11. Unione e Violenza

«Vuoi stare fermo?»

«Mhmm... Non ce la faccio... Ahh...»

«Cristo...»

Era davvero difficile, quasi impossibile per Levi non eccitarsi ascoltando la voce di Eren dar sfogo a tutto il piacere e la soddisfazione che provava. Le mani dell'Alpha scorrevano facilmente sui muscoli tesi della schiena, unta a dovere con l'olio profumato, lo stesso che fino a poco prima era stato usato per agevolare ben altri movimenti in un contesto molto più sensuale.

Ora, Eren si trovava sdraiato a pancia in giù, le braccia stese lungo i fianchi e gemeva mentre il suo amante gli massaggiava le spalle indolenzite dopo il rapporto sessuale, per nulla delicato, appena consumato.

«Mhm... Sei davvero... davvero bravo... In tutto ciò che fai... Levi...»

Quell'affermazione lo invogliò a scendere con le mani tra le sue natiche, per prepararlo e mostrargli quanto effettivamente fosse bravo. Ma si trattenne, concentrandosi sull'evidente godimento che l'Omega provava nel sentire i suoi palmi scorrergli lungo la spina dorsale e poi sui fianchi, facendolo rabbrividire.

Quando iniziò a muovere i pollici con movimenti circolari sulla zona lombare, il verso che abbandonò le labbra di Eren fu osceno: un suono lungo e prolungato, che esprimeva tutta la soddisfazione e la beatitudine nel venire coccolato a quel modo. L'autocontrollo di Levi, invece, iniziava pericolosamente a cedere.

«Cazzo, Eren, vuoi che ti fotta di nuovo...?»

«No... Cioè, sì... Tra cinque minuti...» fu la flebile risposta, mormorata tra gemiti e sospiri.

Il suo corpo era bollente e le mani di Levi, fresche, una fonte di sollievo. «Solo... Un altro po'...»

Levi sorrise.

Era sorprendente quanto le cose fossero cambiate, tra loro. La fiducia reciproca che avevano raggiunto, passo dopo passo.

Continuò a massaggiare ogni centimetro della sua schiena dedicandosi successivamente alle braccia, sciogliendo ogni minimo nodo o contrattura.

Sotto di lui, Eren era alla sua totale mercé.

«Mhm... Stai facendo proprio di tutto per guadagnarti questa vacanza...» mugolò quando l'Alpha iniziò a versare nuovo olio sulle sue cosce, massaggiandolo giù, lungo le gambe. Tra le dita stringeva la busta con la prenotazione, leggendo e rileggendo con pigra beatitudine i dettagli di quel soggiorno che lo aspettava, di lì a qualche giorno.

«Ci sto riuscendo...?»

«È davvero quello che vuoi?»

Levi si fermò un istante, indugiando sulle cosce del ragazzo.

«Voglio quello che vuoi tu, Eren. La prenotazione è a tuo nome per darti la possibilità di scegliere. Non voglio che tu ti senta in obbligo, ma che decida autonomamente cosa fare del tuo regalo e se trascorrere quei giorni in mia compagnia o meno.»

Sapeva benissimo che, se l'Omega per qualche motivo avesse preferito trascorrere il calore da solo, ne avrebbero sofferto fisicamente entrambi. L'eventualità che scegliesse un altro Alpha, poi, lo faceva ringhiare internamente al solo pensiero. Ma più di ogni altra cosa, desiderava che Eren sentisse il bisogno della sua presenza e di nessun altro, non per necessità ma perché, semplicemente, lo voleva accanto. Perché sentiva la medesima sensazione che provava Levi nel proprio petto, nello stargli vicino.

L'Omega percepì quel lieve cambio di atmosfera e si girò, appoggiandosi sui gomiti per cercare lo sguardo dell'uomo. Le sue sopracciglia erano aggrottate sopra quei due grandi occhi verdi, la pupilla dilatata al centro dell'iride sgargiante.

«Ma sei serio? Io credevo stessimo giocando...» disse, divincolandosi dalle sue mani per potersi mettere seduto, le gambe chiuse, piegate da un lato e le mani posate sulle ginocchia. «Non voglio andarci da solo. E sicuramente non voglio qualcun'altro. Io credevo che noi... stessimo... insieme...?» mormorò, sentendo il cuore battere in gola. L'Alpha, nel vederlo così agitato, si sentì morire e rinascere al tempo stesso.

Dal giorno in cui gli aveva proposto di essere il proprio compagno – con una certa fretta, ne era cosciente – non avevano più affrontato l'argomento "coppia": Eren era stato chiaro sul fatto che non potesse formare un bond con lui, fatto di impronte e marchi visibili, perciò Levi si era dedicato anima e corpo nel coltivarne uno emotivo; un sentimento che non si piegasse all'attesa e rimanesse saldo nel tempo, aspettando il giorno in cui finalmente il giovane avrebbe potuto lasciarsi andare.

Il fatto che gli stesse praticamente confessando di considerarsi suo, nonostante l'assenza fisica del loro legame, gli riempiva il petto di gioia e dolore insieme.

«Volevo solo sentirtelo dire, Eren...» tentò di rincuorarlo, accarezzandogli il viso col dorso della mano per evitare di ungergli la pelle. «Ti appartengo, ormai, pensavo lo sapessi.»

«Lo so» rispose, prendendo la sua mano nella propria. La avvicinò alla bocca, baciando le cime delle dita, strofinandole piano contro le labbra rendendole lucide. «E finché giocavamo era un conto, ma non... Non mi piace l'idea che mi immagini... mhm...» si interruppe, incapace di concludere la frase e prestare voce a quel pensiero. Non voleva sembrare stupido o debole, ammettendo di odiare l'idea di stare con qualcun'altro. O che Levi potesse anche solo considerare un'eventualità simile.

«Non piace neanche a me...» confessò, un lieve sorriso a increspargli le labbra. «Voglio solo che tu stia bene.»

... che stia bene con me.

Delicatamente, lo fece distendere sul letto, seguendolo subito dopo e accarezzandolo ovunque le sue mani giungessero, senza fretta.

«Ti piacerà tantissimo: lo chalet è caldo e confortevole, adatto alle nostre esigenze; potremmo rintanarci lì senza mai avere bisogno di uscire, ho fatto riempire la dispensa con ciò che occorre. L'aria di montagna ti gioverà, e il paesaggio è magnifico.»

Eren iniziò subito a fare le fusa. Lo ascoltò parlare, gli occhi chiusi, le dita che gli accarezzavano la schiena nuda mentre immaginava ciò che le parole di Levi descrivevano.

«Se saremo soli, potremo uscire anche se in pieno calore» mormorò, strofinando le labbra tra i suoi capelli. «E guardare le stelle.»

«Tutto ciò che vuoi. Se ti va, l'ultimo giorno potremmo esplorare i dintorni. C'è un sentiero che conduce a una grotta naturale, dove stalattiti e stalagmiti non si sciolgono mai.»

«Mai...?» biascicò il ragazzo, ormai tra veglia e sonno.

«Esatto. Mai...»

Il corvino continuò a regalare quelle piccole coccole al compagno, fino a quando il suo respiro divenne regolare. Con dolcezza, spostò i capelli dal viso di un Eren serenamente addormentato.

Ridacchiando, andò a raccogliere il lenzuolo, coprendo il ragazzo per evitare che prendesse freddo per poi stringerlo a sé. Le braccia di Eren ricambiarono immediatamente l'abbraccio, mugolando nel sonno il suo nome mentre si rannicchiava contro il suo petto.

Levi non si era mai affezionato così tanto a qualcuno. Non si era mai legato a tal punto da preoccuparsi della salute e del benessere di un altro individuo che non fosse lui, figurarsi in modo così estremo. Totalizzante. Aveva a cuore tutto di Eren, e l'irrazionale paura che aveva di perderlo, il timore che potesse accadergli qualcosa, il prepotente bisogno che sentiva di proteggerlo gli fecero comprendere ciò che, inconsciamente, già sapeva.

Col viso affondato tra i capelli d'ebano di Eren, confessò a sé stesso una verità più forte di qualunque altra.

«Credo di essermi innamorato di te...»

* * * * *

Eren contava le ore che lo separavano dallo chalet. Dalla sua – loro – vacanza.

Era primo pomeriggio. Il suo permesso sarebbe iniziato alle otto di quella sera. Aveva già la valigia pronta ed insieme a Levi, quella sera, avrebbero preso un aereo per la loro destinazione. Il calore del camino lo chiamava, evocando in lui fantasie che a malapena ricordava di aver mai avuto. Sperava che ci fosse un tappeto, di fronte a quel fuoco. O che il letto fosse proprio accanto.

Sarebbe stato un nido perfetto.

Era questa l'immagine a cui si aggrappava nella propria mente nell'osservare Reiner Braun, un Alpha che lavorava sul suo stesso piano, gridare brutalmente contro due stagisti, lì da poco più di un mese. Eren era entrato nella saletta a lite già iniziata e non aveva afferrato bene i dettagli ma, più in generale, aveva capito che i due Beta avevano commesso un errore scambiando i fascicoli di due cartelle, e quello sarebbe diventato per loro un pessimo inizio di settimana.

Pur odiando l'abuso che il collega faceva della sua voce Alpha, Eren non si sarebbe mai permesso di intervenire nel rimprovero di un suo collega, per quanto incivile questo potesse essere.

Non accettò, però, che i pugni di Braun cominciassero a piovere sul tavolo accanto ai due giovani, rovesciando perfino i portamatite e terrorizzandoli a morte.

Gettando via il proprio bicchiere di pessimo caffè, si staccò dalla parete e sotto lo sguardo allibito degli altri presenti, rimasti immobili, raggiunse il gruppetto.

«Basta così. Hanno afferrato il concetto: più attenzione alla burocrazia.»

«E tu che cazzo vuoi? Sparisci, Jaeger, prima che ne dia anche a te!»

La sua rabbia scivolò addosso ad Eren come acqua fresca.

«Sono stagisti, Braun. Lavorano tanto per te, quanto per me.»

«Sono degli incompetenti che potevano mandare in aria due casi!»

«Non sarebbe mai potuto accadere, a meno che qualcuno non preveda di andare in aula prima di controllare il proprio materiale. Quello sì che sarebbe un vero comportamento da inetto, non ti pare?»

Braun ringhiò ed Eren resse il suo sguardo, le braccia incrociate sul petto. Ancora una volta, ringraziò la presenza dei soppressori che impedivano al suo debole corpo Omega di cadere in ginocchio di fronte al nemico.

«Andate a sistemare ciò che avete fatto» ordinò quindi agli stagisti, senza smettere di guardare l'altro.

I malcapitati scapparono letteralmente dalla stanza; uno dei due in lacrime, l'altro troppo spaventato per parlare.

«Non avevo ancora finito con loro» ringhiò ancora Braun.

Eren, teso nonostante la disinvoltura che mostrava, strinse i pugni nascosti contro il petto.

«Li stavi terrorizzando!»

«Ed avevo ragione di farlo!»

«Stronzate! Nessuno ha il diritt–»

«TU NON AVEVI IL DIRITTO DI INTERROMPERMI!»

Neanche Eren a quel punto riuscì a restare indifferente nel momento in cui l'Alpha gridò, tirando un ennesimo pugno sul tavolo che scricchiolò sotto la sua potenza, crepandosi.

Le grida e la piccola folla, radunata fuori la saletta, fermarono l'avanzata di Levi, di ritorno da una riunione con Smith.

Si vedeva già nello chalet, con Eren tra le proprie braccia, ma quell'insolita agitazione lo mise in allerta. Sentiva che qualcosa non andava e ne ebbe la conferma quando uno dei presenti fece il nome del compagno, alle prese con la furia di Braun.

Nella sala tutti sussultarono, pietrificati, quando quest'ultimo intrappolò Jaeger contro una parete, il viso a pochi millimetri dal suo, i denti stretti e le narici dilatate.

«Resta al tuo posto, Beta» sputò, come fosse un insulto.

La mente del giovane avvocato era un foglio bianco. L'istinto e la ragione lottavano nel suo petto, bloccando qualsiasi reazione e lasciandolo immobile. Non sottomesso né in controllo, finché un nuovo ruggito, profondo quanto quello di una belva feroce, tagliò l'aria.

Eren ingoiò un guaito a cui non avrebbe mai potuto permettersi di dar voce, all'arrivo del proprio Alpha.

Levi non ebbe alcun bisogno di farsi spazio tra la folla: il suo ringhio, ferale e pericoloso, bastò a spartire le acque aprendogli il cammino come fosse un profeta.

Nell'istante in cui vide l'altro Alpha così vicino ad Eren, così intimidatorio, così aggressivo, gli sembrò che del sangue gli stesse colando dinanzi agli occhi. E non sarebbe stato certamente il proprio.

Quasi spettatore di sé stesso, vide la propria mano afferrare il collega e sbatterlo contro il muro con tale forza da stordirlo, i pugni stringersi sulla sua giacca per tirarlo giù all'altezza del proprio viso e mostrargli i denti che lo avrebbero ferocemente azzannato non appena avesse osato aprire bocca.

Era ad un passo dal reclamare ciò che era suo.

Infine, incrociò gli occhi di Eren che lo guardavano con astio e soprattutto delusione.

Si riscosse appena in tempo, prima di commettere un errore che gli sarebbe costato caro, decisamente più di quanto era disposto a pagare. Non riuscì a impedirsi, comunque, di trasudare tutta la rabbia che aveva in corpo.

«Che cazzo stai facendo, Braun?!»

Anche tra gli Alpha, esisteva una gerarchia. Alcuni avevano più forza e sottomettevano gli altri al proprio volere. In origine, quest'ordine naturale delle cose aveva assicurato ai più forti il diritto di accoppiarsi per primi, di perpetrare le generazioni creando figli con il DNA dei più potenti elementi della specie. Per la sopravvivenza.

Ora, invece, quella catena di rispetto continuava a vivere per ragioni meno fondamentali: comando, potere, violenza, privilegi superficiali.

Levi non aveva mai fatto nulla per affermare la propria posizione nell'una o nell'altra parte di quella catena, ma era evidente agli occhi di tutti che sebbene non si trovasse esattamente in cima, era il più vicino tra tutti loro ad esserlo.

Braun non guaì, quando venne afferrato e sbattuto con violenza, ma espose la gola, sottomettendosi per puro istinto a chi più forte di lui era arrivato a metter fine al suo breve regno.

Non rispose e la saletta cominciò a vuotarsi, di tutti meno Eren che, seppur si fosse avvicinato alla porta non appena aveva avuto l'occasione di allontanarsi dal "ring", non mostrava alcun desiderio di abbandonare il campo di battaglia. Le sue motivazioni, solo l'Alpha corvino poteva immaginarle.

Col calore del proprio mate così vicino, i suoi sensi erano acuiti al punto da riuscire a percepire il battito accelerato del ragazzo come fosse il proprio. Il suo respiro pesante. La rabbia e la vergogna nel suo odore che a breve sarebbe cambiato, diventando irriconoscibile.

Lui era la sua priorità. Braun solo un imbecille da rimettere in riga. Lo lasciò andare ed il biondo scivolò a terra.

Eren aveva già messo una mano sulla maniglia della porta. Nei suoi occhi, Levi leggeva chiaro il messaggio: seguimi, ora, e non fare casini. L'Alpha obbedì.

Un passo, due, tre lontano dal nemico e verso la sua metà. Gli diede le spalle.

Reiner pensò che fosse una buona occasione per scavalcare il confine e scalare i gradini della piramide.

Specchiato negli occhi di Eren, in quelle grandi gemme di un colore che non aveva nome, Levi vide: la sua paura restringere la pupilla, le palpebre spalancarsi, le labbra schiudersi per gridare un avvertimento.

Braun aveva fatto la prima mossa.

Un Alpha li stava per attaccare.

Un Alpha li avrebbe difesi.

Tutti i muscoli di Levi si tesero all'unisono, pronti a scattare non appena la presenza dell'avversario si fece incombente su di lui.

Il collega era possente e ben piazzato, ma il corvino non aveva nulla da invidiare a nessuno in fatto di forza e agilità. Veloce come un fulmine, lo colpì con tanta veemenza da scagliarlo contro il tavolo alle sue spalle. Il rumore fu assordante, l'impatto violento, e Reiner grugnì dal dolore. Non ebbe il tempo di fare – pensare – altro che Levi già gli era addosso.

L'Alpha dagli occhi di ghiaccio fu spietato: l'animale aveva sostituito l'uomo, pronto a difendere il proprio compagno e il territorio, furioso al punto da non sentire dolore alle nocche ricoperte di sangue – di chi, non lo sapeva né importava – mentre colpiva furente il rivale; quello era diventato un vero e proprio scontro per la supremazia, e Levi non aveva alcuna intenzione di perdere.

«... –mati! Fermati ho detto!»

Sentì le braccia di Eren cingergli le spalle, i gorgoglii rassicuranti riverberare nella sua gola mentre tentava di spostarlo dal corpo inerme di Braun talmente malmesso da avere a stento la forza di respirare.

«Cosa sta succedendo qui?»

La voce di Smith risuonò, minacciosa e tonante, nella sala. Qualcuno lo aveva chiamato, riportandogli quanto stesse accadendo, e non ne sarebbe venuto fuori nulla di buono.

«Cazzo...!»

«Ackerman, nel mio ufficio, ora. Braun, con te farò i conti dopo» decretò, lapidario. «Jaeger, rimettilo in piedi per quanto possibile.»

Levi si rialzò, evitando di guardare Eren negli occhi. Aveva totalmente perso il controllo, e non voleva leggere in quelle gemme la delusione. Sperò solo di non aver mandato tutto a puttane.

* * * * *

L'avvocato si accomodò sulla poltrona di pelle, nell'ufficio di lusso di Smith sito all'ultimo piano, con un tonfo morbido. La vista, dall'enorme vetrata tirata a lucido, era mozzafiato.

Si chiese come stesse Eren, cosa stesse facendo. Se solo Braun avesse osato nuovamente toccar–

«Ti ho congedato poco fa; tuttavia eccoti di nuovo qui, e quest'incontro per me è tutto fuorché piacevole. Si può sapere per quale assurdo motivo Kirschtein ha dovuto bussare alla mia porta?» La voce del socio titolare lo riportò alla realtà, distogliendolo dal pensiero del compagno.

Così era stato quel muso equino a parlare...! Se ne sarebbe ricordato a tempo debito, magari in prossimità di una causa dalle scartoffie polverose e infinite fotocopie da allegare.

«Braun è una testa di cazzo» fu la sua risposta, lapidaria e concisa.

«Levi, i piani alti sono di dominio Alpha: se devo iniziare a preoccuparmi delle vostre gare a chi piscia più lontano, questo studio andrà in rovina. Non è da te cadere in simili frivolezze.»

«Il fatto che siamo in maggioranza non giustifica quel coglione nell'aggredire i Beta. Sono tutti dipendenti della Smith-Zackley, e nessuno è autorizzato a rimproverarli a quel modo...» Lo sguardo severo che vide sul volto del proprio interlocutore lo costrinse ad aggiungere qualcos'altro. «... Eccetto voi, ovviamente.»

Dio, se gli era costato dirlo...! Se Eren lo avesse sentito pronunciare una frase simile, lo avrebbe certamente odiato.

Forse lo odiava già.

Che stupido era stato a perdere il controllo a quel modo, esponendoli a dei riflettori che non volevano né potevano permettersi. Se solo fosse riuscito a tenere a bada il suo istinto Alpha... Ma il calore dell'Omega era così vicino che nulla aveva potuto contro la bestia, pronta a proteggere con unghie e denti il proprio mate, prossimo a quel periodo così delicato e intimo.

«Su questo concordo con te. Braun avrà una retrocessione contrattuale. Scendere di un piano non gli farà male. Per quanto riguarda la tua persona, invece, sai che come elargisco premi infliggo anche castighi.»

Smith si portò un bicchiere di liquore alle labbra, sorseggiandolo con calma e prendendosi il giusto tempo per gustarlo appieno.

«Quattro giorni di sospensione, e il caso Miller va a qualcun altro.»

Levi quasi non balzò in piedi, i nervi già provati dalla precedente rissa.

«Oh, andiamo Erwin, ci lavoro da mesi! Non puo–»

«Fine della discussione, Levi, è cosa fatta. Puoi andare.»

Il corvino si alzò con veemenza, raggiungendo a grandi falcate la porta in legno massello e afferrandone la maniglia, quando la voce del suo capo lo raggiunse. «Datti una ripulita, sei sporco di sangue.»

Levi sbatté la porta con malagrazia, facendone rimbombare il suono lungo il corridoio. Quella giornata, che si prospettava fantastica, stava per concludersi nel peggiore dei modi. Avrebbe solo voluto affondare il viso nei capelli del compagno.

Si chiese se, dopo ciò che era successo, avesse ancora il diritto di considerarlo tale.

* * * * *

Kirschtein, Springer e Hoover ebbero la prontezza di aiutarlo a sollevare il corpo dell'Alpha, decisamente troppo grosso per lui da sorreggere da solo, e metterlo su un tavolo. Avevano provveduto a lavargli il sangue dal viso e a portare un po' di ghiaccio per lividi e bernoccoli. Niente sembrava rotto o così profondamente squarciato da meritare l'ambulanza. Eren si allontanò dall'Alpha biondo non appena gli fu possibile, lasciandolo alle cure degli altri.

Le sue mani tremavano, così come anche le gambe, ed il cuore batteva così forte che una volta rifugiatosi nel proprio ufficio dovette mettervi una mano sopra. Faceva male.

Aveva vissuto tutto al rallentatore: il fisico massiccio di Reiner Braun che caricava come un toro furioso dritto verso di loro, i muscoli di Levi tendersi all'immediata percezione del pericolo. Per proteggersi. Per proteggerlo.

Quando finalmente era tornato in sé aveva subito tentato di fermarlo, ma ormai il danno era fatto.

Si guardò le dita, sporche del sangue che aveva pulito o forse di quello che aveva toccato quando aveva afferrato Levi, stringendolo a sé e ringhiando in quel modo rassicurante, un richiamo che solo gli Omega erano in grado di produrre. Per convincerlo a seguire lui e non l'istinto.

Per evocare Levi, scacciando l'Alpha.

Gli ormoni accumulati nel suo sangue, abbondanti per la prossimità del calore, gli stavano rendendo incredibilmente difficile affrontare la situazione. Una parte di lui voleva piangere, l'altra gridare infuriata, una terza ignorare l'accaduto e tornare a lavorare.

Diede ascolto all'ultima, distraendosi come meglio poteva mentre le lancette dell'orologio si muovevano inesorabilmente in avanti, eppure lente. Lentissime. In modo quasi insopportabile.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top