Capitolo 7

New York City - 7 Settembre 2012

Ormai era qualche giorno che avevo iniziato l'università, la mia nuova vita, eppure non riuscivo a togliermi dalla faccia l'espressione di pura gioia e stupore. Ogni qual volta entravo nell'edificio, la sua bellezza e maestosità mi stupivano. Non potevo che ammirare tutte le bellezze che avevo il piacere di osservare ogni qual volta desideravo. Solo agli studenti era concesso entrare in questo edificio. E purtroppo, erano solamente circa due centinai di studenti selezionati, con i più preziosi curriculum e referenze del paese.

Ora, vi starete chiedendo quindi che diamine ci faccio qui io. Giusto? Beh, ecco uno dei lati positivi di essere ricca e ovviamente la figlia di un senatore (uno di quelli più intimidanti ovviamente). Cosa non si poteva comprare al mondo a parte qualsiasi cosa? Perché si, tutto ha un prezzo. Ora, non avevo dovuto pagare l'università per farmi accettare, ma il mio nome era sicuramente il fatto per cui mi avessero accettato e non rifiutato, questo era certo. E seppur questo voleva dire che avrei potuto fare qualunque cosa, andare ovunque voglia, non sarebbe comunque stato per le mie capacità, ma per uno stupido nome. Un nome assurdo, che odiavo. Che non mi era neppure stato dato per il suo bellissimo significato, ma per propaganda politica, tutto qua.

Ritornando a noi, l'edificio in cui vi era il mio distaccamento, credo fosse uno dei migliori e più belli della città. In stile neoclassico, si stagliava tra i vari edifici e palazzi semi-moderni e caratteristici di un'urbanizzazione frettolosa e senza gusto (o così la pensavo io), tipica dell'Upper East Side. Locato vicino alla 5th Avenue era forse uno dei pochi palazzi a soli tre piani, quasi una contraddizione nella città che lo vedeva quasi come uno spreco di spazio, che si espandeva ormai solo in altezza e non in larghezza.

Inizialmente era stata un'abitazione di una ricca famiglia proprietaria della 'Compagnia Americana del Tabacco' (pezzi grossi insomma) e l'aveva poi ceduta all'Università di NY, o qualcosa di simile. In ogni caso, l'università era stata poi ristrutturata e aveva aperto ufficialmente i battenti nel 1958, e non potrei esserne più grata. Il mio livello di capacità descrittive non ne fa per niente giustizia.

Una volta superati i massicci portoni in legno dell'entrata, ci si ritrova in questo atrio alto più di sei metri, con pavimenti in marmo bianco, che danno luce e vitalità all'ambiente. Sebbene sia per lo più oscurato per preservare l'integrità artistica presente nell'edificio. La prima cosa che si notava entrando, e che balzava all'occhio, era la scala in stile barocco, con delle intricate e affascinanti trame che ti portavano fino al secondo piano, dove vi sorgeva un piccolo mezzanino. Esso ospitava un piccolo angolo biblioteca e lettura, con vista dall'alto sul magnifico ingresso.

La maggior parte del pian terreno, del primo piano e del secondo, conservavano ancora la maggior parte del mobilio originale, rimandando ad un'atmosfera d'altro tempo. Il terzo piano (se così si poteva chiamare, tanto fossero striminziti i locali) era sostanzialmente formato da piccoli cubicoli ricavati nel tetto, una volta riservati alla servitù, ora erano dedicati agli uffici personali dei membri della facoltà.

Anche se studiare non mi era mai realmente piaciuto (dai, ammettiamolo, a chi è che piace realmente? Ci sono tantissime cose migliori da fare con il proprio tempo), non mi dispiaceva neanche un po' essere costretta a studiare e seguire le lezioni in un posto così fantastico. La bellezza del luogo superava di gran lunga il mio astio per lo studio. Per questo, ogni mattina o pomeriggio che entravo per seguire una lezione, entravo con il sorriso, e ne uscivo con uno ancora più grande. Ormai era la quinta volta che entravo in questo edificio, e ancora non aveva finito di stupirmi, ed io ero ricca, per chiarire. Ero stata in innumerevoli posti grandiosi.

Questa mattina entrai con aria felice e il mio libro di storia d'arte romana stretto in mano, tutta contenta di essere arrivata in orario (se non in leggero anticipo!) il che per me era una rarità! Mi diressi verso le scale, ed una volta arrivata al mezzanino mi fermai accanto al muretto e vedendo che non c'era nessuno, poggiai il libro sulla sponda accanto a me e tirai fuori il telefono per fare una foto da postare su Instagram, sicura che sarebbe stata fantastica. Aprì l'applicazione. Ma in quel momento lo schermo si illuminò, segnalando una chiamata in arrivo. La suoneria da quell'angolazione risuonava come la sirena di un ambulanza, facendo eco in tutto il palazzo, al che, presa alla sprovvista, quasi mi scivolò il telefono giù per terra, ma, mentre mi muovevo per prenderlo saldamente in mano, con un gomito urtai contro al libro che avevo poggiato accanto a me. Il tomo, dopo un tuffo di 6 metri, risuonò con un grande "Bam" in tutto l'atrio. Inorridita guardai giù e vidi che era caduto a letteralmente tre centimetri di distanza da un ragazzo. Lo avrei potuto uccidere, o ferire seriamente. Scioccata, mi rigirai e mi misi le mani sugli occhi. Poi, con una presa di coraggio, voltandomi nuovamente, mi sporsi a riguardare il mio libro, che ora era in mano al povero ragazzo. Lui alzò lo sguardo, e, dopo una faccia un po' sorpresa, si mise a scrutarmi. Io gli sorrisi, con aria di scuse. Raccolsi la mia borsa da terra, e mi fiondai giù dalle scale.

Il ragazzo mi raggiunse, salutando al contempo la sua amica, che fino ad ora non avevo nemmeno notato fosse con lui, mentre lei mi passava accanto in direzione opposta alla mia.

«Credo che questo appartenga a te» mi disse, allungandomi il libro, che afferrai immediatamente. Constatando, al contempo, con faccia sbalordita che non si era fatto nemmeno un graffio (in effetti, ora che ci ripenso, era caduto in modo perfetto di faccia, cosa che non vorresti mai succedesse a te o al tuo cellulare).

«Si, è decisamente il mio, effettivamente non lo trovavo più» replicai per sdrammatizzare.

«Io sono Brian» disse allungando la mano, che io stringetti prontamente.

«Piacere, Dakota!»

E così mi ero fatta il mio primo amico a NYC!


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Central Park, NYC - 8h più tardi

«Un attimo» ansimai, fermandomi e mettendomi le mani sulle ginocchia e inspirando. «Da quando ti piace correre così tanto?» Chiesi, dirigendomi alla panchina più vicina.

«Non mi piace correre ''così tanto'', mi piace correre ''a Central Park''» rispose lei mimando le virgolette e un espressione come per dire ''Ovvio!''.

Per qualche strana ragione Candice era riuscita a convincermi ad andare a correre a Central Park. E sì, noi abitiamo a Brooklyn, completamente dall'altra parte della baia, ci divide letteralmente un fiume e un mare. E no, non ho ascoltato Candice che cercava di convincermi ad andare fino a Central Park correndo e poi continuare lì. Se proprio voleva correre, avremmo preso la metro fino a Manhattan e poi avremmo corso al parco. E così facemmo. Col cappero che mi sarei messa a sfaticare per 20 miglia. Ma in ogni caso, dopo neanche 20 minuti, ero già stremata, e stanca, e assetata, e completamente sudata, ma Candy sembrava non averne ancora abbastanza. Quindi, per intrattenerla e obbligarla a farla fermare, mi misi a parlare dell'unica cosa che avrebbe fatto stoppare il suo cervello e messo in tilt i suoi radar: 'ragazzi'.

Chiariamo una cosa. Avrei tranquillamente potuto anche parlare di moda, ma siccome non avevo nessuna storia da raccontare, avrei dovuto iniziare a parlare di fatti a caso, senza fondamento, e Candy, conoscendomi da anni, mi avrebbe smascherata subito e costretto a riprendere l'allenamento in un nanosecondo.

«Oggi ho quasi ucciso una persona» me ne uscì quindi io.

«Se questo è il tuo metodo per attirare l'attenzione dei ragazzi, sappi che non è molto efficace»

«E invece mi ha dato il suo numero»

«Pura fortuna del principiante!» Mi liquidò con un segno della mano. Vedendo che non continuavo la storia, si indispettì e mi chiese «Beh? E quindi? Era carino?» Ed ecco qui, signore e signori, ero riuscita ad ingannare Candy e farle credere che fosse lei, quella che voleva fermarsi qui e parlare di questo argomento. «No! Aspetta. Conosco il tuo livello di carino ed è squilibrato» mi mise le mani sulle spalle come per frenarmi, ma io non stavo proprio andando da nessuna parte. Se mai, ero molto contenta di essere seduta qui su questa bellissima panchina, al fresco dell'ombra. «Fammi riformulare la domanda. E' un carino da Brad Pitt in 7 anni in Tibet, o è Brad Pitt bello da paura in Mr.&Mrs. Smith?» 

Ecco, su una cosa eravamo sempre in accordo. Brad Pitt, il nostro idolo dal lontanissimo 2001. E, solo perché lo sappiate, nessuno aveva ancora raggiunto il livello di Brad/Mr.Smith.

«Mmmmm... questa è difficile. Ma, chi ha detto che fosse carino? E comunque, non so neppure se sia classificabile utilizzando Brad come unità di misura» risposi dubbiosa io, perché realmente, non ne avevo idea.

«Ah, allora non lo voglio conoscere. Bleah»

«Non ho detto che sia brutto! Solo che sono indecisa su quale Pitt sia. E poi, pochi pregiudizi eh?» replicai dandole un buffetto sulla spalla.

«Quoto testualmente ''non credo sia un Brad Pitt''» fece, con virgolette annesse. Inutile dire che dopo poco ci rimettemmo in marcia, e la questione fu temporaneamente chiusa.

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