Capitolo 3

Brooklyn, NYC - 22 Agosto 2012 

«Non è così brutto»

«Candice che stai dicendo! È stupendo!» esclamai con un sorriso stampato in faccia mentre, a braccia aperte, facevo una piroetta al centro della stanza. Proprio come nei film, quando la ragazza di periferia di una piccola città si trasferisce nel nuovo appartamento di NY e il suo sogno di diventare una giornalista/stilista famosa si avvera! Scordandomi però che in mano avevo una scatola che Candy mi aveva affibbiato da portare di sopra così che poi avremmo fatto meno giri per portare di sopra la roba. Cadde rovinosamente a terra, con un tonfo secco e parecchi scricchiolii. Sono morta, pensai.

«Non dirmi che dentro c'è quello che penso» Candice mi guardò di sottecchi. Era stranamente calma, ma non una calma normale, calma della serie 'prima della tempesta'. Io la guardai con aria di scuse, dopotutto mi ero fatta prendere dalla foga della situazione, a volte ero molto emotiva, no, non è vero, però in quel momento ero davvero troppo felice. La guardai con aria di scuse sollevando le spalle e allargando le mani, con i palmi rivolti verso l'alto (sembrava più che stessi recitando il 'Padre Nostro' che chiederle scusa, ma forse in quel momento quella preghiera poteva essermi utile, 'credo nell'utilità dell'essere ben preparati' disse la mia vocina interna, con cui a volte avevo dei monologhi infiniti. Non sapevo dove avessi sentito quell'affermazione, forse un film o un libro, chissà).

Tornando al misfatto. Mi accovacciai a terra, in bilico sui talloni, e presi il pacco. Lentamente lo aprii, e muovendosi fece rumori strani (beh in realtà non erano starmi, erano di oggetti rotti, ma il mio subconscio provava a proteggermi), il tutto cercando di non far vedere il contenuto a Candy. Sbirciai dentro una fessura e vidi quello la mia amica purtroppo non voleva vedere. Sibilai, un piccolo suono, quasi impercettibile, come quando ti pungi il dito con una spina e mi tirai indietro. Tutto ciò bastò a Candice per capire che era tutto proprio come pensava.

«Mi dispiace, ma erano solo piatti» le dissi, tentando di calmarla, dopo averle rotto i piatti che si era comprata nuovi di zecca proprio per l'università. «Ma in fondo non si abbinavano con i bicchieri boho che abbiamo comprato quest'estate. Ci vuole qualcosa di più vintage e indie ma al tempo stesso moderno, quindi ti ho fatto un favore a romperli! » Esclamai sorridendo, cercando di convincerla che avevo ragione.

«Aaah piantala, non riuscirai mai a convincermi con le tue famigerate tecniche abbindolatorie da quattro soldi» disse ridendo, divertita dal mio tentativo di convincerla (totalmente fallito vorrei sottolineare), mentre scuoteva la mano a destra e a sinistra per scacciarmi, come se fossi una mosca. «E poi sei ridicola quando ti metti a parlare di moda e design, blateri cose a caso che non hanno un senso logico" continuò ridacchiando.

«Scusami o mia maestà dell'alta moda e design!» dissi sogghignando e cercando di fare un inchino pressoché decente, non avendo la minima idea di come si facesse senza sembrare qualcuno che si contorca dal mal di pancia, o qualcosa di simile. «Ma ci sarà un motivo perché non mi sono inscritta al corso di moda e design con te, ma vado all'IFA» Sì, ci eravamo iscritte alla New York University insieme, ma frequentavamo due corsi diversi, in sedi diverse. Lei era iscritta a moda e design, il quale aveva luogo nel famoso palazzo vicino al meraviglioso Washington Square Park. Io invece ero all'Institute of Fine Arts nella Duke House, complesso sulla 78* strada costruito da Horace Trumbauer (architetto di Philadelphia) nel 1912 sul modello dello Château Labottiere, un castello francese di Bordeaux. L'avevo visto solo in foto, non ci ero ancora mai entrata, ma era un sogno. Il solo pensiero che ci avrei trascorso i prossimi quattro anni mi faceva girare la testa. Era un edificio davvero importante nella storia di NY, era una vera e propria capsula del tempo di quel periodo.

Passammo la giornata a portare su e giù scatoloni di roba per decorare l'appartamento e borsoni con i vestiti, per lo più di Candice, aveva 4 valigie Louis Vuitton che come altezza mi arrivavano alla pancia e io non sono bassa (e con questo dico tutto) e altri 4 borsoni sempre di Louis Vuitton (era fissata con quella marca, da lei considerata geniale. Io ci vedo solo la sigla stampata un po' ovunque, ma sono gusti, quindi mani alzate).

Avevamo preso in affitto un appartamento sull'8* strada, vicino alla Prospect Park West. Era a Park Slope, piccolo Block molto alla moda nella zona di Brooklyn, era la versione per giovani ragazzi e più economica del famoso Greenwich Village direttamente da 'Sex and the City', dove alcuni scantinati costavano milioni. Il nostro appartamento era la tipica 'fetta' di una serie di case infinite. Grandi ed imponenti porte ad arco che davano sulla scalinata che portava direttamente al marciapiede della stradina tutta contornata da innumerevoli alberi. Alte finestre francesi e decorazioni varie di stili differenti.

La signora che ce lo dava in affitto ci aveva raccontato tutta la storia del quartiere appena eravamo arrivate, subito dopo averci consegnato le chiavi ed averci fatto firmare alcuni documenti per l'affitto. Era davvero graziosa. La tipica signora di New York nata e vissuta nella grande mela. Aveva la classe che gli scorreva nel sangue. Fine, elegante e di grande classe, che girava sempre con vestiti a gonna ampia e immancabilmente dei tacchi. Era anziana, probabilmente sugli 80 anni, ma ne dimostrava sicuramente 10 di meno, era molto sveglia ed era forse anche più arzilla di me. La cosa che mi colpiva di più era che pur essendo una sottospecie di aristocratica di gran classe, virtuosa dell'haute couture, non si desse delle arie. Non si vantava di quello che aveva, non lo sfoggiava come se fosse un trofeo. Quello che faceva e che aveva era solo per un suo piacere personale, non per rendere gli altri invidiosi. Mi stava davvero simpatica.

Il nostro appartamento era al primo piano. Poco tempo prima ci abitava una ragazza, la quale dopo aver finito il college aveva trovato lavoro in uno studio legale di Manhattan e si era trasferita in uno spazio più grande nell'Upper East Side, portandosi con se tutto l'arredamento. Lasciando così il posto vuoto e primo di qualsiasi tipo di decorazione.

«Credo proprio che dovremo andare a fare shopping» disse Candy, leggendomi nel pensiero. Osservando l'appartamento con aria famelica. Cose se esso fosse una zebra zoppicante e lei il leone pronto ad attaccarlo. Probabilmente lo avrete già intuito, ma se non lo avete fatto, vi chiarisco un po' le idee. Candice è una sottospecie di guru del fashion/moda/design. E ogni volta, lei non perde occasione per approfittarsene. A discapito mio che dovevo seguirla nelle sue follie e la sua mania ossessivo convulsiva di usare la carta di credito almeno 25 volte al giorno.

Verso le quattro del pomeriggio finimmo di trasportare gli scatoloni nell'appartamento. In realtà dovrei dire 'finii', siccome ero solo io che li portavo. Candice era tranquillamente seduta al tavolo che si limava le unghie dopo aver sostenuto il fatto che: 'se io avessi portato gli scatoloni e lei contemporaneamente li avesse svuotati, avremmo finito tutto prima'. Non devo neanche stare qui a dirvi che dopo cinque minuti era già stanca e si era massa a far nulla (aka: limarsi le unghie).

Mi ritrovai così da sola a portare trenta scatoloni stracolmi di roba, per la maggior parte con cose di Candy, e subito dopo svuotarli e metterli a posto. Passó un'altra ora, erano più e meno le cinque del pomeriggio e io ero già pronta per andare a letto. Ero stanca morta. Candice, che invece non aveva mosso un dito (anzi, lo aveva mosso e si era rotta l'unghia) era fresca come una rosa.

«Dakota! Dai andiamo in giro» mi chiamò dalla cucina. Ero sdraiata comodamente sul mio letto. Il quale in realtà era scomodissimo, ma con tutta la stanchezza che avevo addosso, mi sembrava la cosa più morbida del mondo. Alzai un braccio e presi uno dei cuscini in più che avevo e me lo misi in faccia, per attutire la voce di Candice e non sentirla mentre cercava di convincermi.

Poco dopo il cuscino mi venne strappato via dal viso. Sbuffai ad alta voce (no, non ad alta voce, è impossibile farlo ad alta voce, non è che stai parlando. Diciamo che sbuffai 'rumorosamente'. Ecco ora aveva più senso). Sperando che lei potesse capire che di certo non mi stava facendo un piacere.

«Dakoootaaa, ma tu non mi ascolti mai! » disse imbronciata. «Stavolta era intenzionale» dissi io ridacchiando, con una faccia da 'ommioddio come ti permetti' mi ricacciò il cuscino in faccia, e si dimenò facendo finta di soffocarmi. Me lo tolse e riprese il suo discorso. «Allora usciamo? »

«Per 'usciamo' intendi andiamo a fare shopping? Giusto? O mi sbaglio. Perché credo proprio di avere ragione» ogni volta che uscivamo per lei era una volta buona per fare shopping. Suo padre era proprietario di un'azienda di estrazione del petrolio nel North Dakota, quindi di soldi ne aveva a palate, però non è che solo perché una persona ha un mucchio di soldi li deve spendere in cose senza senso. La mia famiglia ne aveva molti, ma io probabilmente sono la persona meno propensa a comprare di tutta l'America (se non contiamo le giacche di pelle, a quelle non resisto, ne ho a palate).

«Aaah non è giusto! Tu mi consoci troppo bene, è difficile fregarti! » disse lei sospirando e tirandomi addosso il cuscino. Di nuovo. Okay, era il momento di togliere il cuscino di scena, certa che prima o poi la zip mi si sarebbe conficcata nell'occhio, lasciandomi semi cieca, cosa che di certo non vorrei mai essere.

«È impossibile fregarmi. È completamente diverso» dissi
«Si beh adesso non esageriamo eh?! » Ribatté lei, sapendo benissimo che aveva ragione. A volta le persone riuscivano a convincermi piuttosto facilmente, ovviamente tutto dipende dalla cosa in questione. Di certo se un giorno mi avrebbero mai chiesto di buttarmi fuori dalla finestra, non li avrei presi neanche in considerazione, li avrei ritenuti pazzi.

«Okay, okay» acconsentii.
«Siiiiii. Lo sapevo che ti avrei convinta! » Disse felice, prendendomi un braccio e tirandomelo, cercando di trascinarmi fuori dal letto per seguirla.
«Ma che...? » Esclamai, perché cavolo mi stava tirando? «Ahia» urlacchiai mentre cadevo di chiappe sul duro pavimento di fianco al mio letto. Mi alzai e mi spolverai pantaloncini e maglia. Siccome non avevamo ancora pulito, quasi tutta la casa era ricoperta da uno stato di polvere, tranne che per i pochi mobili che avevano dei teloni sopra, cosicché non si rovinassero. (probabilmente l'ultimo avvistamento di una scopa a cui queste mattonelle avevano avuto l'onore di assistere risaliva a quando l'ultima coinquilina abitava ancora qui). Mi voltai e fissai Candice male, la quale, si percepiva da lontano un miglio, aveva molta voglia di andare a strafogarsi con tonnellate di scarpe e vestiti.
«Perché mi hai fatto cadere? » Domandai sfregandomi il gomito che avevano battuto pochi secondi prima, quando la mia 'adorabile' amica mi aveva tirato.
«Tu hai detto 'okay'! E io ti ho solamente tirata per fare più in fretta! Sai i negozi chiudono fra poco! » Mi rispose con foga cercando di riprendermi il braccio per trascinarmi di nuovo, io mi scostai e capendo il malinteso le spiegai. «Guarda che ti stai sbagliando. Il mio 'okay' era rivolto alla tua domanda/affermazione sul 'non esagerare'»

«Sì, va beh, ora andiamo». Mi prese il braccio (ancora!) e mi trascinò (ancora!!!) verso la porta dell'ingresso dell'appartamento. No, della porta di casa. Devo iniziare a farci l'abitudine a chiamarla casa. Dopotutto dovrò vivere qui per quattro anni, a meno che non mi espellano dal college o non mi espella la proprietaria, o Candice non mi prenda a calci fino a fuori dalla porta. Candy mi lascio lì, confusa, cercando di capire cosa stava facendo. Prese la sua borsa lilla di Celine, la quale era poggiata su di un mobiletto accanto alla porta di cui non mi ero neanche accorta dell'esistenza. Rovistò dentro la borsa, ne tirò fuori un paio di occhiali da sole Dolce&Gabbana che lo stesso Domenico Dolce (si proprio lui, uno dei due stilisti, non so se quello pelato o quello coi capelli. Si nota che non mi intendo di moda vero?) aveva disegnato solo per lei. Si. Candice era matta a tal punto da pagare uno stilista per farle disegnare degli occhiali solo per lei. Si diresse verso la porta, la superò, procedendo verso le scale. Quando si accorse che non la stavo seguendo, ma che ero ancora lì, ferma dove mi aveva lasciata, esclamò «Ti muovi? »

«Dove stai andando? » Chiesi, ancora più confusa di prima. «Aaaah» sospirò con aria frustrata ed impaziente. Come se avesse qualcosa di importantissimo da fare e fosse in ritardo. Mi prese per un braccio (ma cosa aveva oggi con le mie braccia? Erano così attraenti che non riusciva a togliermi le mani di dosso? Scherzo, cosa ci si può trovare di attraente in delle braccia?!) e mi trascinò fuori dalla porta chiudendosela alle spalle.
«Eih ma dove stiamo andando?.. Non posso uscire così! Sono praticamente in pigiama?! Okay che solitamente non me ne frega niente di moda, ma siamo a New York City, un po' di decenza la ho anche io sai?! » Esclamai, capendo che mi stava portando a fare shopping vestita come un idiota. Sicuramente le commesse e i buttafuori nella boutique di Chanel o qualche altra marca famosa in cui saremmo passate mi avrebbero fatto entrare vestita così, ovvio, penseranno sicuramente che sono una sottospecie di barbona ladra che cerca di intortarsi la riccona di turno per poi spillarle i soldi.

«Tranquilla non ti giudico» mi disse, cercando di consolarmi sfoggiando un sorriso che in teoria avrebbe dovuto consolarmi ma... «Si tu no, mi conosci, ma gli altri 8 milioni e mezzo di abitanti a New York sì» ribattei.

«Si, te lo concedo, ma non mi interessa» rispose sfoggiando uno dei suo perfidi sorrisi. La guardai male e la seguii, ero sicura che tanto non sarebbe stata la prima volta, quindi meglio farci l'abitudine.

Ci avviammo così a piedi verso il Brooklyn Bridge per arrivare a Manhattan. La strada era un po' lunga, ma volevo ammirare e imparaste un po' ad orientarmi nella zona, così colsi al volo l'occasione e convinsi Candy a seguirmi. Ero brava in queste cose (orientarmi e memorizzare) certo però che se non avevo mai visto il luogo non potevo inventarmelo no? Arrivammo sulla 6th Avenue prima di quando credessi. Ritrovandosi davanti al famoso e mastodontico (ero lo store più grande del mondo), ultralussuoso e stracaro Macy's. Entrammo dentro e visitammo non so quanti negozi.

«Mi stanno bene questi tacchi? Credo si abbinerebbero bene con la borsa che ho comprato prima da Gucci» Eravamo da MiuMiu da più e meno 40 minuti e Candy si era messa a provare diecimila tipi di scarpe diverse. Parlava di moda così tanto velocemente e così troppo che ne avevo abbastanza, se per i prossimi 10 anni avessi sentito ancora la parola scarpe/vestiti/borsa uscire dalla sua bocca, l'avrei trucidata senza pensarci due volte. In realtà finiva così ogni volta e per ora era ancora viva. Visto? Sono una brava persona! Dolce e Gabbana! Gabbana?! Volevo dire gentile! Visto? Tutta questa faccenda sul fashion mi stava dando alla testa! Non sapevo più neppure cosa dicevo o facevo. Poi mi ricordai che forse avrei dovuto rispondere a Candice così feci «Si, credo di si» ormai questa era la mia risposta standard a qualsiasi domanda mi faceva, il pilota automatico del mio cervello si era impossessato di qualsiasi controllo avessi su di me. Che cosa macabra e inquietante. Certo che sono strana forte. A volte facevo degli esempi che neanche i lemuri (Lemuri? Che vi avevo detto? Povero Mortino).

Candice si mise a parlare con una commessa di nome Layla. Il cartellino color giallo risaltava sul suo tailleur nero bordato di una fantasia fucsia, verde e azzurra. Penserete 'che colori strani'. Beh allora non avete visto i vestiti nella boutique! Erano tutti con fantasie stravaganti, quasi come se fossimo in una foresta tropicale piena di fiori. Quando, mentre entravo, avevo fatto un commento a Candy su ciò lei aveva farfugliato una cosa tipo 'tipico di MiuMiu', troppo impegnata ad ammirare l'interno del negozio per darmi una risposta vera e propria.

Mentre le due continuavano a parlottare di tacchi e robe varie, mi persi a fissare un tizio che guardava i vestiti. Lo avevo visto anche prima mentre entravamo nel centro commerciale, era entrato più e meno contemporaneamente a noi e ci avevo superato, andando per sbaglio a sbattere contro una signora, per quello me lo ricordavo. Mi sembrava strano trovarlo nella boutique. A giudicare dall'aspetto non lo facevo il tipo per questo tipo di negozi (senza giudicare eh, qui ero io quella vestita con maglia e shorts da ginnastica/pigiama), seppur vestito bene, non sembrava un tipo da negozio con uno stile così... "stravagante" diciamo. Senza contare che lui era un uomo (che grande affermazione, come se non lo aveste capito pure voi) e il negozio vendeva solo vestiti per donne. Che fosse dell'altra sponda? O che stesse scegliendo un abito per la moglie? Di certo non era un grande affare, se non le fosse piaciuto avrebbe speso migliaia di dollari inutilmente. Se invece era miliardario... al diavolo (anche se di solito quel tipo di gente preferiva avere un sarto che gli confezionasse abiti su misura).

«Sei pronta? » Mi chiese una voce, mi girai e alzai lo sguardo e vidi Candice con un nuovo borsone gigante in mano. Non mi ero neppure accorta che aveva scelto delle scarpe, che le aveva già pagate, ero troppo distratta, come al solito. «Emm... Cosa? » Chiesi, non avendo sentitole ricordando cosa mi aveva chiesto, «Vieni» mi disse con un grande sorriso. Subito dopo aver comprato era sempre felicissima e niente le poteva mettere di malumore. Così la seguii e mi trascinò verso un negozio di Bulgari. Stavamo entrando quando da un angolo della porta sbucò un buttafuori o anti rapina (non ho mai capito come si potessero definire), fatto sta che mi squadrò e mi mise una mano sulla spalla per fermarmi e non farmi entrare.

«No tu no» parlò l'omone.
«È la mia migliore amica» mi difese Candy. «Mi spiace signorina ma abbiamo una certa reputazione e...»

Non continuò, gesticolando solo in direzione dei miei vestiti per far capire che il problema in se erano i miei abiti. Cosa avevo detto sul fatto che non mi avrebbero fatto entrare? Prevedibile. Totalmente prevedibile. Candice si girò verso di me e mi guardò con aria di scuse e fece spallucce. «Vai tranquilla. Ti aspetto qui fuori» le dissi rassicurandola e guardandola come per dire 'tu intanto sbrigati'.

Per passare il tempo mi misi a guardare la vetrina, leggendo i prezzi di ogni singola cosa. Erano talmente alti! Sul serio qualcuno comprava qualcosa lì? Erano prezzi ridicoli. Si erano belli, ma di certo non valevano quello che dovevi pagare. Alzai lo sguardo e vidi una collana d'oro, mi spostai di fianco e sobbalzai. Tramite la vetrina vidi il riflesso dell'uomo nel negozio di prima. E mi stava fissando. I suoi occhi incontrarono i miei tramite il riflesso e subito lui distolse lo sguardo e si affrettò ad andarsene. Appena il tempo di girarmi per guardarlo meglio (oddio sembravo il lupononna di Cappuccetto Rosso) l'uomo era già sparito, come se non ci fosse mai stato. Lo avevo visto sul serio o ero solo stanca? La cosa era davvero inquietante. Mi metteva i brividi. Mi guardava come se fosse un serial killer e io la sua prossima vittima. Che bel benvenuto che mi stava dando la gente qui.

Candice uscì dal negozio poco dopo. Mi guardò e chiese «Tutto bene? Sembri strana»

«No niente è che c'era un uomo stranissimo prima» sorrisi e la rassicurai «Dai ora andiamo sto morendo di stanchezza» le presi alcune delle grandi e lussuose borse per alleggerirla. Ci incamminammo fuori dal centro commerciale. Era tardi ormai e non era certo il momento giusto per esplorare la città. Certo non avevo paura, sapevo difendermi discretamente ma era meglio non rischiare. Così per il ritorno decidemmo di prendere un taxi. Arrivate a casa (quanto era esaltate poter chiamare NY casa?), gettammo le borse per terra e ci lanciammo nel letto. Mi addormentai subito. E dire che di solito io avevo problemi a dormire. 

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