02. Gelo e Calore
Eren stava male. Stava davvero male, ma quelle duecento pagine lo guardavano con insistenza e la voce del Presidente Smith ancora gli rimbombava nelle orecchie.
Era così stanco, così distrutto, mentre le sue mani lavoravano seguendo un moto automatico, che neanche alzò subito lo sguardo quando sentì la porta aprirsi, la mente troppo concentrata a comprendere il significato delle parole che leggeva per far caso a tutto il resto. Ma poi, gli ingranaggi scattarono, i loro occhi si incontrarono e le sue iridi si sgranarono in preda al puro terrore, quando respirò l'odore forte e violento diretto dall'Alpha verso di lui.
«Cristo» imprecò il ragazzo scattando in piedi, quasi perdendo l'equilibrio a causa della debolezza.
L'istinto di Levi fu quello di afferrarlo, sostenerlo affinché non si facesse male, proteggerlo. Invece si aggrappò alla porta come se da quel contatto ne valesse della sua vita e soprattutto della propria sanità mentale, perché nessuno avrebbe protetto lui se si fosse lasciato andare come l'Alpha gli urlava di fare. Eren Jaeger era un Omega, contro ogni sospetto e pronostico, ed era in calore; un calore che lo stava investendo con la potenza di un uragano che non si sentiva affatto pronto ad affrontare.
Digrignò i denti, tentando di non emettere versi rassicuranti bensì ringhi minacciosi. Non lo voleva vicino, non lo voleva addosso, non voleva perdersi.
«Porca puttana, Jaeger!»
«Che cosa cazzo ci fai nel mio ufficio?!»
«Che cosa cazzo ci fai tu, nel tuo ufficio?! In–... In queste–...»
Ad ogni parola pronunciata, quell'odore trovava nuova strada per insinuarsi in lui, attraverso il naso e la bocca, che sentiva riempirsi di saliva come di fronte ad una cena che si è aspettata per tutta la vita. Alzò la mano libera e la portò davanti al viso, nel disperato tentativo di conquistarsi un po' di protezione in più.
«Io stavo lavorando!»
La voce di Eren somigliava sempre di più ad un guaito, quasi impossibile da trattenere nella condizione pietosa in cui si trovava. Il suo corpo tremava, i capelli sulla fronte erano appiccicati alla pelle.
«Credi davvero di potermi rifilare una stronzata simile?!»
Eren ringhiò e Levi rispose, un suono ferale, che proveniva direttamente dalle loro gole, selvatico. Sotto la presa della propria mano, Levi sentì la maniglia della porta scricchiolare e si rese conto di averne il metallo conficcato nella carne con tanta forza da averla resa bianca e dolorante. Doveva andarsene da lì. Doveva pensare razionalmente.
«Resta qui e non azzardarti a fare un solo passo fuori da questo ufficio. Chiamo un'ambulanza e–»
«No! Non puoi farlo!» gridò Eren, girando attorno alla scrivania nonostante le gambe tremassero. «Non puoi chiamare qualcuno, tantomeno un'ambulanza! Se questa storia si sapesse, io–»
«Per caso non ci vedi, imbecille? Perché io ti vedo – e sento – benissimo, e ti assicuro che sei nella merda!»
«Avvicina una mano al cellulare e giuro che prendo la prima enciclopedia dallo scaffale e te la sbatto in testa!»
Tanta forza e determinazione nella voce, nonostante l'evidente sofferenza fisica, fecero brillare una scintilla di ammirazione nell'Alpha. Aveva sempre saputo che Eren fosse testardo, ma non aveva mai avuto modo di capire fino a che punto. Ingoiò l'ennesimo ringhio che già vibrava in fondo alla propria gola, e si coprì gli occhi con indice e pollice: forse non vederlo per un po' avrebbe aiutato.
«Cosa vuoi fare, allora?»
Eren tacque, prendendosi un momento per pensare. Sapeva di non avere molto tempo, né molte opzioni. Il segreto che aveva custodito tanto a lungo era appena stato rivelato ed entro un giorno sarebbe diventato di dominio pubblico. La sua intera vita era stata rovinata, e non osava immaginare quali sarebbero state le conseguenze. In quel momento, tuttavia, sentiva la coscienza scivolare sempre più nell'ombra. Man mano che nel suo petto si faceva strada la rassegnazione per quella sua sconfitta, l'Omega acquisiva forza e guaiva, pregava, spingeva e ringhiava.
«Vuoi entrare?»
Se dentro di lui una voce gridava che tutta quella situazione era un disastro annunciato e la fine di tutto ciò per cui aveva lavorato per quattro anni, un'altra – molto meno razionale – si consolava dicendo che almeno, prima di andarsene con la coda tra le gambe, si sarebbe tolto lo sfizio di Ackerman.
L'intero corpo dell'uomo prese sensibilmente a tremare, preda di un istinto animale che faticava a tenere a bada. Tentò di focalizzare la propria attenzione su qualunque cosa non fossero gli occhi lucidi di Eren, le sue labbra turgide e i rivoli di sudore che scorrevano lungo il suo collo fino al pomo d'Adamo, scivolando in una danza umida che avrebbe solo voluto assecondare con la propria lingua. Percepiva distintamente la nota bisognosa in quel tripudio olfattivo che urlava lussuria in ogni modo, ormai ingabbiato nelle narici ed incollato alla gola.
Quella col proprio Alpha non fu affatto una lotta, bensì una sconfitta clamorosa dalle proporzioni bibliche e gli esiti disastrosi.
Non si accorse nemmeno di essersi chiuso la porta alle spalle, tantomeno di essersi praticamente lanciato in avanti verso il ragazzo che, barcollante, tentava di andargli incontro aggirando la scrivania ed accorciare una distanza esigua, ma per loro oramai insostenibile.
Levi era però paurosamente consapevole di cosa stesse per fare, di dove avrebbe posto le sue mani e la foga con cui si sarebbe impossessato della bocca di Jaeger. Lo sapeva eppure non aveva alcun controllo, perfettamente lucido, ma prigioniero del suo istinto che reclamava quel corpo bollente contro il proprio, desiderando solo di affondare in quel paradiso di carne e sensi.
Il modo in cui le loro bocche si scontrarono fu rude, violento, ma nessuno dei due fece caso alla cosa. Quel primo bacio non fu niente di speciale. Non sembrava neanche bacio, più un atto di cannibalismo che durò solo il tempo necessario a passare a qualcosa di più intenso. Le mani di Levi trovarono i capelli di Eren, strattonandoli per farlo aderire meglio a sé mentre lo schiacciava contro la scrivania. Poi passò alla sua camicia. Non si curò di aprirla, e strappò direttamente i primi bottoni per giungere più facilmente al punto che anelava annusare, sfiorare, persino mordere.
Maledettissimo moccioso...!
«Dove...? Come...!» prese a ringhiare sulle labbra di Eren, supplicando una qualche indicazione nella frenesia del momento. Voleva solo sapere dove sbatterlo e quanto intensamente, perché di fermarsi non se ne parlava proprio.
Quando leccò con cupidigia la ghiandola posta sul suo collo, lucida di umori densi come il miele, dalla gola di Eren uscì un suono che non aveva nulla di umano e che per Levi era davvero difficile associare all'immagine del giovane in carriera che conosceva. Versi di piacere e immenso sollievo riempirono l'aria già satura di una necessità crescente.
Bisogno. Desiderio. Lussuria.
Eren lo voleva almeno quanto Levi, forse di più. In quel momento per l'Omega il corpo di quell'Alpha e ciò che poteva dargli erano indispensabili quanto il cibo e l'acqua.
«Ovunque. Datti una mossa» balbettò come unico ordine, stracciando la camicia del corvino con la medesima foga. «Ah... Svelto...»
Al corvino non occorrevano certo suppliche. Si sarebbe preso comunque ciò che l'Omega aveva da offrirgli, le condizioni ormai non contavano più.
Si affrettò quindi a rimuovere l'intralcio dei pantaloni per arrivare ad annusare, toccare, assaggiare quel punto che sapeva per certo stesse grondando, nel disperato tentativo di richiamare un Alpha ben disposto a insinuarsi dentro di lui e placare quella smania che lo consumava. Levi lo fece voltare con un gesto brusco, petto sulla scrivania e natiche all'aria, le cosce che colavano il frutto del calore che si stava cibando di ogni fibra del suo – del loro – essere.
Quell'odore, già sentito in precedenza su altri Omega, lo avrebbe fatto letteralmente impazzire. Era più forte di qualunque altra scia avesse mai percepito, più dolce, più intossicante. Si sentiva come un drogato che, prossimo ai vertici del paradiso, desiderava solo potervi restare per sempre. Era il fatto che Jaeger fosse giunto al limite, a renderlo così appetibile? O era qualcosa insito nella sua dinamica...?
Ogni pensiero coerente lo abbandonò non appena iniziò a ripulirlo dagli umori con la lingua: un black out totale che fuse ogni circuito umano ancora funzionante, lasciando indietro solo la bestia pronta a fagocitare la sua preda consenziente; ad ogni lappata si avvicinava sempre più a quell'antro umido e invitante, le dita che artigliavano le gambe color caramello, mentre il ragazzo uggiolava senza ritegno né pudore.
Ad ogni respiro, Eren ansimava. Il suo corpo era caldo al punto da far sembrare fredda la lingua che si insinuava tra i suoi glutei, pulendolo. Ogni goccia di liquido era carburante per l'Alpha e pianse, quando arrivò a sentire la pressione lì dove il suo corpo disperatamente pregava di essere posseduto.
Le gambe cedettero e solo la scrivania rimase a fargli da sostegno. La febbre e gli ormoni erano tanti da stordire ragazzo ed Omega, ridotti ad un semplice corpo pieno di bisogno da soddisfare. A terra gocciolò il suo stesso sperma, sterile in quanto Omega, composto dal medesimo liquido che colava tra le gambe. Tutto di lui era un invito ad essere preso e divorato. Non aveva più neanche la forza di pregare.
Il corpo di Levi quasi tremava in risposta a quello di Eren, scosso dal calore. Il suo istinto lo implorava di impossessarsi di quel giovane, donargli sollievo e piacere, di accudirlo come solo un Alpha avrebbe potuto fare. Non perse tempo a lubrificare la propria intimità o a cercare un preservativo che sapeva per certo di non avere: si calò i pantaloni ed entrò in lui con un gesto secco, liberando un verso animale che rimbombò nella stanza.
Mio.
Sotto di lui, nonostante l'enorme quantità di umori, le carni di Eren lo avvolsero come una serpe nelle proprie spire, intrappolandolo. Un guaito sofferente ma enormemente soddisfatto lasciò le labbra secche per la febbre dell'altro che, col viso schiacciato su alcuni fascicoli, non vedeva nulla oltre l'ombra dell'Alpha sovrastarlo e spingersi dentro di lui quasi con ferocia.
Cacciò il polso in bocca e morse. La saliva colò dalle labbra, mista a lacrime e sudore. Singhiozzi e gemiti riempirono l'aria, le sue gambe aperte e malferme piantate a terra scivolavano sul pavimento, finché non si sentì afferrare per le cosce e sollevare di peso.
Diretto e violento, senza alcuna traccia di delicatezza, cura o attenzione, Ackerman si spingeva dentro un corpo che aveva esaurito i modi per ringraziarlo, se non lasciarsi usare a piacimento. Eppure Eren si rifiutò di chiamare il suo nome e si morse la lingua fino a sentire in bocca il sapore del sangue.
Levi continuò a godere, lasciandosi risucchiare dal corpo del ragazzo che si ostinava a non emettere alcun suono umano. Solo l'Omega tentava di comunicare con l'Alpha, chiedendo sollievo e attenzioni che il corvino non aveva intenzione di precludergli, ma Eren era tutt'altra faccenda: non gli era infatti sfuggito il modo in cui negava con ogni fibra umanamente disponibile quanto fosse assuefatto dalla sua presenza.
In fondo, non importava poi granché. Che senso aveva chiamarsi per nome quando tutto si sarebbe concluso ad amplesso consumato...? Forse sarebbe stato meglio usare il plurale, visto che dubitava sarebbero riusciti a fermarsi così presto... Prese a martellare dentro di lui con foga, a un ritmo malato e insaziabile, ringhiando al suo orecchio la propria supremazia non per minacciarlo, ma farlo sentire protetto.
Ci sono io. Lasciati andare.
Ed Eren spalancò la bocca, tentando di rispondere a quel richiamo primordiale solo per venir zittito un istante dopo dalle labbra del collega. Un bacio istintivo, fatto di morsi e saliva, movimenti frenetici e per nulla delicati, ma che lo tennero saldo e fermo sul posto. Eren non cercava protezione e con il ringhio che vibrò direttamente nella bocca dell'Alpha, si assicurò di comunicarglielo. Quel suono violento e indipendente stonava con le lacrime che gli bagnavano il viso o la quantità di umori che aumentava, rendendo più caldo ed umido l'interno del suo corpo.
Ad ogni spinta Eren si sentiva sempre più debole e distaccato, come se il corpo godesse e la coscienza si limitasse ad osservare dall'esterno. Ricambiò il bacio, comunque, meglio possibile, afferrando i capelli neri più lunghi, stringendoli tra le dita dalla presa troppo debole ormai per tirare.
Quando lo sentì tremare e le gambe irrigidirsi di colpo, liberando un guaito, Levi si riversò dentro di lui annebbiato dalla lussuria e dal piacere. Un istante dopo l'orgasmo, un rombo gli esplose nelle orecchie.
Ogni sostegno venne a mancare, quando chiuse gli occhi certo di una caduta contro la quale Eren non poteva fare nulla. L'Alpha lo afferrò per i fianchi, mantenendolo saldo e assicurandosi che non scivolasse a terra, sedendosi su di una sedia lì vicino col giovane in grembo. Le forze lo avevano abbandonato, troppo provato da quel calore così forte, ma la sua espressione era rimasta invariata: fiera, tenace, ostinata.
Levi sospirò, annusando la sua pelle color caramello. Si era cacciato in un brutto guaio, e tutto per colpa di un moccioso Omega troppo cocciuto per affrontare le cose nel modo in cui andavano prese. Chiuse gli occhi tentando di regolarizzare il respiro, silenziosamente in allerta per proteggere il compagno da chiunque e qualunque cosa.
Quando i sensi tornarono in suo aiuto, Eren aveva freddo ovunque, tranne il collo su cui sentiva il soffio regolare di un respiro e la pancia, attorno alla quale erano avvolte braccia forti e calde. Si mosse appena, strozzando un gemito quando si rese conto di essere ancora unito all'uomo sul quale era seduto. Poteva sentire la sua virilità dentro il proprio corpo, premere contro le pareti ad ogni loro respiro.
Cristo, pensò.
«Non puoi uscire o te la stai solo godendo?»
«E tu? Te la sei goduta questa giostra o credi di poterti presentare al lavoro in preda agli ormoni come nulla fosse...?» Levi non mosse un muscolo, aprendo solo un occhio per controllare cosa la giovane creatura che stringeva al petto stesse facendo. Il ragazzo era evidentemente provato dalla sua condizione, ma ciò non gli impediva certo di sputare veleno.
«Cosa ti aspettavi mettendo su questo teatrino in un ufficio che pullula di Alpha? Di farla franca vita natural durante?» continuò, accarezzandolo nel tentativo di scaldarlo. Era più forte di lui, non riusciva a toglierselo di dosso; ma più di tutto, ora che aveva provato quella sensazione, si sentì morire al rapido pensiero che a trovarlo avrebbe potuto essere un altro Alpha.
Eren alzò gli occhi al cielo. Ogni tentativo di richiamare il proprio corpo all'ordine andava fallito, e si arrese all'idea di rimanere proprio lì doveva aveva sognato di trovarsi decine e decine di volte.
«Se qualche coglione non avesse deciso di fottermi un lavoro di cinque settimane, sì. L'avrei fatta franca, nessuno degli Alpha qui brilla per capacità osservative, visto che sono quattro anni ormai che mando avanti il teatrino.»
Gli occhi di Levi brillarono d'ira.
«Fingo di non aver sentito la tua offesa non propriamente indiretta al sottoscritto. Sei bravo a nasconderti, Jaeger. Un odore buono come il tuo lo avrei sentito a distanza di chilometri, invece l'unica scia che emani è quella insulsa da Beta» lo rimbeccò, strofinando il naso nell'incavo del suo collo, un richiamo irresistibile per i suoi sensi di Alpha che scalpitavano per prendersi cura del giovane tra le sue braccia. Lo sentì irrigidirsi in risposta, per poi rilassarsi appena contro il proprio petto e sospirare, sconfitto.
Rimaneva poco tempo prima che le fiamme del calore ardessero nuovamente e li consumassero entrambi. Restava solo da decidere se crogiolarsi lì, in attesa dell'incendio, o spostarsi in un luogo decisamente più idoneo di una fottuta scrivania.
«Beh... Che intenzioni hai?» chiese Eren, stringendo le labbra in una linea sottile. Era sollevato di non poter essere visto in faccia, in quel momento.
«Assecondare il mio istinto. Prendermi cura di te fino a che sarà necessario. Dopo faremo i conti, la tua condotta avrebbe potuto arrecare danni ben più seri di questo» disse, riferendosi ai fogli volati sul pavimento. «O magari preferisci attendere il prossimo Alpha di passaggio? Smith gradirebbe un bel bocconcino come te...» ma quello, più che un avvertimento, suonò alle proprie orecchie come una vera e propria minaccia.
Mai avrebbe permesso a qualcun altro di toccare l'Omega.
«Vuoi dirglielo?!» urlò girandosi verso di lui. «Non puoi! Io sono bravo, molto più di tanti altri. Essere un Omega non ha mai creato alcun problema!»
Levi lo fissò, indeciso. Far presente all'ufficio del personale che la dinamica da lui dichiarata fosse falsa sarebbe stato di certo giusto e onesto. D'altro canto ciò che Jaeger affermava era vero: era bravo, talentuoso, preciso, più di tanti altri impiegati messi insieme.
«Ci penserò poi. Quel che mi preme ora è portarti in un posto sicuro. Non voglio spezzare il collo a qualcuno solo perché ha sentito il tuo odore.»
Eren ingoiò a fatica ogni parola scortese o istintiva. Non poteva permettersi di farlo arrabbiare e stava comunque troppo male per poter protestare.
«Non ho finito qui... Fammi almeno prendere le carte, così posso lavorarci... Ovunque tu voglia andare...»
Nella gola di Levi si riverberò un verso accondiscendente; finalmente aveva sentito qualcosa di sensato uscire da quella bocca rossa e intossicante.
«Va bene. Ripuliamoci per quanto possibile, non so se qualche inserviente sia in giro, e anche a me risulterebbe difficile coprire il tuo odore, così conciato.»
Lo aiutò ad alzarsi, scivolando fuori dal suo corpo bollente e sentendosi immediatamente defraudato di qualcosa che sapeva per certo non appartenergli. Quando gli parve che l'equilibrio di Eren non fosse così precario, girò brevemente nel piccolo ufficio alla ricerca di acqua o qualunque altra cosa potesse aiutarli a riacquisire un aspetto più civile.
Eren diede la precedenza a fogli e fascicoli. Appena libero, già era in ginocchio per raccogliere quelli caduti, borbottando a voce bassa per la scortesia dell'Alpha, che aveva usato la scrivania mettendo tutto in disordine e la propria stessa debolezza, che gli aveva impedito di reagire e fermarlo, troppo travolto dal bisogno di accoppiarsi.
Concluso il lavoro, l'Omega, stanco, andò a sedersi sul piccolo divano che faceva parte degli arredi del suo ufficio. Ebbe cura di non toccare direttamente i cuscini, per evitare che anche quella stoffa si impregnasse del proprio odore. Anche se la prima vampata si era placata, e gli effetti sarebbero stati molto più difficili da notare dopo una spruzzata di deodorante per ambiente, era meglio non complicare ulteriormente il lavoro che l'Alpha si era tacitamente offerto di svolgere.
Difatti, una volta rivestitosi, Levi aveva recuperato un flacone di detergente mezzo vuoto. Ogni dipendente ne teneva uno di emergenza per casi eccezionali, viste le costanti interazioni tra dinamiche, e il cui odore smorzava sensibilmente qualunque contaminazione. Non annullava del tutto la prova che, tra quelle quattro pareti, qualcosa non avesse seguito un corso propriamente ortodosso, ma sicuramente avrebbe attutito il profumo delle secrezioni di Eren in attesa che gli inservienti notturni facessero il loro dovere.
Prese a strofinare la superficie della scrivania quando l'occhio gli cadde sulla figura del giovane Omega che, spossato nel fisico e da una "ginnastica" non propriamente dolce, si era assopito sul divanetto. Stanco, debilitato, persino nel sonno la sua espressione era lievemente aggrottata, come se neanche tra le braccia di Morfeo riuscisse a trovare sollievo ed abbandonare le preoccupazioni che quelle pratiche incompiute gli procuravano. Interruppe il proprio lavoro per avvicinarsi a lui e ricoprì la sua fragile figura con la giacca del proprio completo. La sua dimensione era appena sufficiente a svolgere il silente compito di tenerlo al caldo, e l'Alpha seppe accontentarsi, consapevole del fatto che a breve lo avrebbe portato in un posto migliore, dove le cura non sarebbero mancate.
Si dedicò a pulire per un quarto d'ora buono. Gettò i fazzoletti usati non appena reputò che l'aria nell'ambiente fosse tornata respirabile. Spalancò le finestre, e trasalì quando l'aria gelida della notte colpì il proprio corpo, coperto solo da una camicia leggera.
«Oi. Diamoci una mossa» lo chiamò deciso – ma non eccessivamente brusco.
Eren trasalì appena, il torpore che lo abbandonava lentamente mentre si metteva seduto e osservava quella giacca che fino a poco prima era certo di non aver avuto. D'istinto respirò attraverso la stoffa, riempiendosi i polmoni dell'odore del suo proprietario, dimentico del fatto che l'Alpha fosse proprio lì davanti a lui, ad osservare un comportamento tanto imbarazzante.
Levi però non disse nulla. Si avvicinò, aiutandolo ad alzarsi in piedi e gli porse in ordine un cappotto e due sciarpe, che Eren avvolse in modo da coprirsi il più possibile.
Si spruzzò addosso una quantità illegale di acqua di colonia che teneva in via precauzionale nell'ultimo cassetto della scrivania e, finalmente, recuperò la borsa con i documenti.
«Sbrighiamoci. Non so quando succederà di nuovo, ma lo sento... Non manca molto.»
Levi recuperò velocemente la propria valigetta, chiamando l'ascensore con insistenza e pregando le divinità in ascolto di non trovare nessuno all'interno dell'angusto cubicolo. Azzannare qualcuno non rientrava decisamente nei suoi piani.
La loro fu una vera e propria corsa verso l'auto del corvino e, una volta all'interno, la vista del maggiore si annebbiò nuovamente nel respirare il forte odore dolciastro di Eren, il quale si contorceva sul sedile scuro in preda ai dolori e alla voglia spasmodica di essere nuovamente posseduto.
«Parti, dannazione!» quasi gli ringhiò contro quest'ultimo, la voce acre in netto contrasto col suo sguardo supplicante, e Levi si diede un calcio mentale, avviando il motore ed uscendo dal parcheggio.
Il traffico era moderato, considerando il periodo della settimana, ma era comunque eccessivo per i gusti di entrambi. Eren era troppo spossato per pensare al da farsi e cullato dal senso di sicurezza e dal rombo dolce del motore, rischiava di addormentarsi di nuovo. I pensieri dell'uomo invece vorticavano tra il fermarsi al primo Hotel disponibile e il portarlo al proprio appartamento – in cui nessun Omega aveva mai messo piede.
Mortalmente combattuto alla fine scelse la seconda opzione, valutando che se davvero fossero riusciti a lavorare la comodità di casa propria sarebbe stata a loro vantaggio: bagno, cucina, piccolo studio; tutto ciò che occorreva durante un calore con impegni lavorativi improrogabili.
«Dove stiamo andando...?» chiese il ragazzo, stringendosi le braccia attorno al corpo mentre la macchina prendeva una strada che non aveva mai visto.
«... A casa mia. Potrò prendermi cura di te e avrai il giusto spazio per lavorare, se ne avrai la forza...» concluse infine, stringendo le dita sul volante all'ennesima zaffata di profumo che gli giunse alle narici. Sapeva che Eren non lo faceva apposta, ma era comunque destabilizzante tentare di mantenere una certa concentrazione quando sentiva la sua erezione pulsare vivace nei propri pantaloni.
«... Mi dispiace» fece Eren, lo sguardo puntato sulle mani tese sul volante.
Era consapevole di quanto Levi stesse "soffrendo" per mantenere l'auto in carreggiata, nonostante la sua distrazione. Allungò una mano per tirare giù il finestrino e l'aria fredda della notte autunnale lavò via il calore, dando un po' di sollievo ad entrambi.
Il suo umore stava cambiando, il suo temperamento si stava ammorbidendo. Era l'effetto del calore, del sesso, delle coccole, anche. Era qualcosa che non poteva controllare.
«Non preoccuparti. È il tuo corpo a parlare e so che è difficile non assecondandarlo...» commentò, l'aria fresca a liberargli la mente dai pensieri lussuriosi che lo affliggevano.
Finalmente imboccò il sottopassaggio che conduceva al garage, situato sotto il palazzo in cui risiedeva. Gli piaceva il comfort di vivere in un posto in centro città, ma apprezzava anche il silenzio e la discrezione che derivavano dall'alloggiare all'ultimo piano dell'edificio.
Entrarono nell'ascensore, Levi che sorreggeva il ragazzo di nuovo febbricitante e privo di forze, e si diressero verso l'ingresso dell'abitazione. Ogni razionalità e logica vennero chiuse fuori dalla porta, ed i due amanti si lasciarono nuovamente accecare dai fumi di quella passione illogica e trascinante.
Le valigette finirono abbandonate a terra, all'ingresso. Gli occhi di Eren erano già chiusi, la bocca aperta, la lingua dentro la bocca del corvino che lo teneva in braccio, tra sé e la porta. Ogni altra cosa non aveva più importanza.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top