04. Rischi e Vantaggi
Era notte fonda.
Levi non sapeva quante volte si erano amati da quel mattino, aveva perso il conto. Al susseguirsi di ogni ora, ad ogni amplesso, il risentimento per quella breve convivenza iniziata nel peggiore dei modi era andato scemando, lavato via dall'acqua calda con cui il corvino puntualmente ripuliva il giovane Omega al suo fianco.
Si sentiva calmo, rilassato, mentre gli accarezzava pigramente la schiena facendolo rabbrividire. Quando un polpastrello sfiorò un morso, il castano sibilò per il dolore e istintivamente Levi andò a leccare quella ferita inferta in un attimo di profonda lussuria e piacere. Eren sospirò, appagato dalle innumerevoli cure che l'uomo gli riservava.
Ognuna di quelle lappate gli dava sollievo e con esse anche le carezze, il calore del corpo che circondava il suo, la lieve e profonda vibrazione proveniente dalla sua gola. Eren faceva le fusa, rispondendo a tutto questo.
Qualcosa a cui non era avvezzo. Qualcosa che forse non aveva mai provato, perché non c'erano attenzioni dopo il sesso a cui si era abituato nel corso degli anni.
«A-ah... Mhm...» gemette, contorcendosi sulle lenzuola, ma le braccia di Levi lo trattennero a sé e lui vi si abbandonò. «Sei bravo. Lo fai spesso?» chiese. Una domanda posta con leggerezza, per spezzare il silenzio tra loro che in quel momento percepiva come un peso.
Non si può condividere così tanto con una persona e non rivolgergli neanche la parola.
Le labbra di Levi rimasero immobili per un istante. Poi ripresero a baciare e accarezzare quella pelle morbida e segnata da morsi, unghie e mobilio per il rapporto consumato in cucina.
«No» mormorò infine.
Il silenzio che ne seguì lo invogliò a proseguire, mentre Eren sollevava il capo appena sopra la spalla per osservarlo di sottecchi.
«Non sono uno che si intrattiene molto, dopo il sesso. Mi reputo cortese, non sono una bestia» spiegò, facendo scorrere la bocca sulla curva della sua schiena scura, «ma non mi piace nutrire nell'altro false speranze, qualora ce ne siano.»
Trovò un altro graffio, piccolo e fresco, leccando anche quello.
Eren si inarcò contro la sua bocca ed in risposta, l'Alpha lo strinse a sé con più vigore.
«Parlano di te, ogni tanto. I ragazzi al bar» gli confessò a voce bassa. «Hanno stima del tuo lavoro, ma non hai una grande popolarità come persona. C'è un giro di scommesse sull'ultima volta che hai fatto una scopata decente. Suppongo che ora potrei vincere l'intero piatto» rise.
Levi, il viso nascosto tra le sue spalle, accennò un sorriso.
«Il fatto che sia serio e rigido in ufficio non vuol dire che non scopi con una certa frequenza – e decenza, soprattutto» commentò, mordicchiandolo. «Ma mi trovi d'accordo sul fatto che adesso vinceresti un sacco di soldi. Il sesso con te è fantastico.»
«Presto! Un calendario!» esclamò allora l'Omega, divincolandosi per potersi girare verso di lui. «Levi Ackerman ha appena ammesso quanto io sia fantastico, devo segnare subito questa data!»
Il morso che ricevette sul capezzolo ora esposto, dato senza cattiveria, lo fece mugolare.
«Il sesso, ho detto: il tuo caratterino tutto pepe lascia a desiderare... E pensare che al lavoro sei così efficiente e posato, chi l'avrebbe mai detto.»
«Comodo insultare il mio carattere, ma non mi sembrava che il pepe ti infastidisse, mezz'ora fa. O due ore fa. O stamattina» lo riprese, tirandogli i capelli per allontanare la sua bocca dal proprio petto. «E lo sappiamo tutti e due che ti mancherà.»
«Potrebbe tornarmi in mente una volta o due...»
Si sporse, cercando le sue labbra per poi ritirarsi un istante prima di sfiorarle, lasciando l'altro con la bocca schiusa e soprattutto asciutta.
«Mi consola sapere che non sarò il solo a pensare a questi giorni. Mi guarderai, in ufficio, e ricorderai come ti ho preso, toccato, accarezzato» gli soffiò infine ad un orecchio. «Mi sbaglio, forse...?»
«Io non l'ho mai detto...»
Eren cercò di impedirsi di tremare per quel respiro diretto contro la pelle. Le dita dei piedi si arricciarono, l'unica reazione che non riuscì a trattenere.
«Ora parli così, ma fra tre mesi?» mormorò il ragazzo, appoggiandogli una mano sul torace. «Quando contando i giorni, ti renderai conto che tutto questo» disse, accennando a sé stesso, «è tornato e non ti basterà allungare una mano per prendertelo.»
Levi sospirò.
Non gli piaceva pensare che da lì a tre mesi Eren sarebbe partito alla ricerca di un Alpha con cui trascorrere il calore, con cui accoppiarsi e null'altro. L'animale dentro di lui ringhiava, immaginando l'Omega avvinto in un abbraccio che non fosse il proprio, ma la parte razionale di sé tentò di metterlo a tacere.
«Me ne farei una ragione, credo... Non posso costringerti a scegliermi.»
Ma il suo sguardo, e soprattutto il suo odore, lo tradivano come il peggiore dei Giuda.
Eren tacque, prendendosi un momento per respirare l'aria a pieni polmoni. In quei pochi secondi, con quel gesto, aveva messo al corrente Levi che no, non poteva ingannarlo. Il suo profumo parlava per lui ed Eren lo percepiva chiaro, quasi fossero parole scritte, nero su bianco, su un foglio di carta che non aveva alcun modo di nascondergli.
Mi vuoi per te.
Il suo corpo rispose e l'Omega gli leccò la gola, risalendo dal basso verso l'alto, lungo la giugulare.
«E se non ce ne fosse bisogno?» chiese.
La reazione fu immediata. L'Alpha lo afferrò rigirandolo facilmente con la schiena sul materasso, per posizionarsi sopra di lui, ed Eren rise. L'aveva colto di sorpresa, sì, ma non così tanto se si fermava a pensarci.
«Non prendermi per il culo, Er–»
«Dico sul serio. Se bussassi alla tua porta, tra tre mesi, apriresti?»
Il corvino lo fissò, tentando di scorgere in quelle iridi irriverenti un segno, una prova tangibile che gli stesse mentendo, che stesse approfittandosi della sua debolezza per prendersi gioco di lui.
Non ve ne scorse alcuno, e il suo odore dolce non fece altro che rafforzare quell'invito. Quella richiesta. Quel desiderio nascosto.
«Sì.» Quella risposta, secca ed onesta, galleggiò qualche secondo nell'aria prima che continuasse. «Sì, aprirei, Eren.»
«Oh» disse, fingendosi sorpreso senza però troppa convinzione. «Peccato, allora, che tu non voglia più avere niente a che fare con me e la mia truffa» commentò, facendo in aria le virgolette con le dita, «quando il calore sarà finito e la tua voglia soddisfatta...»
Le parole di Levi del giorno precedente ora gli si stavano ritorcendo contro, grazie all'abile lingua dell'Omega che, consapevole di avere in mano le carte vincenti, lo guardava sornione da sotto in su.
«Le nostre voglie» lo corresse subito. «Ho solo chiarito di non voler perdere il lavoro nel caso tu venga scoperto, non mi sembra così assurdo. Avrò a che fare con te in ogni caso: lavoriamo sullo stesso piano, le nostre scrivanie distano pochi uffici e il fatto che tu sia scrupoloso in ciò che fai potrebbe portarmi a bussare» specificò, visto che quell'avventura era iniziata per non averlo fatto «per chiedere il tuo aiuto...»
Quella era una vera e propria negoziazione, ne erano consapevoli entrambi, e non sarebbero rimasti a mani vuote.
«Cosa mi stai offrendo, Levi?» chiese, sollevando un sopracciglio.
«Un accordo: è chiaro a entrambi quanto ci piaccia tutto questo.» Levi guardò brevemente il corpo nudo del castano, prima di riportare la propria attenzione sul suo viso. «Potremmo approfittarne.»
L'odore dell'Alpha permeò l'aria, tentando di portare acqua al proprio mulino e fargli accettare la proposta che aveva intenzione di fargli. Il desiderio di averlo – ancora – tra le mura di casa sua per tre fantastici giorni giunse alle narici dell'Omega, chiaro e deciso come se fossero state parole e non del semplice profumo.
«Sceglimi ancora, Eren.»
Eren trattenne per un attimo il respiro.
Non era facile trovare un partner fisso, che non pretendesse più di quel che aveva intenzione di dare. Tre giorni ogni tre mesi. Dodici giorni all'anno per essere amanti, 354 per essere estranei. Eppure Levi sembrava essere il pezzo di puzzle finora mancante.
«Ci voglio pensare...» rispose.
Non voleva esporsi troppo. Non aveva idea di come sarebbero andate le cose in futuro e affezionarsi all'idea di una casa in cui entrare e sentirsi al sicuro, caldo e nutrito non era un rischio che voleva correre.
Levi annuì, senza aggiungere altro. Non voleva sbilanciarsi più di quanto avesse già fatto. Preferiva non aggrapparsi alla speranza che Eren sarebbe davvero tornato da lui, tra tre mesi a quella parte.
Riprese invece a baciargli prima il viso e poi la gola. Meglio godersi il momento.
Eren si sciolse come burro al sole. Troppo presto per un nuovo picco di calore dell'Omega, i versi di piacere ed i gemiti sussurrati sottovoce erano tutta opera del ragazzo, il quale piegò il capo spingendo la pelle contro quella bocca delicata.
Gli piaceva il modo in cui Eren rispondeva alle sue attenzioni. Ad ogni carezza corrispondeva un fremito, ogni delicata lappata un sospiro soddisfatto, ed era intenzionato a scoprire ogni sfumatura che la sua voce – non ancora annebbiata dall'istinto – potesse assumere al semplice sfiorarlo con le dita.
Avrebbe voluto sussurrargli che era bellissimo in quel momento, che non aveva mai toccato nessuno con tanta cura e devozione come stava facendo con lui ora, ma preferì tacere e non dirgli quanto deliziosa considerasse la sua compagnia.
Il miglior sesso, il miglior Omega, il miglior partner di sempre.
* * * * *
«Che stai facendo?»
Eren sobbalzò, accovacciato sul pavimento. Tre parole, cinque sillabe che gli sfrecciarono nella schiena, pugnalandolo alle spalle.
Le sue dita si strinsero sulle due fiale che nascondeva, ma dalla sua bocca non uscì niente più di un debole gemito di sorpresa.
Levi, fresco di doccia, osservava il volto teso del ragazzo. Aveva pensato di controllare le mail dal portatile, in salotto, ma non si aspettava di trovarci Eren, né di vedere la sua espressione deformarsi in una vera e propria ammissione di colpa.
«Cos'è.» Qualcosa gli diceva che la risposta non gli sarebbe affatto piaciuta.
«Roba mia di cui non devi preoccuparti.»
Risposte come niente o nulla di che non avrebbero mai funzionato, con Levi.
Si era illuso che la doccia l'avrebbe tenuto abbastanza occupato da garantirgli il tempo per portare a termine il proprio compito senza dover rispondere a domande scomode, ma ogni sua previsione era stata brutalmente spazzata via.
«Che è tua l'ho capito, ti ho chiesto cos'é.»
L'uomo incrociò le braccia, guardandolo dritto negli occhi, ed Eren comprese che non l'avrebbe passata liscia.
Arreso, sbuffò fuori l'aria dai polmoni.
«Sono i miei soppressori. Questo è quello che mi rende ciò che sono.»
Levi lo scrutò attentamente. Non aveva mai sentito parlare di soppressori in fiala: generalmente erano compresse, al massimo sciroppi per quelli che non riuscivano a deglutirle. Erano rare le soluzioni iniettabili, poiché particolarmente intense ed efficaci. Avrebbero intaccato direttamente il sangue e il flusso ormonale, giungendo in parti del corpo delicate e sensibili.
Era roba forte. Pericolosa, se maneggiata in modo inesperto.
«Sono due fiale» commentò il corvino. «Differenti.»
«Quindi?» tergiversò l'altro.
«Attendo una risposta.»
«Si può sapere cos'altro vuoi, ora?»
«Conoscere la loro provenienza. Dove le hai prese?»
Alzandosi in piedi, Eren sospirò ancora. Dei soppressori si sarebbe occupato più tardi, ora doveva assicurarsi che Levi non andasse fuori di testa.
«Dove si comprano tutti i soppressori, in farmacia, Levi.»
Le iridi gelide dell'uomo sembrarono trapassarlo da parte a parte, mentre i suoi occhi si assottigliavano a due fessure.
«Posso vedere?» domandò, avanzando di un passo. I suoi peggiori sospetti furono confermati, quando vide il ragazzo esitare e spostare in modo quasi impercettibile la mano dietro al corpo, come in un distratto tentativo di nascondere ciò che conteneva.
«Perché vuoi saperlo?» chiese il ragazzo. «Pensavo che non volessi essere coinvolto.»
«Perché non vuoi dirmelo?» replicò l'altro, scuro in volto. «È tardi per non essere coinvolto, ci sono dentro fino al collo, e le tue risposte così vaghe danno l'impressione che sia qualcosa di illegale. Mi sbaglio forse...?»
«Non c'è assolutamente niente di illegale in quello che sto facendo!» Eren si affrettò a replicare, alzando la voce. Poi chiuse gli occhi, coprendosi il viso con una mano.
Poteva sembrare, a prima vista, un gesto seccato, una dimostrazione di fastidio o insofferenza, ma niente di tutto questo traspariva dal suo odore. Ciò che di lui si poteva respirare era l'imbarazzo, il disagio e la vergogna. Gli stessi sentimenti che avevano portato le sue guance a colorarsi e la sua mano a nasconderle alla vista dall'Alpha di fronte a lui.
«Si tratta di soppressori Omega, e stimolanti di testosterone Alpha...» farfugliò, andando a mettersi seduto sul divano accanto. «Se li prendo insieme posso ridurre il tempo del mio calore, bloccare tutti gli altri effetti secondari della mia dinamica e riprodurne alcuni tipici della Beta.» La sua era una vera e propria confessione, ed anche dopo aver abbassato le mani, Eren continuò ad evitare il suo sguardo.
«Nonostante quello che pensi, non sei affatto coinvolto in tutti gli aspetti di questa storia. Non sto facendo niente di illegale, e te l'ho detto solo per evitare che mi considerassi un tossico-dipendente o peggio, ma dovresti smettere di fare domande. Meno sai meglio è, non ho intenzione di comprometterti solo perché sei stato carino con me per una volta...»
Levi si avvicinò al ragazzo, inginocchiandosi dinanzi a lui sul pavimento freddo. La presa con cui gli afferrò il polso era tutt'altro che delicata.
«Eren, ti rendi conto che è pericoloso quello che stai facendo? Tutto questo avrà sicuramente effetti collaterali gravi, sono veleno per il tuo organismo. Come cazzo credi che nascondano il tuo odore, mh? Magia?!» sbottò, vagamente stizzito e molto preoccupato. L'espressione del castano, che somigliava a quella di un cucciolo bastonato, lo fece sospirare. «Non ho intenzione di dirti cosa devi fare, di arrogarmi un diritto che non ho, solo... Non fare cazzate.»
Recuperò il portatile, e andò in cucina e lasciando l'Omega da solo con i suoi pensieri. Avevano bisogno di riflettere, tutti e due.
Eren tacque, finché l'Alpha non se ne fu andato.
Cosa credeva, forse, che fosse stupido? Era più che consapevole di non avere in corpo la migliore delle soluzioni, ma non c'era nessun altro modo per poter arrivare dove voleva. Nessuno.
Nella solitudine del soggiorno, si iniettò di nascosto la prima dose del nuovo ciclo, quella che avrebbe portato il calore a finire entro ventiquattr'ore. Il liquido bruciò nelle vene per un paio di minuti, facendolo tremare, accovacciato sul divano. Poi, finalmente, il dolore passò. Il ragazzo si alzò in piedi, tornando sul letto, in camera, nel nido e attraverso il cellulare lesse e rispose ad alcune mail dell'ufficio, a cui si era collegato da remoto.
Quando il sangue ricominciò a bollirgli nelle vene, lo ignorò per più tempo possibile prima di doversi arrendere e cedere il controllo a quella parte di sé che con uggiolii e guaiti acuti, richiamò l'Alpha dove avrebbe dovuto trovarsi. Nel loro nido, tra le sue cosce, contro la sua bocca, a contatto con ogni parte di sé.
Levi sentì l'Omega lamentarsi e si affrettò verso la camera da letto. Sapeva che aveva preso quell'intruglio, nonostante si trovasse dall'altro lato della casa aveva percepito il dolore che aveva provato attraverso l'odore. Il suo Alpha aveva ringhiato, desideroso di cancellare immediatamente quella sofferenza e sostituirla con altro, ma si era imposto di restare lì dov'era: non era nessuno per imporsi su Eren e decidere della sua vita, e non voleva né poteva interferire. Doveva essere una sua decisione, quella, e di nessun altro. Quegli uggiolii però erano inconfondibili, una supplica a cui non poteva resistere tantomeno opporsi in alcun modo.
Non appena lo vide contorcersi tra le lenzuola, le pupille inghiottirono il ghiaccio dei suoi occhi.
«Eren...»
«Levi...» rispose, sporgendosi oltre il materasso, verso di lui.
Le sue mani per prime lo raggiunsero, toccandogli il petto coperto da una maglietta che gli sembrava così sbagliata lì, in quel momento. Ansimando, tentò di colmare la distanza tra le loro bocche, ma quasi perse l'equilibrio, il fisico troppo debole e febbricitante anche se non quanto lo era stato quando tutto era iniziato, quella sera in ufficio. L'attesa, tuttavia, aveva avuto le sue conseguenze. Le mani del corvino trovarono subito i suoi fianchi, sostenendolo. Uno contro l'altro si baciarono con foga e bisogno crescente, mentre l'uomo si liberava velocemente del vestiario separandosi dalle labbra del ragazzo lo stretto necessario.
Raggiunsero il centro del letto, rovinando lungo il tragitto la composizione perfetta approntata dal castano, stringendosi e accarezzandosi senza sosta, leccandosi e mordendosi, ansimando e gemendo il nome dell'altro. Quando Levi lo prese, ancora una volta, tutto il mondo sparì bruciato da quel calore infernale e quella passione e cura che solo l'uomo era riuscito a donargli in tutti quegli anni.
Eren riaprì gli occhi che era ormai notte fonda, e il cuore quasi gli si strinse. Levi lo stava leccando, disinfettandogli l'ennesima ferita, con la differenza che quella non era dovuta all'impeto con cui si erano accoppiati: era il punto in cui aveva iniettato i soppressori.
* * * * *
Il cambiamento fu lento, ma costante.
L'odore dell'Omega perdeva, ora dopo ora, sempre più la propria sfumatura dolce, diventando neutro e incolore. Levi non lo percepiva più con la stessa intensità ed ai suoi sensi diveniva gradualmente meno forte. Meno attraente.
La distanza tra loro crebbe, generando un abisso a cui era impossibile restare indifferenti.
La frequenza con cui consumavano gli amplessi era diminuita. I due trascorrevano sempre più tempo in stanze separate, ciascuno assorto nel proprio lavoro che portatili e cellulari consentivano di portare avanti.
Gli spuntini di Eren avvenivano a intervalli sempre più lunghi, non più scosso continuamente dalla febbre che in quei giorni lo aveva provato nel fisico e nella mente. Il suo corpo si rafforzava, grazie ai pasti equilibrati che Levi ancora gli forniva regolarmente, ma il corvino non sentiva più il pressante bisogno di averlo accanto e prendersene cura. L'Alpha non percepiva più la presenza dell'Omega.
I soppressori avevano fatto effetto, e il ragazzo aveva assunto le caratteristiche di un qualunque Beta.
Il legame tra loro andava assottigliandosi via via sempre di più e per entrambi era evidente quanto vicino fosse il momento in cui si sarebbe spezzato del tutto.
Nel giro di 72 ore, il calore era ufficialmente finito.
Vestito e pettinato, dopo una doccia come si deve, Eren si dedicò a riordinare la propria borsa. I pochi oggetti utili che conteneva erano stati portati in giro per tutto l'appartamento dell'Alpha, ma ora erano ritornati obbedientemente al proprio posto.
Mentre sistemava, poteva chiaramente sentire lo sguardo pungente dell'uomo alle sue spalle. Non aveva bisogno di girarsi per immaginarlo. Erano passati solo tre giorni, eppure riusciva perfettamente a vedere la ruga tra le sue sopracciglia, l'ombra nelle iridi di ghiaccio, le maniche della camicia arrotolate, per mostrare le braccia incrociate in quella posizione che – consapevole o meno – gli gonfiava i muscoli. La spalla appoggiata allo stipite della porta.
Qualcosa, sulle sue labbra. Una domanda, un'imprecazione, un insulto, una preghiera? Qualunque cosa fosse, non aveva modo di saperlo e non era sicuro di avere l'autorità per chiederlo.
O forse, più semplicemente, temeva la risposta.
«Bene, quindi... Io ho preso tutto, sì, ho finito... credo. No, ne sono sicuro...» disse, chiudendo la zip ed alzandosi in piedi mentre la borsa prendeva posto sulla sua spalla. «Quindi, ricapitolando no–»
«Se ti azzardi a ripetermi di nuovo di non tornare in ufficio prima di tre giorni almeno, io ti–»
«Okay, okay! Era solo per essere sicuro...»
Alzando gli occhi al cielo in un gesto teatrale, l'Omega si strinse il giubbotto al petto e la sciarpa attorno al collo. Il taxi che aveva chiamato sarebbe arrivato a minuti. L'avrebbe riportato a casa dove si sarebbe cambiato, liberato di quei vestiti che puzzavano di Omega lontano chilometri e sarebbe rientrato in ufficio in tempo per il primo pomeriggio, in perfetto orario con il proprio permesso.
«Uhm... Non so se sia il caso di dirti grazie di nuovo, ma... Sì, beh... Non sei stato male, quindi...»
Levi sbuffò, lievemente infastidito da tutte quelle chiacchiere inconcludenti.
«Vai, Eren.»
Il castano lo guardò un'ultima volta, prima di chiudere l'uscio dietro di sé. L'uomo restò lì, immobile, l'eco dei passi dell'altro che si indeboliva man mano che la distanza tra loro aumentava, ponendo definitivamente fine a quella parentesi inaspettata.
Certo che fosse ormai lontano, infine, accennò un sorriso.
«Non sei stato male neanche tu...»
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