Capitolo 8

Brooklyn, New York City - 13 Settembre 2012 

Chiunque abbia detto che l'Università è un party non stop, non ha chiaramente mai atteso una classe, o aperto un libro del corso. I miei giorni erano completamente pieni tra lo studio, il mantenere una vita sociale pressoché accettabile e i miei hobby. E l'essere completamente all'oscuro e sprovvista di una cultura per l'arte che sembrava accomunare il resto dei miei compagni, non aiutava certamente. Suppur, fino ad ora,  ero riuscita  ad organizzare al meglio il mio tempo, era perché avevo qualcuno che mi cucinava e lavava i vestiti tutti i giorni.

Penserete che, dopo quasi un mese di vita da sola a NY ormai, avessi imparato a non aspettare l'ultimo minuto per fare il bucato. In cui sei a corto di magliette e calzini puliti, sopratutto quando l'unica opzione è dovertene occupare tu stessa, e sai benissimo di non essere affidabile sotto questo aspetto. Specialmente quando il momento in cui realizzi che sei a zero maglie e calze è alle 23 di sera e google ti dice che tutte le lavanderie ora sono chiuse, e devi quindi precipitarti a quelle self service a 700 metri di distanza dal tuo appartamento.

E seppur Candice cerca di corromperti e dirti che faresti prima se andassi a fare shopping di vestiti nuovi da utilizzare l'indomani, piuttosto che andare a lavare quelli che hai già, rifiuti perché no, shopping sfrenato a mezzanotte quando sei stanca e leggermente sotto stress non lo vuoi fare. Prendi così al volo uno dei primi scatoloni del trasloco che ancora non avevi gettato con la convinzione che sarebbero tornati utili (E infatti!) e ci conficchi tutti i vestiti sporchi che hai. Senza badare troppo a dividere i colori dei capi, perché tanto, lo sanno ormai tutti che il tuo guardaroba è composto solo da svariate tonalità di nero.

Dopo aver realizzato di aver sprecato 13 preziosissimi minuti in cui potevo già essere alla lavanderia e aver ficcato i miei vestiti in lavatrice, mi sbrigai ed uscii dall'appartamento di fretta, camminando a passo svelto fino a fine strada.

Entrai nella lavanderia e mi avvicinai alla prima macchina libera, caricai la roba e infilai due quarti  nello slot delle monetine. In pochi minuti la lavatrice era in moto e funzionante. Mi sistemai su una delle lavatrici di fronte alla mia che non erano state prese e, prima di prendere in mano il telefono e perdermi negli abissi di internet, mi ritrovai persa a guardarmi attorno, osservando l'ambiente circostante e notando come la lavanderia illuminata a giorno dai neon e le sue superfici bianche, fosse in netto contrasto con l'esterno e il buio della notte.

Iniziai a scrollare Instagram, cercando di far passare il tempo, ma piano piano, incominciai ad appisolarmi. Presi così dalla tasca nel retro dei miei jeans le miei cuffiette di emergenza (si, sono così ossessionata dalla musica che ho un paio di cuffie per ogni capo con tasche; il che, per chi non si può permettere di avere un paio di cuffiette per paio di pantolini, sembrerà assurdo, ma chi può, lo fa. Non per vantarmi, per carità). Me le sistemai e cercai una canzone che mi ravvivasse un po', frugai tra le migliaia di playlist che avevo creato nel telefono e feci partire Tumbling Dice.

Mi misi a canticchiare il ritornello «Got to roll me .... got to roll me!» e muovendomi a ritmo, perché, ammettiamolo, nessuno riesce a stare fermo durante una canzone degli Stones. Scesi  giù dalla lavatrice su cui ero seduta piroettando, quando ad un tratto mi sembrò di vedere qualcosa, o meglio, qualcuno. Mi fermai, ma il tempo di rigirarmi verso la vetrina e qualsiasi cosa ci fosse stata, se ne era andata.

Non sapevo se fosse la stanchezza della giornata che mi aveva fatto diventare paranoica, o stavo per impazzire. Perché questa non era certo la prima volta che mi capitava di sentirmi osservata, o di incontrare qualcuno di strano. Ma dopotutto eravamo a NY, non conosciuta certo per la sua normalità e monotonia. E forse gli sguardi che sentivo addosso erano solo un vecchio ricordo della cittadina in cui avevo vissuto fino ad ora, di cui proprio non riuscivo a scrollarmene di dosso il peso.  

Mi ricomposi subito quando vidi la porta aprirsi ed entrare una signora anziana con un grande cestone del bucato piene di lenzuola. Cercando di entrare, con la visuale coperta dalla biancheria da lavare, sbatté contro un lato dell'ingresso. Mi sfilai le cuffiette e la aiutai, rendendole il cesto e poggiandolo ai piedi di una delle lavatrici vuote in prossimità dell'entrata. 

  «Grazie» sibilò con voce gracile. Le risposi con un sorriso, perché ero ancora in fase ansiolitica da paura e leggermente sonnolenta.



----- spezzone corto, ma dopotutto la mia storia non si divide in capitoli ma momenti :) Il prossimo vi posso assicurare sarà più corposo in quanto finalmente arriverà un po' di azione!


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