Capitolo 6

Manhattan, New York City - 3 Settembre 2012

Labor Day, o festa del lavoro. Ma meglio conosciuta come ultima giornata estiva. Da alcuni vista come semplice festività, un accasione per stare a casa e non far ninete. Da altri vista come giornata di conquista, di vittoria del popolo. Ma molto più importante, dalla maggiorparte di noi giovani, vista come la fine delle vacanze, l'ultimo respiro prima di ritornare a scuola, ed essere sovrastati da continui impegni, lo stress e il clima gelido (specialmente in South Dakota).

Il Labor Day segna la fine della pacchia, ironico no? Quasi un ossimoro. La maggior parte delle scuole e delle università inizierà infatti domani. Compresa la mia. Per un certo verso, vorrei che questa estate continuasse per sempre. Gli esami finali appena finiti e aver raggiunto il traguardo del diploma, senza più nessun pensiero o compito assegnatoci per da svolgere per l'anno seguente. L'essere liberi e spensierati. Dall'altra parte non vedo l'ora di inziare questo nuovo capitolo della mia vita. Frequentare una scuola così prestigiosa come L'institute of fine arts della NYU. Un sogno. L'inziare i corsi e sporcarmi le mani di vernice e stucco.

Candy ed io decidemmo così di passare la nostra ultima giornata di libertà in piena tradizione universitaria Newyorkese. Mattina a central park e pomeriggio ad attendere la partita di lancio della stagione della propria università.

Il tempo non era dei migliori, fortunatamente, altrimenti vi sarebbero stati più di 30 gradi e la mia pelle si sarebbe completamente bruciata. Nuvole candide e soffici come zucchero filato si alternavano al giusto passo ai raggi di un sole settembrino, non facendomi mai annoiare ne dell'uno ne dell'altro.

Dopo venti minuti buoni in cui Candy mi fece sedere e rialzare da terra ben 14 volte, per trovare il punto ideale dove posizionarsi, riuscimmo a trovare il suo posto ideale. Avrei quasi urlato al miracolo, se non avessi notato ad una decina di metri da noi un gruppo di ragazzi, i quali si erano girati a fissare Candy e il suo micro vestito rosa, tutti tranne uno, che mi fissava intensamente, come se stesse cercando di capirmi. Come una persona come me, potesse girare con Candy, lei una fatina zuccherata, ed io il pezzo di carbone della befana, ancora non lo avevo compreso. Decisi di scrollarmi il pensiero di dosso e poggiai a terra il nostro pranzo, mentre Candice stendeva la coperta. Mi sdraiai sulla coperta e mi misi a fissare le foglie fruscianti dell'albero sotto cui ci eravamo appena posizionate.

«Hai mai notato come qui le persone ti guardano quando non ti conoscono? Il loro sguardo privo di giudizio, privo di condiscendenza solo perchè sei la figlia di un senatore?» dissi io tutta contenta, finalmente una persona qualunque. Normale.

  «Hai mai notato qui come le gente mi guarda come se non fossi più la persona più popolare nel raggio di 56 milia? E' orribile, sappilo» rispose Candy come se fossi la persona più pazza del mondo, perchè secondo lei, nessuno voleva 'essere normale'.

Presi un pesso di pane e glielo tirai addosso. «Sei sempre la solita!»

«Ammettilo, era bellisimo essere le più importanti della scuola! Tutti che ti guardano con ammirazione e si levano dalla tua strada per farti spazio quando passi, imitano il tuo stile e non ti contraddicono mai per rispetto» blaterò Candice.

«Più per paura semmai..» dissi io sotto voce, e qesta volta fu il turno di Candy di lanciarmi addosso un pezzo di pane, seguito da un cuscino, e poi una mela, che mi becco dritto sul naso.

«Oww» mi lamentai tenendomi il naso tra le mani, e dandole un calcio leggero sulla coscia.

«Che stupida» disse lei indispettita «Non ti ha fatto niente!» Al che allora tolsi le mani da mio naso per farle vedere il bollo rosso che ero sicura mi era rimasto impresso «Ah, okay» concluse.

Perchè si, se non lo sapevate, le mele verdi, quando sono appena colte, sono quasi paragonabili ad un sasso ed utilizzabili come arma.

Credo che a questo punto vi siate già fatti un idea di come io e Candy avessimo vissuto la nostra esperienza liceale. Se invece ancora non avete capito, prendete un minuto perché io vi illumini. Diciamo che l'essere la figlia di un ex senatore, ti catapulta alla punta della piramide scolastica, anche se fai di tutto pur di non starci. Perché no, primo, non vuoi essere ricordata per la tua famiglia, specialmente perché è proprio la tua famiglia che non si ricorda della tua esistenza se non per le occasioni pubbliche in cui sei costretta ad essere al loro fianco. Secondo, l'essere amica di Candice, Regina George del Dakota, ti costringe ad avere accanto persone di un certo tipo, persone che non necessariamente hanno i tuoi stessi interessi, se non completamente diversi. Solo il primo anno Candy era riuscita a convincermi a far parte della squadra delle cheerleader assieme a lei, sottolineo il SOLO, potete immaginare quanto la mia esperienza fu così felice da non volerla ripetere mai più in vita mia, cioè, io cheerleader?! Come?! La cosa positiva del non essere più una cheerleader tralasciando l'ovvia parte in cui non sei costretta ad essere con persone che non ti vanno a genio, perché beh.. non sono geni, è quella di avere più tempo da passare il tempo con chi veramente ti interessa stare. Passai quindi la maggior parte del mio tempo libera da liceale con quella che definivo essere 'anima della scuola', perchè anche se sempre lasciati in secondo piano, erano quelli che rendevano la nostra scuola un po' più sopportabile, un po' più speciale. Come i ragazzi dell'annuario o Julie del giornale scolastico, le ragazze del gruppo di calcio, con cui ogni tanto mi allevano (era un gruppo aperto a tutti), seppur non sapendo neppure le regole base, ma miracolosamente buttando la palla in rete comunque, oppure passandolo con i ragazzi della mia classe di arte.

Finito di mangiare, passammo quasi due ore a chiacchierare, perchè anche se io Candice eravamo due persone completamente opposte, avevamo questa strana affinità che ci univa, della serie "gli opposti si attraggono", ognuna con le proprie opinioni, e mutuale rispetto verso l'altra. Potevamo metterci a parlare e discutere per ore, senza nemmeno accorgercene, mentre il tempo scorreva alle nostre spalle, indisturbate e felici.

Come da tradizione, decidemmo di andare a vedere la partita di calcio di inizio stagione della NYU, come diceva Candice, per segnare la nostra entrata ''nella nuova società universitaria''. Cerchiamo di comprenderla. Seppur avessi giocato nella squadra del liceo, gli sport non mi interessavano più di tanto, o meglio, non mi interessava tanto il guardare o 'seguire' uno sport o un atleta, ma il praticarlo. Il divertimento e la soddisfazione che hai giocando, correndo, stando con le tue compagne di squadra e ovviamente.. vincere. Non sarò ipocrita e quindi lo ammetto qui nero su bianco: la competitività è sempre stata un mio difetto. Seppur non così evidente, dopo aver passato anni a prendere lezioni per essere o almeno sembrare la persona perfetta, la figlia perfetta, si inizia a fare l'abitudine al nascondere le cose, a camuffare la tua persona ed essere quello che gli altri vogliono tu sia. Perlomeno nell'apparenza.

Fu così che ci ritrovammo a prendere posto nella tributa della NYU, accerchiate da altri collegiali tutti vestiti di viola, colore della nostra Università, o quasi. Perchè ancora non ci avevo messo piede ufficialmente, se non per quando eravamo venute a visitarla l'inverno scorso. Ma quella giornata non conta.

Tutti attorno a noi sembravano conoscersi, probabilente eravamo le uniche del primo anno ad essere alla partita, dopotutto eventi del genere erano abbastanza sociale e non è proprio da persone ''cool'' andarci da sole, se capite cosa intendo, e quelli del primo anno ancora non conoscono nessuno, dovevo ritenermi più che fortunata ad avere un'amica su cui contare ad occhi chiusi al mio fianco. Ora che osservavo meglio, effettivamente, sembravamo le più giovani tra gli spalti. Scommetto che Candy lo sapeva bene e ci giocava dentro più che poteva. Tipico da parte sua. Ovviamente, eravamo le uniche due a non essere vestite a tema come gli altri.. al che, Candy, proprio come se mi avesse letto nella mente, tirò fuori dalla sua borsa un foulard viola e se lo mise a collo con nonchalance, tirando poi fuori un cappellino da baseball color viola, con il logo del gruppo sportivo dell'università, infilzandomelo all'improvviso e malamente in testa.

«E questi da dove sbucano?!»  dico sistemandomi il cappellino e infilando le mie orecchie dentro ad esso, che per come me le aveva messo lei, erano ora sporgenti in stile Dumbo.

«Davvero pensavi che sarei venuta qui inpreparata? Il nostro obiettivo oggi è socializzare ed entrare nello spirito!» esclamò felice, sorridendomi come se fosse la cosa più comune del mondo. Lei. Ad una partita di Calcio. Non sarebbe nemmeno venuta a vedere le mie, se non fosse stato per il fatto che, essendo una cheerleeder, era costretta a farci il tifo durante la nostra stagione.

Pochi minuti più tardi le casse dello stadio iniziarono a ronzare e a distanza di qualche secondo, partì la musica, dando così segno alla mascotte della NYU di entrare in scena e tirare su il morale al pubblico, il quale non sembrava averne bisogno in realtà. Ma a chi non faceva piacere vedere un poveraccio morire di caldo dentro al costume di un Bobcat (la lince rossa, animale mascott dell'università)?

Dopo poco entrarono in campo gli avversari, con qualche applauso dalle sponde opposte e i pochi tifosi che ospitavano. Mentre, all'entrata della nostra squadra, la folla ruggi in applausi e fischi, con Candice che si alzò ad applaudire e urlò incoraggiante, quasi a scordarsi che non era più una cheerleader. Si girò e, urlando per sovrastare il frastuono della folla «Guarda il numero 15! Wohooo che manzo!» La guardai di sottecchi, calandomi contemporaneamente il berretto a coprirmi il viso, nel caso qualcuno avesse sentito. Tipico.

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