03. Ostilità e Attrazione
Quando si svegliò, il suo intero corpo era ricoperto da segni di morsi, lividi, sperma e sudore. Eppure non si era mai sentito meglio. Si erano accoppiati più volte, fino a che il fisico di Eren aveva esaurito la carica folle di ormoni accumulata durante la giornata, ed era crollato in un pesante sonno ristoratore. L'Alpha corvino aveva svolto a meraviglia il proprio compito, rispondendo ai richiami di bisogno con prontezza, cura e passione insieme.
La sveglia segnava le quattro di notte, Levi dormiva lì accanto ed Eren si infilò in quello che sperava fosse il bagno per lavarsi, prima di rubare un accappatoio e tornare all'ingresso, per prendere i documenti dalla valigetta.
«Vuoi una mano...?»
Il ragazzo trasalì nell'udire la voce bassa e roca di Levi, decisamente più in sé rispetto a poco prima, ma non per questo meno intimidatorio.
Eren abbassò lo sguardo verso le duecento pagine che ancora erano rimaste da controllare e adattare, poi tornò a rivolgerlo su di lui.
L'uomo lo guardava, in piedi a braccia incrociate, ed Eren seduto sul parquet sembrava quasi un bambino.
«Puoi leggermi questo?» chiese, stringendo uno dei fascicoli.
Levi sospirò, andando a raccogliere il plico dalle mani del ragazzo e iniziando a sfogliarlo.
Non voleva sedersi per terra, nonostante sapesse perfettamente che il pavimento era più che pulito, ma restare lì in piedi lo metteva a disagio: gli sembrava di far pesare all'altro la sua condizione di momentanea debolezza.
Andò quindi a mettersi sul divano poco distante, invitandolo a raggiungerlo. Eren, di malavoglia e piuttosto dolorante, accettò il consiglio, confortato dall'odore di protezione che l'Alpha emanava.
In due il lavoro fu decisamente più semplice, considerando anche la maggior lucidità di Levi, che faceva saettare lo sguardo da un paragrafo all'altro con velocità e precisione, e le correzioni da apportare sembrarono persino minori di quelle reali.
Con testardaggine e forza di volontà, tutti i fascicoli vennero completati pochi minuti prima delle otto di mattina.
Eren crollò addormentato subito dopo e Levi scelse di lasciarlo riposare sul divano, coprendolo meglio possibile, prima di raccogliere il materiale e spedirlo all'ufficio tramite corriere – uno incredibilmente veloce e costoso.
L'Omega dormiva raggomitolato sui cuscini in posizione fetale, il cappuccio dell'accappatoio sollevato a coprirgli per metà il viso; persino in quel momento sembrava pronto a mordere – e non figurativamente parlando. Era una piccola merda tenace e combattiva, ed era riuscito a celare questo suo lato per ben quattro anni, vivendo come un impiegato modello sotto le mentite spoglie di un Beta.
Quanto gli era costato? Per lui, in quanto dinamica dominante, soddisfare una voglia improvvisa era un'inezia, una faccenda da poco; per Eren invece affrontare il calore ogni tre mesi, sotto la costante minaccia dei numerosi Alpha presenti in ufficio, senza usufruire di alcun congedo o permesso apposito... Valeva la pena?
Di riflesso, senza pensare, gli accarezzò delicatamente il volto esponendolo alla luce naturale del Sole che filtrava attraverso la tenda. Era bello, senza dubbio, da togliere persino il fiato. La sua pelle, ora che l'effetto dei soppressori era definitivamente terminato, emanava un profumo piacevolmente dolce e speziato. Chissà se anche il sapore era altrettanto buono; non si erano dati il tempo di fare altro che non fosse sopperire all'impulso del momento, guidati dalla frenesia di unirsi in qualcosa che sedasse quel fuoco indomabile.
Si chiese cosa Eren volesse fare, adesso che il calore era nel pieno della sua forza e ora che Levi era al suo fianco, disposto ad accudirlo prima di scegliere inevitabilmente il da farsi; si domandò se desiderasse rifugiarsi altrove, tra le braccia di qualcun altro.
Quel pensiero lo fece ringhiare sommessamente, marcando un territorio inesistente: Eren non era il suo Omega, non era null'altro se non un collega; eppure il proprio Alpha negava l'evidenza, smanioso solo di affondare i denti in quel collo scuro e invitante.
Forse il ringhio, forse la carezza, svegliarono il giovane. Il suo corpo era esausto, ma il sonno ugualmente leggero. Non sentiva ancora caldo, il livello degli ormoni era basso, nessun bisogno impellente di accoppiarsi.
Eren aprì gli occhi e trovò Levi di fronte a sé, una mano sul suo volto e lo sguardo attento, come se lo stesse studiando. Si strinse l'accappatoio addosso, cercando un pudore perso ore prima, poi si mise seduto.
«Buongiorno?» disse, titubante.
«Buongiorno» fu la replica incolore, l'uomo che ritraeva il palmo pallido.
A Levi non piaceva la confusione che sentiva dentro. Era una lotta interiore che lo spingeva verso Eren quando invece voleva solo allontanarsi ed evitare di restare coinvolto in qualcosa che non desiderava: non cercava un partner, tantomeno un rapporto continuativo nel tempo; tuttavia l'impulso che sentiva di stargli accanto era irrazionale e non gli concedeva il giusto spazio per pensare lucidamente. Decise di assecondarlo almeno in parte per evitare di fomentare quel conflitto infruttuoso, andando a preparargli qualcosa da mettere sotto i denti.
«Il contratto?» domandò Eren, scendendo dal divano per inseguirlo ovunque stesse andando; l'istinto di restare accanto all'Alpha, partner di quella stagione, glielo comandava. Si raggomitolò su una sedia della cucina, stringendosi le ginocchia al petto.
«Spedito in ufficio» rispose il corvino, versando dell'acqua in un pentolino per preparare del té. Aprì alcune ante, alla ricerca di cibo nutriente e appetitoso per il comp– l'ospite, porgendogli fette tostate, burro, miele e succo d'arancia fresco.
Si poggiò alla penisola, osservando Eren spiluccare la propria colazione, beandosi del modo in cui spezzava il pane portandoselo delicatamente alle labbra. Si sentiva un perfetto idiota nel notare come certi particolari gli balzassero all'occhio quando appena poche ore prima erano perfetti estranei. O meglio, lo erano ancora al di fuori delle lenzuola.
«Cosa vuoi fare.»
La sua non sembrava affatto una domanda, Levi lo sapeva bene, ma aveva bisogno di risultare chiaro: voleva sapere quale piega avrebbero preso gli eventi da lì in avanti, e non voleva né poteva decidere da solo.
«Dipende... Hai intenzione di denunciarmi?» Eren chiese di nuovo, smettendo di mangiare il cibo che controvoglia stava mandando giù. Aveva sete, ora, più di ogni altra cosa.
«Dovrei. Sono molto tentato, te lo assicuro, ma ciò che fai della tua vita non è affar mio...» decretò Levi lapidario, aprendo il frigo e lanciandogli una bottiglietta d'acqua fresca. L'istinto di accudirlo e rispondere alle sue necessità era così forte da farlo muovere ancor prima di pensare a cosa stesse facendo. E questo non gli piaceva. No, non gli piaceva per niente.
«E poi, farti cacciare dallo studio mi renderebbe solo la vita più difficile. Hai dalla tua il fatto di essere bravo in ciò che fai, altrimenti non avrei esitato un solo istante ad offrire la tua testa a Smith su un piatto d'argento. Dio solo sa cosa combinerebbe quell'idiota di Springer al tuo posto, per non parlare di quel leccapiedi con la faccia d'asino di Kirschtein.»
Per Eren fu impossibile non farsi andare l'acqua di traverso, trattenendo a fatica e senza particolare successo una risata nel sentire il modo in cui Ackerman aveva descritto uno degli Alpha più odiati da Eren, di tutto l'ufficio.
«Non puoi averlo detto davvero!» rise, asciugandosi le labbra con il polso. Sapere che, almeno per il momento, poteva considerarsi al sicuro aveva tolto un enorme peso dal suo petto.
«Il mio silenzio, comunque, equivale all'essere tuo complice, e non ho nessuna intenzione di rischiare il culo per te. Se ti scoprono e fai il mio nome, negherò fino alla morte. Sono stato sufficientemente chiaro, Jaeger?»
Eren mosse la testa e annuì, prendendo un ultimo sorso d'acqua.
«Onestamente, non chiedo di meglio» disse soltanto. «Peggio del venir licenziato c'è solo pensare di essere sostituito da Kirschtein. Manderebbe a puttane contratti di mesi prima ancora di aver messo il culo sulla sedia.»
«Questa è l'ipotesi più rosea» rispose sprezzante; ancora non si capacitava di come avesse avuto il posto, vista la sua inettitudine. «Ad ogni modo, tornando a noi... Credo sia meglio che tu trascorra qui i prossimi giorni. Considerando il modo in cui il mio corpo ha reagito al tuo... Non credo di essere in grado di... lasciarti andare ora.»
Il calore di Eren aveva condizionato il suo fisico, e l'Alpha in lui scalpitava per avere il comando, per passare ogni minuto possibile accanto all'Omega al cui appello aveva risposto. Certo, la sua parte razionale era ben presente, ma nulla poteva contro l'animale dal momento in cui aveva respirato l'odore del ragazzo, restandone soggiogato. Tutto quello che aveva programmato per i giorni seguenti – impegni di lavoro, nient'altro – era andato praticamente a puttane perché se anche Jaeger se ne fosse andato in quel preciso istante, l'Alpha ne avrebbe sofferto al punto da rendergli impossibile concentrarsi su qualunque cosa, impossibilitato a sfogare la lussuria che lo avrebbe assalito in risposta al suo lontano richiamo.
A quelle parole, Eren inspirò.
L'aria nella stanza era stata già fortemente contaminata dalla nota dolce e calda del profumo che proveniva dal suo stesso corpo, ma sotto, ben percepibile con un minimo di attenzione, poteva sentire il medesimo odore seppur più delicato, provenire dall'Alpha. Le loro dinamiche combinate avevano provocato l'uno all'altro la reazione più naturale e spontanea. Si erano attratti in qualità di partner compatibili ed ora l'idea di separarsi non andava a genio a nessuno dei due.
«Mi sta bene. Non farei in tempo a cercare un altro Alpha, ormai» rispose il castano, stringendosi nelle spalle. Si alzò in piedi, prendendo in mano il piatto ormai vuoto della colazione per andare a posarlo nel lavandino, accanto all'uomo. «E se tu vuoi evitare di passare le prossime trentasei ore a masturbarti come un disperato, direi che abbiamo un accordo. Resto.»
«Non sentivo questa esigenza, prima di aprire la fottuta porta del tuo ufficio del cazzo, ma grazie per la premura» sbuffò, osservandolo muoversi con la coda dell'occhio.
Non poté farne a meno. Per quanto ci provasse, per quanto si sforzasse, Levi non riusciva ad impedirsi di guardarlo. Il suo odore, quel profumo così soffice e vagamente speziato, gli giungeva alle narici, tentatore. Sapeva che di lì a breve si sarebbe intensificato, quadruplicando la smania di possederlo che non lo aveva abbandonato un singolo istante dall'attimo in cui se l'era trovato davanti, febbricitante e col fiato corto. Sentiva la voglia annidata lì, al centro del suo stomaco, fastidiosa e costante nella sua immobilità.
Eren rise dolcemente, poi si girò verso di lui, portando le mani sui fianchi. Non c'era niente, nel corvino, che in quel momento fosse minaccioso o anche solo lontanamente intimidatorio, né nella postura, né nel tono di voce. L'Omega si sentiva al sicuro con lui, abbastanza da arrischiarsi a provocarlo.
«Magari ti sarà di lezione per la prossima volta, ed imparerai a bussare.»
«Ti nascondi dietro il galateo quando sai perfettamente di essere quello in torto, solo ti manca il coraggio per ammetterlo a voce alta» sibilò Levi spazientito, sporgendosi verso quel moccioso arrogante.
I modi di fare di Eren, diametralmente opposti al suo atteggiamento schivo e riservato che aveva sul posto di lavoro, lo irritavano oltre ogni logica ragione. Si sentiva preso in giro, addirittura raggirato dal destino. Quel singolo, fatale errore – non battere le nocche sul maledetto pannello in finto legno – gli stava costando più di quanto fosse effettivamente disposto a concedere: aveva lasciato che un estraneo valicasse i confini della propria abitazione, che ne facesse uso a suo piacimento; ma la parte peggiore era il non riuscire ad detestarne la presenza quanto avrebbe voluto. Pur sforzandosi, Levi non si sentiva defraudato del proprio territorio, bensì arricchito di qualcosa che faticava a comprendere. Odiava la sensazione subdola e strisciante che, al pari del serpente dell'Eden, gli sussurrava suadente di accettare quel dono fatto di carne calda e morbide labbra su cui chiunque sarebbe stato felicemente disposto persino a morire. Eren, in quanto Omega, era la sua più profonda debolezza. Era un peccato mortale che lo avrebbe irrimediabilmente macchiato, sedotto, prosciugato di ogni autocontrollo e privato della propria indipendenza. Non gli era mai piaciuto considerarsi un predatore, ma non aveva mai sperimentato la sensazione di sentirsi vittima.
E la odiava al punto da fargli perdere la calma.
«E pensare che mi trovo in questo casino perché volevo aiutarti...» soffiò, afferrando Eren per la stoffa dell'accappatoio: lui, Levi Ackerman, che tendeva la mano al prossimo; assolutamente ridicolo. «Che coglione» concluse, voltando il capo verso qualcosa che non fossero i suoi occhi verdi, i quali lo trapassavano da parte a parte senza pietà alcuna.
Maledì Jaeger, il suo stupido sottoposto che aveva mandato a puttane il contratto, Smith e le sue urla disumane. Già che c'era maledì anche sé stesso e i suoi scrupoli di coscienza del cazzo che lo avevano condotto in quell'ufficio di merda.
«Non avrei dovuto essere lì, d'accordo, e quello che sto facendo è sbagliato, ma le persone perbene non sfondano le porte degli uffici altrui...» replicò il più giovane, agganciando un dito al passante dei pantaloni dell'uomo di fronte a lui.
«Non ho sfondato nessuna fottuta porta!» quasi urlò Levi in risposta. «Non è certamente per quello che ci troviamo in questo casino...!»
«Quale casino? Mi era sembrato di capire che avessimo un accordo: due giorni di sesso, e poi ne esci pulito come se nulla fosse mai accaduto» rispose, il tono un po' seccato mentre indietreggiava fino ad appoggiarsi al bancone della cucina alle proprie spalle.
L'Alpha lo seguì. Più lo guardava, più Jaeger lo irritava, eppure non poteva farne a meno. Quando il suo carattere ribelle gli urlava di stargli lontano, che gli avrebbe procurato solo altri guai, il suo corpo invece lo attraeva come la fiamma di una candela attrae la falena: impossibile resistere, inevitabile scottarsi.
Levi lo guardò con astio, persino rabbia, ringhiando sommessamente per manifestare tutto il suo nervosismo, il suo desiderio di prendere da lui le distanze il prima possibile, anche in quel preciso istante. Ma non l'avrebbe fatto, perché la sua pelle emanava un profumo troppo buono per privarsene.
«Accordo o no, resterò chiuso in casa, rimandando del lavoro che potevo non accumulare semplicemente facendomi i cazzi miei, rischiando di essere accusato come tuo complice in questa truffa perché qui nessuno garantisce che io la faccia franca, poco ma sicuro...! Dimmi cosa ci guadagno, davvero, dato che vedo solo rogne al momento» concluse, bloccandolo con le braccia contro il mobilio.
Le pupille si restrinsero negli occhi furiosi di Eren. Come poteva, quell'Alpha, parlargli a quel modo?
Cosa ci guadagnava? Un collaboratore decente in ufficio e due giorni del miglior sesso che avrebbe mai potuto desiderare! Ne avevano appena parlato, il loro contratto verbale ancora vibrava nell'aria, ma ora il suo fottuto orgoglio da maschio dominante gli imponeva di digrignare i denti e latrare imprecazioni contro Eren, come se la colpa fosse sua, quando in realtà non era di nessuno se non di una serie di sfortunate circostanze e una porta aperta senza bussare.
«E allora accompagnami a casa!» ringhiò dall'angolo di cucina in cui era finito relegato. «O dammi un fottuto telefono. Chiamerò un taxi. Nessun giorno di ferie. Nessun lavoro perso. Nessuno ti collegherà a me e tu potrai andare a fotterti qualcuno che non ti crei tutti questi problemi!»
L'aria nella stanza era diventata quasi irrespirabile. Il suo calore era tornato, diffondendo vampate di quel dolciastro profumo, tanto invitante ed erotico da appannare la vista di entrambi.
«Non ti do proprio un cazzo, moccioso insolente! È tua la colpa se sono ridotto in queste condizioni» sbottò quest'ultimo, avvicinandosi a lui talmente tanto da permettergli di percepire il rigonfiamento che premeva senza ritegno contro la sua coscia. Eren sentì le mani di Levi insinuarsi sotto l'accappatoio e afferrarlo per le natiche; con sforzi congiunti, ed un semplice e coordinato movimento, si lasciò sollevare e strinse le gambe attorno ai suoi fianchi, pelle nuda e bollente contro la stoffa pregiata degli ennesimi pantaloni che l'Alpha avrebbe poi dovuto cambiare.
«Non andrò a cercarmi un'altra seccatura, né ho alcuna intenzione di consumarmelo perché hai deciso di farti scopare da un altro povero disgraziato o morire per la febbre nel tuo dannato appartamento. Maledetto Omega, maledetto tu!»
Era a un soffio dal suo viso scuro, i denti scoperti quasi avesse intenzione di sbranarlo vivo, azzannarlo alla gola per la situazione sconveniente in cui lo aveva ficcato; per le sensazioni contrastanti che gli faceva provare e che negava con tutto sé stesso. Avrebbe dovuto scortarlo a quello stramaledetto taxi, assicurandosi che ci salisse e sparisse dalla sua vista, ma il pensiero che lasciasse quella casa – che lasciasse lui – lo martoriava dentro, contorcendogli le viscere. La ragione gli urlava di sbatterlo fuori a suon di calci, l'istinto di tenerlo lì, al sicuro e protetto, tra le sue braccia mentre lo prendeva fino a svenire.
«Alpha del cazzo.»
«Chiudi quella fottuta bocca, Jaeger!»
«Fammi tacere, Ackerman.»
Un istante dopo, si stavano baciando come se fossero ancora in ufficio; assetati, affamati. Eren ringhiò e Levi ruggì contro la sua bocca. Le unghie dell'Omega penetrarono nella sua schiena, l'Alpha affondò le dita nella carne abbronzata del ragazzo, lì dove lo sosteneva, l'accappatoio aperto a coprirgli solo le spalle.
Non persero tempo a trovare un posto più appropriato dove consumare quella passione bruciante. Mentre il corvino lo divorava schiacciandolo contro una parete, mordendo e succhiando le sue labbra con vigore, Eren portava le mani tra i loro corpi scoprendone frettolosamente l'intimità, senza preoccuparsi di privarlo dei boxer o qualunque altra cosa potesse far perdere loro altro tempo prezioso. Il castano era già umido e pronto per accoglierlo, e Levi troppo accecato dalla lussuria anche solo per pensare a cosa stessero facendo nella sua cucina.
Scivolò indisturbato nel suo corpo bollente, andando a succhiare al contempo la ghiandola sul suo collo. Il verso che emise Eren non era umano, così come quello che rimase ingabbiato nella gola dell'uomo che si cibava della secrezione lucida e dolce del giovane. Trovò alla cieca appigli a cui aggrapparsi con le mani, pregando che reggessero e la conseguenza del nuovo amplesso non fosse trascinarsi una credenza addosso.
Sentirlo dentro di sé era diventata una sensazione familiare, dopo solo un giorno. La verità era che non gli dispiaceva il modo in cui i loro corpi si univano, la chimica che li legava. Ciò che non poteva sopportare, invece, era il suo atteggiamento arrogante e non avrebbe lasciato che l'Alpha si comportasse come se lo possedesse.
Levi si spingeva dentro di lui senza un ritmo preciso, assecondando solo il bisogno di sentire quel calore avvolgerlo e la sua carne stringerlo ad ogni nuovo affondo. Lasciò il collo del ragazzo, scendendo sulla spalla ormai scoperta, l'accappatoio scivolato via dalla foga con cui si toccavano e muovevano l'uno contro l'altro, mordendolo con forza. Lo sentì gemere e urlare insieme, mentre coi denti lacerava la pelle per evitare di commettere una follia. Per impedirsi di marchiarlo, legandolo a sé per la vita, rendendola un inferno per entrambi. Non si sopportavano, a malapena tolleravano la reciproca presenza, e non fosse stato per le loro dinamiche così affini e compatibili, per i loro Alpha e Omega che si attraevano come calamite, sarebbero persino giunti alle mani. Invece eccoli lì, a divorarsi e segnarsi con le unghie, ansimando, ruggendo, gemendo senza sosta, troppo assuefatti per formulare un pensiero vagamente lucido.
C'erano lacrime che rigavano il viso di Eren e saliva che luccicava sulle sue labbra. In quel momento rimpiangeva di non aver aspettato, di non essersi lasciato prendere su una superficie più comoda sulla quale sfogare al pieno delle proprie capacità il fuoco che dal basso ventre risaliva, passando per le vene, infiammando ogni centimetro di lui.
Il corvino era perso: in quel momento la sua coscienza, la sua razionalità, erano annebbiate dalla presenza dell'Omega che, col suo odore e i suoi richiami, lo teneva avvinto a sé; l'uomo aveva lasciato il posto all'animale, seguendo l'istinto primordiale che gli urlava di possedere, marchiare, proteggere.
Mai, prima di allora, gli era capitata una cosa simile.
Mai, prima di Eren.
Incapace di fermarsi e ragionare lucidamente, col ragazzo ancora tra le braccia, lo fece distendere sul tavolo freddo. Non importava se il centrotavola sarebbe caduto o il bicchiere contenente il succo d'arancia rovesciato, voleva solo affondare meglio dentro di lui per venire e farlo godere. Dargli ciò che desiderava e, al contempo, quello che lui stesso anelava: spegnere quelle fiamme, cosicché Levi ed Eren potessero rinascere da quelle ceneri dove Alpha e Omega si sarebbero invece assopiti.
Le mani strinsero il bordo del tavolo ed Eren gettò indietro la testa. Il corpo si contorceva sulla superficie gelida, che l'aveva fatto gemere e sobbalzare quando era entrata così violentemente in contatto con la sua pelle bollente. Quasi senza rendersene conto, aveva iniziato a gemere versi meno animaleschi e sempre più somiglianti a sillabe.
Levi.
Levi, Levi, Levi. Più e più volte, un mantra ripetuto, una preghiera.
Quel suono così familiare quasi riscosse il suo proprietario. Era il suo nome, pronunciato da quelle labbra secche per la febbre e quella voce arrochita dallo sforzo.
«Eren.»
Non poté fare a meno di rispondere, chiamando e ringhiando il nome del ragazzo a un soffio dalla sua bocca, aumentando la velocità delle spinte fino a vedere i suoi occhi rovesciarsi e il corpo tremare sotto di sé in preda all'orgasmo. Lo raggiunse subito dopo, marchiandolo col proprio seme per poi crollare esausto su di lui.
Erano distrutti, stremati, ridotti a uno straccio. Sentiva il castano ansimare e deglutire ripetutamente, troppo disidratato per muoversi, parlare, chiedere aiuto o esprimere un qualunque bisogno, e l'istinto prese nuovamente il comando.
Levi si allungò, afferrando il bicchiere rimasto miracolosamente sul bordo. Aiutò il giovane a sollevarsi e mettersi seduto sul tavolo. Lasciare il suo corpo caldo gli diede una sensazione di perdita, ma tentò di accantonarla in favore di ciò che in quel momento era davvero urgente. Quando glielo avvicinò alle labbra, Eren si attaccò al bicchiere quasi senza guardarlo. Trangugiò il contenuto così in fretta che alcune gocce sfuggirono, rotolando lungo il mento ed il sospiro sollevato che seguì fu un premio per le orecchie dell'Alpha.
Dissetato, abbassò lo sguardo tra le proprie gambe, dove liquido seminale candido e tiepido colava lungo le cosce e sul proprio petto. Erano lì solo da poche ore ed avevano già ridotto in condizioni pietose due stanze dell'appartamento. In quel momento però era troppo stanco per riuscire a preoccuparsi di quale pessimo ospite fosse, in casa del corvino.
«Vieni. Ti aiuto a ripulirti.»
Quella frase, alle orecchie di Eren, suonò quasi strana date le ultime battute che si erano scambiati prima di saltarsi addosso. Decise comunque di non obiettare, tentando di scendere dal tavolo e arrivare al bagno sulle proprie gambe.
Mossa sbagliata.
Prima che cadesse come un sacco di patate a causa delle ginocchia troppo tremanti e inservibili, le braccia di Levi trovarono i suoi fianchi per sostenerlo. Lo prese in braccio senza dire altro, facendolo accomodare sul coperchio del water mentre metteva uno sgabellino nella doccia.
«Guarda che riesco benissimo a stare in piedi» mormorò il castano, quasi offeso nel vedere la piccola seduta nella cabina.
«Io posso camminare sulle mani, ma non lo faccio se non necessario» ribatté Levi, pacato. «Non ti farà male restare seduto qualche minuto.»
Lo aiutò ad infilarsi sotto al getto d'acqua tiepida, prima di privarsi del resto dei propri vestiti e seguirlo. Anche lui aveva bisogno di un po' d'acqua e sapone. Restando alle sue spalle, gli lavò con cura i capelli godendosi i mormorii di apprezzamento dell'Omega, insaponandogli successivamente spalle e torace. Quando stava per scivolare più in basso, la mano del ragazzo lo fermò.
«Q-questo posso farlo da solo» borbottò l'Omega imbarazzato e Levi, non visto, accennò un sorriso.
Se Eren l'avesse lasciato fare, probabilmente il suo corpo avrebbe ceduto immediatamente ad una nuova vampata di calore. Era troppo presto per farsi prendere di nuovo. Levi non lo lasciò solo, per assicurarsi che stesse bene nonostante la sua volontà di essere indipendente anche se in minima parte.
Lavato e pulito, il giovane si lasciò avvolgere da un morbido asciugamano ed accompagnare in camera, dove il letto era stato rifatto. Levi ve lo adagiò sopra, andando a recuperare una bottiglia d'acqua, la colazione avanzata e un paio di frutti freschi ben lavati. Magari, finalmente, avrebbe mandato giù qualcosa.
«Vado a sistemare di là. Chiamami se ti occorre qualcosa» disse come se potesse essercene davvero bisogno: sapeva benissimo che avrebbe percepito il suo odore e i suoi mugolii a chilometri di distanza nel caso. Si vestì in fretta con i primi indumenti che trovò nell'armadio. Non aveva senso curare l'abbigliamento – quando sapeva benissimo che di lì a poco tempo sarebbe stato nudo di nuovo – ed uscì dalla stanza.
Rimasto solo, Eren si stese sul letto, coi cuscini dietro la schiena a sostenerlo. Le gambe piegate trattenevano il piatto contro al petto, così che potesse mangiare senza rischiare di sporcare con briciole e gocce che sfuggivano dalla colazione.
La bottiglia dell'acqua fu la prima cosa a sparire quasi completamente. Bevve così in fretta da farsi mancare il respiro, ma in quel momento il bisogno di liquidi era più intenso di quello d'ossigeno.
I suoni provenienti dalla cucina gli comunicarono l'esatta posizione di Levi quando aveva iniziato ad addentare il secondo dei frutti a sua disposizione. Più mangiava, meglio si sentiva, mentre zucchero ed acqua entravano in circolo nel suo corpo. I suoi occhi diventavano più lucidi, la temperatura era ancora alta, ma ora era in grado di affrontarne le conseguenze fisiche, senza dover attingere alle già scarse riserve del suo fisico che la vita frenetica aveva reso troppo magro. Gli Omega erano famosi per le loro forme morbide, un altro dettaglio della dinamica che in Eren non era possibile scorgere.
Levi chiuse il rubinetto e ripose la spugna nell'apposita vaschetta, approfittando di qualche ultimo istante di solitudine. L'odore proveniente dalla camera da letto, debole ma intenso, gli diceva che l'Omega era sereno, che si sentiva al sicuro. L'esatto opposto del proprio stesso umore.
Eren era un pericolo per il suo equilibrio mentale. Il modo in cui era prepotentemente entrato nella sua vita, il come ed il perché, lo lasciavano basito se non addirittura sconvolto.
Non aveva mai cercato una relazione. Non la voleva, non si sentiva pronto. Non ci aveva mai nemmeno pensato, se non per rifiutare l'eventualità di avere qualcuno accanto. Eppure la presenza di Eren gli faceva dubitare delle proprie convinzioni, dei propri limiti, quasi un simile ragionamento fosse associabile al più grande degli stolti e non il più scaltro degli avvocati.
Tirando un ultimo, profondo respiro, tornò nella propria stanza e non appena vide il ragazzo, le gambe raccolte al petto e le labbra ancora lucide per il frutto appena mangiato, per un istante dimenticò perché si ostinasse a stare lontano dagli Omega. Poi il suo odore dolce glielo rammentò: diventavano una vera e propria dipendenza. Gli occhi di Eren si alzarono quando Levi entrò nella stanza e non lo lasciarono mai, neanche un istante.
«Ti senti meglio? Vuoi altro da mangiare?» gli chiese, sedendosi sul bordo del letto.
Alla sua domanda, Eren scosse la testa prima di schiarirsi la gola e completare con un: «No, sono a posto.»
La voce del castano era piacevole da ascoltare, ma l'uomo non era certo se lo fosse sempre stata o se quello fosse l'ennesimo dannato trucchetto mentale che l'Omega stava giocando al suo Alpha, senza che Eren e Levi potessero fare nulla più che esserne vittime.
E poi, un istante dopo, l'odore nella stanza cambiò drasticamente.
La sua presenza nelle immediate vicinanze risvegliò l'istinto che Eren, nella propria pacifica solitudine, aveva sopito. Senza rendersene conto, si mossero, avvicinandosi l'uno all'altro, pur senza toccarsi; la parte ancora cosciente di loro che imponeva di rispettare una distanza sociale, la quale stonava con la nudità di uno ed i segni rossi sul corpo dell'altro.
Il corvino lo guardò, impossibilitato nel distogliere lo sguardo dalle iridi smeraldine dell'Omega. Erano tanto vicini che il suo respiro, caldo e leggermente accelerato, gli giungeva alle narici chiaro e nitido.
Si sporse verso Eren, all'unisono col ragazzo, alla ricerca delle sue labbra che si mossero veloci sulle proprie, dettando un ritmo che era disposto a seguire. E in quel momento in cui si perdeva nuovamente, piegato dall'Alpha dentro di lui, Levi seppe che quel contatto più di ogni altro sarebbe rimasto impresso nella sua mente per i giorni a seguire, se non mesi.
Un bacio. Un semplice bacio ed Eren sentì la propria voce guaire contro quella bocca dalle labbra fresche e sottili.
Perse completamente il contatto con la realtà un istante più tardi e quando tornò in sé, le sue braccia erano avvolte attorno al petto del corvino, i palmi delle mani premuti contro una schiena tagliata da nuovi graffi.
Dovevano bruciare parecchio ed una parte di lui si chiese se non fosse il caso di scusarsi e offrirsi di disinfettarli in qualche modo. L'Omega lo stava già pregando di poterli leccare, per alleviarne il bruciore con la propria saliva, ma Eren rifiutò categoricamente l'opzione costringendosi a rimanere immobile in quella presa decisa che gli avvolgeva tutto il corpo.
Una breve lotta si svolse tra le due parti che governavano il suo essere e con la vittoria, Eren dovette accettare un compromesso con la propria metà più animale.
«Ehi. Ehi, Alpha» disse, attirando lo sguardo di Levi. «Pensavo... Visto che comunque devo restare qui per un po'... Non ne ho bisogno, okay, però... Se tu avessi qualche... cuscino o coperta...»
L'altro, pigramente, lo osservò balbettare ed arrampicarsi sugli specchi giusto per divertirsi un po', finché non decise di rispondere a quella richiesta per i suoi gusti così poco cortese.
«Certo, Omega» calcò quella parola, infastidito dall'appellativo ricevuto poco prima; non era solamente un Alpha, aveva un nome ed era Levi Ackerman.
Si mise a sedere, ravvivandosi i capelli e andando a recuperare qualche guanciale in più dall'armadio. Probabilmente i dolori che sentiva alle articolazioni erano più fastidiosi di quel che pensava.
«Ti occorre altro? Hai ancora sete, vuo-»
«Ancora...»
Levi sbatté gli occhi, perplesso.
«Ancora cosa?»
Eren arrossì, distogliendo lo sguardo da quello gelido dell'uomo nudo dinanzi a lui.
«A-altri cuscini... Trapunte, se ne hai...»
E allora l'Alpha, annusando l'imbarazzo del castano, comprese il motivo di tale richiesta.
Un nido.
Eren credette di star per morire di vergogna, quando la scintilla di comprensione si accese negli occhi di Levi, ma l'Alpha rimase stranamente silenzioso.
Si limitò ad annuire ed iniziò ad aprire vari armadi e scatoloni, appoggiando ordinatamente cuscini, coperte, sciarpe, maglioni e federe accanto all'Omega.
Eren tese la mano, sfiorando uno dei capi di vestiario, resistendo alla tentazione di portarlo al viso per respirare l'odore intrappolato tra le fibre del tessuto.
Quando ne ebbe abbastanza, iniziò ad allinearli sul bordo del letto dapprima in forma quadrata, proprio come il contorno del materasso. Ben presto però gli angoli vennero ammorbiditi da curve tonde e dolci, fino a non lasciare altro che un cerchio di stoffe e cuscini al centro del quale l'Omega si sedette, avvolgendosi nell'asciugamano rimastogli dalla doccia.
L'uomo restò in piedi lì, davanti al letto, assorto nei propri pensieri e mortalmente incerto sul da farsi.
Sapeva benissimo che gli Omega, per istinto, approntavano un nido in cui giacere con il compagno; un luogo dove vivere l'intimità circondati da una sensazione di tiepido conforto. Lo creavano perché l'Alpha scelto per il calore – o la vita – li facevano sentire protetti, al sicuro, e sentivano la necessità di ricambiare fornendo altrettanto benessere. Un piccolo angolo di paradiso in cui scambiarsi effusioni, bruciare dalla passione e leccarsi morsi e ferite.
Levi, però, non ne aveva mai visto uno.
Certo, aveva avuto dei partner Omega, ma per quanto i suoi modi fossero rispettosi e gentili non credeva di aver mai suscitato il bisogno, nel compagno del momento, di costruire un nido. Se era accaduto, non si era comunque mai trattenuto abbastanza per accertarsene.
Non aveva mai portato qualcuno a casa propria: era il suo mondo privato, dove non lasciava accedere niente e nessuno, eppure Eren era l'eccezione. Il primo calore – perché non aveva pensato l'unico? – che trascorrevano insieme ed eccoli lì, a guardarsi in preda al disagio di non sapere cosa fare.
Il castano alternava lo sguardo tra la stoffa ben distribuita e gli occhi chiari del corvino, mordicchiandosi il labbro.
Levi sentì una morsa al centro del petto nel fiutare dapprima la frustrazione, poi la delusione, del giovane Omega che ora gli sembrava, sommerso fino alla testa tra i cuscini, piccolo e indifeso.
«Posso?»
Quella domanda aleggiò nell'aria, sospesa. Non sapeva neanche perché lo avesse chiesto; insomma era evidente che fosse per lui, per loro, ma voleva sentirglielo dire. Voleva sentirselo dire.
Eren si costrinse a tenere lo sguardo puntato su di lui, mentre mormorava: «Sì...»
Il letto era grande, ma il ragazzo si spostò comunque da un lato, come a volergli concedere maggior spazio. Era evidente che una parte di lui stesse aspettando il giudizio dell'Alpha sul lavoro svolto. Che non sarebbe stato in pace finché non l'avesse avuto.
Stando bene attento a non spostare nulla, Levi si trascinò accanto a lui. Si prese un istante per guardarsi attorno, in assoluto silenzio. Poi, si schiarì appena la voce, allungando un braccio sulle spalle di Eren e trascinandolo con sé sulle lenzuola, distendendosi uno accanto all'altro. Fissò il soffitto, il castano che quasi tratteneva il respiro, per poi borbottare: «È comodo.»
La nota nel profumo di Eren cambiò immediatamente, mentre si accoccolava un po' più vicino a lui, e il proprio odore mutava in risposta.
Soddisfazione. Orgoglio. Felicità.
Quante sensazioni potevano scaturire da un paio di cuscini e alcuni pullover su di un materasso...
Non parlò, Eren, mentre si stringeva all'Alpha come se non avesse mai voluto trovarsi da nessun'altra parte. La rivalità tra loro si dissolse, quasi non ci fosse mai stata, come se il nido che ora li circondava non ammettesse al suo interno emozioni negative. Sereni, quasi purificati, rimasero al centro del loro piccolo, morbido angolo celeste, fino a che il calore non arrivò a disturbare nuovamente il loro riposo e distesi tra stoffe e cuscini, anche accoppiarsi parve diverso dal solito. Migliore.
Giusto.
Un inizio.
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