! Almeno è rimasto in famiglia e non è andato nelle mani di un imbecille, dopo che ci ho sbattuto la testa gli ultimi due mesi. Conosci quei fascicoli a memoria: andrai alla grande, ne sono sicuro, e se ne avessi bisogno ti darò una mano ma non credo sia affatto necessario» sorrise, accarezzandogli una guancia che scoprì incandescente.

In famiglia.

Il viso di Eren era molto più che incandescente. Il respiro si era spezzato nell'istante in cui aveva sentito quelle parole, rendendo vago il ricordo di tutto ciò che le aveva seguite.

A fatica e compiendo uno sforzo di concentrazione, ricordò che sarebbe stato il caso di rispondere.

Aprì la bocca, poi la richiuse.

A chi servivano le parole?

Lo baciò di nuovo, ansimando sottovoce. Il calore non era ancora iniziato, ma il suo corpo iniziava a prepararsi. La temperatura era in aumento, le ossa iniziavano a dolere ed i muscoli ad affaticarsi. La febbre arrivava e con essa l'implacabile lussuria dell'Omega che dopo tre lunghi mesi agognava i promessi tre giorni di libertà.

Levi ricambiò le attenzioni ricevute con egual foga, salvo poi pensare al fatto che preferiva non iniziare quel calore in auto, ma al calduccio del loro chalet. Pregò ci fossero coperte a sufficienza, altrimenti avrebbe volentieri disfatto la valigia: non aveva mai desiderato tanto un nido in vita sua.

«E-Eren fer-mati...! N-non voglio scoparti sui sedili p-posteriori...» gli afferrò delicatamente le mani, fissandolo negli occhi che iniziavano a farsi lucidi per l'alzarsi della temperatura corporea. «Allaccia la cintura, andiamo in aeroporto. Non vedo l'ora di stare con te.»

* * * * *

Dopo un viaggio in auto, un volo di un'ora su un piccolo aeroplano ed un'altra mezz'ora di taxi – con autista Beta rigorosamente richiesto –, Levi scaricò dal baule la valigia di Eren, troppo impegnato a guardarsi attorno per far caso alla normale routine da vacanza.

Col naso all'insù, la prima cosa che aveva notato era stata il cielo, scuro come non l'aveva mai visto, cosparso di piccoli diamanti di stelle.

Ad ogni respiro, una nuvoletta di fumo sfuggiva dalle sue labbra socchiuse per la sorpresa.

Lo chalet era stato preparato dai proprietari. La chiave era nella cassetta della posta così come era stato detto a Levi nella mail di prenotazione, e dalle finestre si poteva già scorgere la luce traballante di un fuoco attizzato di recente, forse poco prima del loro arrivo.

Era quasi mezzanotte ed il panorama che tanto aveva attirato l'attenzione di Levi durante le ricerche del posto perfetto era immerso nell'oscurità, ma i rumori della natura che sentivano attorno a loro, una volta che il taxi se ne fu andato, lasciavano presagire solo promesse per il loro risveglio al mattino.

Il corvino trascinò dentro i trolley, affacciandosi per chiamare Eren che ancora guardava le stelle: in città, la coltre di smog ne impediva la visuale, perciò non si sorprese di trovarlo incantato a fissare il cielo.

Tuttavia non voleva esplorare il loro piccolo angolo di paradiso da solo.

«Eren?»

Il ragazzo sembrò riscuotersi, la punta del naso arrossata e gli occhi scintillanti come gemme.

«Arrivo!»

Quando entrò, lo stupore e la meraviglia erano chiari sul suo viso.

Si trovavano nella zona giorno, con un tavolo in legno dall'aspetto rustico come le sedute che lo attorniavano; i colori erano caldi, accoglienti, richiamando le tinte della natura; le pareti tappezzate da pentolame in rame, sopra un cucinino funzionale e dalla cui credenza spiccavano tazze e stoviglie di ogni sorta; l'ambiente era caldo e confortevole, ma il ragazzo non vide il camino che Levi gli aveva accennato. Un po' deluso, si diresse verso l'unica porta sul piano, ignorando momentaneamente le scale che conducevano in mansarda. Superata la soglia, quasi si sentì venire meno.

La camera da letto, con bagno adiacente, era grande a sufficienza da permettere la presenza del tanto agognato focolaio che riscaldava – tramite un sistema ben progettato – l'intera struttura. Il letto era alto e spazioso, ricoperto da una trapunta patchwork che dava un senso di familiarità. Un quadro racchiudeva decine di foglie dalle svariate forme e colori dell'autunno, regalando un tocco originale all'insieme. Infine, quello che forse più di tutto aveva desiderato di trovare.

«C'è il tappeto davanti al camino!» esclamò entusiasta.

L'uomo, che lo aveva seguito, non riuscì a trattenersi dal ridere. Braccia al petto, scosse la testa guardandolo da sotto le ciocche corvine.

«Se era quello che volevi, potevo anche comprarne uno da mettere in salotto» lo stuzzicò, avvicinandosi per togliergli il cappello che aveva indossato durante il viaggio.

«L'avevo sperato» rispose semplicemente.

I suoi capelli, liberi dal berretto, si mossero in tutte le direzioni dando un nuovo significato alla parola "spettinato". Levi non ebbe il tempo di riderne. Immediatamente dopo, con le giacche ancora addosso, i piedi freddi e gli occhi lucidi per la febbre, Eren lo baciò.

«Ho sempre immaginato come sarebbe stato fare l'amore in quel modo... Sul pavimento, davanti al camino. Passionale... Erotico...» sussurrò, ben consapevole di provocargli un brivido ad ogni sillaba, ciascuno dei quali scendeva lungo la spina dorsale dell'Alpha per poi radunarsi tra le sue gambe. «Ora, che ne dici di portare qui le valige e andare a preparare un po' di cioccolata calda... mentre io mi occupo del nostro nido?»

Fare l'amore.

Detta da Eren, quella frase sembrava una fottuta poesia, attribuendo una luce completamente diversa a ciò che condividevano. Ciò che erano.

La prospettiva di giacere col compagno in un nido, soffice e profumato, a circondarli quasi fece dimenticare all'uomo l'utilizzo della parola e a cosa servisse.

Con un ultimo bacio, accompagnato da un gorgoglio eccitato, Levi portò dentro i bagagli per poi uscire dalla camera da letto, pronto a mettere a soqquadro l'intera casa pur di portare al suo Omega della cioccolata calda. Sarebbe anche andato a mungere le vacche, se la desiderava con del latte.

L'ordine era di non tornare finché la bevanda non fosse stata pronta, così Levi rimase fuori dalla camera. Anche quando strani rumori cominciarono ad arrivarne. Tonfi sospetti, rotelle che strusciavano sul legno, qualcosa che veniva trascinato...

Una parte di lui, quella più razionale, quella non così follemente presa da Eren da poterlo perdonare anche se avesse mandato a fuoco l'intero edificio, era preoccupata.

Che cosa diamine stava facendo?

Non si stava stancando troppo, vero?

Non si stava ferendo...?

Eren stava benissimo.

E glielo dimostrò quando, un quarto d'ora più tardi, Levi bussò alla porta con un vassoio bloccato tra un braccio ed il fianco, due tazze di cioccolata calda appoggiate sopra.

«Eren?»

«Entra, ho finito!»

La stanza aveva tutto un altro aspetto.

Il materasso era stato tirato giù a terra, davanti al camino, e coperte di ogni forma e dimensione erano raggomitolate tutte attorno, in una familiare forma circolare. La cosa divertente, che fece alzare gli occhi al cielo all'Alpha, fu la presenza del tappeto sopra al materasso.

Eren era steso lì, sul finto pelo candido, con indosso solamente un paio di pantaloncini corti ed una delle canottiere rubate dalla valigia di Levi.

Il suo viso era arrossato, gli occhi lucidi, l'intera stanza profumava come un negozio di caramelle.

«Ha un odore buonissimo» disse, sollevandosi su un gomito ed annusando l'aria, inseguendo la scia dolce con gli occhi socchiusi e l'espressione assorta.

«Anche tu.»

L'uomo posò il vassoio davanti al camino, andando a sedersi sul bordo del materasso, ben attento a non disfare in alcuna maniera il nido così amorevolmente preparato dal compagno. Gli allungò una delle tazze, fumante e dal contenuto zuccherino – fortunatamente, le bustine pre-miscelate erano giunte in suo aiuto –, osservando l'Omega tendersi in risposta.

«Credo che un tappeto così ci starebbe proprio bene, a casa mia. Ci starebbe ancora meglio con te sopra, proprio come adesso.»

Eren sorseggiò piano la bevanda, attento a non scottarsi, guardando con occhi ilari il suo Alpha da sopra il bordo di ceramica decorata. Quando la abbassò, aveva le labbra sporche di cioccolato. La voglia di ripulirlo, in Levi, era tanta, ma il ragazzo fu più lesto e soprattutto tentatore: schiuse la bocca quanto bastava per tirar fuori la lingua, leccando via il liquido scuro con lentezza esasperante e movimenti poco pratici ai fini della pulizia, ma sicuramente eccitanti per l'Alpha che lo osservava, rapito e affamato.

«Davvero?» la voce di Eren era beffarda e supplichevole insieme, complice la febbre che ormai stava per consumarlo definitivamente. «Mi vorresti come oggetto d'arredo...?»

«Affatto. Non desidero altro che averti come mio compagno.»

Levi non se la sentiva di scherzare su un argomento che reputava serio, come quello: non dopo la giornata appena trascorsa, non dopo i dubbi che avevano dilaniato entrambi come fossero artigli, non quando ogni giorno desiderava sempre più Eren nella propria vita.

In realtà l'interesse di quest'ultimo per la conversazione in corso era piuttosto esiguo.

Molte coppie organizzavano viaggi in occasione del calore, ma di certo non era mai stato il caso di Eren. Quella, per lui, era una nuova esperienza. Tutto lo era quando si trattava di Levi, in un modo che quasi lo spaventava per la facilità con cui nuovo diventava familiare.

L'Omega non ebbe pace finché le loro tazze non furono tornate sul vassoio ed il suo febbricitante corpo si fu accomodato in grembo all'Alpha, abbracciandolo con forza a sé, mentre le sue mani vagavano sulle cosce già umide.

«A-Ah...»

Contro l'inguine poteva chiaramente sentire il rigonfiamento, che prometteva sollievo e piacere. Levi rispondeva al richiamo del ragazzo, stimolato dagli ormoni attraenti di quella che considerava la propria metà.

La pelle di Eren era bollente, nonostante i vestiti del corvino impedissero ancora un contatto diretto. Cosa a cui avrebbero rimediato molto velocemente.

I sensi dell'Alpha si acuirono alla ricerca di una risposta da parte del compagno che, febbricitante, gli accarezzava viso e capelli. Sentiva una morsa stringergli lo stomaco dinanzi la consapevolezza che quella creatura, tanto fiera quanto dolce, avesse scelto lui tra tanti. I suoi palmi percorsero la schiena già umida di sudore del giovane, al di sotto dell'indumento scuro.

«Mi piace quando indossi qualcosa di mio» sussurrò, tentatore, sulle sue labbra.

La scarsa voglia di dialogare di Eren fu ben evidente quando le sue gambe, strette attorno ai fianchi lo intrappolarono, catturandolo nella sua morsa calda e bagnata, prima di lasciarsi cadere all'indietro costringendolo a seguirlo.

Le sue labbra si chiusero sulla ghiandola ben esposta, il sapore irresistibile di quella pelle che succhiò con tale forza da spezzare quasi la pelle che la ricopriva, ma era stanco delle parole.

Fammi sentire la tua voce, mio Alpha.

«Cazzo...!»

Un attimo dopo, Levi era alle prese coi propri jeans per poi passare ai pantaloncini di Eren, seguendo un impulso impossibile da ignorare neanche se lo avesse voluto: il richiamo dell'Omega era troppo potente affinché venisse ignorato. Lasciò che il castano si dedicasse a quel punto così sensibile e delicato, tanto da farglielo diventare completamente duro senza bisogno di ulteriori attenzioni, se non i suoi mugolii e le fusa soffocate sul suo collo. La replica dell'Alpha fu un ringhio eccitato mentre sfregava la propria erezione, ormai libera, tra le cosce nude del compagno.

Contro la pelle tesa della gola, Levi poteva sentire i denti di Eren e, Dio, non aveva mai desiderato così ardentemente di essere morso a sangue. Voleva sentire quei canini squarciarlo, gli incisivi affondare nella carne morbida, la sua saliva mischiarsi al sangue rendendo quella cicatrice eternamente impregnata dell'odore dell'Omega.

Ma non era lui, a parlare. L'Alpha pregava di essere reclamato, l'uomo si beava della consapevolezza che l'attesa avrebbe reso quel momento ancor più gradevole, quando l'avesse ottenuto.

Il ragazzo non riusciva a stare fermo, muovendosi in continuazione per andare incontro al corvino. Cercava il suo corpo come i polmoni necessitano d'aria, bisognoso di percepirlo su di sé come fosse una seconda pelle.

Levi percorreva ogni centimetro color caramello che le sue mani riuscivano a toccare, in preda a una tale frenesia da non comprendere appieno cosa stesse facendo. Voleva unirsi ad Eren, prenderlo con foga su quel tappeto che l'altro tanto aveva desiderato, eppure rallentare il ritmo e godersi il momento, dare maggior importanza a quel frangente così intimo.

Alla fine, decise di cedere temporaneamente all'istinto, dando il pieno controllo all'Alpha: avevano ben quattro giorni a disposizione, di cui avrebbero fatto certamente buon uso; prima però, avevano bisogno di fondersi, perdersi per poi ritrovarsi.

Solo con le cosce strette attorno ai suoi fianchi, la sua bocca contro la propria, le unghie affondate nella sua schiena, Eren riusciva ormai a sentirsi davvero bene.

I loro corpi si conoscevano. I suoi movimenti erano il perfetto specchio dei propri. L'uno sapeva dove baciare, mordere o accarezzare l'altro per provocare esattamente la reazione desiderata. Spingere i talloni contro la base della schiena faceva rallentare quelle spinte poderose, rendendole più profonde, prolungando il piacere. Tirargli i capelli invece gli faceva perdere il controllo. Il dolore eccitava Levi che, come in una vendetta inversa, lo trasformava in goduria per il proprio aguzzino.

L'Alpha riconosceva lo stato d'animo ed i desideri dell'Omega solo ascoltandone i gemiti ed andava incontro alle sue pretese e desideri, rendendo ciechi di lussuria quegli occhi neri che avevano perso ogni colore.

Persino in quel momento così concitato, frenetico, Levi riuscì a notare l'abissale differenza tra il primo calore che avevano trascorso insieme e questo: ben tre stagioni, durante le quali il loro rapporto si era evoluto fino a classificarli come coppia. Il corvino non lo aveva mai trattato come un oggetto, neanche quando il loro era solo uno sfogo guidato dagli ormoni e nulla più, eppure gli era ben chiaro il modo in cui ora lo stesse toccando. Venerando. Lo stesse amando.

Il vedersi e frequentarsi al di fuori del lavoro, il conoscersi emotivamente, il cercarsi con esasperante costanza come fosse una necessità inderogabile li aveva condotti lì, in quell'esatto punto delle loro vite dove ogni ansito era una vera e propria parola con cui comunicare. Dove ogni graffio era una richiesta, ogni morso una supplica. Ogni bacio, una dichiarazione sussurrata a fior di labbra.

E mentre l'Alpha, il suo Alpha, affondava dentro di lui per la prima volta da giorni, pensò quanto assurda fosse ormai l'idea di trascorrere il calore con chiunque non fosse Levi.

* * * * *

Tese il braccio oltre il materasso, arrivando a sfiorare la protezione metallica che circondava le fiamme.

Non era sicuro se Levi fosse sveglio o addormentato. Riposava, forse, col viso sul suo stomaco e le braccia avvolte attorno ai fianchi dell'Omega.

Eren gli accarezzava i capelli con le dita e lasciava che le lingue incandescenti si specchiassero nei propri occhi stanchi. Si sentiva esattamente come loro: bollente, eppure debole. Qualche ciocco di legno lo avrebbe ravvivato il tutto, riportandolo all'antico vigore. Era semplice, per il fuoco.

Per Eren, invece, la storia era totalmente diversa.

Ogni calore sembrava più difficile del precedente; si sentiva come un giocattolo costretto a suonare anche se la sua batteria andava scaricandosi.

Coprì gli occhi col braccio libero.

Si addormentò, sperando che bastasse.

* * * * *

L'acqua, nella vasca da bagno, cullava Eren con dolcezza, portando alle sue membra pesanti il sollievo di cui aveva bisogno. Era profumata, e avrebbe lasciato la sua pelle liscia e setosa, pronta ad essere nuovamente graffiata e stretta dalle mani del suo amante. Levi, alle sue spalle, gli accarezzava il ventre con la soffice spugna, lavandolo con cura mentre disseminava la sua nuca di baci e strofinava il naso tra i suoi capelli umidi.

Nonostante la stanchezza e la fatica, Eren avrebbe giurato che quelli erano i momenti più sereni e beati della sua esistenza.

* * * * *

L'Alpha schiuse gli occhi, percependo il materasso muoversi. Vide, nella tenue luce della stanza, la figura snella del suo compagno sgattaiolare fuori dalla porta, con niente addosso.

Le palpebre coprirono nuovamente le iridi celesti. I suoi altri sensi erano più che sufficienti a tenere d'occhio la situazione.

Attese, pensando di sentire il frigo o qualche anta venir aperti. Invece Eren tornò indietro, quasi correndo e si lasciò cadere di nuovo nel nido – e su di lui – con poca grazia.

«Levi! Levi è bellissimo qua fuori! Dobbiamo andarci!»

«... Mh, che c'è di tanto speciale...» mugugnò, tirandolo a sé e facendolo distendere completamente sul proprio petto. Riuscì a percepire la differenza d'altezza sfiorando coi piedi le caviglie di Eren, prima che il ragazzo prendesse a dondolare le gambe come una scolaretta. Fosse stato un cane, quello era certamente scodinzolare.

Il ragazzo lo guardava coi suoi grandi occhioni verdi, limpidi e luminosi, riscaldandolo col calore del proprio corpo nudo.

Per quanto affascinante fosse il paesaggio esterno, le braccia di Levi sarebbero sempre rimaste per lui il luogo più accogliente. Si mise comodo su di lui, le braccia ai lati del suo viso. I loro nasi si toccarono. Per l'Alpha fu impossibile non sorridere.

«Il cielo è infinito» disse Eren. «Si vede la neve, sulle cime delle montagne ed è tutto verde. E profuma, tutto profuma di fiori.»

«Tu profumi di cannella. I tuoi occhi hanno il colore dell'estate, amo la tua pelle bollente sulla mia e la bellezza del cielo impallidisce in confronto alla tua. Dovrai essere più convincente di così, Jaeger...» lo stuzzicò, accarezzandogli languidamente la base della schiena. Con la punta delle dita creava forme e contorni astratti, seguendo il flusso delle proprie emozioni, dando a Eren i brividi e facendolo fremere in risposta.

Il più giovane arrossì. Una vampata lo attraversò da capo a piedi, scatenata dall'imbarazzo e dalla soddisfazione per quei complimenti. L'Omega fece le fusa, ricompensando l'Alpha per le sue parole gentili.

Non seppe replicare e le loro posizioni vennero invertite, mentre Levi sfruttava il vantaggio di quella sua esitazione per insinuarsi tra le sue gambe e intrappolarlo tra sé ed il materasso.

Ringhiarono, parlando attraverso quei suoni primordiali, accomodandosi alla forma l'uno dell'altro.

La pressione della virilità ancora morbida di Levi contro il basso ventre di Eren fu sufficiente perché i primi umori cominciassero a scivolargli tra le cosce.

«Sono combattuto tra il desiderio di accontentarti e ascoltarti ridere, e quello di prenderti per sentirti gemere... Hai qualche preferenza? Sono tutt'orecchi...» mormorò, andando a mordicchiargli il lobo solo per sentirlo inarcarsi ed ansimare.

L'odore di Eren era diventato due volte più intenso, rispetto a quando si era svegliato. Questo era l'effetto che Levi aveva su di lui.

Il ragazzo gemeva, non solo per i suoi denti sulla carne e l'erezione contro la coscia, ma anche per il suono della sua voce, roca e vibrante. Per il suo respiro sulla pelle e il modo possessivo in cui le sue mani gli stringevano i fianchi, spostandosi lentamente sempre più verso le natiche.

«I-il... Ah... Paesaggio non... Mhm... non andrà da nessuna parte...»

«Pensavo proprio la stessa cosa...»

Le labbra dell'Alpha reclamarono quelle dell'Omega, stordendolo. Per un istante tutto scomparve, il nulla più assoluto, sostituito dalla presenza totalizzante del corvino. Levi era ovunque, dentro e fuori, ed Eren si lasciò sopraffare da quel dolce assalto che li tenne avvinghiati al letto per l'intero pomeriggio.

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